Giuli, ho voglia di un risotto....
così mia madre al telefono, me lo fai?
Potevo dirle di no?
Così, pensando a cosa cucinare per il
pranzo della domenica, apro il frigorifero....
toh! La salsiccia che giace da qualche
giorno mi fa l'occhiolino da sotto una confezione di
burro.........ok, ok, ti faccio fare una degna fine.... Vada per il
risotto alla monzese...
Arriva la domenica, preparo il risotto,
e andiamo a tavola.
Mio marito, appena infilata in bocca la
prima forchettata di riso, mi dice: - ti ricordi di quello che ci
faceva la zia Libera?
Come non ricordarlo! E' legato ai
nostri inizi, posso dimenticarlo??
E' vero che sono passati
quarant'anni e più, ma la memoria storica ce l'ho ancora, è quella
breve che fa i capricci!
E allora ricordiamo davvero.....
Si chiamava Liberata ma la chiamavano
Libera, non ho mai saputo il perché di questo nome così
significativo, nel tempo e fra i suoi documenti non ho trovato nulla che dicesse da che parte era
arrivato, se c'era un bisnonno o qualcun'altro di cui continuare il
nome. Ricordo che glielo avevo anche chiesto, ma lei si era stretta
nelle spalle e, scrollando la testa, mi aveva risposto che sua madre
non glielo aveva mai spiegato.......strana la famiglia Corti!
Libera era la quinta dei sei fratelli
Corti, nata sul finire del gennaio 1904, quando sua madre pensava di
aver smesso di scodellare figli al ritmo di uno ogni due anni, e
invece l’ultima davvero fu, cinque anni più avanti, la zia
Letizia, di cui ho già parlato ampiamente.
qui in una foto di gioventù, penso sul finire degli anni '20, a giudicare dalla pettinatura a onde, dalle scarpe alla bebé e dal vestito....
Quando l’ho conosciuta era già
nella mezza età, vedova da poco. Suo marito era mancato,
nell’Ottobre del 1966 e io avevo da poco incontrato quello che
sarebbe poi diventato mio marito, stavamo insieme da pochi giorni,
per cui non ho avuto proprio modo di conoscerlo...
Lei era una donna alta, rotonda ma non
grassa, con dei capelli castano/biondo raccolti sulla sommità della
testa a piccoli boccoli, tenuti insieme dalle forcine..
Io non me la
ricordo riccia come nelle foto da giovane, ma sempre con quei suoi
capelli tirati in su, e quei boccoli arrotolati fra le dita e fissati
con le forcine sulla sommità della testa..
Da che ho memoria di lei, non ha mai
cambiato pettinatura, non come me che ho sempre cambiato testa, ogni
volta che mi prendeva lo schizzo di arricciare, tagliare,
colorare......solo ora, che sono anch'io nella mezza età, ho più o
meno la stessa pettinatura da qualche anno....
Stranamente la sua statura sovrastava
quella di tutti i fratelli, non molto alti in verità. Nelle vecchie
foto, o è seduta oppure, quando è in piedi, svetta su tutti.
lei è la prima a sinistra, poi la zia Stella e poi mio suocero, una amica storica delle sorelle, la Ines, e quindi la zia Letizia
qui in gita con gli amici.. e lei è quella seduta a destra....
Non ho molte foto sue, quelle che ho sono quasi tutte formato tessera, fatte in varie epoche...
questa penso sia degli anni '20/30....non ne sono sicura, ma la pettinatura è quella di quegli anni...
anno 1959, c'è scritto dietro stavolta...
e questa è come l'ho conosciuta io
Delle sorelle Corti era la più
frivola, un po' leggera probabilmente, sempre pronta più a divertirsi
che a lavorare, a pensare a comprarsi cappelli nuovi, scarpe, guanti
di ogni tipo, borse e vestiti, spendacciona oltre ogni dire....le
altre sorelle mugugnavano, e lo hanno fatto tutta la vita....
Lei però era l'unica delle sorelle
Corti che volesse veramente bene a mia suocera, sua cognata, una
volta che entrò a far parte della famiglia, l'unica che instaurò
con lei un rapporto profondo, di amicizia e sorellanza
affettuosa.....e di questo le sarò sempre grata.
Mia suocera era nata a Zara, quando
ancora era italiana, ed era venuta a lavorare a Cernobbio, come cameriera per la famiglia Mandelli, una delle famiglie più benestanti di allora a Cernobbio.... ...qui aveva
conosciuto mio suocero....ma la loro storia merita un capitolo a
parte...
Si era sposata molto tardi la zia
Libera, nel 1941, mentre si avvicinava alla quarantina, dopo aver,
come si dice, corso parecchio la cavallina, d'altra parte con quel
nome.......nomen omen...
Si era praticamente accontentata per
potersi accasare e per sfuggire alla maldicenza e alle dinamiche di
un piccolo paese qual’era Cernobbio fino agli anni della guerra...
Suo marito, lo zio Danilo, classe 1900,
originario del Monferrato, si era trasferito in città da bambino, e lo aveva conosciuto per caso. Le era stato presentato da una amica
comune che era venuta da Milano e che lui aveva accompagnato. Ed era
arrivato proprio nel momento in cui si era quasi rassegnata a
rimanere zitella..
Un uomo niente affatto bello, nemmeno
carino a giudicare dalle foto, anzi, piuttosto basso e con un naso un
po' camuso....Insieme non erano certo quel che si dice una bella
coppia....
questa è una delle poche foto sue, e fatta quando era già sulla cinquantina
Lui era appena tornato dalla Spagna,
dove era andato volontario, per combattere dalla parte dei fascisti
di Franco, poi sul finire della guerra era stato ferito leggermente
e quindi, nel 1939 era rientrato.
Trovammo, una volta mancata la zia,
mentre provvedevamo a disfare la sua casa, una lettera della
sezione del Fascio della zona che intimava alla vecchia ditta dove
era impiegato di reintegrarlo in organico e di pagargli tutti gli
stipendi arretrati per il periodo di assenza, pena la chiusura
forzata e il sequestro dell’attività e la minaccia dell’impiego
di altri mezzi se non ottemperavano....
Ricordo perfettamente che c’era una
data, l’anno XXII dell’era fascista, che sinceramente non so a
che anno reale si riferisse, credo fosse il 1943/44, ma posso
sbagliare...
Un documento che a tenerlo fra le mani
mi ha fatto una certa impressione, è stato come tenere fra le mani
un pezzo della nostra storia, terribilmente tragica, e scoprire poi
che è stata anche vissuta e partecipata in quel modo da questo zio
acquisito non è stato affatto piacevole.
Si conobbero dicevo, in una giornata di
sole e nella cornice magica e romantica del lago di Como, almeno
così raccontava zia Libera...
Non fu un amore travolgente, anzi,
credo proprio che lei non fosse assolutamente innamorata. E’ che
si rendeva conto che lui significava l’ultima opportunità di fare
un buon matrimonio, di lasciare Cernobbio, un paese che, lago a
parte, le stava stretto più che mai.
Si fidanzarono e il fidanzamento durò
quasi due anni, poi si sposarono senza troppo clamore, e vennero a
vivere a Milano, in una piccola casa di ringhiera a due piani in via
Porro Lambertenghi,in fondo alla via Farini, dove lo zio aveva
comprato due stanze.
Erano proprio due stanze. E neanche tanto
grandi. Una era quella che fungeva da ingresso, soggiorno e cucina,
mentre, all'interno, una porta la divideva dalla camera da letto
che affacciava invece dall'altro lato della casa, sulla via
Lambertenghi....il bagno, se così si può chiamare, era in fondo
alla ringhiera, in comune con le altre due famiglie che vivevano su
quel lato.
Consisteva in una turca e stop. Come ho
già avuto modo di raccontare, ci si lavava nella tinozza, scaldando
l'acqua sul fornello a gas...oppure si andava alle docce pubbliche,
ce n'erano e ce ne sono molte tuttora sparse in tutta la città...
Ci ha vissuto praticamente quasi tutta
la sua vita in quelle due stanze senza servizi......
zio Danilo era un tornitore
specializzato, e per quel tempo era una qualifica che garantiva una
paga abbastanza alta. Ma non tanto alta da permettere alla zia di
fare solo la casalinga.
Così lei mise a frutto quello che
aveva imparato quando da ragazzina aiutava la madre a lavorare le
spolette di seta. Era occhiellaia, faceva asole in seta a giacche e
pantaloni, lavorava per i sarti che a quel tempo erano molto
numerosi perché gli abiti venivano fatti fare dalle sartorie, non
esistevano ancora le confezioni in serie, vennero molto dopo.
Un mestiere parecchio ricercato il suo,
non erano molti a saperlo fare bene, e lei invece era anche molto
richiesta, aveva parecchio lavoro e un giro numeroso di sarti che le
affidavano le loro creazioni da rifinire... c'era sempre un via vai
frenetico su per quelle scale!
Occhiellaia.....a dirlo oggi credo che
pochi sappiano cosa significhi....già quando l'ho conosciuta io il
lavoro era molto calato, non c'era più tanto bisogno di occhielli
fatti a mano, costavano troppo rispetto a quelli fatti a macchina,
quelli fatti a mano erano più per l'alta sartoria che altro...
Ma lei continuò a cucire le asole
delle giacche finché ci fu un sarto a chiederglielo...ricordo di
averla vista curva su una giacca che era già molto avanti con gli
anni, poi smise anche perché non ci vedeva più tanto bene...
Come sua sorella Letizia, anche a lei
piaceva cucinare, e lo faceva davvero bene.
Lo zio Danilo, così racconta mio
marito, era un tipo abbastanza strano e anche un po' burlone...
Pretendeva che lei apparecchiasse tutti
i giorni la tavola come per le grandi occasioni..tovaglia di fiandra
rigorosamente bianca, tre o quattro bicchieri, posate che
servissero dall'antipasto al dessert, tovaglioli piegati con molta
cura, l'acqua e il vino nelle bottiglie di cristallo, poi arrivava,
perennemente in ritardo, si sedeva a tavola e il più delle volte
non toccava cibo...
lei che magari aveva cucinato tutta la
mattina, andava su tutte le furie e lo mandava a quel paese e lui,
serafico:
- Libera, t'el set? (sai?)
- t'u cumprà el teren ( ti ho comprato
il terreno)
- Oh che bel, ma n'doué?? - (ma dove) rispondeva
lei
- a Musocc ( a Musocco, il cimitero più
grande di Milano)...
al che lei faceva volare i piatte e non
gli parlava fino al giorno dopo, quando la sceneggiata della tavola
apparecchiata in grande stile si ripeteva....
Quando finalmente, passati un po' di
mesi, la conobbi, invitò me e suo nipote a pranzo, era di
sabato, lo ricordo come fosse oggi.
Ricordo quella casa, dove ordine era
una parola priva di significato....piena di ninnoli, di
soprammobili, di fotografie appese al muro e di quadri fatti con i
coperchi delle scatole di cioccolatini.
Sì perchè un tempo sulle scatole di
cioccolatini, fatte di un cartone molto rigido, un poco imbottito a
volte, c'erano sempre delle stampe di fiori, o di panorami
bellissimi..ci voleva niente a metterle in cornice!
Ricordo la ghiacciaia, e mi colpì
parecchio il fatto che la usasse ancora, nonostante un frigorifero a
tavolino facesse bella mostra di se lì a fianco....mi domandai dove
trovasse il ghiaccio...i carbonai, non esistevano quasi più e i
pochi rimasti si erano convertiti alle taniche di gasolio e alle
stufe elettriche, niente più carbone d'inverno e ghiaccio
d'estate.......non lo seppi mai...
Per me che avevo 17 anni,
e vivevo in un presente in evoluzione continua, confrontarmi con la
sua realtà e il suo modo di vivere un po' rivolto al passato è
stato incredibile e
mi ha permesso di intravvedere
un'epoca e un mondo completamente sconosciuto, difficile da
immaginare.
Quando cominciò ad avere problemi di
salute, soprattutto di artrite deformante talmente devastante che a un certo punto arrivò
ad impedirle di camminare, si trasferì a casa della sorella minore,
la zia Letizia appunto.
Litigavano come cane e gatto, e ogni
volta che andavamo a trovarle, sentivamo le litanie di una e
dell'altra e cercavamo di calmarle........ma poi tutto si quietava e
l'affetto fra loro prevaleva...
la zia Letizia la accudiva in tutto e
per tutto, e lei un po' ne approfittava. Ma tutto questo ebbe poca
durata, la zia Letizia si ammalò e nel giro di poco tempo morì, e
la zia Libera restò sola.
Era molto benvoluta anche dai parenti
dello zio, soprattutto da una sua nipote, Ester, ballerina della
Scala, che ho conosciuto anch'io e che non ha mai smesso restarle
vicino anche dopo, quando morì lo zio...
eccola qui in una foto del 1933 |
Fortunosamente si riuscì a trovarle
un posto al Palazzolo, storica casa di riposo di Milano, nel
reparto dei non autosufficienti. Lei lo era parzialmente, era
lucidissima, ma si muoveva solo con la sua sedia a rotelle.
Ricordo con profonda tristezza quel
periodo. Per andare al reparto dove era lei, dovevo percorrere
tutto il lunghissimo corridoio del primo piano dove erano ricoverate
donne molto anziane che non ci stavano più con la testa, e ogni
volta, fra le altre, passavo davanti a una stanza che aveva sempre
l'uscio aperto e dove c'era fissa una nonnina su una sedia a dondolo
che cullava una bambola. La cosa mi sconvolgeva....quando uscivo,
dopo la visita alla zia, mi ci voleva almeno un'ora prima cdi tornare
alla normalità....le mie figlie erano ancora piccole, a volte le
portavo perché lei giustamente le voleva vedere, e mi stringevano
le mani forte forte, mentre percorrevamo quei lunghissimi metri,
come a dire che no, non mi avrebbero mai lasciato lì....
Lo ricordo anche come un periodo
difficile quello...dover vuotare la sua casa, ma conservando
comunque tutto il suo guardaroba e la sua biancheria, che serviva di
ricambio in casa di riposo, e che io provvedevo a portarle tutte le
settimane..dover conciliare il
lavoro, la casa, la famiglia, le bimbe da seguire a scuola, le
visite due volte la settimana che le facevo...è stato veramente
faticoso........D'altra parte ci teneva tantissimo ai suoi vestiti,
alle sue scarpe, alle sue borsette, e non poteva tenerle tutte nel
piccolo guardaroba della sua camera alla casa di riposo, come non
accontentarla? Era stata vanitosa in tutta la sua vita, e lo era
ancor di più ora che stava in quel posto, le piaceva essere
elegante, sempre. Era il suo modo di rimanere legata alla vita
normale, quella di quando stava bene e poteva muoversi come voleva,
un modo per non sentire la mancanza della sua casa e dei suoi
oggetti, e di conservare la sua dignità anche dentro a un posto
come quello, che anche se era molto pulito, organizzato, con
animatori e volontari che tutti i giorni organizzavano cose, era pur
sempre una casa di riposo, una specie di cronicario dove sapeva che
sarebbero finiti i suoi giorni...
Rimase un paio d'anni al Palazzolo, ma
sono stati comunque anni sereni. Era entrata a far parte di un
gruppo di anziane che sotto la guida della responsabile del reparto
avevano messo in piedi tutta una attività di beneficienza.
Cucivano, ricamavano, facevano lavori a maglia, chi dipingeva su
vetro, chi su tela, chi faceva lavoretti di ceramica, tutte cose che
poi vendevano ai parenti o nelle feste che organizzavano aperte anche
agli esterni, e quello che raccoglievano lo destinavano ogni anno ad
un ente diverso....
Una giorno mi chiese di portarle della
carta crespa rossa. Non le feci domande, andai in cartoleria e la
comprai, chiedendomi a cosa le servisse.....lo scoprii appena gliela
portai. Strappò un pezzetto dal rotolo, lo appallottolò, mi chiese
lo specchio e cominciò a strofinare quella carta rossa sugli
zigomi......rimasi di stucco, avevo appena capito cosa usavano le
donne dell'altro secolo come fard....
Ora quel gesto è legato al suo
ricordo, e me la vedo ogni tanto, con quelle guance appena appena
rosse, che contrastano con la pelle diafana del viso. Quando mi
torna questa immagine, non posso fare a meno di pensare a lei con
tenerezza, e risento la sua voce che mi chiede se voglio ancora
una cucchiaiata di risotto...uno dei suoi piatti
preferiti....quando andavamo da lei sapevamo già qual'era il
menu.....risotto alla monzese e arrosto di maiale al latte....
Ogni tanto mi capita di passare da Via
Porro Lambertenghi e di guardare su, verso la finestra di quella che
è stata la sua camera da letto.....chissà chi ci abita ora in
quelle due stanze
chissà....
eccolo il suo risotto.....domenica nel piatto non c'era solo quello, c'era anche un pezzo della nostra vita...
Risotto alla monzese
300 gr luganega (salsiccia dolce)
1 piccola cipolla
riso q.b. (io calcolo 2 pugni a testa più 2 per la pentola)
1 bicchiere di vino bianco
una noce di burro
poco olio
parmigiano grattugiato
1 bustina di zafferano
brodo
sale
Scaldare il brodo. Spellare la salsiccia e ridurla a piccoli bocconcini.
In un goccio d'olio far appassire la cipolla affettata finemente, unire la salsiccia e lasciar cuocere mescolando ogni tanto finché la salsiccia si sarà colorita.
A questo punto versare il riso e lasciar tostare finchè è un poco translucido, mescolando sempre.
Sfumare con il vino bianco, poi procedere come per un normale risotto, mescolando e aggiungendo poco brodo alla volta, man mano che il riso lo assorbe.
A metà cottura aggiungere anche la bustina di zafferano. Un paio di minuti prima di spegnere, aggiungere una generosa noce di burro e un paio di cucchiai colmi di parmigiano grattugiato. Mescolare energicamente e spegnere il fuoco. Lasciar riposare qualche secondo e servire.
La zia Libera diceva sempre che il riso nasce nell'acqua e va annaffiato col vino...
per cui un buon bicchiere di rosso giovane, magari una Barbera dell'Oltrepo pavese, di quella che "buscia", ci sta benissimo, sgrassa la bocca e ti fa digerire.....