- Dai, aspetta, quando tua nonna si addormenta scappa via.
Ci vediamo davanti alla fontana, diceva lei.
Io e AnnaMaria siamo figlie di primi cugini. Suo nonno e mio nonno erano fratelli. Il suo si chiamava Angelo, morto nella Grande Guerra, ora riposa nel sacrario di Redipuglia.
A mio padre, nato nel 1921, avevano imposto il suo nome per ricordarlo, e ogni volta che entravo nel piccolo cimitero di Arzene mi veniva un coccolone leggendolo sulla lapide commemorativa affissa al muro.
Pochi anni di differenza fra me e lei, davvero pochi, lei la più piccola fra noi. Cresciuta allo stato brado, praticamente lasciata a se stessa in una famiglia molto articolata, patriarcale secondo l'usanza del tempo, tutta dedita al lavoro della campagna e poco alla educazione dei figli, era quel che si diceva un maschiaccio. Libera e senza regole, senza orari da rispettare che non fossero quelli legati alle poche incombenze che svolgeva in famiglia, tipo andare a portare il latte alla latteria sociale alle sei di sera. Al contrario di me che gli orari li dovevo rispettare categoricamente, pena castighi tipo pacche sulle gambe con un flessibile ramo di salice predisposto allo scopo da mia nonna. Un tipo un po' ribelle insomma, che mi piaceva molto.
Così, nei pomeriggi estivi pieni di sole e assordati dal frinire delle cicale, sdraiata sul mio letto con un giornalino, aspettavo che mia nonna si addormentasse poi sgattaiolavo silenziosamente fuori di casa e andavo all'appuntamento in piazza, davanti alla fontana. Tanto non ci avrebbe visto quasi nessuno, fino alle 16 dormivano tutti in paese, poche le anime che vedevi in giro...
Correvamo via, a volte a piedi, a volte in due sulla sua bici, fino in cima al paese, e tagliavamo per i campi e per le vigne delle Grave senza incontrare anima viva. Lasciata la bici appoggiata a un albero, camminavamo fino alla polveriera, attraversando campi e fossi, cercavamo more, lamponi selvatici, more di gelso e frutta in genere..
I gelsi un tempo reggevano i filari delle viti, e le loro foglie servivano per alimentare i bachi da seta, quando, negli anni quaranta, venivano allevati intensivamente in Friuli. Amo il gelso, come pianta ornamentale. Se lasciato crescere, ha un cappello fantastico, una chioma tondeggiante, ombrosa ed elegante. Un albero bellissimo che ormai si vede raramente nelle campagne.
Quando andavamo per more, ci organizzavamo per non sporcarci troppo. Le more lasciavano il blu dappertutto, e rivelava le nostre scappatelle e non potevamo permettercelo, altrimenti addio scorribande in campagna durante le ore del riposo.
Le pesche erano le nostre preferite per fare merenda, ma non sempre erano completamente mature, e a me piacevano appunto per quello. La frutta troppo matura non mi è mai piaciuta.
Pesche dalla buccia verdolina punteggiata di macchioline rosse, a pasta bianca, pelosissime e con un profumo intenso e buono mai più sentito. Le Spaccatelle le chiamava mio padre. Addentandole si rompevano a metà rivelando il nocciolo rosso scuro che si rompeva a sua volta con molta facilità. E che sapore!
A volte facevamo incontri non proprio rassicuranti...una volta, in un campo coltivato a foraggio, vedemmo l'erba ondeggiare, ma l'aria era completamente ferma. Restammo in silenzio ad osservare, incuriosite e con i sensi all'erta, e poco dopo due serpenti neri fecero capolino, come ci videro alzarono entrambi la testa di parecchio, muovendo la loro lingua biforcuta. Scappammo a gambe levate, con il terrore di voltarci a guardare per paura che ci seguissero. Credo che avremmo battuto ogni record di velocità, se l'avessimo misurato. Erano solo due innocui biacchi neri in fondo, ma noi allora non lo sapevamo. Per un po' in quel posto non ci andammo per paura di incontrarli di nuovo.
Peccato perchè per raggiungere le nostre desiderate pesche dovevamo proprio attraversare quel campo.
Ci consolammo con le more e i lamponi selvatici quel giorno, facendo merenda sedute all'ombra di un grande platano, col suono assordante delle cicale, e il canto degli uccellini.
Ricordo con infinita nostalgia e tenerezza quelle estati così spensierate, in compagnia di AnnaMaria.
Qualche volta, quando ci incontriamo, ripercorriamo le nostre avventure estive, ricordando e rimpiangendo quel senso di libertà e spensieratezza totale che ci accompagnava.
Quelle merende sotto il platano, il fazzoletto aperto sull'erba dove appoggiavamo le more e le pesche, il rumore delle cicale, i biacchi che passeggiavano nell'erba medica, e noi due che ridevamo e chiacchieravamo all'infinito.......quanti bellissimi momenti! Bagaglio di ricordi dolcissimi ormai.....
e invece ora capita di rado che faccia merenda, molto di rado.
Però l'altro giorno ho fatto dei biscotti per il mio goloso nipotino Valerio e ho scelto di fare quelli che amo di più in assoluto, gli ovis mollis. Poi mi sono fatta un buon caffé e me ne sono gustati alcuni anch'io, con calma, e il pensiero è andato inevitabilmente a quelle bambine sotto al grande platano delle Grave.
non so se ci sono ricette codificate per questi biscotti, io so che quella che faccio è perfetta per come piacciono a me, oltremodo scioglievoli e profumati.. Me l'ha regalata Maurizio, lo chef patissier del Mulino di Ospiate. La prima volta che li ho assaggiati è stato da loro, a fine pasto, come accompagnamento per il caffè e me ne sono innamorata pazzamente.. Una ricetta che mi tengo cara, in ricordo di una bella persona.
Gli Ovis Mollis di Maurizio
5 tuorli sodi
200 gr farina
100 gr fecola
100 gr zucchero a velo
200 gr burro morbido
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
poca scorza di limone
poca scorza di limone
marmellata a piacere
lessate le uova e lasciatele raffreddare nella loro acqua, quindi sgusciatele e tenete da parte i tuorli sodi.
Lasciate anche ammorbidire bene il burro a temperatura ambiente.
Nella ciotola della planetaria mettete tutti gli ingredienti, quindi con pazienza passate al setaccio i tuorli sodi facendoli cadere nella ciotola e miscelate il tutto con la foglia fino a che l'impasto si raccoglie a palla.
Togliete l'impasto dalla ciotola, dividetelo in due e arrotolatelo facendo due filoncini in un poco di pellicola. Mettete in frigorifero a riposare per almeno un'ora. Dopodiché, tagliate a rondelle, possibilmente uguali, mica come me, i filoncini.
Con un cucchiaino riempite con la marmellata le infossature, senza esagerare altrimenti deborda in cottura.
Io ho usato quella di albicocche che avevo già aperta in frigorifero, ma sono ottimi anche con quella di ciliegie o di arance. Fate voi secondo il vostro gusto.
Una volta ben allineati come tanti soldatini, infornate a 170° ventilato, per circa 10/12 minuti, dipende dal forno. Sono pronti quando iniziano a colorarsi leggermente.
Lasciateli raffreddare completamente prima di riporli in una scatola di latta, si conserveranno a lungo. E assaggiateli il giorno dopo, saranno decisamente migliori.
Confesso che questi li ho fatti di corsa, e non sono stata molto precisa, per cui in qualcuno la marmellata è "sbavata" ma a Valerio non è importato granché e. Se ne è divorati parecchi, e pure io devo dire.
Non amo il the, preferisco di gran lunga il caffè, e me lo sono regalata così, pensando a quelle merende spensierate con AnnaMaria.