Una ricetta turca, dal blog della mia amica Paola, Pâte à choux.
Un blog che vi consiglio caldamente di tenere d'occhio, perchè ci troverete tantissime belle cose.
Da quello che ha scritto Paola, pare che l'Imam sia svenuto dopo aver visto la quantità di olio e aglio che servono per la ricetta. In turco infatti la ricetta si chiama Imam Bayildi, Imam svenuto.
Temo che quell'Imam della leggenda sia svenuto per nulla perchè alla fine l'aglio non è affatto invadente e non disturba minimamente, nonostante la quantità.
Comunque, ho visto la foto di Paola e mi è venuta subito la voglia di farle. Ed era pure destino...avevo giusto comprato delle melanzane tonde, scure, stranamente piccole. Dovevo farle proprio così, ed è stato amore totale al primo morso.
Vi avviso, danno dipendenza. Infatti oggi le ho ricomprate, complice il fatto di averne adocchiate tre o quattro della stessa misura, alla solita Esselunga. Vi riporto la ricetta di Paola pari pari..
Le melanzane Imam Bayildi
1 kg di melanzane piccole
(io ne ho usate 4)
2 cipolle
1 testa intera di aglio
4 pomodori maturi
1 cucchiaio e mezzo di zucchero
sale
1 ciuffo di prezzemolo, tritato
olio e.v.
Pulite le melanzane eliminando il picciolo, lavatele e asciugatele, togliete qualche striscia di buccia.
In un largo tegame che le possa contenere comodamente, scaldate poco meno di un dito d'olio e cominciate a friggervi le melanzane intere, basterà che siano colorite da tutti i lati. Toglietele man mano e appoggiatele su della carta da cucina in modo che perdano l'unto in eccesso.
Affettate le cipolle e aggiungetele nello stesso tegame della frittura, nell'olio caldo, lasciatele stufare per qualche minuto mescolando ogni tanto. Nel frattempo scottate brevemente i pomodori in modo che la buccia venga via facilmente, spelateli e tritateli grossolanamente a coltello. Spelate anche tutti gli spicchi d'aglio della testa, tagliate poi ognuno a metà.
Versate i pomodori nella padella con le cipolle insieme agli spicchi d'aglio e lasciate cuocere per una decina di minuti. A questo punto fate una incisione in ogni melanzana scavando leggermente l'interno, in modo che il sugo arrivi bene dappertutto e rimettetele nel tegame, salate e spolverate con lo zucchero. Non dovrebbe servire ma all'occorrenza aggiungete poca acqua calda. Copritele e abbassate il fuoco, lasciatele cuocere così dolcemente finchè sono morbide e il sugo abbondante ma non lento.
Trasferitele in una pirofila, cospargetele con il prezzemolo lavato e tritato e lasciatele riposare fino al momento di gustarle. Rigorosamente fredde a temperatura ambiente.
Io le ho tagliate a metà prima di rimetterle nel tegame, scavando un poco e facendo spazio nella polpa, ma solo perchè da brava torda non avevo letto bene la ricetta di Paola e dalla foto mi ero fatta l'idea che fossero così, tagliate a metà. In ogni caso sono venute benissimo.
C'era un profumo in casa!
Fatele, non fatevi spaventare dalla quantità di aglio o di olio che servono, non svenite come l'Imam, ma godetevi fino all'ultimo pezzetto.
Grazie a Paola, a cui va il mio pensiero e il mio abbraccio in questi giorni così pesanti, tristi e cupi nella sua città.
mercoledì 29 giugno 2016
lunedì 27 giugno 2016
Insolito di mare
Come contributo alla settimana della cucina di mare che si apre oggi a cura di Fabio Campetti del blog Visioni dalla cucina in Là per il Calendario del cibo Italiano iniziativa della Associazione Italiana Food Blogger voglio riproporre questo mio vecchio post.
Lo faccio perchè è una ricetta che mi ha dato molta soddisfazione, sia nel prepararla che dopo, all'assaggio e so che è quella giusta da condividere in occasione di questa settimana della cucina di mare, così presente ed importante nel nostro Paese.
Sono sicura che Fabio la saprà rappresentare molto bene, e so che arriveranno contributi molto interessanti da parte delle altre amiche blogger, per cui mi metto qui buona buona già pregustando le ricette profumate di mare che verranno...
Il sapore di quella salsa era veramente ottimo ed ha accompagnato perfettamente il pesce.
Qualche informazione sulle Occhiate, trovata in rete
L'Occhiata (Oblada melanura) è un pesce d'acqua salata appartenente alla famiglia degli Sparidi, molto simile al Sarago
dal quale si distingue per l'evidente macchia nera bordata di bianco
all'attaccatura della pinna caudale e per l'occhio di grandi dimensioni,
circa la metà dell'intero muso, al quale deve il suo nome.
La sua forma è ellittica, il corpo allungato e schiacciato lateralmente e la livrea di colore grigio-azzurra con riflessi argentei. Normalmente le dimensioni dell'occhiata nostrana vanno dai 18 ai 25 cm ed il suo peso varia dai 700 grammi al chilo.
Lo faccio perchè è una ricetta che mi ha dato molta soddisfazione, sia nel prepararla che dopo, all'assaggio e so che è quella giusta da condividere in occasione di questa settimana della cucina di mare, così presente ed importante nel nostro Paese.
Sono sicura che Fabio la saprà rappresentare molto bene, e so che arriveranno contributi molto interessanti da parte delle altre amiche blogger, per cui mi metto qui buona buona già pregustando le ricette profumate di mare che verranno...
Insolito di mare e salsa
Chardonnay
per due o tre persone
4 calamari non troppo grossi
4 grossi scampi
2 Occhiate di pezzatura piccola, sfilettate
500 gr cozze
sale, pepe
poco olio
timo
aglio
per il fumetto di pesce:
1 carota
1 costa di sedano
1 cipolla
1 porro
1 foglia di alloro
poco vino bianco
qualche grano di pepe bianco
qualche gambo di prezzemolo
gli scarti delle Occhiate
le teste degli scampi
poco olio e.v.
per la salsa Chardonnay:
per due o tre persone
4 calamari non troppo grossi
4 grossi scampi
2 Occhiate di pezzatura piccola, sfilettate
500 gr cozze
sale, pepe
poco olio
timo
aglio
per il fumetto di pesce:
1 carota
1 costa di sedano
1 cipolla
1 porro
1 foglia di alloro
poco vino bianco
qualche grano di pepe bianco
qualche gambo di prezzemolo
gli scarti delle Occhiate
le teste degli scampi
poco olio e.v.
per la salsa Chardonnay:
2 scalogni
3 funghi champignon non troppo grossi
1 spicchio d'aglio
1 foglia di alloro
1 cucchiaino di pepe bianco in grani
50 ml Vermouth secco
40 ml Chardonnay
250 ml fumetto di pesce
una noce di burro
sale
per completare il piatto:
capperi croccanti di Pantelleria
un rametto di timo
In una piccola ciotola versate un poco di olio, aggiungete le foglioline di un paio di rametti di timo e lasciate in infusione.
Squamate e sfilettate le Occhiate conservando lische e teste.
Se non volete farlo voi, fatevelo fare in pescheria, e fatevi dare le carcasse.
Con pazienza eliminate eventuali spine dai filetti e praticate delle piccole incisioni trasversali dalla parte della pelle tagliando con un coltello affilato, ma senza premere troppo. Va solamente incisa la carne. Tenete da parte.
Lavate e mondate gli scampi, dividendo le code dalle teste.
Preparate il fumetto. Tritate le verdure, rosolatele in poco olio, aggiungete le carcasse delle occhiate, le teste degli scampi ed eventualmente anche i tentacoli dei calamari, l'alloro, i grani di pepe. Fate insaporire, quindi sfumate col vino bianco e dopo qualche minuto, coprite il tutto d'acqua calda e aggiungete i gambi di prezzemolo. Lasciate sobbollire il tutto per una mezzoretta, quarantacinque minuti, rabboccando se il liquido si asciuga troppo. Ne avrete bisogno 250/300 ml per la salsa.
Una volta trascorso il tempo, filtrate tutto e tenete il fumetto da parte.
Pulite i calamari privandoli dell'osso centrale, delle "ali", dei tentacoli, e della pelle.
Lavateli molto bene ache all'interno e tagliateli a grosse rondelle. I tentacoli non serviranno, potrete congelarli e usarli per altre preparazioni, o, come ho fatto io, aggiungerli nel fumetto.
Lavate le cozze, mettetele in un tegame con lo spicchio d'aglio e fatele aprire. Dopodichè sgusciatele, filtrate un paio di volte il loro liquido di cottura, raccoglietele in una ciotola e copritele col loro liquido filtrato. Tenete da parte coperto.
la cottura del pesce sarà l'ultima cosa da fare, per cui preparate prima la salsa:
in una piccola casseruola, rosolate in un poco di burro gli champignon tagliati a lamelle insieme agli
3 funghi champignon non troppo grossi
1 spicchio d'aglio
1 foglia di alloro
1 cucchiaino di pepe bianco in grani
50 ml Vermouth secco
40 ml Chardonnay
250 ml fumetto di pesce
una noce di burro
sale
per completare il piatto:
capperi croccanti di Pantelleria
un rametto di timo
In una piccola ciotola versate un poco di olio, aggiungete le foglioline di un paio di rametti di timo e lasciate in infusione.
Squamate e sfilettate le Occhiate conservando lische e teste.
Se non volete farlo voi, fatevelo fare in pescheria, e fatevi dare le carcasse.
Con pazienza eliminate eventuali spine dai filetti e praticate delle piccole incisioni trasversali dalla parte della pelle tagliando con un coltello affilato, ma senza premere troppo. Va solamente incisa la carne. Tenete da parte.
Lavate e mondate gli scampi, dividendo le code dalle teste.
Preparate il fumetto. Tritate le verdure, rosolatele in poco olio, aggiungete le carcasse delle occhiate, le teste degli scampi ed eventualmente anche i tentacoli dei calamari, l'alloro, i grani di pepe. Fate insaporire, quindi sfumate col vino bianco e dopo qualche minuto, coprite il tutto d'acqua calda e aggiungete i gambi di prezzemolo. Lasciate sobbollire il tutto per una mezzoretta, quarantacinque minuti, rabboccando se il liquido si asciuga troppo. Ne avrete bisogno 250/300 ml per la salsa.
Una volta trascorso il tempo, filtrate tutto e tenete il fumetto da parte.
Pulite i calamari privandoli dell'osso centrale, delle "ali", dei tentacoli, e della pelle.
Lavateli molto bene ache all'interno e tagliateli a grosse rondelle. I tentacoli non serviranno, potrete congelarli e usarli per altre preparazioni, o, come ho fatto io, aggiungerli nel fumetto.
Lavate le cozze, mettetele in un tegame con lo spicchio d'aglio e fatele aprire. Dopodichè sgusciatele, filtrate un paio di volte il loro liquido di cottura, raccoglietele in una ciotola e copritele col loro liquido filtrato. Tenete da parte coperto.
la cottura del pesce sarà l'ultima cosa da fare, per cui preparate prima la salsa:
in una piccola casseruola, rosolate in un poco di burro gli champignon tagliati a lamelle insieme agli
scalogni e all'aglio tritati.
Aggiungete il vermouth, il fumetto di pesce, il vino Chardonnay,
l'alloro e qualche grano di pepe. Lasciate bollire per circa 15
minuti, frullate tutto e filtrate attraverso un colino fine.
Mettetela in un pentolino e tenetela in caldo.
Arroventate una bistecchiera, io ne ho una di ghisa che è perfetta per queste cotture, o una piastra.
Dimenticatevela sul fuoco per un bel po'. Più rovente sarà, meglio cuoceranno i calamari.
Passate un batuffolo di cotone imbevuto d'olio sul fondo di una pentola antiaderente. Scaldatela a fuoco vivace e iniziate a cuocere le Occhiate mettendole con la parte della pelle a contatto della pentola, premete leggermente con un mestolo piatto e lasciate cuocere qualche minuto. Dopodichè giratele e ripetete l'operazione dall'altra parte. Ci vorranno pochi minuti in tutto.
Ho preferito cuocere il pesce in questo modo perchè se l'avessi messo sulla bistecchiera si sarebbe inesorabilmente attaccato rovinando il risultato finale e non volevo che accadesse.
Togliete i filetti di Occhiata dalla pentola quando sono ben dorati e croccanti, e spennellate subito la pelle con quell'olio profumato al timo, solo per lucidarle in pratica.
Ora la piastra sarà rovente. Mettete le rondellone di calamari a cuocere tutte in bell'ordine, lasciatele qualche minuto per parte, rigirandole ogni tanto. Pian piano si cuoceranno e tenderanno a staccarsi dalla bistecchiera, allora radunateli tutti insieme da un lato della stessa, così continueranno a cuocere più lentamente e nel lato libero grigliate anche le code degli scampi.
Rigirate qualche volta anch'essi con una pinza da cucina, finchè sono cotti. Basterà qualche minuto.
Togliete tutto dalla bistecchiera, raccoglieteli in una ciotola e spennellate tutto con il solito olio profumato al timo.
Tenete tutto in caldo.
Riprendete il pentolino della salsa, rimettetelo sul fuoco e quando si alza appena il bollore, spostate dal fuoco e aggiungete una noce di burro molto freddo, mescolate la salsa roteando il pentolino. Il burro fonderà e allo stesso tempo addenserà la salsa grazie alla differenza di temperatura.
Sul piatto versate un velo di salsa, appoggiatevi sopra i filetti di Occhiata, qualche pezzo di calamaro, qualche cozza sgusciata, e una coda di scampo. guarnite con dei capperi croccanti e un rametto di timo.I capperi croccanti sono una vera chicca, dono della mia amica Betti, pantesca d'adozione, di cui le sono molto grata. In mancanza di quelli croccanti, potrete utilizzare quelli sotto sale, ben lavati e dissalati. Per la salsa ho utilizzato lo Chardonnay che avevo in casa, ma si possono usare altri vini bianchi, a patto che siano di buona qualità...del Riesling per esempio o del Sauvignon..
Arroventate una bistecchiera, io ne ho una di ghisa che è perfetta per queste cotture, o una piastra.
Dimenticatevela sul fuoco per un bel po'. Più rovente sarà, meglio cuoceranno i calamari.
Passate un batuffolo di cotone imbevuto d'olio sul fondo di una pentola antiaderente. Scaldatela a fuoco vivace e iniziate a cuocere le Occhiate mettendole con la parte della pelle a contatto della pentola, premete leggermente con un mestolo piatto e lasciate cuocere qualche minuto. Dopodichè giratele e ripetete l'operazione dall'altra parte. Ci vorranno pochi minuti in tutto.
Ho preferito cuocere il pesce in questo modo perchè se l'avessi messo sulla bistecchiera si sarebbe inesorabilmente attaccato rovinando il risultato finale e non volevo che accadesse.
Togliete i filetti di Occhiata dalla pentola quando sono ben dorati e croccanti, e spennellate subito la pelle con quell'olio profumato al timo, solo per lucidarle in pratica.
Ora la piastra sarà rovente. Mettete le rondellone di calamari a cuocere tutte in bell'ordine, lasciatele qualche minuto per parte, rigirandole ogni tanto. Pian piano si cuoceranno e tenderanno a staccarsi dalla bistecchiera, allora radunateli tutti insieme da un lato della stessa, così continueranno a cuocere più lentamente e nel lato libero grigliate anche le code degli scampi.
Rigirate qualche volta anch'essi con una pinza da cucina, finchè sono cotti. Basterà qualche minuto.
Togliete tutto dalla bistecchiera, raccoglieteli in una ciotola e spennellate tutto con il solito olio profumato al timo.
Tenete tutto in caldo.
Riprendete il pentolino della salsa, rimettetelo sul fuoco e quando si alza appena il bollore, spostate dal fuoco e aggiungete una noce di burro molto freddo, mescolate la salsa roteando il pentolino. Il burro fonderà e allo stesso tempo addenserà la salsa grazie alla differenza di temperatura.
Sul piatto versate un velo di salsa, appoggiatevi sopra i filetti di Occhiata, qualche pezzo di calamaro, qualche cozza sgusciata, e una coda di scampo. guarnite con dei capperi croccanti e un rametto di timo.I capperi croccanti sono una vera chicca, dono della mia amica Betti, pantesca d'adozione, di cui le sono molto grata. In mancanza di quelli croccanti, potrete utilizzare quelli sotto sale, ben lavati e dissalati. Per la salsa ho utilizzato lo Chardonnay che avevo in casa, ma si possono usare altri vini bianchi, a patto che siano di buona qualità...del Riesling per esempio o del Sauvignon..
Il sapore di quella salsa era veramente ottimo ed ha accompagnato perfettamente il pesce.
Qualche informazione sulle Occhiate, trovata in rete
La sua forma è ellittica, il corpo allungato e schiacciato lateralmente e la livrea di colore grigio-azzurra con riflessi argentei. Normalmente le dimensioni dell'occhiata nostrana vanno dai 18 ai 25 cm ed il suo peso varia dai 700 grammi al chilo.
mercoledì 22 giugno 2016
Tre, numero perfetto
Qualche giorno fa, la mia amica Raffaella, mentre "parlavamo" via chat, mi dice che un suo amico chef oltre ai pomodori fa anche gli alchechengi confit perchè secondo lui si sposano bene con il pesce.
Questa cosa mi è ronzata in testa per giorni, fino al momento in cui nel fare la spesa alla solita Esselunga ne ho comprato un paio di cestinetti. Ancora non avevo ben chiaro come utilizzarli, poi, arrivata davanti al banco della pescheria osservando tutto quello che era esposto, è arrivata l'idea. A me funziona così...
la maggior parte delle volte le idee mi vengono osservando il pesce sui banchi, e magari ci metto un poco a pensare...faccio questo, no faccio quello, ma no meglio quell'altro... comunque è una cosa che decido al momento. Non faccio programmi, non col pesce, anche perchè magari mi faccio già mentalmente il copione e la sceneggiatura e poi quando arrivo lì davanti, quello che mi serve non c'è.
Allora vado a sentimento, la sceneggiatura me la faccio mentre sono lì al cospetto di tanta bellissima materia prima.
Perchè potrà sembrare strano ma a Milano il pesce è disponibile in grande scelta e con grande qualità, c'è sempre di tutto e per tutte le tasche, esposto in modo da essere anche una festa per gli occhi e a volte c'è talmente tanta scelta che non si riesce a decidere cosa preferire...
Stavolta, per bilanciare il sapore un poco acidulo degli alchechengi, ho scelto la dolcezza degli scampi e delle capesante, il sapore pieno del mare che hanno i calamari, e il verde delle zucchine trombetta per contrastare l'arancio dei piccoli frutti.
Ecco cosa ne è uscito:
Trittico
per 2/3 persone
6 piccoli calamari
6 scampi
6 capesante
1 spicchio d'aglio
1 bicchiere abbondante di Sauvignon
un goccio d'olio e.v.
sale, pepe bianco
per la crema di zucchine:
2 zucchine trombetta
1 spicchio d'aglio
poco olio e.v.
sale, pepe
per gli alchechengi confit:
2 piccoli cestini di alchechengi
1 spicchio d'aglio piccolo
sale q.b.
un cucchiaio raso di zucchero
timo fresco
olio e.v.
per prima cosa preparate gli alchechengi. Liberateli dal loro involucro, lavateli, asciugateli e tagliateli a metà.
Disponeteli su una teglia da forno foderata di carta da cucina, con la parte tagliata verso l'alto. Cospargeteli con le foglioline di timo, con l'aglio tagliato sottile, conditeli con il sale fino e lo zucchero, ed infine fate un giro d'olio e infornateli a 100° fino a quando saranno appassiti. Ci vorrà circa un'ora più o meno.
Toglieteli dal forno e lasciateli raffreddare.
prima:
e dopo:
Affettate le zucchine trombetta dopo averle spuntate, lavate e asciugate. Fatele stufare in padella con uno spicchio d'aglio e un goccio di olio buono, aggiungete poca acqua calda e portate a cottura. Dopodichè passatele al minipimer per avere una crema densa e profumata. Tenetela in caldo.
Mentre le zucchine cuociono, pulite il pesce.
Eliminate i tentacoli dei calamari, conservateli in congelatore per altre preparazioni, pulite le teste, eliminate l'osso centrare e le interiora, le ali esterne e la pelle. Lavateli e lasciateli sgocciolare. Pulite anche le capesante, eliminate il corallo e lavatele bene sotto l'acqua corrente in modo da eliminare eventuali residui di sabbia.
Pulite gli scampi eliminando le teste e il budelletto, lavateli, asciugateli e incideteli sotto il carapace con una forbice da cucina.
Le teste non buttatele, vi serviranno per insaporire un fumetto di pesce, per cui congelatele anch'esse insieme ai tentacoli dei calamari e al corallo delle capesante.
Ora prendete un tegame, meglio se antiaderente, scaldate un goccio d'olio e iniziate a cuocere prima i calamari, interi, ben sgocciolati e asciugati. Lasciate che si colorino leggermente quindi sfumateli con un po' di vino bianco, portateli a cottura tenendoli sotto controllo, se si cuociono troppo diventeranno gommosi.
Toglieteli dalla padella e teneteli in caldo, e nello stesso condimento fate cuocere le capesante, rigiratele spesso in modo che si coloriscano, e sfumate anch'esse con un altro po' di vino bianco e lasciate cuocere qualche minuto poi togliete anche le capesante e passate a cuocere gli scampi mettendoli sempre nella stessa padella, lasciateli insaporire quindi sfumate con il vino rimasto e fateli cuocere qualche minuto.
Tenete tutto in caldo.
La cottura del pesce sembra laboriosa, ma credetemi, ci si mette più tempo a scrivere il procedimento che a farlo!
Mettte la crema di zucchine in una sac à poche munita di bocchetta liscia.
Se siete in due, preprate il piatto disponendo su ognuno tre scampi, tre capesante, tre calamari, bagnateli con un poco del fondo di cottura e riempite gli spazi con la crema di zucchine fatta scendere dalla sac à poche.
Completate con gli alchechengi confit e decorate con qualche ciuffo di timo o maggiorana o con quello che più vi piace.
Ovviamente se calcolate la dose per tre persone, sarà due di tutto.
Un gran bel connubio quello degli alchechengi con crostacei e molluschi, davvero un gran bel connubio.
Grazie a Raffaella che ha condiviso questa bella idea, e grazie al suo amico chef che gliel'ha suggerita!
Li userò di nuovo sicuramente, qualche idea ce l'ho già, dopo averli assaggiati...
Provate!
Questa cosa mi è ronzata in testa per giorni, fino al momento in cui nel fare la spesa alla solita Esselunga ne ho comprato un paio di cestinetti. Ancora non avevo ben chiaro come utilizzarli, poi, arrivata davanti al banco della pescheria osservando tutto quello che era esposto, è arrivata l'idea. A me funziona così...
la maggior parte delle volte le idee mi vengono osservando il pesce sui banchi, e magari ci metto un poco a pensare...faccio questo, no faccio quello, ma no meglio quell'altro... comunque è una cosa che decido al momento. Non faccio programmi, non col pesce, anche perchè magari mi faccio già mentalmente il copione e la sceneggiatura e poi quando arrivo lì davanti, quello che mi serve non c'è.
Allora vado a sentimento, la sceneggiatura me la faccio mentre sono lì al cospetto di tanta bellissima materia prima.
Perchè potrà sembrare strano ma a Milano il pesce è disponibile in grande scelta e con grande qualità, c'è sempre di tutto e per tutte le tasche, esposto in modo da essere anche una festa per gli occhi e a volte c'è talmente tanta scelta che non si riesce a decidere cosa preferire...
Stavolta, per bilanciare il sapore un poco acidulo degli alchechengi, ho scelto la dolcezza degli scampi e delle capesante, il sapore pieno del mare che hanno i calamari, e il verde delle zucchine trombetta per contrastare l'arancio dei piccoli frutti.
Ecco cosa ne è uscito:
Trittico
per 2/3 persone
6 piccoli calamari
6 scampi
6 capesante
1 spicchio d'aglio
1 bicchiere abbondante di Sauvignon
un goccio d'olio e.v.
sale, pepe bianco
per la crema di zucchine:
2 zucchine trombetta
1 spicchio d'aglio
poco olio e.v.
sale, pepe
per gli alchechengi confit:
2 piccoli cestini di alchechengi
1 spicchio d'aglio piccolo
sale q.b.
un cucchiaio raso di zucchero
timo fresco
olio e.v.
per prima cosa preparate gli alchechengi. Liberateli dal loro involucro, lavateli, asciugateli e tagliateli a metà.
Disponeteli su una teglia da forno foderata di carta da cucina, con la parte tagliata verso l'alto. Cospargeteli con le foglioline di timo, con l'aglio tagliato sottile, conditeli con il sale fino e lo zucchero, ed infine fate un giro d'olio e infornateli a 100° fino a quando saranno appassiti. Ci vorrà circa un'ora più o meno.
Toglieteli dal forno e lasciateli raffreddare.
prima:
e dopo:
Affettate le zucchine trombetta dopo averle spuntate, lavate e asciugate. Fatele stufare in padella con uno spicchio d'aglio e un goccio di olio buono, aggiungete poca acqua calda e portate a cottura. Dopodichè passatele al minipimer per avere una crema densa e profumata. Tenetela in caldo.
Mentre le zucchine cuociono, pulite il pesce.
Eliminate i tentacoli dei calamari, conservateli in congelatore per altre preparazioni, pulite le teste, eliminate l'osso centrare e le interiora, le ali esterne e la pelle. Lavateli e lasciateli sgocciolare. Pulite anche le capesante, eliminate il corallo e lavatele bene sotto l'acqua corrente in modo da eliminare eventuali residui di sabbia.
Pulite gli scampi eliminando le teste e il budelletto, lavateli, asciugateli e incideteli sotto il carapace con una forbice da cucina.
Le teste non buttatele, vi serviranno per insaporire un fumetto di pesce, per cui congelatele anch'esse insieme ai tentacoli dei calamari e al corallo delle capesante.
Ora prendete un tegame, meglio se antiaderente, scaldate un goccio d'olio e iniziate a cuocere prima i calamari, interi, ben sgocciolati e asciugati. Lasciate che si colorino leggermente quindi sfumateli con un po' di vino bianco, portateli a cottura tenendoli sotto controllo, se si cuociono troppo diventeranno gommosi.
Toglieteli dalla padella e teneteli in caldo, e nello stesso condimento fate cuocere le capesante, rigiratele spesso in modo che si coloriscano, e sfumate anch'esse con un altro po' di vino bianco e lasciate cuocere qualche minuto poi togliete anche le capesante e passate a cuocere gli scampi mettendoli sempre nella stessa padella, lasciateli insaporire quindi sfumate con il vino rimasto e fateli cuocere qualche minuto.
Tenete tutto in caldo.
La cottura del pesce sembra laboriosa, ma credetemi, ci si mette più tempo a scrivere il procedimento che a farlo!
Mettte la crema di zucchine in una sac à poche munita di bocchetta liscia.
Se siete in due, preprate il piatto disponendo su ognuno tre scampi, tre capesante, tre calamari, bagnateli con un poco del fondo di cottura e riempite gli spazi con la crema di zucchine fatta scendere dalla sac à poche.
Completate con gli alchechengi confit e decorate con qualche ciuffo di timo o maggiorana o con quello che più vi piace.
Ovviamente se calcolate la dose per tre persone, sarà due di tutto.
Un gran bel connubio quello degli alchechengi con crostacei e molluschi, davvero un gran bel connubio.
Grazie a Raffaella che ha condiviso questa bella idea, e grazie al suo amico chef che gliel'ha suggerita!
Li userò di nuovo sicuramente, qualche idea ce l'ho già, dopo averli assaggiati...
Provate!
sabato 18 giugno 2016
Quattro quaglie
Proprio non riesco a farmi piacere le quaglie. Poverine, non mi hanno fatto niente, le compiango anche perchè fanno tutte una brutta fine....ma non mi piace proprio la loro carne.
Le cucino perchè mio marito le ama particolarmente e io magari ne assaggio una coscetta, ma il resto proprio non mi va.
E cosa fa una che non ama le quaglie quando si rende conto che non ce la fa a fare la spesa e in frigorifero ha 4 quaglie che sarebbe bene cuocere al più presto?
Beh, potrebbe farsi due uova strapazzate, una insalatona o roba del genere, una pastasciutta con un sugo lampo, aprire la dispensa e ravanarci dentro...roba da mangiare non manca, non a casa mia.
Però.....però....e si accende la lampadina...
Sformatini di quaglia e crema di patate al latte
4 quaglie
40 g pinoli
1 uovo
1 ciuffo di salvia
qualche rametto di timo
150 g pancetta tesa
2 cucchiai parmigiano grattugiato
1 bicchiere di vino bianco
sale, pepe
noce moscata
olio extra vergine d'oliva
una noce di burro
per la crema di patate:
1 piccola cipolla
2 grosse patate
latte q.b.
sale, pepe
olio extra vergine d'oliva
una noce di burro
eviscerate le quaglie, eliminate i terminali delle ali e le zampe, fiammeggiatele in modo da eliminare residui di piumaggio, lavatele e asciugatele.
In un tegame fondete una noce di burro insieme all'olio, aggiungete 50 g di pancetta tesa a pezzettini e la salvia, fate rosolare bene le quaglie , salate e pepate e sfumate il tutto con il vino bianco. Lasciate evaporare, aggiungete un goccio d'acqua calda, abbassate il fuoco e coprite il tegame, rigirando ogni tanto le quaglie e controllando che il liquido non si assornba del tutto. Portate a cottura a fuoco lento.
Una volta cotte, spegnete il fuoco e lasciatele intiepidire.
Nel frattempo foderate degli stampini domopack usa e getta con le fette di pancetta tesa rimasta,. facendo in modo che debordino un poco, e teneteli da parte.
Quando le quaglie si saranno intiepidite e quindi maneggiabili senza correre il rischio di scottarsi, disossatele completamente, eliminate la pelle e raccogliete la carne su un tagliere. Fate attenzione a che non restino ossicini o cartilagini di nessun genere.
Tritate finemente la carne di quaglia e raccoglietela in una terrina, aggiungete i pinoli, il parmigiano, l'uovo, il sale e il pepe e una grattatina di noce moscata. Profumate con le foglioline di timo e aggiungete anche un paio di cucchiai del loro fondo di cottura filtrato e mescolate bene il tutto, non abbiate premura, fatelo con le mani finchè sentirete che l'impasto è omogeneo.
Prendete gli stampini foderati di pancetta e riempiteli col composto di quaglie, premete bene per compattare tutto e ripiegate la parte debordante sopra il ripieno. Premete nuovamente, ponete gli stampini preparati su una teglia e cuocete in forno già caldo a 180° ventilato per circa 20 o 30 minuti. Son pronti quando la pancetta esterna è dorata e croccante.
Mentre gli sformatini cuociono, preparate la crema di patate.
Sbucciate e lavate le patate, asciugatele. Mondate una cipolla, lavate e asciugate anch'essa.
Affettate sia le patate che la cipolla abbastanza finemente, scaldate olio e burro in una larga padella e fatele stufare mescolandole. Una volta che cominciano ad ammorbidirsi, coprite il tutto a filo con il latte e portate a cottura a fuoco dolce, salate e pepate. Coprite il tegame e fate in modo che il fondo resti un po' lento.
Passate tutto al minipimer per avere una crema densa ma fluida.
Togliete dal forno gli sformatini, lasciateli riposare un momento.
Fate un leggero strato di crema nel piatto, togliete gli sformatini dagli stampi e posateli sulla crema di patate, decorate con un rametto di timo o quello che più vi ispira.
Serviteli caldissimi.
Bene, non posso più dire che non mi piacciono le quaglie...
Le cucino perchè mio marito le ama particolarmente e io magari ne assaggio una coscetta, ma il resto proprio non mi va.
E cosa fa una che non ama le quaglie quando si rende conto che non ce la fa a fare la spesa e in frigorifero ha 4 quaglie che sarebbe bene cuocere al più presto?
Beh, potrebbe farsi due uova strapazzate, una insalatona o roba del genere, una pastasciutta con un sugo lampo, aprire la dispensa e ravanarci dentro...roba da mangiare non manca, non a casa mia.
Però.....però....e si accende la lampadina...
Sformatini di quaglia e crema di patate al latte
4 quaglie
40 g pinoli
1 uovo
1 ciuffo di salvia
qualche rametto di timo
150 g pancetta tesa
2 cucchiai parmigiano grattugiato
1 bicchiere di vino bianco
sale, pepe
noce moscata
olio extra vergine d'oliva
una noce di burro
per la crema di patate:
1 piccola cipolla
2 grosse patate
latte q.b.
sale, pepe
olio extra vergine d'oliva
una noce di burro
eviscerate le quaglie, eliminate i terminali delle ali e le zampe, fiammeggiatele in modo da eliminare residui di piumaggio, lavatele e asciugatele.
In un tegame fondete una noce di burro insieme all'olio, aggiungete 50 g di pancetta tesa a pezzettini e la salvia, fate rosolare bene le quaglie , salate e pepate e sfumate il tutto con il vino bianco. Lasciate evaporare, aggiungete un goccio d'acqua calda, abbassate il fuoco e coprite il tegame, rigirando ogni tanto le quaglie e controllando che il liquido non si assornba del tutto. Portate a cottura a fuoco lento.
Una volta cotte, spegnete il fuoco e lasciatele intiepidire.
Nel frattempo foderate degli stampini domopack usa e getta con le fette di pancetta tesa rimasta,. facendo in modo che debordino un poco, e teneteli da parte.
Quando le quaglie si saranno intiepidite e quindi maneggiabili senza correre il rischio di scottarsi, disossatele completamente, eliminate la pelle e raccogliete la carne su un tagliere. Fate attenzione a che non restino ossicini o cartilagini di nessun genere.
Tritate finemente la carne di quaglia e raccoglietela in una terrina, aggiungete i pinoli, il parmigiano, l'uovo, il sale e il pepe e una grattatina di noce moscata. Profumate con le foglioline di timo e aggiungete anche un paio di cucchiai del loro fondo di cottura filtrato e mescolate bene il tutto, non abbiate premura, fatelo con le mani finchè sentirete che l'impasto è omogeneo.
Prendete gli stampini foderati di pancetta e riempiteli col composto di quaglie, premete bene per compattare tutto e ripiegate la parte debordante sopra il ripieno. Premete nuovamente, ponete gli stampini preparati su una teglia e cuocete in forno già caldo a 180° ventilato per circa 20 o 30 minuti. Son pronti quando la pancetta esterna è dorata e croccante.
Mentre gli sformatini cuociono, preparate la crema di patate.
Sbucciate e lavate le patate, asciugatele. Mondate una cipolla, lavate e asciugate anch'essa.
Affettate sia le patate che la cipolla abbastanza finemente, scaldate olio e burro in una larga padella e fatele stufare mescolandole. Una volta che cominciano ad ammorbidirsi, coprite il tutto a filo con il latte e portate a cottura a fuoco dolce, salate e pepate. Coprite il tegame e fate in modo che il fondo resti un po' lento.
Passate tutto al minipimer per avere una crema densa ma fluida.
Togliete dal forno gli sformatini, lasciateli riposare un momento.
Fate un leggero strato di crema nel piatto, togliete gli sformatini dagli stampi e posateli sulla crema di patate, decorate con un rametto di timo o quello che più vi ispira.
Serviteli caldissimi.
Bene, non posso più dire che non mi piacciono le quaglie...
giovedì 16 giugno 2016
Involtini a modo mio
Eccomi di nuovo qui, a contribuire al Calendario del cibo italiano, l'iniziativa della Associazione Italiana Food Blogger
oggi si parla degli involtini di carne e a farlo è Valentina del blog DiVerdediViola,
So che Valentina sarà una bravissima ambasciatrice e saprà raccontare storia, aneddoti, e molto altro sull'argomento...
io contribuirò con una ricetta e con la memoria..... la memoria con uso di cucina...
Se amo tanto cucinare, lo devo a mia madre.
Nata in un piccolo paese della bassa friulana, la sua infanzia è passata fra mille difficoltà, fame e miseria comprese, dopo che un incendio ha distrutto la casa dove viveva con la sua famiglia tanto che a 11 anni era già a lavorare la terra in un paese vicino, poi, a 18 anni, trasferita a Milano grazie a una parente, trovò lavoro come cameriera/guardarobiera per una famiglia molto agiata di Piazza Napoli.. Lì ha iniziato ad appassionarsi alla cucina, osservando quella che era la cuoca di casa, passione poi consolidata quando emigrò a Sion, nel Canton Vallese, in Svizzera, dove prima di sposarsi lavorò come cameriera in un ristorante.
Non si può dire che sperimentasse, anzi. Il suo repertorio in cucina era affidato alla tradizione, e ci si atteneva scrupolosamente, guai derogare, soprattutto quando arrivavano le feste o le ricorrenze.
Aveva alcuni piatti che preferiva, e che le riuscivano sempre perfettamente tipo il brasato, o il ragù...
ma naturalmente quello era riservato ai giorni di festa..
La pentola pippiava per ore sul fornello a gas della guardiola...
A quel tempo vivevamo in una di quelle case di ringhiera di cui ho raccontato molte volte qui, nel blog, dove mia madre faceva la portiera, e avevamo l'unica camera da letto al piano superiore, sulla ringhiera, proprio in corrispondenza della piccola stanza della portineria.
Negli anni '50 in portineria, per legge, non si poteva avere il telefono, così i miei con un escamotage lo avevano fatto mettere, grazie a un compiacente operaio Stipel (il nome di quella che è stata Sip ed ora è Telecom) nella camera da letto e per poterlo sentire avevano "allargato" leggermente il foro dove passavano alcuni tubi che partendo dalla guardiola attraversavano pavimento e soffitto della nostra camera per perdersi su, su , fino all'ultimo piano di quella casa. Quante corse ho fatto, salendo i gradini delle scale due a due per arrivare a rispondere in tempo!
Da quel pertugio clandestino saliva il profumo del ragù che riempiva la stanza e mi svegliava ogni domenica mattina...
allora non lo apprezzavo, perchè l'odore del sugo alle 8 di mattina quando ti aspetta una tazza di caffelatte non è proprio il massimo...ma ora il ricordo di quelle domeniche mi riempie il cuore di tenerezza e nostalgia.
Il suo cavallo di battaglia però erano gli involtini.
La zona dove abitavamo era abbastanza popolare allora, la zona Fiera, supermercati ancora non esistevano, il primo Esselunga aprì nel 1957, si faceva la spesa nelle botteghe del rione, o al mercato di Piazza Wagner e lei aveva trovato una macelleria dentro il mercato coperto dove preparavano delle scaloppe di vitello ricavandole da tagli meno pregiati.
Le fette non erano sempre perfette, intere e parate, ma stortignaccole e irregolari e a volte avevano qualche nervatura, o un lato un poco più spesso perchè venivano magari tagliate a libro e poi battute col batticarne...le comprava anche per risparmiare dato che costavano molto meno di altri tagli, e non si perdeva d'animo.
A volete le impanava facendone cotolette ma quasi sempre le trasformava in involtini, e ogni volta cercava di cambiare il ripieno....c'erano volte in cui faceva una piccola frittata a cui aggiungeva un pizzico di prezzemolo tritato, e ci farciva la carne, altre volte era solo mortadella e un pezzo di formaggio, altre ancora era una zucchina scottata e divisa a metà insieme a una fetta di pancetta liscia.
Praticamente si può dire che ci sono cresciuta con gli involtini...
li faccio ogni tanto e ogni volta, mentre lavoro, non posso fare a meno di tornare in quella piccola guardiola e la rivedo, giovane e bella, coi suoi capelli nerissimi e mossi che le incorniciano il viso, mentre è china sul ripiano fra il fornello e il lavandino intenta a legare tutto per bene col filo bianco da cucire....
Quelli che vi propongo adesso, sono quelli che preparo prevalentemente, quelli che piacciono di più ai miei..
Involtini di vitello in crema di cipolle
per due/tre persone
4/6 fette di fesa di vitello, non troppo grosse
150 g pancetta
2 salamelle mantovane o in alternativa
200 g di salsiccia
1 ciuffo abbondante di prezzemolo
1 spicchio d'aglio non troppo grosso
4 cipolle bionde
2 belle foglie di alloro
3 o 4 cucchiai di parmigiano reggiano grattugiato
1 bicchiere di vino bianco
olio extravergine di oliva
sale, pepe nero macinato al momento
pepe nero in grani
scegliete delle scaloppe di vitello che siano a fetta intera, paratele eliminando eventuali nervi o pelle esterna.
Mettetele tutte belle allineate su un tagliere. Stendete sulla carne le fette di pancetta e premete leggermente in modo che aderisca bene. Spellate le salamelle, o la salsiccia, e distribuite anche questa sulle fette di carne e appiattitele come avete fatto per la pancetta.
Tritate il prezzemolo insieme allo spicchio d'aglio, e spargetene un po' su ogni fetta di carne che avete farcito.
Completate il ripieno con un poco di parmigiano grattugiato.
Arrotolate ben strette le fette di carne e legatele con dello spago da cucina o con i laccetti di silicone, oppure chiudetene le estremità con degli stuzzicadenti.
Sbucciate le cipolle e affettatele finemente.
In una larga padella antiaderente scaldate un goccio d'olio, fateci rosolare gli involtini da tutte le parti, salate e pepate abbondantemente, aggiungete la cipolla, lasciate insaporire bene, poi unite le foglie di alloro e sfumate con il vino bianco.
Lasciate evaporare il vino quindi coprite la padella con un coperchio, abbassate il fuoco e lasciate cuocere finchè gli involtini sono morbidi e le cipolle tenderanno a disfarsi. Ci vorranno circa 30/40 minuti.
Togliete gli involtini dalla pentola, eliminate l'alloro e passate le cipolle al minipimer.
Eliminate lo spago, o i laccetti o gli stuzzicadenti , dividete in due gli involtini se vi va, tagliandoli in sbieco.
Serviteli ben caldi, insieme alla crema di cipolle e decorate con qualche grano di pepe nero sparso qua e là o con quello che vi suggerisce la fantasia..
E' un piatto semplice, legato a tanti ricordi per me, ma cosa c'è di meglio della semplicità?
oggi si parla degli involtini di carne e a farlo è Valentina del blog DiVerdediViola,
So che Valentina sarà una bravissima ambasciatrice e saprà raccontare storia, aneddoti, e molto altro sull'argomento...
io contribuirò con una ricetta e con la memoria..... la memoria con uso di cucina...
Se amo tanto cucinare, lo devo a mia madre.
Nata in un piccolo paese della bassa friulana, la sua infanzia è passata fra mille difficoltà, fame e miseria comprese, dopo che un incendio ha distrutto la casa dove viveva con la sua famiglia tanto che a 11 anni era già a lavorare la terra in un paese vicino, poi, a 18 anni, trasferita a Milano grazie a una parente, trovò lavoro come cameriera/guardarobiera per una famiglia molto agiata di Piazza Napoli.. Lì ha iniziato ad appassionarsi alla cucina, osservando quella che era la cuoca di casa, passione poi consolidata quando emigrò a Sion, nel Canton Vallese, in Svizzera, dove prima di sposarsi lavorò come cameriera in un ristorante.
Non si può dire che sperimentasse, anzi. Il suo repertorio in cucina era affidato alla tradizione, e ci si atteneva scrupolosamente, guai derogare, soprattutto quando arrivavano le feste o le ricorrenze.
Aveva alcuni piatti che preferiva, e che le riuscivano sempre perfettamente tipo il brasato, o il ragù...
ma naturalmente quello era riservato ai giorni di festa..
La pentola pippiava per ore sul fornello a gas della guardiola...
A quel tempo vivevamo in una di quelle case di ringhiera di cui ho raccontato molte volte qui, nel blog, dove mia madre faceva la portiera, e avevamo l'unica camera da letto al piano superiore, sulla ringhiera, proprio in corrispondenza della piccola stanza della portineria.
Negli anni '50 in portineria, per legge, non si poteva avere il telefono, così i miei con un escamotage lo avevano fatto mettere, grazie a un compiacente operaio Stipel (il nome di quella che è stata Sip ed ora è Telecom) nella camera da letto e per poterlo sentire avevano "allargato" leggermente il foro dove passavano alcuni tubi che partendo dalla guardiola attraversavano pavimento e soffitto della nostra camera per perdersi su, su , fino all'ultimo piano di quella casa. Quante corse ho fatto, salendo i gradini delle scale due a due per arrivare a rispondere in tempo!
Da quel pertugio clandestino saliva il profumo del ragù che riempiva la stanza e mi svegliava ogni domenica mattina...
allora non lo apprezzavo, perchè l'odore del sugo alle 8 di mattina quando ti aspetta una tazza di caffelatte non è proprio il massimo...ma ora il ricordo di quelle domeniche mi riempie il cuore di tenerezza e nostalgia.
Il suo cavallo di battaglia però erano gli involtini.
La zona dove abitavamo era abbastanza popolare allora, la zona Fiera, supermercati ancora non esistevano, il primo Esselunga aprì nel 1957, si faceva la spesa nelle botteghe del rione, o al mercato di Piazza Wagner e lei aveva trovato una macelleria dentro il mercato coperto dove preparavano delle scaloppe di vitello ricavandole da tagli meno pregiati.
Le fette non erano sempre perfette, intere e parate, ma stortignaccole e irregolari e a volte avevano qualche nervatura, o un lato un poco più spesso perchè venivano magari tagliate a libro e poi battute col batticarne...le comprava anche per risparmiare dato che costavano molto meno di altri tagli, e non si perdeva d'animo.
A volete le impanava facendone cotolette ma quasi sempre le trasformava in involtini, e ogni volta cercava di cambiare il ripieno....c'erano volte in cui faceva una piccola frittata a cui aggiungeva un pizzico di prezzemolo tritato, e ci farciva la carne, altre volte era solo mortadella e un pezzo di formaggio, altre ancora era una zucchina scottata e divisa a metà insieme a una fetta di pancetta liscia.
Praticamente si può dire che ci sono cresciuta con gli involtini...
li faccio ogni tanto e ogni volta, mentre lavoro, non posso fare a meno di tornare in quella piccola guardiola e la rivedo, giovane e bella, coi suoi capelli nerissimi e mossi che le incorniciano il viso, mentre è china sul ripiano fra il fornello e il lavandino intenta a legare tutto per bene col filo bianco da cucire....
Quelli che vi propongo adesso, sono quelli che preparo prevalentemente, quelli che piacciono di più ai miei..
Involtini di vitello in crema di cipolle
per due/tre persone
4/6 fette di fesa di vitello, non troppo grosse
150 g pancetta
2 salamelle mantovane o in alternativa
200 g di salsiccia
1 ciuffo abbondante di prezzemolo
1 spicchio d'aglio non troppo grosso
4 cipolle bionde
2 belle foglie di alloro
3 o 4 cucchiai di parmigiano reggiano grattugiato
1 bicchiere di vino bianco
olio extravergine di oliva
sale, pepe nero macinato al momento
pepe nero in grani
scegliete delle scaloppe di vitello che siano a fetta intera, paratele eliminando eventuali nervi o pelle esterna.
Mettetele tutte belle allineate su un tagliere. Stendete sulla carne le fette di pancetta e premete leggermente in modo che aderisca bene. Spellate le salamelle, o la salsiccia, e distribuite anche questa sulle fette di carne e appiattitele come avete fatto per la pancetta.
Tritate il prezzemolo insieme allo spicchio d'aglio, e spargetene un po' su ogni fetta di carne che avete farcito.
Completate il ripieno con un poco di parmigiano grattugiato.
Arrotolate ben strette le fette di carne e legatele con dello spago da cucina o con i laccetti di silicone, oppure chiudetene le estremità con degli stuzzicadenti.
Sbucciate le cipolle e affettatele finemente.
In una larga padella antiaderente scaldate un goccio d'olio, fateci rosolare gli involtini da tutte le parti, salate e pepate abbondantemente, aggiungete la cipolla, lasciate insaporire bene, poi unite le foglie di alloro e sfumate con il vino bianco.
Lasciate evaporare il vino quindi coprite la padella con un coperchio, abbassate il fuoco e lasciate cuocere finchè gli involtini sono morbidi e le cipolle tenderanno a disfarsi. Ci vorranno circa 30/40 minuti.
Togliete gli involtini dalla pentola, eliminate l'alloro e passate le cipolle al minipimer.
Eliminate lo spago, o i laccetti o gli stuzzicadenti , dividete in due gli involtini se vi va, tagliandoli in sbieco.
Serviteli ben caldi, insieme alla crema di cipolle e decorate con qualche grano di pepe nero sparso qua e là o con quello che vi suggerisce la fantasia..
E' un piatto semplice, legato a tanti ricordi per me, ma cosa c'è di meglio della semplicità?
domenica 12 giugno 2016
Crostata di albicocche al marsala e crema di mandorle
Per il Calendario del Cibo, iniziativa della Associazione Italiana Food Blogger
oggi è la giornata nazionale dell'albicocca e Silvia Gregori del blog La Greg ci racconterà ogni notizia, ogni aneddoto che riguarda questo coloratissimo e delizioso frutto.
Io contribuisco con una crostata che qualche anno fa mi ha fatto tribolare un po'. In origine era una ricetta tratta da una monografia sui desserts di Claudio Sadler, probabilmente il libro aveva qualche inesattezza, sia sulle dosi che sulle proporzioni della frolla e avevo sudato le proverbiali sette camicie per ottenere un risultato decente, ma la torta ci era piaciuta assai, e siccome chi la dura la vince, l'ho un pochino ripensata.
Quella che vedete qui è il frutto delle mie sperimentazioni e modifiche.
Preparate la frolla come vostro consueto, impastando tutti gli ingredienti, formando un panetto tondo, appiattitelo già un pochino, in modo che poi sia pronto da tirare e lasciate riposare almeno un'ora in frigorifero, dopodiché stendete la pasta col mattarello.
è una torta veramente sontuosa, ricca di sapori e profumi.
Spero che piaccia anche a voi quanto piace a me...
oggi è la giornata nazionale dell'albicocca e Silvia Gregori del blog La Greg ci racconterà ogni notizia, ogni aneddoto che riguarda questo coloratissimo e delizioso frutto.
Io contribuisco con una crostata che qualche anno fa mi ha fatto tribolare un po'. In origine era una ricetta tratta da una monografia sui desserts di Claudio Sadler, probabilmente il libro aveva qualche inesattezza, sia sulle dosi che sulle proporzioni della frolla e avevo sudato le proverbiali sette camicie per ottenere un risultato decente, ma la torta ci era piaciuta assai, e siccome chi la dura la vince, l'ho un pochino ripensata.
Quella che vedete qui è il frutto delle mie sperimentazioni e modifiche.
E'
un dolce facile ma abbastanza laborioso, serve solamente un poco
più di lavoro, per cui prendetevi tutto il tempo che serve per
farla, con tranquillità.
Crostata
di albicocche al Marsala e crema di mandorle
1
kg scarso albicocche mature ma ancora un po' dure
200
g Marsala
100
g zucchero
per
la crema:
150
g latte di mandorla
200
g latte
100
g panna liquida fresca
4 tuorli d'uovo
4 tuorli d'uovo
40
g farina
120
g zucchero
per
la frolla:
200 g burro
130
g farina
90
g fecola
130
g mandorle tritate finissime
4
tuorli
130
g zucchero
1
cucchiaino di estratto di vaniglia
per
finire il dolce:
poca
marmellata di albicocche
250
g circa panna liquida fresca
mandorle
a lamelle q.b.
1 cucchiai0 zucchero
a velo
La
qualità delle albicocche è fondamentale per la riuscita del dolce.
Devono essere mature, ma non mollicce. Meglio se sono colorite ma
ancora sode, altrimenti si spappoleranno in cottura e
rilasceranno un sacco di liquido.
La
sera prima, preparate le albicocche.
Lavatele,
asciugatele, apritele a metà ed eliminate il nocciolo. Raccoglietele in una
ciotola con lo zucchero e il Marsala mescolatele bene, copritele e
lasciatele macerare in frigo per un'ora o poco più.
Trascorso
il tempo, trasferite il tutto in una casseruola e portate a
ebollizione, cuocete a fuoco vivo per circa 10/12 minuti. Dopodichè
versatele in un colino capiente.
Lasciatele
a scolare nel colino appoggiato dentro a un contenitore, un
pentolino, quello che volete, perchè possano rilasciare tutto il
liquido possibile e in modo da poterlo poi raccogliere. Conservate
in frigorifero per tutta la notte sia le albicocche dentro al colino
che lo sciroppo.
La
mattina dopo, togliete le albicocche dal colino, raccogliete il
liquido scolato durante il riposo notturno, aggiungete anche questo allo
sciroppo tenuto da parte e rimettete tutto il liquido sul fuoco in un
pentolino. Portate a bollore, abbassate il fuoco e fate ridurre fino
a metà o anche un po' sotto la metà. Avrete alla
fine uno sciroppo molto denso. Lasciatelo intiepidire e tenetelo da
parte coperto.
Preparate la frolla come vostro consueto, impastando tutti gli ingredienti, formando un panetto tondo, appiattitelo già un pochino, in modo che poi sia pronto da tirare e lasciate riposare almeno un'ora in frigorifero, dopodiché stendete la pasta col mattarello.
Foderate
con la frolla una tortiera apribile da 24 cm. ritagliate eventuale pasta in eccesso e compattate i bordi.
Con della
carta forno ritagliata a misura coprite l'interno del guscio di
frolla, metteteci i fagioli, o ceci, o, se le avete, quelle palline
di ceramica specifiche per la cottura in bianco. Cuocete la
frolla a 180° ventilato per circa 25/30 minuti, o finché
la pasta ai bordi è bella dorata.
Una
volta cotta toglietela dal forno, fatela riposare qualche istante
poi estraete delicatamente la carta forno coi fagioli e lasciatela
raffreddare completamente.
Mentre
la crostata cuoce preparate la crema.
In
un pentolino scaldate latte, panna e latte di mandorla. Mentre i
liquidi si scaldano, in una ciotola montate i tuorli con lo zucchero,
aggiungete setacciando la farina e mescolate bene. Unite quindi il
composto di latte a filo sempre mescolando e rimettere la crema su
fuoco dolce. Cuocete sempre mescolando fino a che sarà una bella
crema densa e liscia. Togliete dal fuoco, coprite la crema con
della pellicola messa direttamente a contatto con la superficie in
modo che non si formi la pellicina e lasciate intiepidire.
In
un padellino antiaderente mettete a tostare le mandorle a scaglie,
muovendole continuamente per evitare che brucino. Tenete da
parte e lasciatele raffreddare.
A
questo punto tutto è pronto per finire il dolce
Aprite
la tortiera, sformate il guscio di pasta frolla e posatelo
direttamente sul piatto di servizio.
Versate
qualche cucchiaiata di marmellata di albicocche e col dorso dello
stesso cucchiaio stendetela a fare un velo su tutto il fondo della
crostata, impedirà alla pasta di assorbire il liquido delle
albicocche.
A
questo punto procedete con uno strato di crema pasticcera alla
mandorla, adagiate le albicocche sulla crema, pareggiandole e
appiattendole leggermente con la pressione della mano, con la parte
tagliata verso il basso; aggiungete un po’ dello sciroppo
tenuto da parte, in questo modo
quindi
versate a cucchiaiate il resto della crema sulle albicocche
stendendola delicatamente sempre col dorso del cucchiaio, o con
una spatola, in modo che siano completamente coperte e ben
racchiuse fra i due strati di crema
Se
non la servite subito, tenetela in frigorifero così, ovviamente
coperta, fino al momento della decorazione finale.
Per
finire la torta, montate la panna aggiungendo un cucchiaio di
zucchero a velo, e quando è bella soffice e ben montata, versatela
sopra la crema, pareggiando il tutto. Seminate fittamente sulla
superficie della panna le mandorle a lamelle precedentemente tostate
e spolverate di zucchero a velo.
più
che pareggiare io preferisco lasciare la cupoletta di panna montata
perchè mi piace la morbidezza della panna su questa torta, ma se
preferite, rasatela con una spatola a gomito, in modo che la
superficie sia dritta.
L'interno, dopo il taglio, è così:
L'interno, dopo il taglio, è così:
è una torta veramente sontuosa, ricca di sapori e profumi.
Spero che piaccia anche a voi quanto piace a me...
mercoledì 8 giugno 2016
seguendo le stagioni
Gli asparagi a primavera e i carciofi d'inverno sono gli ortaggi che amo di più in assoluto, per cui quando è il loro momento ne approfitto per cucinarli in tantissimi modi. Come ho già avuto modo di dire in altri post, cerco di seguire la stagionalità, mi rifiuto di comprare pomodori, peperoni e melanzane a dicembre, così come cavoli cappucci e broccoli ad agosto.
E poi mi piace aspettare il momento giusto, mi sembra che l'attesa renda tutto più buono, più apprezzabile.
Credo anche che il nostro organismo abbia bisogno di diversificare, che sia anche più sano ascoltare quello che ci dice il nostro corpo. A me capita ogni tanto di provare quasi una forma di rifiuto per certe verdure, e di sentire il bisogno di altre. Mi succede soprattutto con le insalate, arrivo a un certo punto e non riesco più nemmeno ad assaggiare quelle "gentili" ma sento la necessità di quelle amarognole. Capisco che il mio fisico mi sta mandando un qualche segnale e mi ci adeguo.
Quando ero piccola la stagionalità era la norma. E con quanta bramosia aspettavo le prime fragole, le prime ciliegie, le prime pesche, e i primi mandarini a Natale, con tutti i loro semini....
Così, ora approfitto del momento degli asparagi, che sta sul fnire fra l'altro. Qui ci piacciono tutte le qualità, bianchi, verdi, violetti, io se devo scegliere, scelgo quelli bianchi di Bassano ma devo dire che ho una vera predilezione per quelli rosa di Mezzago di cui ho parlato in questo post.
Quelli del piatto che pubblico oggi, sono sia bianchi, che verdi.
Curry di pescatrice e asparagi
per due o tre persone
1 piccola pescatrice intera di circa 600/700 gr
1 mazzetto di asparagi verdi ( circa 500 g)
8 o 10 asparagi bianchi di Bassano
2 o tre cipollotti freschi
2 o 3 cucchiaini abbondanti di curry
poca farina di riso
olio extravergine di oliva
una noce di burro
sale, pepe
per il court bouillon:
1 carota
1 costa di sedano
1 piccola cipolla bionda
un paio di gambi di prezzemolo
1 foglia di alloro
un cucchiaino di pepe nero in grani
1 bicchiere di vino bianco.
sale
spellate la pescatrice, o fatevela sistemare in pescheria.
Lavatela, asciugatela, eliminate eventuali presenze di pelle più scura e con un coltello affilato, a lama sottile, dividetela in due longitudinalmente, eliminando la grossa spina centrale.
Ora dividete in bocconcini regolari i due pezzi ricavati. Tenete da parte.
Preparate il court bouillon mettendo a bollire un poco d'acqua in una casseruola insieme alle verdure, il pepe, il sale. Lasciate sobbollire una decina di minuti, poi filtrate e rimettete sul fuoco, aggiungete il vino bianco e tuffateci i bocconcini di pescatrice tenuti da parte. Scottateli solamente, non devono cuocere, lasciateli nell'acqua bollente un paio di minuti, non di più, quindi scolateli e lasciateli raffreddare completamente.
Mentre la pescatrice cuoce e poi si raffredda, preparate gli asparagi verdi .
Puliti, lavati e scolati tagliateli a pezzettoni, tenendo le punte ben intere e un po' più lunghe.
Mondate i cipollotti, lavateli e asciugateli, riduceteli a rondelle.
In una larga padella scaldate un goccio d'olio insieme a una noce di burro, aggiungete i cipollotti affettati e lasciateli insaporire e stufare leggermente, quindi aggiungete gli asparagi preparati. Mescolate, salate, copriteli con un goccio di acqua calda e cuoceteli coperti, aggiungendo poca acqua calda per volta se si dovessero asciugare troppo. Aggiungete un cucchiaino abbondante di curry in cottura.
Teneteli sotto controllo mentre cuociono e togliete qualche punta di asparagi verdi ancora un po' croccante, servirà per decorare il piatto.
Preparate anche gli asparagi bianchi, spezzateli e con la mandolina raschiate il gambo, lessateli in acqua bollente salata, scolando anch'essi un po' croccanti. Serviranno come ulteriore accompagnamento al piatto.
Una volta cotti del tutto gli asparagi verdi, tolte le punte per la decorazione, passate tutto al minipimer fino ad avere una crema densa e fluida. Tenete in cadlo.
Ora riprendete i bocconcini di pescatrice che avete sbollentato in precedenza.
In un piatto mescolate la farina di riso con due cucchiaini abbondanti di curry e passateci i bocconcini, infarinateli con il composto in modo che siano ben coperti.
In un piccolo pentolino scaldate l'olio, quando è in temperatura friggete i bocconcini in olio profondo, un paio per volta, in modo che stiano coperti d'olio e cuociano uniformemente. Fateli dorare bene e scolateli man mano su carta da cucina in modo che perdano l'olio in eccesso.
Riprendete la crema di asparagi, scaldatela un poco se si fosse troppo intiepidita, disponetene un po' sul piatto di servizio e appoggiateci sopra i bocconcini di pescatrice belli caldi, aggiungete le punte di asparagi verdi e qualche asparago bianco, e decorate a piacere.
Più lungo da raccontare che da fare..
A noi è piaciuta molto, ma il curry qui è particolarmente gradito...
E poi mi piace aspettare il momento giusto, mi sembra che l'attesa renda tutto più buono, più apprezzabile.
Credo anche che il nostro organismo abbia bisogno di diversificare, che sia anche più sano ascoltare quello che ci dice il nostro corpo. A me capita ogni tanto di provare quasi una forma di rifiuto per certe verdure, e di sentire il bisogno di altre. Mi succede soprattutto con le insalate, arrivo a un certo punto e non riesco più nemmeno ad assaggiare quelle "gentili" ma sento la necessità di quelle amarognole. Capisco che il mio fisico mi sta mandando un qualche segnale e mi ci adeguo.
Quando ero piccola la stagionalità era la norma. E con quanta bramosia aspettavo le prime fragole, le prime ciliegie, le prime pesche, e i primi mandarini a Natale, con tutti i loro semini....
Così, ora approfitto del momento degli asparagi, che sta sul fnire fra l'altro. Qui ci piacciono tutte le qualità, bianchi, verdi, violetti, io se devo scegliere, scelgo quelli bianchi di Bassano ma devo dire che ho una vera predilezione per quelli rosa di Mezzago di cui ho parlato in questo post.
Quelli del piatto che pubblico oggi, sono sia bianchi, che verdi.
per due o tre persone
1 piccola pescatrice intera di circa 600/700 gr
1 mazzetto di asparagi verdi ( circa 500 g)
8 o 10 asparagi bianchi di Bassano
2 o tre cipollotti freschi
2 o 3 cucchiaini abbondanti di curry
poca farina di riso
olio extravergine di oliva
una noce di burro
sale, pepe
per il court bouillon:
1 carota
1 costa di sedano
1 piccola cipolla bionda
un paio di gambi di prezzemolo
1 foglia di alloro
un cucchiaino di pepe nero in grani
1 bicchiere di vino bianco.
sale
spellate la pescatrice, o fatevela sistemare in pescheria.
Lavatela, asciugatela, eliminate eventuali presenze di pelle più scura e con un coltello affilato, a lama sottile, dividetela in due longitudinalmente, eliminando la grossa spina centrale.
Ora dividete in bocconcini regolari i due pezzi ricavati. Tenete da parte.
Preparate il court bouillon mettendo a bollire un poco d'acqua in una casseruola insieme alle verdure, il pepe, il sale. Lasciate sobbollire una decina di minuti, poi filtrate e rimettete sul fuoco, aggiungete il vino bianco e tuffateci i bocconcini di pescatrice tenuti da parte. Scottateli solamente, non devono cuocere, lasciateli nell'acqua bollente un paio di minuti, non di più, quindi scolateli e lasciateli raffreddare completamente.
Mentre la pescatrice cuoce e poi si raffredda, preparate gli asparagi verdi .
Puliti, lavati e scolati tagliateli a pezzettoni, tenendo le punte ben intere e un po' più lunghe.
Mondate i cipollotti, lavateli e asciugateli, riduceteli a rondelle.
In una larga padella scaldate un goccio d'olio insieme a una noce di burro, aggiungete i cipollotti affettati e lasciateli insaporire e stufare leggermente, quindi aggiungete gli asparagi preparati. Mescolate, salate, copriteli con un goccio di acqua calda e cuoceteli coperti, aggiungendo poca acqua calda per volta se si dovessero asciugare troppo. Aggiungete un cucchiaino abbondante di curry in cottura.
Teneteli sotto controllo mentre cuociono e togliete qualche punta di asparagi verdi ancora un po' croccante, servirà per decorare il piatto.
Preparate anche gli asparagi bianchi, spezzateli e con la mandolina raschiate il gambo, lessateli in acqua bollente salata, scolando anch'essi un po' croccanti. Serviranno come ulteriore accompagnamento al piatto.
Una volta cotti del tutto gli asparagi verdi, tolte le punte per la decorazione, passate tutto al minipimer fino ad avere una crema densa e fluida. Tenete in cadlo.
Ora riprendete i bocconcini di pescatrice che avete sbollentato in precedenza.
In un piatto mescolate la farina di riso con due cucchiaini abbondanti di curry e passateci i bocconcini, infarinateli con il composto in modo che siano ben coperti.
In un piccolo pentolino scaldate l'olio, quando è in temperatura friggete i bocconcini in olio profondo, un paio per volta, in modo che stiano coperti d'olio e cuociano uniformemente. Fateli dorare bene e scolateli man mano su carta da cucina in modo che perdano l'olio in eccesso.
Riprendete la crema di asparagi, scaldatela un poco se si fosse troppo intiepidita, disponetene un po' sul piatto di servizio e appoggiateci sopra i bocconcini di pescatrice belli caldi, aggiungete le punte di asparagi verdi e qualche asparago bianco, e decorate a piacere.
Più lungo da raccontare che da fare..
A noi è piaciuta molto, ma il curry qui è particolarmente gradito...
lunedì 6 giugno 2016
Ciliegie sotto aceto
Tempo di ciliegie, e c'è
solo l'imbarazzo della scelta fra i Duroni di Vignola, o
le Ferrovia e sul finire della stagione, le Altoatesine...
Alice aprirà la settimana dei frutti dell'estate per il Calendario del cibo
iniziativa della Associazione Italiana Food Blogger e in questa occasione ecco il mio piccolo contributo.
Tempo di ciliegie dicevo e magari qualcuno ha la fortuna di averne un albero nel giardino, come me un tempo.
C'era un grosso ciliegio nel cortile di quella vecchia casa di ringhiera di una Milano che non c'è quasi più. Il cortile dove sono praticamente cresciuta e dove passavo interminabili pomeriggi solitari.
Era una pianta di "graffioni", quelle ciliegie chiare, rosse e gialle, dolcissime e sode, una particolare qualità piemontese che ora è difficile trovare sui banchi se non nelle zone di produzione.
Allora non lo sapevo, ma la Ciliegia di Pecetto prende il nome appunto da Pecetto Torinese, la zona collinare vocata alla coltivazione, ed ha una storia antica.
Comunque, il mio albero stava su una specie di altana di terreno sul lato sinistro del cortile, e i suoi lunghi rami andavano a finire sul tetto dell'autorimessa che confinava con il muro di cinta. Una pianta che quando era fiorita era una meraviglia, riempiva di luce, allegria e bellezza quel cortile grigio e anonimo.
Ne produceva sempre moltissime per la mia felicità e quella di mio padre, che ne era ghiottissimo.
I rami bassi, quelli che potevo raggiungere, erano i miei. Allungavo la mano e mangiavo, mangiavo. Mia madre mi sgridava a volte, per paura delle indigestioni, ma come si fa a resistere alle ciliegie, soprattutto quando sono così dolci, profumate e succose come quelle?
Il resto della raccolta, nonostante i merli, la faceva mio padre, arrampicandosi sull'albero. Saliva con un grosso cesto, e raccoglieva.
Una quantità di ciliegie sempre abbondante, tanto che bastava quasi per tutte le famiglie che abitavano lì, anche dopo averne consegnate parecchi chili al dottor Colombo, il proprietario di tutto il caseggiato, il despota che imponeva sempre i suoi svariati diktat.
Uno di questi, quello che più odiavo, era che ai bambini della casa e agli inquilini in genere non era permesso l'uso del cortile, quindi nemmeno avere i frutti di quello che vi cresceva. La deroga valeva solo per me e la mia famiglia, ma solo per il fatto che mia madre era la portiera. Ma mio padre, spirito libero e contestatore di natura, non ci si atteneva mai agli ordini del dottor Colombo.
Quella pianta era particolarmente generosa e ogni anno in questo periodo erano molti i chili da raccogliere ogni giorno.
Li mettevamo a disposizione di tutti perché altrimenti tutto quel ben di Dio sarebbe andato sprecato. Va bene fare marmellate, va bene fare anche scorpacciate di ciliegie, ma mica potevamo farcela i merli e noi, da soli, in quattro..
Così, ogni giorno, dopo la raccolta mattutina e dopo averne preso la nostra parte, il cesto era in bella vista su un davanzale all'inizio delle scale per cui chi ne voleva, ne prendeva... naturalmente sparivano a gran velocità...
Le ultime, quelle più dolci, mia madre le metteva sotto aceto secondo una ricetta della signora Baudini, l'inquilina del primo piano, originaria dell'Alto Adige. E d'inverno, quando ricomparivano sulla tavola, era come ritrovare il profumo della primavera...
Credo che sarebbe contenta la signora Baudini se potesse vedere i miei vasetti ben allineati sullo scaffale in cantina e sono anche sicura che approverebbe le piccole modifiche che ho fatto. Ho sostituito lo zucchero semolato che usava lei, con lo zucchero di canna, e 100 ml di aceto con del buon vino rosso per fare in modo che le ciliegie non diventino troppo aspre. In fondo sono passati solo 60 anni, qualche cambiamento ci voleva...
Ciliegie sott'aceto
Pulite le ciliegie eliminando i piccioli, controllate che siano perfettamente sane, senza ammaccature o macchie scure, lavatele e asciugatele su di uno strofinaccio pulito e mettetele in un capiente vaso a chiusura ermetica o in un Bormioli. Aggiungete lo zucchero, mescolatele e lasciatele riposare una notte.
Per saperne di più:
La ciliegia di Pecetto: La coltivazione del ciliegio è stata introdotta nella Collina Torinese presumibilmente dagli antichi Romani nella loro colonia di Carreum Potentia.
Secondo storici locali, i Savoia regnanti a Torino e gli eremiti Camaldolesi dell'Eremo nei secoli XVII e XVIII contribuirono a diffonderlo nella zona di Pecetto; i primi come pastura e richiamo per gli uccelli per le loro cacce, mentre i secondi usavano le ciliegie per fare confetture, liquori (ratafià) e decotti con le foglie.
Nel secolo XIX la coltivazione del ciliegio era una produzione secondaria, ma importante per l'economia famigliare agricola nei comuni collinari prossimi alla città di Torino.
Le ciliegie avevano posto assieme a uova, animali di bassa corte, ortaggi e altra frutta nelle ceste, cavagne, che le massaie portavano in spalla al "mercato" di Torino oppure erano vendute ai negozianti che si ritrovavano al pomeriggio nella via Maestra di Pecetto all'ombra del bastione e della Chiesa dei Battù.
I ciliegi erano coltivati come tutori alle testate dei filari di vite e nei piccoli prati esistenti lungo i rii, in un paesaggio altrimenti tutto coperto da vigne.
Le piante secolari esistenti nella prima metà del '900 documentano le varietà allora coltivate:
tra le cirese (ciliegie tenerine o semplicemente ciliegie) la Viton-a, la Nejran-a (oggi ridotta a pochi soggetti), la Molan-a;
tra i grafion (duroni): il Grafion neir (oggi scomparso), il Grafion bianc
e poi la Griota.
la loro storia continua qui:
la ciliegia di Pecetto
Alice aprirà la settimana dei frutti dell'estate per il Calendario del cibo
iniziativa della Associazione Italiana Food Blogger e in questa occasione ecco il mio piccolo contributo.
Tempo di ciliegie dicevo e magari qualcuno ha la fortuna di averne un albero nel giardino, come me un tempo.
C'era un grosso ciliegio nel cortile di quella vecchia casa di ringhiera di una Milano che non c'è quasi più. Il cortile dove sono praticamente cresciuta e dove passavo interminabili pomeriggi solitari.
Era una pianta di "graffioni", quelle ciliegie chiare, rosse e gialle, dolcissime e sode, una particolare qualità piemontese che ora è difficile trovare sui banchi se non nelle zone di produzione.
Allora non lo sapevo, ma la Ciliegia di Pecetto prende il nome appunto da Pecetto Torinese, la zona collinare vocata alla coltivazione, ed ha una storia antica.
Comunque, il mio albero stava su una specie di altana di terreno sul lato sinistro del cortile, e i suoi lunghi rami andavano a finire sul tetto dell'autorimessa che confinava con il muro di cinta. Una pianta che quando era fiorita era una meraviglia, riempiva di luce, allegria e bellezza quel cortile grigio e anonimo.
Ne produceva sempre moltissime per la mia felicità e quella di mio padre, che ne era ghiottissimo.
I rami bassi, quelli che potevo raggiungere, erano i miei. Allungavo la mano e mangiavo, mangiavo. Mia madre mi sgridava a volte, per paura delle indigestioni, ma come si fa a resistere alle ciliegie, soprattutto quando sono così dolci, profumate e succose come quelle?
Il resto della raccolta, nonostante i merli, la faceva mio padre, arrampicandosi sull'albero. Saliva con un grosso cesto, e raccoglieva.
Una quantità di ciliegie sempre abbondante, tanto che bastava quasi per tutte le famiglie che abitavano lì, anche dopo averne consegnate parecchi chili al dottor Colombo, il proprietario di tutto il caseggiato, il despota che imponeva sempre i suoi svariati diktat.
Uno di questi, quello che più odiavo, era che ai bambini della casa e agli inquilini in genere non era permesso l'uso del cortile, quindi nemmeno avere i frutti di quello che vi cresceva. La deroga valeva solo per me e la mia famiglia, ma solo per il fatto che mia madre era la portiera. Ma mio padre, spirito libero e contestatore di natura, non ci si atteneva mai agli ordini del dottor Colombo.
Quella pianta era particolarmente generosa e ogni anno in questo periodo erano molti i chili da raccogliere ogni giorno.
Li mettevamo a disposizione di tutti perché altrimenti tutto quel ben di Dio sarebbe andato sprecato. Va bene fare marmellate, va bene fare anche scorpacciate di ciliegie, ma mica potevamo farcela i merli e noi, da soli, in quattro..
Così, ogni giorno, dopo la raccolta mattutina e dopo averne preso la nostra parte, il cesto era in bella vista su un davanzale all'inizio delle scale per cui chi ne voleva, ne prendeva... naturalmente sparivano a gran velocità...
Le ultime, quelle più dolci, mia madre le metteva sotto aceto secondo una ricetta della signora Baudini, l'inquilina del primo piano, originaria dell'Alto Adige. E d'inverno, quando ricomparivano sulla tavola, era come ritrovare il profumo della primavera...
Credo che sarebbe contenta la signora Baudini se potesse vedere i miei vasetti ben allineati sullo scaffale in cantina e sono anche sicura che approverebbe le piccole modifiche che ho fatto. Ho sostituito lo zucchero semolato che usava lei, con lo zucchero di canna, e 100 ml di aceto con del buon vino rosso per fare in modo che le ciliegie non diventino troppo aspre. In fondo sono passati solo 60 anni, qualche cambiamento ci voleva...
Ciliegie sott'aceto
500
g ciliegie ben sode e sane
400 ml di aceto di miele
400 ml di aceto di miele
100
ml vino rosso corposo
100 g di zucchero di canna scuro
2 chiodi di garofano
1/4 di una stecca di cannella
100 g di zucchero di canna scuro
2 chiodi di garofano
1/4 di una stecca di cannella
1
cucchiaino di pepe nero in grani
un
paio di piccoli rametti di timo
una grattatina di noce moscata
una grattatina di noce moscata
Uso
l'aceto di miele, trovo che la sua leggera nota dolce finale sia
perfetta per questa preparazione, ma si può tranquillamente usare
anche del buon aceto di mele, o un aceto non troppo aggressivo.
Pulite le ciliegie eliminando i piccioli, controllate che siano perfettamente sane, senza ammaccature o macchie scure, lavatele e asciugatele su di uno strofinaccio pulito e mettetele in un capiente vaso a chiusura ermetica o in un Bormioli. Aggiungete lo zucchero, mescolatele e lasciatele riposare una notte.
Non
vanno denocciolate, o almeno, io non lo faccio.... il nocciolo conferisce ancora più sapore. Non è
comodo, é vero, ma ne guadagna il gusto.
Versate l'aceto in una casseruola a fondo spesso, aggiungete i chiodi di garofano, la cannella e la noce moscata, il pepe e il timo e fate sobbollire 2 o 3 minuti . Togliete la casseruola dal fuoco e versate così com'è, caldo, sulle ciliegie. Unite anche il vino rosso. Chiudete ermeticamente il vaso e lasciatelo raffreddare completamente .
Versate l'aceto in una casseruola a fondo spesso, aggiungete i chiodi di garofano, la cannella e la noce moscata, il pepe e il timo e fate sobbollire 2 o 3 minuti . Togliete la casseruola dal fuoco e versate così com'è, caldo, sulle ciliegie. Unite anche il vino rosso. Chiudete ermeticamente il vaso e lasciatelo raffreddare completamente .
Non
filtro l'aceto prima di versarlo perchè le spezie, nel tempo, cedono
ancor più i loro profumi. Però voi fate come preferite.
Conservatele
al riparo dalla luce e in un luogo asciutto per almeno 2 mesi
prima di assaggiarle, e resistete alla tentazione...
alla
fine saranno ottime,
croccanti e acidule, perfette
per accompagnare un piatto di salumi, ma il meglio lo daranno
insieme al bollito.
A
me piacciono anche con le terrine di carne o con i paté.
Il
liquido alla fine, non buttatelo, servirà per delle insalate un po'
diverse, o per sfumare preparazioni a base di anatra, selvaggina,
maiale e anche per piatti in agrodolce...
Provateci!
Per saperne di più:
La ciliegia di Pecetto: La coltivazione del ciliegio è stata introdotta nella Collina Torinese presumibilmente dagli antichi Romani nella loro colonia di Carreum Potentia.
Secondo storici locali, i Savoia regnanti a Torino e gli eremiti Camaldolesi dell'Eremo nei secoli XVII e XVIII contribuirono a diffonderlo nella zona di Pecetto; i primi come pastura e richiamo per gli uccelli per le loro cacce, mentre i secondi usavano le ciliegie per fare confetture, liquori (ratafià) e decotti con le foglie.
Nel secolo XIX la coltivazione del ciliegio era una produzione secondaria, ma importante per l'economia famigliare agricola nei comuni collinari prossimi alla città di Torino.
Le ciliegie avevano posto assieme a uova, animali di bassa corte, ortaggi e altra frutta nelle ceste, cavagne, che le massaie portavano in spalla al "mercato" di Torino oppure erano vendute ai negozianti che si ritrovavano al pomeriggio nella via Maestra di Pecetto all'ombra del bastione e della Chiesa dei Battù.
I ciliegi erano coltivati come tutori alle testate dei filari di vite e nei piccoli prati esistenti lungo i rii, in un paesaggio altrimenti tutto coperto da vigne.
Le piante secolari esistenti nella prima metà del '900 documentano le varietà allora coltivate:
tra le cirese (ciliegie tenerine o semplicemente ciliegie) la Viton-a, la Nejran-a (oggi ridotta a pochi soggetti), la Molan-a;
tra i grafion (duroni): il Grafion neir (oggi scomparso), il Grafion bianc
e poi la Griota.
la loro storia continua qui:
la ciliegia di Pecetto
venerdì 3 giugno 2016
Terrine, la mia passione
questa è l'ultima che ho fatto in ordine di tempo. A fine maggio c'è stato il coquicompleanno ed è stata una delle cose che ho preparato per quella occasione.
L'ho detto e ribadito tantissime volte, adoro le terrine! Questa è stata particolarmente apprezzata ed è perfetta anche fredda, quindi si presta per moltissime situazioni quali buffet, scampagnate, pic nic ecc. ed è pure senza glutine. Vamolà.
Terrina di maiale ai pistacchi e marmellata di cipolle di Tropea
200 gr abbondanti di pancetta tesa a fette
600 gr polpa di maiale tritata
200 gr pancetta affumicata
1 uovo
1 rametto di rosmarino
1 cucchiaio di prezzemolo
1 cucchiaio abbondante di pistacchi
1/2 spicchio d'aglio
2 o 3 cucchiai di panna liquida
sale, pepe
Imburrate una terrina da 1,5 l. (va bene anche uno stampo da plumcake), e foderatelo con le fette di pancetta tesa in modo da coprire perfettamente il fondo e i lati, lasciando debordare un poco le fette.
In una ciotola mettete la carne di maiale tritata e lavoratela con le mani per ammorbidirla, aggiungete l'uovo, la pancetta affumicata a dadin. Continuate a mescolare con le mani, impastando come se fosse pane. Tritate finemente sia il rosmarino che il prezzemolo. Date una tritata grossolana anche ai pistacchi. Tritate finemente anche l'aglio.
Unite tutti questi ingredienti alla carne , regolate di sale e di pepe e mescolate, sempre con le mani, a lungo finché avrete un impasto morbido e ben amalgamato.
Mettete l'impasto dentro la terrina foderata, premete bene per far assestare il tutto e ricoprite con le fette di pancetta debordanti. Coprite la terrina con un doppio foglio di alluminio a misura dove avrete fatto dei piccoli fori. Siguillate con il coperchio della terrina stessa e mettete in forno già caldo a 180°per circa un'ora e mezza.
Una volta cotta, lasciatela riposare una mezz'ora a forno spento, dopodiché toglietela, eliminate l'alluminio e con attenzione scolate il liquido di risulta che si sarà formato.
Coprite la carne con un poco di alluminio e metteteci sopra un peso, in modo che si compatti. Lasciatela raffreddare così, con sopra il peso, poi eliminate l'alluminio, sigillate tutto con la pellicola e tenetela in frigorifero per almeno 6 o 8 ore.
Io l'ho accompagnata con la mia marmellata di cipolle rosse, fatta a settembre dell'anno scorso.
Marmellata di cipolle rosse:
1 kg di cipolle rosse Tropea
600 gr di zucchero 1 bicchiere di aceto rosso
un po' di sale e qualche granello di pepe e ginepro
un paio di foglie piccole di alloro
Affettare le cipolle in modo uniforme utilizzando una mandolina, unire tutti gli ingredienti in una pentola, fare macerare le cipolle per 3 o 4 ore. Cuocere per 20/25 minuti, mezzora al massimo lasciando un po’ liquida la marmellata. Se si cuoce di più rischia di caramellarsi e cristallizzarsi e dopo sarà difficile poterla consumare. Con la sterilizzazione e col tempo, la marmellata si addenserà un po’ di più, ma con i formaggi va bene anche morbida. Una volta cotta, invasare a caldo, chiudere bene i barattoli e sterilizzarli, coperti d’acqua, facendoli bollire per 20 minuti almeno. Non servirebbe per via della presenza dell'aceto, ma io preferisco sterilizzare comunque.
Veramente eccellente ed ottima per accompagnare i formaggi stagionati: Pecorino stagionato, Pecorino di Fossa, Castelmagno Caprino, ma straordinaria con il Gorgonzola piccante o con il Roquefort.
Accompagna bene la cacciagione, l'arista di maiale e le terrinedi carne.
Ringrazio di cuore Nicola, per noi di coquinaria l'Ing, per la bellissima foto.
L'ho detto e ribadito tantissime volte, adoro le terrine! Questa è stata particolarmente apprezzata ed è perfetta anche fredda, quindi si presta per moltissime situazioni quali buffet, scampagnate, pic nic ecc. ed è pure senza glutine. Vamolà.
Terrina di maiale ai pistacchi e marmellata di cipolle di Tropea
200 gr abbondanti di pancetta tesa a fette
600 gr polpa di maiale tritata
200 gr pancetta affumicata
1 uovo
1 rametto di rosmarino
1 cucchiaio di prezzemolo
1 cucchiaio abbondante di pistacchi
1/2 spicchio d'aglio
2 o 3 cucchiai di panna liquida
sale, pepe
Imburrate una terrina da 1,5 l. (va bene anche uno stampo da plumcake), e foderatelo con le fette di pancetta tesa in modo da coprire perfettamente il fondo e i lati, lasciando debordare un poco le fette.
In una ciotola mettete la carne di maiale tritata e lavoratela con le mani per ammorbidirla, aggiungete l'uovo, la pancetta affumicata a dadin. Continuate a mescolare con le mani, impastando come se fosse pane. Tritate finemente sia il rosmarino che il prezzemolo. Date una tritata grossolana anche ai pistacchi. Tritate finemente anche l'aglio.
Unite tutti questi ingredienti alla carne , regolate di sale e di pepe e mescolate, sempre con le mani, a lungo finché avrete un impasto morbido e ben amalgamato.
Mettete l'impasto dentro la terrina foderata, premete bene per far assestare il tutto e ricoprite con le fette di pancetta debordanti. Coprite la terrina con un doppio foglio di alluminio a misura dove avrete fatto dei piccoli fori. Siguillate con il coperchio della terrina stessa e mettete in forno già caldo a 180°per circa un'ora e mezza.
Una volta cotta, lasciatela riposare una mezz'ora a forno spento, dopodiché toglietela, eliminate l'alluminio e con attenzione scolate il liquido di risulta che si sarà formato.
Coprite la carne con un poco di alluminio e metteteci sopra un peso, in modo che si compatti. Lasciatela raffreddare così, con sopra il peso, poi eliminate l'alluminio, sigillate tutto con la pellicola e tenetela in frigorifero per almeno 6 o 8 ore.
Io l'ho accompagnata con la mia marmellata di cipolle rosse, fatta a settembre dell'anno scorso.
Marmellata di cipolle rosse:
1 kg di cipolle rosse Tropea
600 gr di zucchero 1 bicchiere di aceto rosso
un po' di sale e qualche granello di pepe e ginepro
un paio di foglie piccole di alloro
Affettare le cipolle in modo uniforme utilizzando una mandolina, unire tutti gli ingredienti in una pentola, fare macerare le cipolle per 3 o 4 ore. Cuocere per 20/25 minuti, mezzora al massimo lasciando un po’ liquida la marmellata. Se si cuoce di più rischia di caramellarsi e cristallizzarsi e dopo sarà difficile poterla consumare. Con la sterilizzazione e col tempo, la marmellata si addenserà un po’ di più, ma con i formaggi va bene anche morbida. Una volta cotta, invasare a caldo, chiudere bene i barattoli e sterilizzarli, coperti d’acqua, facendoli bollire per 20 minuti almeno. Non servirebbe per via della presenza dell'aceto, ma io preferisco sterilizzare comunque.
Veramente eccellente ed ottima per accompagnare i formaggi stagionati: Pecorino stagionato, Pecorino di Fossa, Castelmagno Caprino, ma straordinaria con il Gorgonzola piccante o con il Roquefort.
Accompagna bene la cacciagione, l'arista di maiale e le terrinedi carne.
Ringrazio di cuore Nicola, per noi di coquinaria l'Ing, per la bellissima foto.
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