domenica 27 ottobre 2013

sapori decisi

assolutamente decisi!
Un piatto che utilizza un ingrediente tipico lombardo, molto conosciuto e amato, aggiungo io, sul lago di Como. Il Missoltino.
 "I missoltini alla brace che 'si disegnano sul piatto come certi pesci di De Pisis per poche pennellate calde sulla tela bianca", così li descriveva il compianto Gianni Brera in un  libro scritto con Veronelli sulla cucina lombarda: La Pacciada, mangiarebere in pianura padana.
Uno dei ‘piatti’ più antichi della Lombardia  quindi sono gli Agoni che vivono da tempo nelle acque del lago. La leggenda narra che si tratta delle sarde di mare rimaste intrappolate nello specchio d’acqua di Como, quando il mare si ritirò dalla pianura padana. Ma è solo una leggenda...
L'agone si pesca nella parte più a Nord del lago, centrale rispetto alle rive perché preferisce le acque più fresche e profonde, calando reti volanti lunghe anche duecento metri che si estendono a decine di metri di profondità e in cui si impigliano gli agoni di passaggio.
Una volta squamati ed eviscerati i pesci vengono posti sotto sale per due-tre giorni, poi lavati accuratamente e appesi ad asciugare al sole per una decina di giorni.
Un tempo, davanti alle case dei paesi rivieraschi si vedevano  lunghe file di agoni appesi con uno spago ad asciugare come panni stesi.
Quando la testa del pesce scricchiolava sotto la pressione delle dita, gli agoni venivano staccati e riposti nella missolta di legno, messi a strati, a  raggiera,  inframmezzando ogni strato con  delle foglie di alloro. L'ultimo strato doveva essere due dita sotto il bordo del barile, ed i barili venivano ammucchiati uno sull'altro e in cima all'ultimo veniva messo un peso in modo che tutti i pesci essiccati venissero compressi. L'olio che si formava doveva essere prontamente rimosso, altrimenti  avrebbe irrancidito  i pesci   e compromesso la possibilità di conservarli.
Missolta, il nome del barile di legno, da qui il nome Missoltini.
Oggi a pescare gli agoni sul lago sono rimasti in pochi, il mestiere del pescatore non è più remunerativo, e  ancora meno sono coloro che, oltre a pescare, tramandano l'arte di fare i missoltini essiccati naturalmente come prevede la tradizione. Una pratica lunga e laboriosa in cui si devono squamare e pulire i pesci, fare attenzione alle dosi di sale che si somministrano, appenderli uno ad uno agli essiccatoi , controllare l'evoluzione del grasso durante l'essiccazione per capire quando sono pronti per la lenta conservazione nelle missolte.
 Un prodotto entrato a far parte dei presìdi Slow Food, l’associazione che tutela gli alimenti tradizionali e i produttori che rispondono alle parole d’ordine «buono, pulito e giusto».
Per poter esporre la chiocciolina di Slow Food, i produttori-ristoratori dovranno garantire che gli agoni siano pescati nel Lario e lavorati nel rispetto dell’antica tecnica che prevede l’essiccazione al sole e all’aria.
Il missoltino del Lago di Como è descritto in maniera dettagliata nel disciplinare approvato da Slow Food, deve avere caratteristiche organolettiche particolari e ben precise, e deve avere  un sapore intenso, sapido e metallico, colore dorato e consistenza morbida.
 Un prodotto prezioso quindi,  di notevole interesse e dalle indubbie proprietà nutritive e organolettiche che normalmente è consumato  cotto alla griglia, sfumato con un goccio di aceto, condito con un filo d'olio leggero  e accompagnato da polenta oppure fatto rinvenire e poi cucinato.




Io l'ho cucinato così:




Spaghetti grezzi Cav. Cocco, missoltini  uvetta e pinoli


per 3 persone



5 Missoltini
50 gr uvetta
30 gr pinoli
250/280  gr spaghetti grezzi cav. Cocco
2 spicchi d'aglio
olio e.v. oliva
sale, pepe
prezzemolo
pane nero raffermo



Mettere a rinvenire l'uvetta in acqua tiepida, tritare il prezzemolo.
Frullare il pane nero raffermo. Io, donna fortunata, avevo ancora una piccola ciambella di pane nero portata da Chiavenna, del panificio Balgera, uno dei pochi rimasti a fare quel tipo di pane,  che adoro.....la mia amica Bruna lo sa e me lo fa trovare ogni volta che ci vediamo.
Comunque va bene un pane di segale, e se non lo trovate,  anche pane bianco, l'importante è che sia raffermo ma non del tutto secco,  frullato grossolanamente, non grattato..
In una larga padella antiaderente mettere un goccio d'olio e uno spicchio d'aglio, quando comincia a sfrigolare, aggiungere il pane tritato non troppo finemente, e mescolando sempre, lasciarlo tostare nel condimento. Deve essere croccante e profumato. Eliminare l'aglio e tenere da parte.
Grigliare i missoltini per qualche minuto, da entrambi i lati. Lasciarli intiepidire, pulirli  e sminuzzarli eliminando la lisca interna e la pelle.
Una volta pronti i missoltini, prendere una larga padella, metterci un goccio d'olio e uno spicchio d'aglio, lasciar soffriggere un attimo e aggiungere l'uvetta ben strizzata ed asciugata, i pinoli e i missoltini sminuzzati.
Fare insaporire 3 o 4 minuti, spegnere e tenere in caldo.
Nel frattempo cuocere gli spaghetti grezzi. Quando sono quasi a fine cottura, toglierli dalla pentola e metterli nella padella insieme al condimento preparato coi missoltini,  aggiungere un paio di mestoli dell'acqua di cottura e finire di cuocere la pasta nella padella dei missoltini, mescolando continuamente, e aggiungendo ancora poca acqua di cottura della pasta per volta, nel caso il fondo si asciugasse troppo. Risottando la pasta per capirci.  Regolare di sale, ma non ce ne vorrò molto perchè la carne dei missoltini sarà già molto saporita, anche se bilanciata dal dolce dell'uvetta e dei pinoli.
Quando la pasta è cotta aggiungere del prezzemolo tritato, un'altra bella mescolata ed è pronta per essere servita.
Mettere nei piatti spolverando con il pane croccante e ancora  un pizzico di prezzemolo tritato.

Di solito cerco di procurarmi i Missoltini dove so  di trovare un prodotto di alta qualità, a Lezzeno o a Varenna, ma se non è stagione li posso trovare sottovuoto anche   al Bennet, alle porte di Como, dove c'è tutto un reparto dedicato alla cucina locale. Non sono al livello di quelli comprati direttamente dal pescatore ma sono di buona qualità.

Eccoli qui gli Agoni, in attesa







e grigliati, pronti per essere sminuzzati





un piatto "storico" del lago di Como, che ho rivisitato ma che conserva sempre il suo deciso sapore, e la sua storia lontana.

giovedì 24 ottobre 2013

cena di fine estate

è sempre stata nostra consuetudine invitare gli amici a cena  per celebrare la fine dell'estate,  ma quest'anno, a causa di nostri  molteplici impegni  e date che non combaciavano con gli impegni degli altri siamo arrivati  all'autunno  senza che se ne potesse fare nulla.
Ma non volevamo rompere la tradizione e allora, alla fine,   la cena di fine estate l'abbiamo fatta solo io e mio marito.
Pesce naturalmente. Poche cose, ma sfiziose..







Ricette per due/tre persone

Insalata di gamberi profumata allo zenzero

6/8 grossi gamberi
1 cuore di sedano verde
mezzo melone
misticanza
80 gr zenzero fresco
sale, pepe
olio e.v.
bacche rosa




Sgusciare i gamberi lasciando solo la parte del carapace vicino alla coda. Eliminare il budelletto.
Cuocerli a vapore usando acqua  profumata con qualche fetta di limone e un goccio di vino bianco.
Tenere da parte.
Pulire il cuore di sedano conservando le foglie più tenere.
Grattugiare lo zenzero, mettere la polpa in una piccola pezza bianca pulitissima. Avvolgerla a mo' di pacchettino stringendo forte per strizzarne il succo  raccogliendolo in una ciotola.
Profumare lo zenzero con del pepe bianco.
Nel piatto dei servizio mettere un poco di misticanza ben lavata e asciugata, il melone a pezzettoni, 
le costole del sedano tagliate a pezzetti, le foglie più tenere del sedano, i gamberi cotti, e colorare con qualche bacca rosa.
Prendere la cioltola con il succo di zenzero, aggiungere del sale, e versare un goccio d'olio a filo, sbattendo nel contempo con una forchetta per emulsionare il tutto.
Irrorare i gamberi con il condimento e servire...

Buono, fresco e particolare. Meglio delle bacche rosa sarebbe stato avere del ribes rosso....ma l'idea mi è venuta solo dopo, sgrunt!





Spiedini di mazzancolle e capesante su crema di peperoni


6/8 mazzancolle
3/4 capesante
2 peperoni gialli
2 spicchi d'aglio
basilico, prezzemolo
poco pane grattugiato
sale, pepe, olio

La prima operazione da fare è quella di mettere a bagno gli spiedini in acqua fredda. Così facendo, non si bruceranno  sulla piastra di cottura.
Sgusciare, lavare e asciugare  le mazzancolle  eliminando il budelletto.
Pulire e lavare benissimo le capesante eliminando il corallo.
Ungere sia le mazzancolle che le capesante con poco olio, mescolarli  con un trito di prezzemolo e  poco aglio e lasciar riposare.
Spellare i peperoni con la mandolina, pulirli da semi e filamenti interni e ridurli a tocchetti.
In una larga padella soffriggere un goccio d'olio insieme a uno spicchio d'aglio e aggiungere i peperoni, lasciar insaporire, regolare di sale e portare a cottua aggiungendo un goccio d'acqua. Devono essere cotti conservando un poco del loro liquido. Una volta pronti, frullarli a crema e tenere in caldo.
Arroventare una piastra.
Ora togliere dall'acqua gli spiedini asciugandoli velocemente.
Prepararli partendo da un gambero messo a punte in su, poi una capasanta, e chiudere con un gambero messo a punte in giù. Passarli velocemente nel pane grattugiato e cuocerli sulla griglia per qualche minuto da entrambi i lati.
Servire subito con la crema di peperoni tenuta in caldo.




Pescatrice arrosto e puré di patate  al limone



1 piccola pescatrice
6 o 7 pomodorini secchi sott'olio
una manciatina di olive taggiasche denocciolate, sott'olio
1 limone non trattato
rametti di timo
180 gr prosciutto crudo a fette
3 spicchi d'aglio
mezzo bicchiere di vino bianco secco
olio e.v.
sale, pepe bianco

per il puré
2 o 3 patate
la scorza di mezzo limone
succo di limone
poco latte
poco burro
sale, pepe


 Cuocere le patate, possibilmente a vapore.
sfilettare la pescatrice ricavandone due filetti più o meno uguali, pulirli da eventuali filamenti, lavarli e asciugarli.
Sgocciolare i pomodorini dall'olio, asciugarli bene comprimendoli fra due fogli di carta da cucina,
sgocciolare anche le olive taggiasche, asciugare bene anche quelle.
Tritare insieme finemente olive e pomodorini, aggiungere la scorza grattugiata di un limone e le foglioline di un paio di rametti di timo.
Su un tagliere allineare le fette di prosciutto crudo, sovrapponendole un pochino, tante quanto basta ad avvolgere un filetto di pesce.
Appoggiare un filetto sulle fette di prosciutto, spalmare meglio possibile un poco del trito di pomodorini e olive sopra la pescatrice e avvolgere il tutto nelle fette di prosciutto crudo, arrotolando e stringendo ben bene.
 Fare lo stessa operazione  con l'altro  filetto di pesce.
Nel frattempo scaldare il forno a 180°
Legare con spago da cucina in modo che non si aprano  in cottura,  e mettere entrambi i filetti di pescatrice  così preparati  in una teglia da forno,  unta con 5 o 6 cucchiai di olio,  insieme  al limone ormai senza buccia  tagliato a spicchi e all'aglio pelato e schiacciato, e il vino bianco.
Cuocere per circa 20 minuti, bagnando spesso col fondo di cottura.
 Mentre la pescatrice è in forno, preparare il puré. Passare le patate nello schiacciapatate, e mentre è ancora sul fuoco aggiungere un goccio di latte e una noce di burro, mescolando velocemente per non fare grumi. Non deve essere troppo morbido, ma abbastanza consistente in modo da poter fare delle quenelles. Quando è pronto profumarlo con il succo di mezzo limone e la sua scorza grattugiata finemente.
Una volta pronto, sfornate l'arrosto di pescatrice, slegare e tagliare a fette.
Con l'aiuto di due cucchiai preparare delle quenelles di puré al limone, aggiungere le rondelle di pescatrice, aggiungere qualche cucchiaiata di fondo di cottura dell'arrosto,  e guarnire con rametti di timo.





niente dolce. Ma per una volta va bene anche così.



giovedì 17 ottobre 2013

ricordo d'estate

avevo ancora qualche pesca in frigorifero,  le avevo comprate per accontentare mio marito,  anche un po'  illudendomi di essere ancora in estate poi di colpo, grazie anche al freddo arrivato improvvisamente,  mi sono rassegnata al fatto che la bella stagione è finita da un bel pezzo. Pesche gialle profumatissime, ancora ottime nonostante il loro periodo sia finito....
Come succede spesso a casa mia  cambia la stagione e cambiano i desideri, ti guardi intorno e vedi comparire la frutta autunnale sui banchi del super o del fruttivendolo e ti prende la voglia irrefrenabile dell'uva bianca, dell'uva fragola, delle pere succose e dolci....e  allora le pesche rimangono dimenticate in fondo al cassetto della frutta.
Finchè decidi che anche per quest'anno  è purtroppo arrivato il momento di accomiatarsi definitivamente dai sapori e i colori  dell'estate.
Adoro i dolci al cucchiaio, e allora  cosa c'è di meglio di una bavarese alle pesche?  Ma non una bavarese qualunque eh? No, no...


Bavarese di pesche al Moscato e  crumble alla fava Tonka

per 4 persone


Per il fondo:

150 gr  wafer al cioccolato
50 gr   amaretti morbidi, io ho usato quelli di Mombaruzzo
70 gr burro
1 cucchiaino abbondante   di cacao amaro



per la bavarese:

2 grosse pesche gialle
300 ml  Moscato spumante dolce
90 gr zucchero
2 tuorli
8 gr gelatina in fogli
200 ml panna liquida fresca



per il crumble:

50 gr farina di mandorle
50 gr burro
1 cucchiaio zucchero di canna
1 fava Tonka


per decorare:

2 pesche noci
qualche pezzetto di cioccolato



Stavolta ho preferito fare  dei piccoli dessert al piatto. ma se si desidera, si può fare una bavarese più grande, basta utilizzare uno stampo da 20/22, preferibilmente apribile, col fondo rivestito di carta forno bagnata e strizzata,

Preparare il fondo. Nel bicchiere del mixer tritare grossolanamente i wafer con gli amaretti, il cacao e il burro fuso. Devono rimanere un poco croccanti.

Posare dei cerchi di acciaio direttamente sui piattini di servizio. Versare sul fondo di ogni cerchio un po' del composto di wafer e amaretti, pressare bene per fare uno strato abbastanza omogeneo e mettere a raffreddare.

Nel frattempo sbucciare le pesche, denocciolarle e tagliarle a pezzettoni abbastanza regolari fra loro.
Mettere tutto  in una casseruola e aggiungere il Moscato. Portare a ebollizione  e far cuocere per circa 10 minuti, anche meno,  fino a quando le pesche saranno morbide.
Scolarle dal  vino, frullarle a crema e tenere da parte.  Dal vino rimasto dalla cottura delle pesche prelevarne 150 ml e tenerlo in caldo.
Idratare i fogli di gelatina in acqua fredda.
Montare i tuorli con lo zucchero e quando sono gonfi e spumosi, unire a filo il Moscato.
Rimettere di nuovo il tutto su fuoco dolce e cuocere la crema finchè si addenserà e  velerà il cucchiaio.
Unire a questo punto la gelatina ammollata e strizzata  e lasciarla sciogliere bene dentro la crema, aggiungere la crema di pesche e mescolare affinchè tutto sia ben amalgamato e omogeneo.
Mettere a raffreddare in acqua e ghiaccio, mescolando spesso perchè rimanga fluida.
Una volta fredda la crema, con le fruste elettriche procedere a  semimontare la panna. Non deve essere montata a neve, basta fermarsi quando è gonfia ma non del tutto montata.
Aggiungere la panna semimontata alla crema di pesche mescolando il tutto con pazienza in modo che la crma sia perfettamente omogenea.
Riprendere i piattini coi cerchi, ormai il fondo si sarà compattato bene. Colare la crema dentro i cerchi riempiendoli  fino al bordo.  Conservare in frigorifero.
Mentre la bavarese si solidifica, preparare il crumble.
 In una ciotola metterela farina di mandorle, lo zucchero e il burro freddissimo.
Grattugiare una fava Tonka e unirla al composto.
Con le mani sfregare il tutto in modo da avere un briciolame irregolare.
Foderare una teglia con della carta forno, spargerci sopra il briciolame ottenuto e cuocere per circa 10/12 minuti in forno a 180°, è pronto quando è dorato. Non importa se in cottura si allargherà diventando un tutt'uno, una volta cotto si ptrà sbriciolare nuovamente a piacimento.
Quando è pronto, togliere dal forno e lasciar raffreddare. Questa operazione si puà fare anche in anticipo naturalmente.

Al momento di servire, lavare e asciugare le pesche noci, tagliarle a metà, denocciolarle e poi, con l'aiuto di una mandolina, affettarle sottilmente.

Riprendere le bavaresi dal frigorifero, sfilare delicatamente il cerchio ad ognuna. Operazione non sempre facile. Io mi sono aiutata con un  piccolo panno bianco bagnato in acqua bollente e messo tutto intorno al cerchio. In questo modo si fa in un attimo,  il cerchio si stacca e si sfila benissimo, senza rovinare il dolce. E se anche succede, poco male, la decorazione coprirà eventuali magangne.
A questo punto ricoprire tutto il bordo della bavarese con le fettine sottili di pesca, avendo cura di tagliarne un pezzetto alla base in modo che siano abbastanza pari, sormontandole leggermente.
Finita la decorazione ai bordi, mettere un poco di crumble sulla superficie del dolce  e qualche piccola decorazione di cioccolato, o altro, come più vi piace.






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a noi è piaciuta molto....ed ecco fatto, archiviata definitivamente l'estate, si volta pagina..





lunedì 14 ottobre 2013

Cucina regionale lombarda

La Lombardia è la mia regione d'adozione, ci vivo da quasi 60 anni, e la amo profondamente.
Amo i suoi panorami così diversi che spaziano dalla pianura alle bellissime montagne, passando per le dolci colline a sud e a nord,  fino ai suoi innumerevoli laghi e laghetti, tutti così diversi fra loro.
Mi piace molto quella malinconia che si respira d'autunno in pianura, le prime nebbie, le brume che si alzano dai suoi innumerevoli corsi d'acqua, le magie che in primavera la punteggiano col bianco e il rosa  degli alberi da frutto.
Mi piace guardare i filari delle pioppete o i maestosi alberi solitari, padroni della campagna. Osservare le ordinate geometrie dei campi, interrotte solo dal corso dei fontanili o dei suoi fiumi. Un paesaggio che di primo acchito può sembrare monotono  ma che  a me  affascina con le sue atmosfere solitarie, sempre diverse secondo le stagioni.
Una regione senza sbocco al mare, ma ricca di acque dolci. Canali, torrenti, fiumi, laghi.... per questo motivo la cucina lombarda, soprattutto nelle zone vicine ai laghi,   è ricca di molte preparazioni a base di pesce d'acqua dolce.
Uno dei classici più amati è il risotto  col pesce persico.
Un piatto abbastanza semplice ma che va cucinato rigorosamente col burro che è l'ingrediente che gli regala quel profumo e quel sapore  che lo contraddistinguono.
Certo, non è quel che si dice un piatto leggero, ma una volta ogni tanto si può...


Risotto e filetti di pesce persico

per due persone:

Riso Carnaroli q.b. (io calcolo 2 pugni a testa più 2 per la pentola)
burro abbondante
8/10 filetti di pesce persico
brodo vegetale
1 uovo
1 piccola cipolla
1 spicchio d'aglio
1 bicchiere di vino bianco
poca farina bianca
parmigiano grattugiato
salvia
sale, pepe bianco


Premetto che la ricetta classica dice di infarinare i filetti di persico, ma io preferisco  passarli  prima anche  nell'uovo sbattuto. Quindi:

Passare i filetti nell'uovo sbattuto e poi nella farina premendoli bene ma delicatamente. Tenere da parte ben distesi e separati  su un tagliere.
 Iniziare a preparare il risotto al solito modo, facendo sciogliere una noce abbondante di burro in una casseruola, unire la cipolla tritata e una volta che si ammorbidisce, senza colorare mi raccomando, unire il  riso, lasciarlo tostare qualche minuto, sfumare con il vino bianco e quando è evaporato l'alcool iniziare a tirare il risotto col brodo al solito modo.
A parte, in una larga padella mettere abbondante burro e quando è spumeggiante unire qualche foglia di salvia e lo spicchio d'aglio. Friggere i filetti nel burro finchè sono ben dorati da tutti e due  i lati e tenerli in caldo.
Bisogna  calcolare bene i tempi e cuocere tutto in  contemporanea, in modo che riso e pesce siano pronti nello stesso momento.

Allora, a questo punto il risotto sarà ormai quasi pronto  per cui mantecarlo con una noce di burro e un paio di cucchiai di parmigiano, regolare di sale e pepe. Lasciarlo riposare qualche secondo, poi versare la dose nel piatto e coprirlo con filetti di pesce persico dorati e qualche cucchiaio del burro di cottura del pesce.

Guarnire con una foglia di salvia e subito a tavola...

mi siedo a tavola davanti al piatto fumante,  e ritrovo i profumi che mi fanno sentire a casa...












mercoledì 9 ottobre 2013

Semplicità

Mi piace poter andare per ristoranti, scoprire ingredienti e modi diversi di intendere la cucina, abbiamo la fortuna di poterlo fare relativamente spesso, anche se a casa mia mangio solitamente  molto bene.  Per questo, quando vado al ristorante, voglio essere stupita, voglio uscire con la certezza che non mi dimenticherò delle sensazioni e del gusto dei cibi assaggiati, soddisfatta e convinta di aver speso bene i miei soldini.
Nel corso degli anni poi ti affezioni a quelli che ti sono piaciuti particolarmente, dove ogni volta che ci vai scopri qualcosa di nuovo.  Io ne ho due o tre che ho eletto fra i miei preferiti. Uno è La Kuccagna  e sta nei dintorni di Crema. Qualche chilometro da fare è vero, ma ne vale ampiamente la pena.
Prendi la Paullese e la scendi fino al cartello di Barbuzzera.  Lì svolti,  ti inoltri lungo una stradina bianca nella  campagna e arrivi ad un piccolo borgo in mezzo ai fontanili e ai campi. E ti ritrovi, per un tratto, in un altro tempo. Fuori dal chiasso e dal traffico. La città sembra lontanissima, e la strada provinciale non la vedi più, nessun rumore se non il cinguettio delle rondini che volano basse  sopra la testa. Sei proprio in campagna.
Ti aspettano un giardino bellissimo e un locale molto raffinato, e non te lo aspetti, pensi invece a un posto rustico, in carattere con il luogo. E invece, una volta entrati...
Lo staff  ti accoglie sempre con grande affabilità  e lo chef Roberto Magnani  sa realizzare piatti strepitosi, a volte anche utilizzando ingredienti poveri e molto  semplici. Dalle sue mani escono sempre vere bontà..
E' anche molto disponibile, infatti spesso lo tormento chiedendogli  informazioni tecniche o ricette, che lui condivide senza problemi....davvero grande!
 Una di quelle cose semplici  che apprezziamo molto è la battuta di carne.  Sembra semplice vero? Ma la semplicità d'esecuzione va applicata all'ingrediente principe, la carne. Che deve essere davvero di grande qualità.
Loro usano la fassona piemontese per questa preparazione e la variano secondo le stagioni,  e quando riesco a trovarla anch'io, cosa rara perchè non tutti i macellai la tengono,  la preparo molto volentieri, per la gioia di mio marito, che ne va matto.

L'ultima versione assaggiata e  che io  ho riprodotto stavolta,  è questa:



 Battuta di fassona, pane nero e crema di peperone


per due persone

300 gr   filetto di Fassona piemontese (o altra parte nobile)
3 peperoni carnosi (rossi e gialli)
fette di pane nero q.b.
sale, pepe nero macinato al momento
poco olio

per guarnire:
foglioline di origano fresco
pochissimo  formaggio spalmabile




per prima cosa bruciare i peperoni a contatto con la fiamma dei fornelli.
Mentre i peperoni si arrostiscono, iniziare a battere la carne, prima tagliandola a pezzetti e poi con un coltello appropriato iniziare la battitura per avere alla fine una tartare abbastanza morbida.
Condirla con un goccio d'olio, sale e pepe e lasciarla riposare al fresco.
A questo punto i peperoni saranno completamente bruciati e cotti. Metterli in un sacchetto di carta, di quelli del pane per intenderci, e lasciarli riposare un momento. Sarà più facile eliminare la pelle bruciata.
Operazione che richiederà qualche minuto e un po' di pazienza.
Una volta spellati i peperoni, eliminati i semi e i filamenti interni, passarli al frullatore tenendo da parte qualche strisciolina da usare per la guarnizione del piatto.
Preparare i crostini di pane nero. Se le fette sono grosse, dividerle a metà, velarle con un goccio d'olio   e tostarle in forno finchè sono quasi croccanti.
Riprendere la carne, farne delle polpettine tonde più o meno uguali.
Mettere un poco di crema di peperoni sui crostini di pane nero, appoggiarvi sopra la polpettina di carne, guarnire con un tocco bianco di formaggio spalmabile, foglioline di origano fresco, e qualche pezzetto di falda di peperone bruciato.

E' un ottimo antipasto, ma può essere anche un secondo nelle sere d'estate.


Grazie  Roberto Magnani! Sei davvero un gran chef e una bella persona.

il loro giardino incantato:












sabato 5 ottobre 2013

Ritorni

Tornare al mio paese  apre ogni volta voragini profonde  da cui risalgono ondate di ricordi, immagini e colori, suoni, profumi.
Appena lasciata la provinciale ci inoltriamo lungo la tortuosa strada comunale delle caserme, superiamo  quella che un tempo era una fornace e il piccolo ponte sul Gorgaz, un canale che scorre sempre impetuoso e si perde nel bosco, nascondendosi alla vista.
Le altane bianche della polveriera sono in lontananza, quando ci passiamo davanti le guardo, sono vuote, le aperture fra muratura e tetto sono chiuse da piccoli  vetri sporchi, come occhi  opachi, ciechi. Niente sentinelle armate, non più.  Un bel pezzo di territorio è preso dalla polveriera....le altane sono su tutto il perimetro, intervallate da una cinta  in maglia di ferro: Io ho sempre visto solo quelle sulla strada, difficile se non impossibile arrivare alle altre, in fondo al perimetro, direttamente nel bosco. Le guardo,  e pur se son vuote rivedo l'ombra del soldato in piedi dentro quella specie di garitta tonda in cemento, senza grande riparo dal freddo e dal caldo...mi son sempre chiesta come facessero passare il tempo, lì dentro. Forse contando le rare auto che passavano sulla strada, o forse osservando il volo degli uccelli....e chissà  sul lato del bosco, magari vedevano volpi e faine....e di notte, chissà se avevano paura di restare ore e ore  lassù, soli nel buio, ad ascoltare i suoni inquietanti provenire dalla boscaglia...
Mentre tutto questo mi scorre dentro agli occhi, arriviamo alla caserma. A quello che rimane della  mitica caserma Tagliamento, la caserma dei fanti d'arresto. Chissà poi  cosa vuol dire "d'arresto"...
Ora è  smantellata, frazionata in piccoli capannoni, trasformata in una piccola area commerciale/artigianale..
il poligono di tiro è stato dato ad  una armeria,   recuperato il  campo da tennis, e  vi sono le sedi  di un motoclub e quella del museo della  fanteria... 
Mio marito rallenta in vista della curva, e il mio sguardo indugia su quella che era l'entrata...un gabbiotto con la sbarra e l'ufficiale  di picchetto  con la sua fascia azzurra a bandoliera piantato lì davanti...per un attimo li rivedo ben nitidi.
Ogni giorno le ore erano segnate dagli squilli di tromba della caserma, il cui suono arrivava fin sulla soglia del paese, dove è casa mia. Scandivano l'alzabandiera,  il rancio,  le marce,  l'ammainabandiera e infine il silenzio... facevano quasi compagnia....
E la sera, la libera uscita....
voleva dire una fiumana di ragazzi che si riversava in paese...arrivavano a frotte, a piedi, cadenzando a volte, oppure a gruppetti di tre per volta, li sentivi arrivare cantando e si disperdevano nelle 4 o 5 osterie del paese..
d'estate quando anch'io ero in vacanza dalla nonna, la sera ci si sedeva fuori, sulla banchina di pietra lungo il muro esterno, ai piedi della roggia,  e si osservava il movimento. Le "babe" guardavano tutti da capo a piedi e poi facevano i loro commenti, non sempre edificanti. Io  seguivo  questi ragazzi con lo sguardo, e non potevo fare a meno di pensare che forse si sentivano molto soli, così lontano da casa. Perchè prima che istituissero una legge per cui i ragazzi di leva dovevano fare il militare entro un raggio di tot chilometri (pochi) da casa,  le persone del sud o del centro venivano mandate al nord, e viceversa....era la politica dell'esercito.
Mi facevano un po' pena quei ragazzi di allora, più grandi di me di un bel po'. Alcuni magri da far paura, che si perdevano dentro pantaloni che volevano essere  bermuda ma la taglia troppo grande ne faceva braghe  alla Ridolini...altri strizzati dentro camicie troppo strette per il loro torace, con il cappello a bustina, piegato e infilato sotto le spallotte della camicia...
Non erano ben visti in paese, nonostante grazie a loro il commercio fosse fiorente, e tante donne si guadagnavano qualche soldo in più lavando e stirando le camicie dei graduati...è che amoreggiavano con le ragazze del paese, e ai maschi locali la cosa non andava a genio.
Parecchie si sono anche sposate con i militari e si sono poi trasferite....ne conosco molte ..chissà che fine hanno fatto...
Mentre sono assorta nel pensare a tutto questo, siamo in paese. Dico a mio marito di passare dai Viali....è tanto che non ci passo, voglio rivedere l'aia dove si trebbiava il grano, luogo di divertimento assoluto di quando ero bambina...arriviamo e la grande aia non c'è praticamente più. Già, a che serve ora che si miete e trebbia direttamente sui campi?? Però poco più avanti  c'è sempre la casa con l'albero di pere. E' vecchio quel pero, ma non è certo quello che ricordo...
Quante ne abbiamo rubate da quell'albero! La sera, mentre le donne erano tutte fuori dalle  case intente a chiacchierare e spettegolare, gli uomini a giocare a bocce o al caffè, io e i miei amici facevamo scorribande nel buio...
la frutta era uno dei nostri obiettivi, e sapevamo bene dove trovarla...Quella casa aveva tanti alberi da frutta sul davanti, e l'albero di pere era quello più comodo da raggiungere. Pere Abate, che pendevano belle grosse dai rami frondosi. Non sempre mature però, a volte erano talmente indietro di maturazione che un morso ti legava i denti per mezz'ora...ma vuoi mettere la sensazione che avevamo nel coglierle di nascosto? Certo il loro padrone non era contento di sicuro...gliene sparivano due o tre una sera sì e una sera no...
Mentre varchiamo il cancello di casa sorrido fra me e me al ricordo di quelle bravate da ragazzini,   e penso che farò un dolce alle pere....


 Bavarese di pere e cioccolato in crosta


Per la bavarese:

500 gr pere mature ma ancora sode (ho usato le Coscia)
250 gr panna liquida fresca
2 cucchiai  colmi di zucchero 
2 cucchiai  di Calvados
10 gr colla di pesce
1 pizzicone di cannella
1 grattatina di noce moscata
1 pera


Per la ganache:
250 gr cioccolato fondente 70%
250 gr panna liquida
1 cucchiaio di Calvados
 

Per la crosta di cioccolato:

300 gr wafer al cioccolato
2 cucchiai cacao amaro
70/80  gr burro


Per decorare:

4 o 5  pere Coscia
sciroppo 1:1
ribes rosso 
poco succo di limone
2  gr di colla di pesce
1 cucchiaio di Calvados



Preparare la crosta:
Foderare il fondo di uno stampo da 24,  a cerniera,  con  carta forno bagnata e strizzata.
Fondere il burro. 
Nel mixer tritare grossolanamente i wafer insieme al burro fuso e al cacao, versare il tutto nello stampo e compattare bene con le mani facendo risalire un po’ il composto sui bordi. Mettere in frigo a indurire.

Sbucciare le pere per la decorazione, tagliarle a metà, pulirle dal torsolo e tagliarle a fettine sottili. Cospargerle con poco succo di limone perchè non anneriscano.
Preparare lo sciroppo mettendo a scaldare la stessa quantità di acqua e zucchero, lasciarlo bollire qualche istante, poi tuffarvi le fettine di pera. Cuocere per qualche minuto. Devo essere morbide ma ancora maneggiabili senza problemi, non sfatte. Aggiungere anche il liquore, lasciar cuocere ancora qualche istante, spegnere  e lasciar raffreddare completamente.

Preparare la ganache:
mettere a bollire la panna, spezzettare il cioccolato in una ciotola capiente.
Appena la panna accenna il bollore, versarla sul cioccolato, lasciar riposare qualche istante, quindi mescolare fino ad avere una crema liscia e densa. Profumare con il Calvados, lasciar raffreddare quindi mettere in frigorifero.


Sbucciare i 500 gr di pere (peso a frutta pulita), privarle del torsolo e dei semi, tagliarle a spicchietti e cuocerle con il cucchiaio e mezzo di zucchero e due dita d’acqua. Ammollare la colla di pesce in acqua fredda.
Non appena la frutta si ammorbidisce, frullare il tutto e rimettere su fuoco moderato per qualche minuto per ridurre lil liquido in eccesso. Profumare con la cannella, e la noce moscata. Aggiungere la colla di pesce ben strizzata e far sciogliere completamente sempre mescolando. Profumare col Calvados e  mettere a raffreddare mescolando ogni tanto in modo che non "si rapprenda.
Quando la crema di pere è completamente fredda e comincia a tirare, montare la panna ben ferma e incorporarla delicatamente e con pazienza al composto.


Riprendere lo stampo con la crosta ormai indurita.
Riprendere dal frigorifero anche la ganache, montarla con le fruste elettriche.  Fare un primo strato di ganache sulla base di wafer ormai soda.  Livellare bene la superficie e su questa versare,  poca alla volta, la bavarese di pere, facendo uno strato abbastanza uniforme, livellare bene  e mettere in frigo a raffreddare.
Poco prima di servire, scolare le pere dallo sciroppo conservandolo,  asciugarle con carta da cucina in modo che non rilascino liquido sul dolce.
Scaldare di nuovo lo sciroppo rimasto, ammollare la gelatina in acqua fredda, e una volta ammollata, scioglierla nello sciroppo di cottura delle pere. Lasciar raffreddare.
 
Mentre la gelatina si raffredda,  aprire la tortiera, eliminare il foglio di carta dal fondo e posare il dolce  direttamente sul piatto di servizio.
Decorare la superficie  della bavarese con  le fettine di pera  messe a cerchi concentrici, in modo che  risulti completamente coperta.
Tenere in frigorifero in caso la gelatina non sia ancora del tutto fredda.
Poi, con l'aiuto di un pennello, spennellare delicatamente le fettine di pera con la gelatina, cercando di fare uno strato omogeneo. Colorare il tutto con un rametto di ribes rosso e tenere in frigorifero fino al momento di assaggiare..




se volete potete  mettere, fra lo strato di  ganache e quello di bavarese, dei pezzetti di pera, di quelle cotte nello sciroppo. In questo caso bisogna calcolare una pera in più nella dose della ricetta.



un dolce dall'accostamento classico, pere e cioccolato. La differenza qui la fa la pera, che deve essere davvero dolce e profumata. E il sapore del cioccolato deve fondersi perfettamente, senza sovrastare la pera.
Mi scuso per le foto, non sono bellissime, e come sempre la mia manualità è pari a zero,  il risultato estetico alla fine non era perfetto. Ma vi garantisco che il sapore sì, lo era!


Flavio, questa è per te!