martedì 29 gennaio 2013

variazioni su un tema

il tema è quello agrodolce. A me piace molto, e ogni tanto  preparo qualcosa in questo modo.
Questa ricetta l'ho vista sfogliando Sale & Pepe dal giornalaio. . E' parecchio  che ho smesso di comprare riviste di cucina, con quelle che ho accumulato  negli anni, credo che non mi basterebbero dieci vite per prepararne le ricette...però ogni volta che entro in edicola  non posso fare a meno di curiosare fra le pubblicazioni di cucina, ormai è una abitudine....il giornalaio lo sa, mi conosce da molti anni, e mi lascia fare ben sapendo che se c'è qualcosa che veramente mi attira,  la rivista la comprerò di sicuro.....
e infatti, su Sale& Pepe di gennaio ci sono davvero delle ricette interessanti. 
Questa è una di quelle




Filetto di maiale e ananas fumé



1 filetto di maiale intero

1 ananas fresco
80 gr di pancetta affumicata, tesa
1 pizzico di coriandolo in polvere
1 foglia di alloro (aggiunta mia)
poco burro
sale, pepe





Tagliare a cubotti il filetto di maiale.
Pulire l'ananas e tagliarlo a spicchi, eliminando il torsolo duro centrale. Tagliare gli spicchi a pezzettoni.
Tagliare a pezzetti anche le fette di pancetta affumicata.
Scaldare  una larga padella antiaderente, aggiungere la pancetta affumicata in modo che cominci a dorare, unire anche l'ananas a pezzi e rosolare il tutto finchè la pancetta diventa croccante.
Togliere il tutto dalla padella, passarla con un poco di carta da cucina e rimetterla sul fuoco insieme a una noce di burro. Appena il burro si scioglie e spumeggia aggiungere la carne a dadi, una presa di sale e una macinata di pepe, la foglia di alloro, lasciar dorare a fuoco basso per circa 10 minuti, quindi aggiungere il pizzico di coriandolo (se lo avete in grani, basta pestarne qualcuno nel mortaio), l'ananas e la pancetta tenuti da parte, alzare la fiamma e lasciar insaporire a fuoco vivo.  Servire ben caldo.



Semplice, si fa in poco tempo, ed è veramente buono, se vi piace l'agrodolce naturalmente.

mercoledì 23 gennaio 2013

una di quelle sere

che rientri stanca, praticamente piatta. Una di quelle sere che vorresti arrivare a casa e trovare tutto pronto.  Una di quelle sere che oltre alla stanchezza hai anche una fame nera, ma il pensiero di metterti in cucina ti fa sentire tutta la pesantezza delle spalle. Una di quelle sere in cui, quasi per inerzia, apri il frigorifero e, ferma in osservazione del suo contenuto, cerchi gli ingredienti per mettere insieme qualcosa da mangiare  che non ti impegni troppo..
dunque vediamo cosa passa il convento....affettato no, non ne ho voglia....uova? Nemmeno, anche se farei felice mio marito.....bistecca?....Uffi!.. Pastasciutta allora, fa una voce speranzosa dall'altra stanza...
rifletto,  tentata...e poi apro il cassetto della verdura.....ah ecco, avevo comprato il radicchio tardivo per grigliarlo e giace ancora lì, fiducioso.
Un momento! Avevo i calamari da qualche parte...ravanando li trovo, apro il pacchetto, un rapido controllo con annusata, bene... sono ok...
mentre annuso mi balena una idea...in testa ho già i sapori, e allora via..veloce metto la bistecchiera di ghisa sul fuoco e la lascio arroventare.....




Scottata di calamari con radicchio tardivo e arancia




per due persone

6 calamari medi
2 arance tarocco
2 cespi di radicchio trevisano tardivo
olio e.v.
sale, pepe bianco
succo d'arancia




pulire i calamari, eliminare i tentacoli conservandoli per qualche altra preparazione. Si potranno congelare già puliti, senza lavarli però, e si potranno usare per qualche  zuppa, o nel fumetto.
Una volta eviscerati, eliminato il leggero osso, tagliarli da un lato ed aprirli appiattendoli bene, lavarli e asciugarli bene e  dividerli a metà.
Mondare il radicchio lasciando la parte della punta abbastanza lunga.
Pulire a vivo le arance,  tagliarle a rondelle e lasciarle in un piatto fondo dove rilasceranno un po' del loro succo.
Una volta pronti tutti gli ingredienti, iniziare a grigliare i calamari, pochim minuti per parte, si cuoceranno comunque in poco tempo. Meglio poi non prolungare la cottura altrimenti diventeranno gommosi e duri.
Tenderanno ad arricciarsi, ma una volta cotti, trasferiteli in un piatto liscio,  lasciateli ben divisi e dategli un colpetto con una spatola in modo che aderiscano al piatto, o a un tagliere, resteranno ben tesi.
A questo punto, mettere due o tre rondelle di arancia su ogni piatto  di servizio, appoggiare due metà di calamaro, aggiungere il radicchio, e ripetere con altri calamari, altre arance e altre foglie di radicchio.
Trasferire il succo rimasto delle arance in una ciotola, aggiungere l'olio, il sale e il pepe, sbattere con la forchetta per emulsionare il tutto e con un cucchiaio condire il tutto.


ecco fatto, che ce vo'?






sabato 19 gennaio 2013

e nevica ancora...

scende leggera, fitta fitta e asciutta, in silenzio sta coprendo tutto.
Dovrei fare tante cose, ma non mi va. Non sto tanto bene, sono raffreddatissima, la tosse mi tormenta,  e mi sono pure affettata via  un pezzo di mignolo con la mandolina di ceramica, giusto ieri sera. Maledetta  fretta!
Il dito è scomparso dentro a un chilo di garza e cerotto e  continua a farmi male,  non riesco a usare bene la mano, destra per giunta,  e non mi piace sentirmi così..
Spero che passi velocemente perchè non posso permettermi di stare ferma in questo periodo...
Pensare che avevo voglia di spignattare per bene in questi giorni....avevo trovato del pesce bellissimo che mi toccherà congelare, ed è un peccato....ma non ho alternative.
Mi godrò un w.e. al calduccio, sotto il plaid a dormicchiare sul divano, con i gatti accoccolati in grembo e sarà la volta che  quel signore che vive con me mi darà una mano. Forse.
Fuori fa troppo freddo, e quando è così  viene voglia di cibi che confortano, che scaldano. Cibi che vanno curati con amore e pazienza, affinché ti regalino tanta soddisfazione al momento dell'assaggio.
Cotture lunghe, che riempiono la casa di profumo mentre la pentola pippia dolcemente sul fuoco,  e tu pregusti, alzando il coperchio per controllare, il piacere che proverai a tavola, e già ti immagini i volti dei presenti al primo boccone....
Questa è una ricetta classica belga, che Federica ha condiviso tempo fa  su Coquinaria  e che io avevo fatto al volo.....mi sembra appropriata al meteo di questo w.e...


ve la riporto come l'ha pubblicata lei,  io ho omesso il pain d'épices in favore di un più rustico e nostrano  pane di  grano duro.


Carbonade flamande in forma di pane

1 kg  polpa di manzo, non troppo magra
3 cipolle bionde
2 bottigliette da 33 di birra, rigorosamente belga, la Leffe bionda,  o la Chimay
mezzo bicchierino di aceto rosso
1 cucchiaino di Vergeoise blonde (oppure dello zucchero di canna scuro)
1 cucchiaio di farina
2 foglie di alloro,
1 decina di rametto di timo
burro, sale, pepe nero macinato al momento
poca senape forte, o  all'antica (quella coi semini)


Per prima cosa tagliare la carne a pezzettoni. Rosolarla molto bene nel burro spumeggiante.
Nel frattempo affettare finemente le cipolle.
Una volta rosolata la carne, toglierla e tenerla in caldo. Nella stessa padella rosolare anche le cipolle affettate, insieme a un cucchiaino di Vergeoise.  Non è facile trovarla qui, io ne ho avuto un paio di pacchetti grazie a un dono, graditissimo, di Pinella, di ritorno da una sua  scorribanda a Parigi.  Per cui sostituitela con dello zucchero di canna grezzo, scuro.

Quando inizia a caramellarsi, sfumare con l'aceto rosso e lasciar evaporare un momento. Rimettere la carne nella pentola , cospargerla col cucchiaio di farina, alzare la fiamma per qualche minuto, quindi regolare di sale. Aggiungere le foglie di alloro, i rametti di timo e il contenuto delle due bottiglie di birra.
Quando ricomincia a bollire bene, abbassare la fiamma mettere il coperchio e cuocere per un paio d'ore abbondanti controllando che la carne rimanga morbida, sugosa.
Nel frattempo scavare la pagnotta di grano duro,  lasciando però un po' di mollica tutto intorno, in modo da avere una specie di zuppiera. Spalmare l'interno della pagnotta con  un leggerissimo  velo di senape e una volta cotta la carne, trasferirla lì dentro, una bella macinata di pepe ed è pronta per essere portata in tavola..
Tradizionalmente,a questo piatto è associato il pain d'épice o, nella versione "à l'ancienne",dei crostoni di pane raffermo spalmati di mostarda forte,
Anzi,il pain d'épice andrebbe messo sopra la carne prima di incoperchiare in modo da fondere letteralmente in cottura.  
Come dicevo, ho preferito una pagnotta di pane di grano duro...

Si accompagna bene con una purée di patate o delle patate al vapore.






lunedì 14 gennaio 2013

a proposito di arance

eccovi ancora  una ricetta profumata d'arancia.
Niente di particolarmente difficile, od elaborato. 
Pensata una domenica mattina, davanti al frigorifero aperto.
Mio marito non ama particolarmente la carne di maiale. Colpa di alcune costine alla brace poco cotte che aveva mangiato molto, molto  tempo fa, a una sagra di paese. Da quel giorno la carne di maiale la mangia raramente, e non senza qualche mugugno.
A me invece piace molto, in tutti i modi, e ogni volta che mi viene la voglia di cucinarla devo inventarmi sempre il come  in modo che non sia subito riconoscibile e  lui  possa mangiarla senza troppi problemi.




Arista  brasata all'arancia e olive nere



un pezzo di arista, preferibilmente con l'osso,  quanto basta per 3 o 4 persone
2 grosse arance non trattate
1  vasetto di olive taggiasche denocciolate, sott'olio
mezzo bicchiere di vino bianco
1 ciuffetto di finocchetto selvatico oppure un cucchiaino di quello secco.
1 rametto di rosmarino
1 foglia di alloro
1 piccola cipolla bionda
1 spicchio d'aglio
qualche bacca di ginepro
poco brodo vegetale
sale, pepe nero
olio e.v.



Scegliete un pezzo di carré con l'arista che sia un po' venata di grasso. Sarà più morbida alla fine.
Dal macellaio fatevi incidere l'osso del carré in modo che poi per tagliarla non si faccia troppa fatica, anche se, una volta ben cotta, non è comunque  difficile affettarla.
Sgocciolare le olive dall'olio di conserva.
Da una arancia ricavare la scorza  grattugiandola, poi spremerla e conservare il succo a parte.
Massaggiare la carne con il sale fino e il pepe nero macinato al momento, e se si opta per il finocchetto secco, anche con quello. Avvolgerla nella stagnola e lasciarla riposare per circa mezz'ora, trascorsa la quale scaldare l'olio in una casseruola che contenga la carne di misura.
Aggiungere il carré, rosolarlo bene da tutti i lato per sigillare la carne,  unire il rosmarino, l'alloro e la piccola cipolla tritata, l'aglio, e naturalmente il finocchietto se si decide di usare quello fresco.  Lasciar insaporire, quindi sfumare con il vino bianco, unire la scorza e il succo d'arancia, le bacche di ginepro e le olive ben sgocciolate.
Aggiungere il brodo, caldo, in modo che arrivi a metà della carne, oppure, se non c'è il brodo, va bene anche dell'acqua ben calda.
Coprire la casseruola col coperchio e abbassare la fiamma in modo che la carne possa cuocere piano piano.  Aggiungere dell'altro liquido nel caso il fondo si asciugasse troppo.
Dieci minuti prima di spegnere il fuoco, a carne oramai cotta, tagliare l'arancia rimasta, intera con tutta la buccia,  a rondelle un po' grosse, dividere ogni rondella  a metà e  e unirle alla carne.
Lasciar insaporire qualche minuto,  finché è abbastanza ristretto, quindi spegnere e lasciar riposare la carne per altri 5 minuti.
Dopodiché affettare l'arista e metterla nei piatti con le arance a fette e le olive, filtrare il fondo di cottura  e nappare  la carne con un paio di cucchiai del sughetto ottenuto.




bon appétit!!



venerdì 11 gennaio 2013

quanto son buoni gli gnocchi...

già...piacciono quasi sempre a tutti, ma sono stati la mia bestia nera per molto tempo, non erano mai come li volevo.  Poi, crescendo, si impara.
A casa mia la gnoccolatrice incaricata era mia madre,  coadiuvata da mio padre a cui piaceva trafficare in cucina, soprattutto quando c'era da tirare la pasta delle chiacchiere, o quando appunto c'era da sistemare gli gnocchi sulla spianatoia.........erano sempre gnocchi di patate, e a lei venivano benissimo ogni volta, è capitato raramente che l'impasto non andasse bene, e in quel caso si inviperiva talmente che era meglio non rivolgerle la parola fino al momento di andare a tavola..... certe domeniche mattina si chiudevano in cucina e producevano per un reggimento.
E' tutta questione di patate, mi ha sempre detto mia madre. Ci vogliono quelle bianche, farinose.  Così quando le trovo, le compro apposta per fare gnocchi e puré...
Stavolta però li ho fatti un poco diversi, ho voluto provare a mettere in pratica una idea  balzana che mi era venuta...così, tanto per provare a fare qualcosa di diverso, e per sperimentare.....il risultato è questo, e ci è piaciuto parecchio.




 Gnocchi alle olive in sugo di pomodoro e pancetta



per gli gnocchi:
1 kg patate a pasta bianca
230/250 gr farina
150 gr olive taggiasche sott'olio, denocciolate



per il sugo:
200 gr pancetta tesa, abbastanza magra
1 scatola di pelati
1  piccola cipolla
1 spicchio d'aglio
mezzo bicchiere di vino bianco
origano fresco, o un pizzico abbondante di quello secco
sale, pepe
poco peperoncino, se piace
scaglie di parmigiano, o pecorino



Preparare il sugo soffriggendo in un goccio d'olio la cipolla insieme all'aglio e alla pancetta tagliata a dadini, una volta che la pancetta è ben rosolata, sfumare con il vino, lasciar evaporare poi aggiungere i pelati ridotti a pezzettoni, un bicchiere d'acqua calda e lasciar cuocere il sugo fino a che è pronto. Profumare con foglioline di origano fresco, oppure con un pizzico di quello secco e, se vi piace, un poco di peperoncino. Regolare di sale e pepe e tenere in caldo.

Lessare le patate. Io per fare prima le cuocio tagliate a grossi pezzi nel cestello per il vapore della pentola pressione. Così cuociono velocemente senza bagnarsi.
Sgocciolare bene le olive dall'olio, lasciandole a scolare in un colino cinese per qualche minuto, dopodichè asciugarle il più possibile con della carta da cucina, premendole leggermente, in modo da far uscire l'eventuale olio rimasto all'interno. Passarle al tritatutto, ottenendo una specie di pasta grossolana.

Passare le patate  allo schiacciapatate raccogliendole in una terrina. Lasciarle sfiatare un poco, regolare di sale, quindi aggiungere la farina, poca alla volta finchè ne prende e l'impasto arriva ad una consistenza morbida ma che si possa maneggiare senza grossi problemi, a questo punto unire il trito di olive, mescolare bene affinché si distribuisca in maniera omogenea.
Trasferire l'impasto sulla spianatoia cosparsa di un leggero velo di farina, lavorarlo a mano ancora qualche minuto,  formare i rotolini e tagliare poi gli gnocchi, distribuendoli man mano sulla spianatoia infarinata.
Io non amo rigarli, mi piacciono così come vengono ed evito un passaggio in più.

Cuocerli al solito modo, pochi alla volta, raccogliendoli con una schiumarola man mano vengono a galla, appoggiandoli su un piatto sul cui fondo avremo preparato  un piccolo nido di sugo,  quindi finire di condire con un altro cappellino di sugo, ancora qualche fogliolina  di origano fresco e qualche ricciolo sottile di parmigiano ottenuto con la mandolina. Cosi, al contatto con il calore degli gnocchi il formaggio tenderà ad ammorbidirsi un poco.

Ci sarebbe stato forse meglio il pecorino,  però in casa non ne avevo di nessun tipo, ma erano ottimi lo stesso.
Certo, vi devono piacere le olive....


mercoledì 9 gennaio 2013

a volte capita...

un piccolo colpo di fortuna. 
In questo caso  è avere fra le mani un cosciotto d'agnello, ma non un agnello qualsiasi, un agnello di Zeri.
Zeri è una località che si trova nelle valli  della Lunigiana, e sulle sue montagne vive questo ovino così pregiato.

copio da Wikipedia:

"L'esiguità dei volumi produttivi rende l'agnello zerasco inadeguato alla commercializzazione di massa e ne fa una specialità esclusivamente locale.
L'elevata qualità delle carni dell'agnello di Zeri è dovuta sia alle caratteristiche della razza, sia al rigoroso disciplinare che impone che i capi vivano e si alimentino in un ambiente poco antropizzato e relativamente incontaminato.
Secondo il disciplinare l'allevamento deve lasciare il bestiame allo stato semi-brado e l'alimentazione degli agnelli deve essere rigorosamente a base di latte materno e di erba e fieno locale.. I capi, capaci di adattarsi molto bene alle difficili condizioni climatichedell'Appennino, restano quasi tutto l’anno nei pascoli, localizzati ad un'altezza tra 600 e 1200 metri, e solo durante la stagione invernale vengono tenuti nell'ovile e alimentati con il fieno prodotto dai pascoli stessi"

E' davvero difficile riuscire ad averlo.  Ma sono una donna fortunata,  ho tantissimi amici, alcuni, a me molto cari, anche in quelle zone, e a volte mi sorprendono con regali così prelibati.

Dopodichè, tocca pensare al modo con cui fargli fare una fine degna della sua fama. Premetto che nella mia famiglia solo due o tre persone amano la carne ovina, e io non sono fra quelle, ma l'agnello di Zeri è qualcosa di veramente diverso. Tanto diverso da spingermi ad assaggiarlo.
Pensa e ripensa, non mi andava di farlo al forno, o fritto come la tradizione zerasca impone. Così mi è venuta in mente una ricetta che aveva pubblicato parecchi anni fa  Piggi, su Coquinaria, una idea che lui aveva l"rubata" durante una cena da Antonello Colonna, uno chef romano di chiara fama. Una ricetta che mi aveva favorevolmente colpito, nonostante si parlasse di agnello. L'avevo messa "in cascina" per una futura occasione che è finalmente arrivata, vista la qualità della materia prima che avevo a disposizione.
Ecco cosa ho fatto





Cosciotto d'agnello ripieno di pecorino e menta, e rosti di patate


un bel cosciotto d'agnello, o capretto se preferite
120 gr pecorino romano
un ciuffo di menta fresca
un ciuffo di prezzemolo
1 rametto di rosmarino
1 bicchiere di vino bianco
2 spicchi d'aglio
olio e.v., sale, pepe nero macinato al momento


per il rosti:

2 patate a pasta gialla
sale, pepe
olio




per prima cosa, con un coltello da disosso, togliere l'osso del cosciotto fino all'articolazione inferiore, lasciando questa atttaccata:



dopodichè  ridurre a pezzetti piccoli il pecorino, magari tritandolo leggermente, avendo cura di non impastarlo.
Tritare anche menta e prezzemolo.
Salare e pepare l'interno del cosciotto.
Da uno spicchio d'aglio ricavare delle fettine sottili e spargerle sulla carne.
Aggiungere il pecorino e le erbe tritate




quindi ricomporre bene i lembi della carne cercando di tenere bene all'interno il ripieno, altrimenti in cottura uscirà disperdendosi,  e legare strettamente



a questo punto è pronto per essere cotto.

Rosolarlo ben bene da tutti i lati in un generoso goccio d'olio, dentro a un capiente tegame che lo contenga di misura.
aggiungere lo spicchio d'aglio rimasto, un rametto di rosmarino e una volta ben dorato, sfumare con del vino bianco di buona qualità.
Sfumato il vino, aggiungere del brodo caldo, o dell'acqua calda, poco alla volta e portare a cottura in tegame, rigirandolo spesso.

Quando è pronto, spegnere il fuoco e lasciarlo riposare qualche minuto.
Nel frattempo preparare il rosti di patate. Una volta pulite, grattugiarne una alla volta con la grattugia a fori grossi.
In una piccola padella antiaderente scaldare un velo d'olio, aggiungere le patate schiacciandole in modo da avere una specie di frittella piatta. Quando saranno dorate, ci vorrà qualche minuto, girare le patate con l'ausilio di un coperchio, come fosse una frittata. Lasciar dorare anche dall'altro lato, salare, pepeare  e metterla nel piatto velocemente, affettare il cosciotto ed appoggiarvi sopra qualche fetta.
Il rosti qui ho preferito prepararlo individualmente, una patata alla volta perchè vanno fatte al momento, era solo per noi due, per cui ci ho messo poco, diversamente se si aspetta, le patate diventano scure e non è un bel vedere.
Nulla impedisce di farne uno grande, cuocendo le patate tutte insieme, sempre in uno strato solo, ma in una padella molto più larga. Il procedimento è comunque sempre lo stesso.

Devo dire che è stato spazzolato.....


 




lunedì 7 gennaio 2013

la mia Epifania

- nonno, posso venire un momento sul letto con te?
- lascia stare il nonno che sta riposando,  dice la voce di mia madre dall'altra stanza.
Ma il nonno era felice che io volessi stare vicina a lui quando faceva il sonnellino pomeridiano.
Si sdraiava sopra le coperte, e mi faceva un poco di spazio.

- Dammi la mano nonno..
- sì, ma guarda che la mia mano è pesante!

io prendevo la sua mano e la tenevo stretta, e dopo un po' davvero cominciava a pesare.
Una mano affusolata, bella,  forte, che rivelava però tutta la fatica del lavoro nei campi tanto era callosa e ruvida.
Ma io non la lasciavo, se non quando diventava davvero troppo pesante, voleva dire che lui era definitivamente addormentato. Solo in quel momento mi abbandonavo al sonno anch'io.
Questa piccola commedia è andata  in scena ogni fine settimana,   per un breve periodo, quando vivevamo a Lanzo d'Intelvi. Un po' prima che ci trasferissimo a Milano.
Erano gli anni 50,  mio nonno era uscito dalla mezzadria quando la campagna non consentiva grandi redditi, e lui non aveva terreni  suoi da coltivare,  inoltre  eravamo ancora alle prese col  primo dopoguerra. . Mio padre l'aveva convinto a partire dal Friuli per venire a  lavorare in Svizzera  a guadagnare  qualche soldo in più... Così gli aveva trovato un posto di giardiniere a Lugano  dove stava per tutta la settimana  per poi venire i sabati e le domeniche su da noi, in montagna, a Lanzo. Pochi chilometri, tutti in altezza.
Tutte le volte che veniva andavo  a curiosare nelle sue tasche  perchè sapevo che ci avrei sicuramente trovato qualcosa per me. C'era sempre qualcosa, anche di strano per una bambina di  quasi 6 anni. A volte caramelle, a volte una moneta di cioccolato, una volta addirittura una piccola bambola di celluloide, o fermagli a fiocco per i capelli, altre volte occhiali da sole. Li trovava nell'erba dei giardini, dimenticati, o persi.
Era  diventato un rito ormai,  che corressi ad abbracciarlo e frugassi nelle sue tasche prima ancora che varcasse la porta di casa...
Di riti fra noi ne vennero ancora, uno soprattutto, quando ero più grandicella. Ogni volta che andavo in Friuli per la vacanze estive, lui mi aspettava nascosto sempre nello stesso posto: dietro una tenda sul piccolo pianerottolo della scala che portava al piano superiore di casa nostra. E puntualmente ogni volta che mettevo piede in casa, qualsiasi ora fosse, mi precipitavo su per le scale a cercarlo dietro quella tenda. Con molto disappunto di mia nonna che non  io consideravo affatto, se non dopo aver riabbracciato mio nonno.
Si fermava  in Svizzera da primavera ad autunno inoltrato, poi , durante l'inverno, ritornava in Friuli, ma l'ultimo anno che lavorò in Svizzera, tornò a i primi di Gennaio, non so per quale motivo, e venne direttamente a stare da noi per qualche tempo, proprio nei giorni precedenti l'Epifania...
Ricordo una sera il fuoco acceso nella stufa a legna,  mio nonno seduto vicino alla stufa, su una sedia impagliata, una sera di racconti sulle tradizioni di casa, il pensiero all'arborar, il falò, che si sarebbe acceso nella piazza, con la pira preparata da uomini designati  appositamente per quel compito da anno in anno. La festa che si fa dopo che la Vecia è bruciata,  gli auspici che se ne traggono in base a dove è girato il fumo...e la Pinza cotta "sott li boris" , le braci, dell'arborar, del falò...e il vin brulé a volontà....
Ho ancora nella mente la sua espressione di malinconia, per non poter essere fra quegli uomini che costruivano la pira.....allora mia madre, per rasserenarlo un po',  il giorno dopo preparò la Pinza. Niente braci, ma il forno della stufa a legna fece da ottimo sostituto. Ne fu contentissimo....

quest'anno ho voluto farla anch'io, con la ricetta di casa nostra.

La Pinza è una di quelle preparazioni di cui ogni famiglia ha una ricetta tutta sua,  ognuno ci mette le cose tradizionali del suo paese, e si sa, basta fare qualche chilometro più su, o più giù e le cose cambiano..



Pinza  friulana dell'Epifania

200 gr farina di mais fioretto (quella  molto sottile)
150 gr farina 00
1 l.  latte
2 uova intere
150 gr zucchero
80 gr burro
5 o 6 fichi secchi
80 gr uvetta
80 gr mandorle
50 gr pinoli
50 gr scorza d'arancia candita
la scorza grattugiata di un limone
la scorza grattugiata di una arancia 
1 mela
1 bustina di lievito
1 dl grappa
un cucchiaino scarso di semi di finocchio

Miscelare insieme le due farine.
spezzettare i fichi secchi, riunirli  in una ciotola con l'uvetta, i semi di finocchio e le scorzette candite a dadini,.
Unire la grappa, mescolare  e lasciarli ammorbidire almeno un paio d'ore.
Portare a ebollizione il latte insieme a un pizzico di sale, quindi versare a pioggia le farine sbattendo con una frusta in modo da non formare grumi. Cuocere per circa 10/15 minuti, o finchè il composto tende a staccarsi dalle pareti della pentola.
Aggiungere il burro a pezzetti, lo zucchero e la mela a dadini.
Togliere dal fuoco e unire la frutta sgocciolata dalla grappa, aggiungere metà della grappa rimasta, le mandorle tritate grossolanamente, i pinoli,  le scorze grattugiate,  le uova  leggermente sbattute a parte,  e per ultimo il lievito preventivamente sciolto in due o tre cucchiai di latte.
Mescolare a lungo l'impasto,  che sarà abbastanza sodo, affinchè la frutta secca si distribuisca bene dappertutto.
Imburrare generosamente una piccola teglia rettangolare, io ne ho una un po' anomala da 22x28, ma credo vada bene anche una vaschetta di alluminio, e versare il composto premendo e livellandolo bene.
Cospargere la superficie con altro zucchero semolato e cuocere in forno già caldo a 160° per i primi 40 minuti, poi alzare la temperatura a 180° per altri 15/20 minuti.
Il dolce risulterà comunque umido e molliccio al tatto Si compatterà poi raffreddandosi.



Adoravo mio nonno, e credo che anche lui mi amasse molto, con la profonda tenerezza che hanno tutti i nonni verso i nipoti.  Lo capisco bene ora, che sono nonna anch'io. 
Si chiamava Basilio, e per la sua alta statura fu arruolato nei Granatieri, cosa di cui andava fiero. Vi racconterò ancora di lui...
Eccolo qui sotto, in una foto scattata a Lanzo d'Intelvi, dove mi tiene per mano insieme a mio padre.


Se ne è andato troppo presto, a 56 anni,  in un inverno freddissimo.
Ogni volta che vado in Friuli, ancora adesso che ho ormai superato la sua età, non posso fare a meno, quando salgo le scale di casa, di rivederlo lì, dietro la tenda. Una tenda che non c'è più, ma continua ad esistere solo per me.

venerdì 4 gennaio 2013

Quinoa, questa sconosciuta

almeno per me, sconosciuta. Fino ad ora.
L'ho sempre vista  in  piccole scatole di cartone  sugli scaffali  del NaturaSi, quando mi capita di andarci per alcuni ingredienti che trovo solo là.....presa  tantissime volte in mano, letto altrettante volte le spiegazioni stampate sulla scatola e altrettante volte rimessa a posto, dubbiosa.  Finchè, alla fine,  mi sono decisa a provare spinta dalla curiosità  e così  ho scoperto un ingrediente versatile, sano e saporito, da coniugare con mille altri sapori. Si sposa bene con tutto o quasi..
Stavolta l'ho pensata abbinata a qualcosa di delicato, come piselli e capesante,  che avevo fra l'altro in freezer da finire,  ed è piaciuta molto...
la prossima volta cercherò un abbinamento più deciso, vediamo cosa mi suggerirà la voglia del monento.

Da noi si dice che la prima volta che inizi qualcosa devi esprimere un desiderio, senza dirlo naturalmente, altrimenti non si avvera.......fatto!

Ecco  la mia prima quinoa..


 
 Quinoa al ragù di capesante e crema di piselli

per due persone

140 gr quinoa
250/300 gr pisellini surgelati
1 piccola cipolla bianca,  o un paio di cipollotti freschi quando è stagione
4 noci di capesante 
un paio di foglie di salvia
poco vino bianco
una noce di burro, meglio se chiarificato
poco olio


Lavare abbondantemente in acqua corrente la quinoa, versarla poi  in acqua bollente salata.
Le istruzioni della scatola dicono di calcolare l'acqua in 150 ml ogni 70 gr di quinoa,  quindi in questo caso 280/300  ml d'acqua, ma  effettivamente ce n'è voluta un po' di più, tanto che mentre cuoceva allungavo pian piano con acqua bollente ogni volta che vedevo il liquido restringersi, senza che la quinoa fosse cotta.
E' pronta infatti quando i grani si aprono e formano nel centro, quel cerchietto più bianco che si vede.

per la crema di piselli:

in una larga padella stufare la cipolla finemente tritata insieme a un goccio d'olio e poco burro, aggiungere i piselli ancora gelati, coprirli d'acqua, regolare di sale e pepe, aggiungere un paio di foglie di salvia e cuocerli finchè sono morbidi e lenti, il fondo deve avere ancora un poco di liquido. Passare tutto  al minipimer  e tenere la crema in caldo.


Per il ragù di capesante:

in un'altra padella antiaderente, sciogliere una noce di burro, quindi aggiungere le capesante e lasciarle rosolare da tutte le parti, sfumare con un poco di vino bianco, regolare di sale e pepe bianco e portare a cottura. Ci vorrà qualche minuto. Dopodichè tagliarle a pezzettoni.


A questo punto la quinoa sarà cotta, scolarla velocemente, condirla con un poco di burro,  regolare di sale e pepe. Fare un velo di crema sul piatto e usando un coppapasta aggiungere la quinoa cotta premendo leggermente perchè stia in forma, sfilare quindi il coppapasta e guarnire con i pezzettoni di capesante.

Colorare il piatto con  pezzetti di pomodori datterini e foglie di salvia..

Et voilà...














mercoledì 2 gennaio 2013

riciclando riciclando

quest'anno mi è andata abbastanza bene per le feste. Ho cucinato pochissimo, sono stata sempre ospite per cui il lavoro è stato davvero minimo rispetto ai  miei soliti standard.  
Non pubblico nulla perchè le cose che ho preparato sono state quelle classiche, già pubblicate nel blog , viste e riviste, niente novità, niente sperimentazioni. A casa mia vige la tradizione più classica, e la rispettiamo abbastanza.
Ieri a pranzo idem, tradizione rispettata con le lenticchie e il cotechino. A dire il vero avrei voluto lo zampone, ma a parte la difficoltà nel trovarlo, ho preferito un buon cotechino vaniglia perchè sapevo che avrei fatto   quasi mattina  all'ultimo dell'anno, con conseguente ritardo nella sveglia  e non ce l'avrei fatta a cuocerlo,  pena pranzare alle tre del pomeriggio...
le lenticchie sono quelle di Mormanno, frutto di un acquisto cumulativo solidale,  attraverso Coquinaria,  con quella zona che sta vivendo momenti difficili per via del terremoto. Un piccolo contributo, ma sentito e doveroso. Fra l'altro le lenticchie di Mormanno sono un  Presidio Slow Food  e le ho trovate davvero ottime.
Solo che a casa mia ripresentare due volte in due giorni la stessa pietanza  suscita mugugni, a meno che non siano umidi o altri cibi che migliorano riposando.
Così, sfogliando un Sale e Pepe, ho visto una ricetta di Sadler che avrei potuto adattare. Non avevo in casa la lattuga, ma ho ripiegato su un cuore di Castelfranco che stava per appassire in frigorifero...

Sadler è partito da ingredienti da cuocere, io invece da quelli già cotti, da riciclare,  per cui vi spiego come ho fatto io:


 Strozzapreti al ragù di cotechino e lenticchie


strozzapreti all'uovo, o garganelli, q.b. per due persone
mezzo cotechino cotto e spellato
300 gr lenticchie avanzate, già cotte
1 cuore di insalata  Castelfranco, o mezza  lattuga
1 scalogno
curry a piacere, senza esagerare
sale, pepe, un goccio d'olio
 poco prezzemolo tritato


 Mondare l'insalata, ridurla a pezzetti, lavarla e asciugarla bene.
In una larga padella scaldare a le lenticchie cotte insieme a un goccio d'acqua, un pizzico abbondante di curry e lasciare a fuoco basso.
In un'altra padella scaldare l'olio, aggiungere lo scalogno tritato fine, lasciandolo soffriggere dolcemente, quindi aggiungere l'insalata e lasciar appassire a fuoco basso finchè è cotta.
Nel frattempo tritare a coltello il cotechino freddo.
Una volta cotta l'insalata unirla alle lenticchie, aggiungere anche il cotechino, mescolare e lasciar  insaporire qualche minuto a fuoco dolce, mescolando ogni tanto. Allungare il ragù con un paio di cucchiai dell'acqua di cottura della pasta, per renderlo lento nel caso fosse troppo asciutto. Regolare di sale e di pepe.
Bollire l'acqua e cuocere la pasta, scolarla al dente  e passarla nella padella del ragù,  spadellarla  in modo che prenda bene il condimento,  aggiungere ancora un altro pizzico abbondante di curry e completare con il prezzemolo tritato.
Servire ben caldo.

A noi è piaciuta molto.