Voglia di vacanza, di prendere la macchina e partire, andare verso il mare, quale che sia, anche quello del Nord. Lasciare tutto alle spalle per un po', dimenticare le noie, i problemi, la routine.
Mentre penso a quante mete avrei ancora da raggiungere, quante città e paesi da visitare, mi tornano in mente vacanze antiche.
Per noi, la prima volta da soli, appena sposati, disubbidendo alla tradizione che voleva andassimo tutti insieme appassionatamente nella casa friulana, fu al mare, in albergo per una settimana. E per me fu una specie di affrancamento dalla regola di tutti i vent'anni della mia vita: vacanze=casa al paese, in Friuli. Quella prima volta fu Bibione, in fondo non troppo lontano dai miei, contenti di sapere che comunque qualche giorno lo avremmo passato anche con loro, prima di ripartire. Poi pian piano le distanze si allungarono...
Ferragosto però era una data obbligata. Mio padre invitava zie e zii, una cugina, amici ecc. ecc. Insomma eravamo sempre tanti. In quegli anni avevamo l'abitudine di andare a fare il classico pic nic in campagna, non troppo lontano, in certi posti molto ombreggiati, magari sulle rive di qualche ruscello, dove poter mettere le bevande, e la immancabile anguria, al fresco. Il problema era il viaggio. Solo noi e mio padre avevamo la macchina, e i posti disponibili in auto non bastavano, perciò ci si doveva sobbarcare un paio di viaggi per trasportare tutti alla meta. Erano i primi anni '70, le grigliate di Ferragosto ancora non erano all'orizzonte, ma ci arrivarono dopo pochi anni, così il pic nic venne sostituito da un grande pranzo in giardino, con ancor più ospiti.
Ricordo grigliate quasi epiche, con mio padre fuochista che iniziava la mattina presto a organizzarsi il fuoco, mentre mia madre, aiutata da noi figlie, pensava a tutto il resto fin da un paio di giorni prima. Apparecchiavamo in giardino, mettevamo lunghe panche per i più giovani e sedie comode per gli anziani, e pur disponendo di un numeroso corredo di stoviglie, alla fine mancava sempre qualche forchetta, o qualche bicchiere. Dalla nostra cucina di campagna usciva di tutto quel giorno. Perdevo il conto di quante verdure preparasse mia madre, per accompagnare la carne alla griglia, e poi salame, formaggio, frutta, tortee dolci vari.
Un anno mio padre sbagliò la cottura delle costine di maiale, stranamente dico io, perchè con la griglia dava davvero il meglio di sè. Praticamente non le fece cuocere in maniera uniforme e qualcuna poco cotta finì nel piatto di mio marito. Lui non è un patito della carne di maiale e naturalmente, per la legge di Murphy, quelle mezze crude son toccate a lui. Ricordo ancora la sua espressione al primo morso.
Da quel momento la carne di maiale fu bandita per anni dalla mia cucina, e sebbene siano passati oltre cinquant'anni da quel giorno, un mezzo diktat dura ancora, anche se praticamente solo proforma. Però a me piace questa carne e non ho nessuna intenzione di rinuciarci, ma quando la preparo la devo "truccare" un poco perchè non riconosca quell'odore di maiale crudo che gli è rimasto in testa. Come questi stinchi che ho fatto domenica scorsa.
Una ricetta che è stata molto apprezzata, soprattutto da quello che non ama la carne di maiale.
Stinchi di maiale alla birra e liquerizia
per 4 persone
2 stinchi di maiale abbastanza grossi
1 piccola carota
1 costa di sedano
6 o 7 scalogni
la scorza di una arancia non trattata
1 lattina di birra chiara da 33 cl
1 e 1/2 cucchiaio di liqueriza in polvere
1 foglia di alloro
1 rametto di rosmarino
3 o 4 rametti di timo
una noce di burro
un goccio di olio e.v. d'oliva
sale, pepe nero
Pulite gli stinchi da eventuale pelle e grasso in eccesso.
Stappate la birra e versatela in una caraffa, unite la liquerizia in polvere e stemperatela nel liquido.
Scaldate il burro e l'olio in una casseruola possibilmente antiaderente, rosolate molto bene gli stinchi da tutti i lati, unite gli scalogni puliti, interi, la scorza dell'arancia lavata e privata della parte bianca, la carota e la costa di sedano mondate e lavate, tagliate in tre pezzi, l'alloro, il rosmarino, il timo, regolate di sale e di pepe, fate insaporire un paio di minuti quindi sfumate il tutto con la birra alla liquerizia, lasciate che prenda calore, poi abbassate il fuoco, coprite la casseruola e portate a cottura aggiungendo poca birra a temperatura ambiente, se serve.
Dovrete avere gli stinchi ben cotti e un fondo abbastanza lento ma ristretto, non acquoso.
Affettateli poi filtrate il loro fondo con un colino cinese, premendo bene le verdure in modo da estrarne tutto il sapore, e nappate la carne.
Potete servirli con un puré di patate o quello che preferite.
Pian piano la regola vacanze=casa in Friuli, cambiò, niente più ferragosto in famiglia, noi comprammo una roulotte e d'estate iniziammo ad andar per mari, ogni anno un posto diverso, ma l'abitudine di tornare in Friuli anche per pochi giorni rientrando dalle vacanze rimase a lungo anche quando la vendemmo.
Tornare dalle ferie dopo magari due mesi che non vedevo i miei che stavano in Friuli per l'estate, era diventata una specie di necessità, non mi pesava più il dover fare un pellegrinaggio a trovare tutti i parenti, ma proprio tutti, nè mi dispiacevano più il silenzio e la pace del mio piccolo borgo la sera e facevo in tempo a fare qualche giro sulle bellissime montagne friulane. Dopo 3 settimane di mare era riposante tutto quel verde. Approfittavo di quei giorni anche per lavare tutte le cose del mare, spugne, costumi, stendevo sui fili tirati nell'orto e tornavo a casa mia con tutta la biancheria che profumava di sole...
Poi mio padre se ne andò...ma questa è un'altra storia...
venerdì 31 gennaio 2020
lunedì 27 gennaio 2020
I miei pancakes ricotta e mirtilli per il Club del 27
il Club del 27 è tornato, e vi propone delle ricette per colazioni super energetiche, un’iniezione di sprint per iniziare al meglio la giornata.
Io, visto che adoro i pancakes, ho scelto una ricetta davvero golosa, dove la ricotta aggiunge sofficità, mentre la composta di mirtilli regala dolcezza
Pancakes con ricotta e composta di mirtilli
per 8 pancakes
per la composta:
130 g di mirtilli freschi (o una tazza di quelli congelati)
2 cucchiai di zucchero
1 cucchiaino di succo di limone
per i pancakes:
65 g di farina
1/4 di cucchiaino di lievito per dolci
1 cucchiaino scarso di bicarbonato di sodio
120 g di ricotta
60 g di latte intero
2 albumi di uova grandi
1 cucchiaino di olio di semi
un pizzico di sale fino
Mettete i mirtilli con 1 cucchiaio di zucchero e il succo di limone in un pentolino e portate a ebollizione, abbassate il fuoco al minimo e fate cuocere mescolando ogni tanto, fino a quando mirtilli inizieranno a rilasciare il loro succo, non ci vorranno più di 5 o 6 minuti, dopodichè togliete dal fuoco e tenete da parte.
In una ciotola stemperate la ricotta con il latte e gli albumi. Mescolate fino a quando il tutto sarà una crema fluida.
In un'altra ciotola mescolate la farina con il lievito, l'altro cucchiaio di zucchero, il bicarbonato e il pizzico di sale.
Aggiungete il misto di ricotta alla farina, mescolate bene finchè il composto è perfettamente liscio.
Ungete una padella antiaderente con l'olio, mettetela su fuoco medio, versate una abbondante cucchiaiata di pastella e fate in modo che rimanga tonda. Lasciate cuocere finchè qualche bolla comparieà nel centro, allora giratela con l'aiuto di una spatola e cuocete ancora un minuto.
Ripetete l'operazione fino ad esaurire la pastella.
Io, visto che adoro i pancakes, ho scelto una ricetta davvero golosa, dove la ricotta aggiunge sofficità, mentre la composta di mirtilli regala dolcezza
Pancakes con ricotta e composta di mirtilli
per 8 pancakes
per la composta:
130 g di mirtilli freschi (o una tazza di quelli congelati)
2 cucchiai di zucchero
1 cucchiaino di succo di limone
per i pancakes:
65 g di farina
1/4 di cucchiaino di lievito per dolci
1 cucchiaino scarso di bicarbonato di sodio
120 g di ricotta
60 g di latte intero
2 albumi di uova grandi
1 cucchiaino di olio di semi
un pizzico di sale fino
Mettete i mirtilli con 1 cucchiaio di zucchero e il succo di limone in un pentolino e portate a ebollizione, abbassate il fuoco al minimo e fate cuocere mescolando ogni tanto, fino a quando mirtilli inizieranno a rilasciare il loro succo, non ci vorranno più di 5 o 6 minuti, dopodichè togliete dal fuoco e tenete da parte.
In una ciotola stemperate la ricotta con il latte e gli albumi. Mescolate fino a quando il tutto sarà una crema fluida.
In un'altra ciotola mescolate la farina con il lievito, l'altro cucchiaio di zucchero, il bicarbonato e il pizzico di sale.
Aggiungete il misto di ricotta alla farina, mescolate bene finchè il composto è perfettamente liscio.
Ungete una padella antiaderente con l'olio, mettetela su fuoco medio, versate una abbondante cucchiaiata di pastella e fate in modo che rimanga tonda. Lasciate cuocere finchè qualche bolla comparieà nel centro, allora giratela con l'aiuto di una spatola e cuocete ancora un minuto.
Ripetete l'operazione fino ad esaurire la pastella.
Servite con la composta di mirtilli.
martedì 21 gennaio 2020
Pescatrice al Cognac e arancia, crema di porri e polvere di capperi
Pescatrice al Cognac e arancia su crema di porri e polvere di capperi
per 4 persone
4 grossi porri
1 piccola pescatrice
2 arance
100 ml di Cognac
1 noce di burro
olio e.v. d'oliva
sale
q.b. di polvere di capperi
Ricavate due filetti dalla pescatrice eliminando la grossa spina centrale, eliminate anche eventuali eccedenze di pelle scura poi lavateli, asciugateli e tagliateli a grossi pezzi.
Spuntate i porri dalla barba e dalla parte dura superiore, eliminate un paio di foglie esterne, lavateli accuratamente e tagliateli a rondelle, tenetene da parte qualcuna delle più coriacee, vi serviranno per la decorazione. Mettete i porri stufare in una noce di burro e un goccio d'olio, salateli e aggiungete un poco di acqua calda o, se ne avete, di brodo vegetale poi coprite il tegame e portateli a cottura lasciandoli un po' lenti. Frullateli a crema e tenete in caldo.
Con un rigalimoni ricavate delle sottili scorzette dalle arance, poi spremetele e filtratene il succo.
Sbianchite un minuto in acqua bollente le rondelle verdi dei porri che avete tenuto da parte, scolatele e passatele immediatamente sotto l'acqua fredda.
Infarinate i pezzi di pescatrice e fateli rosolare molto bene in una larga padella con un filo d'olio, lasciateli dorare molto bene da tutti i lati, quindi sfumate con il Cognac facendo attenzione. Lasciate evaporare qualche minuto poi aggiungete il succo d'arancia e le scorzette e portate a cottura completa, solo in questo momento regolate di sale.
Mettete un poco di crema di porri nella fondina, aggiungete tre pezzetti di pescatrice e completate con la polvere di capperi, qualche filo di porro e qualche scorzetta d'arancia.
Servite ben caldo.
Un piatto colorato e saporito che si prepara davvero in pochi minuti.
Provate!
sabato 18 gennaio 2020
Risotto affumicato, crema di porri, petto d'anatra laccato all'arancia e miele, e il mio primo giro in 500
Ho iniziato a lavorare nella primavera del 1964 che non avevo ancora l'età consentita, i 15 anni li avrei compiuti a dicembre e fino a quella data ho lavorato in nero per 22.000 lire al mese, poi una volta raggiunta l'età legale, sono stata assunta come apprendista impiegata e lo stipendio è aumentato a 23.000 lire. Non so come fossi capitata lì, se per un passa parola messo in atto da mia madre finiti i due anni di Istituo Dardi dopo le commerciali, o chissà che altro, ma ci son rimasta malvolentieri per tre lunghi anni.
Ci mettevo quasi due ore per arrivare in ufficio, prendevo tre mezzi ogni mattina e per essere in orario dovevo alzarmi quasi all'alba, abitavo in zona Niguarda e dovevo andare in Viale Cassala, 50 minuti di filovie varie, poi da lì altri 10 minuti a piedi, non proprio dietro l'angolo.
Parlare di ufficio è un eufemismo. In fondo alla via Carlo Torre, prima di imboccare la via Argelati, c'era un grande spiazzo di terra battuta contiguo a una grande serra/vivaio, sulla destra una stradina scendeva verso una specie di grande cratere popolato di baracche di legno raffazzonate, regno incontrastato degli straccivendoli che oltre agli stracci accumulavano un po' di tutto. Questo spazio era sovrastato da vecchie casupole basse, alcune pure diroccate, retaggio del dopoguerra. In una di quelle, al n. 44, c'erano ufficio e deposito della Carolina Monaci tubolari in ferro. Una bergamasca di Branzi, arrivata a Milano adolescente, dove ha vissuto da sola fino al matrimonio avvenuto alle soglie dei quaranta.
Ricordo due piccole stanzette, un disimpegno con la stufa a legna e il tavolino a disposizione del Bolla, il fattorino, e dei rappresentanti quando venivano in sede, i pavimenti in assi di legno consumate e sconnesse e ormai senza più colore che avevi un bel daffare a tenere pulite, dato che si potevano solo ramazzare. La scrivania dell'ufficio "padronale" era un grande tavolo di noce scuro molto lavorato protetto da un piano di cristallo spesso, con davanti sedie di modello rinascimentale con schienale e seduta in pelle consumata. L'altra stanzetta ospitava me e Enrica, la mia prima collega, che mi ha preso subito sotto l'ala. Di sotto, il deposito con le lunghe barre di ferro di ogni foggia e misura, e due operai.
Un luogo davvero squallido, finestre che stavano insieme per miracolo, topi che ogni tanto scorazzavano tranquillamente in cerca di cibo, e il bagno che consisteva in un piccolo water ingiallito e incrostato, situato sotto la scala che scendava al deposito, a disposizione di chiunque. Affacciandomi alla finestra mi pareva di essere dentro la baraccopoli del film Miracolo a Milano. Era davvero desolante in eguale modo.
Fortunatamente, dopo un anno vissuto in mezzo agli straccivendoli, ai topi e agli sbalzi d'umore della Monaci, ci siamo trasferiti nel capannone che aveva costruito sulla Strada Vigevanese nuova, in territorio di Corsico. Per me il cambio significò alzarmi ancora prima quindi, agli altri, aggiunsi un altro mezzo pubblico, la corriera blu che da via Lorenteggio portava a Corsico.
In quel periodo la Monaci, che era ormai oltre la cinquantina, prese la patente.
Tutte le sere, chiuso l'ufficio, suo marito il Dott. Bruno Calabretta, calabrese doc, le faceva scuola guida nelle vie poco battute su una Fiat cinquecento bianca.
Una sera mi chiese di fermarmi un po' di più per aiutarla a terminare delle offerte. Non si preoccupi mi disse, poi l'accompagneremo noi alla fermata della filovia. Si fece parecchio tardi, ma alla fine mi fecero salire sulla cinquecento bianca e partimmo alla volta della fermata pensai io, già pregustando la cena di mia madre. E invece no, andammo a fare la sua lezione di guida serale in un parcheggio in fondo al Quartiere Tessera. Era la prima volta che salivo su una 500 e immaginatevi che, al tempo, per farla partire bisognava fare la doppietta, e immaginatevi anche una donna di mezza età che non aveva ancora iniziato a fare una guida privata con l'istruttore. Praticamente si fecero quasi le nove di sera e io rimasi in balia di due coniugi di mezza età che litigavano furiosamente perchè lei non riusciva a partire senza sobbalzare. Avevo 16 anni, non osavo aprire bocca, di quel lavoro avevo bisogno, ma non ne potevo più. Poi si resero finalmente conto dell'ora, deposero le armi e mi invitarono a cena a casa loro. Telefonarono a mia madre perchè non mi desse per dispersa e dopo una mezz'ora arrivò in tavola un'anatra arrosto, con contorno di patate lesse. Aveva preparato tutto la colf prima di andarsene, c'era solo da tagliare e scaldare.
Una carne che a casa mia veniva preparata raramente e solo sotto Natale, una carne che io non apprezzavo particolarmente, ma quella sera fra la fame che mordeva, fra la stanchezza e la voglia di tornarmene velocemente a casa mia, ho divorato nel vero senso della parola.
Una esperienza, quella con la Monaci, che ricordo senza rimpianto. Anzi.
Quando arrivai ai 18 anni, mi licenziò. Avrebbe dovuto obbligatoriamente passarmi da apprendista a impiegata, e le sarei costata molto di più visto che avrebbe dovuto versare i contributi, a quei tempi non previsti per gli apprendisti.
Ebbe il coraggio di trattenermi dalla liquidazione 2.013 lire di Ige versata in più per errore sul bollettino giallo. Lei che occultava le provvigioni ai rappresentanti se i loro clienti venivano da soli a comprare il ferro. Lei che mi diceva che ero seduta sulla mia fortuna, e che dovevo fare come lei che a 16 anni se ne era andata di casa e aveva conosciuto il mondo. Credo che intendesse in senso biblico.
Però ricordo con molto affetto Enrica, che ho appena scoperto essere mancata recentemente purtroppo, non ho fatto in tempo a rivederla e mi dispiace moltissimo. L'unica cosa per cui posso ringraziare la Monaci è che ho imparato a muovermi per tutta la città dato che mi sguinzagliava in giro a portare documenti, ho imparato a rapportarmi con le persone senza timidezza e ho imparato a contrattare con i funzionari dell'Intendenza di finanza di via Manin, dove mi mandava allo sbaraglio quando si dovevano definire le tasse da pagare (Vanoni non era ancora arrivato), mi ha praticamente tirato fuori dal guscio, insegnandomi che nulla è fuori dalle mie capacità. Certo non è poco, ma era una donna impossibile, arrogante, capricciosa e prepotente, e quei tre anni sono stati davvero pesanti.
Vabbè, bando ai ricordi e torniamo all'anatra.
Ho imparato ad apprezzarla nel tempo, ma non la faccio spesso. Purtroppo l'anitra intera si trova più frequentemente sotto Natale, per il resto dell'anno solo cosce o petti, e uno di questi che avevo in freezer ho pensato che sarebbe stato molto bene accompagnato da un riso affumicato che ho trovato non mi ricordo più dove.
Risotto affumicato, crema di porri e petto d'anatra laccato all'arancia e miele
per 2 persone di buon appetito
per il risotto
300 g di riso affumicato
3 bei porri
1 piccola cipolla
q.b. di brodo vegetale
100 g di burro
2 cucchiai colmi di parmigiano grattugiato
1/2 bicchiere di vino bianco
sale
per il petto:
1 petto d'anatra
il succo di 3 arance
1 spicchio d'aglio
2 cucchiai colmi di miele d'acacia
1 cucchiaino di pepe di Sichuan
2 rametti di timo
sale
Parate il petto d'anatra, incidetene trasversalmente la pelle senza arrivare alla carne e facendo una specie di griglia.
Dalle arance, con un rigalimoni ricavate dei filettini, poi spremetele e filtrate il succo raccogliendolo in una ciotola, aggiungete lo spicchio d'aglio tagliato a pezzetti, il timo, 1 cucchiai di miele, il pepe di Sichuan pestato nel mortaio e un pizzico di sale, mescolate bene per far sciogliere il miele. Immergete il petto in questa marinata, coprite la ciotola e mettetela in frigorifero per almeno un'ora.
Dalla scorza delle arance spremute, a cui avrete tolto la parte bianca, ricavate delle strisce sottili.
Mondate e lavate i porri, tagliateli a rondelle e fateli stufare con una noce di burro, aggiungendo un poco di brodo vegetale. Fateli cuocere a fuoco basso coperti, regolate di sale e controllate che rimangano abbastanza lenti, eventualmente aggiungete poco brodo vegetale alla volta. Una volta cotti, frullateli a crema con il minipimer e teneteli in caldo.
Rriprendete il petto dalla marinata, asciugatelo tamponandolo con della carta da cucina e spennellatelo dalla parte della pelle con il restante cucchiaio di miele.
Scaldate un filo leggerissimo d'olio e iniziate a rosolare la carne dalla parte della pelle. Lasciate che si dori molto bene, ci vorranno circa 5 o 6 minuti, poi giratela dall'altra parte e fatela cuocere per altri 5 minuti, quindi filtrate il liquido della marinata, conservatene una mezza tazza e col resto sfumate la carne, continuando a cuocerla per altri 6 o 7 minuti, non di più. Il petto dovrà rimanere rosato.
Togliete la carne dalla padella, avvolgetela in un poco di alluminio e lasciatela riposare. Deglassate il fondo con la tazza di marinata tenuta da parte, poi trasferitelo in un pentolino più piccolo, filtrandolo. Rimettete su fuoco dolce, unite le scorze d'arancia ricavate in precedenza e lasciate che si riduca un pochino poi, fuori dal fuoco, aggiungete una noce di burro freddissimo e fatelo sciogliere roteando il pentolino, in questo modo il fondo si ispessirà. Tenete in caldo.
Nello stesso tempo avviate il risotto, rosolate la cipolla e unite il riso, lasciatelo tostare poi sfumatelo con il vino bianco, quindi iniziate a tirarlo con il brodo vegetale ben caldo. Verso fine cottura, aggiungete il due terzi di crema di porri, lasciate insaporire qualche minuto, giusto il tempo che il riso arrivi a cottura e mantecate il risotto con il burro e il parmigiano.
Lasciate riposare qualche istante, nel frattempo affettate il petto d'anatra
Infine mettete il riso nei piatti, aggiungete un poco di crema di porri, nappate con il fondo di cottura ridotto, appoggiateci sopra le fette di petto d'anatra, decorate con qualche scorzetta d'arancia e servite.
Il riso affumicato che ho trovato è questo:
Aprendo il barattolo mi è sorto qualche dubbio, ma una volta preparato il risotto, tutto si è rivelato delicato e per niente invasivo. Un ottimo connubio con la dolcezza del miele e del porro e la leggera acidità dell'arancia.
La Monaci, credo ormai scomparsa, non saprà mai che l'anatra arrosto di quella lontana sera del 1965 ha lasciato comunque il segno.
Ci mettevo quasi due ore per arrivare in ufficio, prendevo tre mezzi ogni mattina e per essere in orario dovevo alzarmi quasi all'alba, abitavo in zona Niguarda e dovevo andare in Viale Cassala, 50 minuti di filovie varie, poi da lì altri 10 minuti a piedi, non proprio dietro l'angolo.
Parlare di ufficio è un eufemismo. In fondo alla via Carlo Torre, prima di imboccare la via Argelati, c'era un grande spiazzo di terra battuta contiguo a una grande serra/vivaio, sulla destra una stradina scendeva verso una specie di grande cratere popolato di baracche di legno raffazzonate, regno incontrastato degli straccivendoli che oltre agli stracci accumulavano un po' di tutto. Questo spazio era sovrastato da vecchie casupole basse, alcune pure diroccate, retaggio del dopoguerra. In una di quelle, al n. 44, c'erano ufficio e deposito della Carolina Monaci tubolari in ferro. Una bergamasca di Branzi, arrivata a Milano adolescente, dove ha vissuto da sola fino al matrimonio avvenuto alle soglie dei quaranta.
Ricordo due piccole stanzette, un disimpegno con la stufa a legna e il tavolino a disposizione del Bolla, il fattorino, e dei rappresentanti quando venivano in sede, i pavimenti in assi di legno consumate e sconnesse e ormai senza più colore che avevi un bel daffare a tenere pulite, dato che si potevano solo ramazzare. La scrivania dell'ufficio "padronale" era un grande tavolo di noce scuro molto lavorato protetto da un piano di cristallo spesso, con davanti sedie di modello rinascimentale con schienale e seduta in pelle consumata. L'altra stanzetta ospitava me e Enrica, la mia prima collega, che mi ha preso subito sotto l'ala. Di sotto, il deposito con le lunghe barre di ferro di ogni foggia e misura, e due operai.
Un luogo davvero squallido, finestre che stavano insieme per miracolo, topi che ogni tanto scorazzavano tranquillamente in cerca di cibo, e il bagno che consisteva in un piccolo water ingiallito e incrostato, situato sotto la scala che scendava al deposito, a disposizione di chiunque. Affacciandomi alla finestra mi pareva di essere dentro la baraccopoli del film Miracolo a Milano. Era davvero desolante in eguale modo.
Fortunatamente, dopo un anno vissuto in mezzo agli straccivendoli, ai topi e agli sbalzi d'umore della Monaci, ci siamo trasferiti nel capannone che aveva costruito sulla Strada Vigevanese nuova, in territorio di Corsico. Per me il cambio significò alzarmi ancora prima quindi, agli altri, aggiunsi un altro mezzo pubblico, la corriera blu che da via Lorenteggio portava a Corsico.
In quel periodo la Monaci, che era ormai oltre la cinquantina, prese la patente.
Tutte le sere, chiuso l'ufficio, suo marito il Dott. Bruno Calabretta, calabrese doc, le faceva scuola guida nelle vie poco battute su una Fiat cinquecento bianca.
Una sera mi chiese di fermarmi un po' di più per aiutarla a terminare delle offerte. Non si preoccupi mi disse, poi l'accompagneremo noi alla fermata della filovia. Si fece parecchio tardi, ma alla fine mi fecero salire sulla cinquecento bianca e partimmo alla volta della fermata pensai io, già pregustando la cena di mia madre. E invece no, andammo a fare la sua lezione di guida serale in un parcheggio in fondo al Quartiere Tessera. Era la prima volta che salivo su una 500 e immaginatevi che, al tempo, per farla partire bisognava fare la doppietta, e immaginatevi anche una donna di mezza età che non aveva ancora iniziato a fare una guida privata con l'istruttore. Praticamente si fecero quasi le nove di sera e io rimasi in balia di due coniugi di mezza età che litigavano furiosamente perchè lei non riusciva a partire senza sobbalzare. Avevo 16 anni, non osavo aprire bocca, di quel lavoro avevo bisogno, ma non ne potevo più. Poi si resero finalmente conto dell'ora, deposero le armi e mi invitarono a cena a casa loro. Telefonarono a mia madre perchè non mi desse per dispersa e dopo una mezz'ora arrivò in tavola un'anatra arrosto, con contorno di patate lesse. Aveva preparato tutto la colf prima di andarsene, c'era solo da tagliare e scaldare.
Una carne che a casa mia veniva preparata raramente e solo sotto Natale, una carne che io non apprezzavo particolarmente, ma quella sera fra la fame che mordeva, fra la stanchezza e la voglia di tornarmene velocemente a casa mia, ho divorato nel vero senso della parola.
Una esperienza, quella con la Monaci, che ricordo senza rimpianto. Anzi.
Quando arrivai ai 18 anni, mi licenziò. Avrebbe dovuto obbligatoriamente passarmi da apprendista a impiegata, e le sarei costata molto di più visto che avrebbe dovuto versare i contributi, a quei tempi non previsti per gli apprendisti.
Ebbe il coraggio di trattenermi dalla liquidazione 2.013 lire di Ige versata in più per errore sul bollettino giallo. Lei che occultava le provvigioni ai rappresentanti se i loro clienti venivano da soli a comprare il ferro. Lei che mi diceva che ero seduta sulla mia fortuna, e che dovevo fare come lei che a 16 anni se ne era andata di casa e aveva conosciuto il mondo. Credo che intendesse in senso biblico.
Però ricordo con molto affetto Enrica, che ho appena scoperto essere mancata recentemente purtroppo, non ho fatto in tempo a rivederla e mi dispiace moltissimo. L'unica cosa per cui posso ringraziare la Monaci è che ho imparato a muovermi per tutta la città dato che mi sguinzagliava in giro a portare documenti, ho imparato a rapportarmi con le persone senza timidezza e ho imparato a contrattare con i funzionari dell'Intendenza di finanza di via Manin, dove mi mandava allo sbaraglio quando si dovevano definire le tasse da pagare (Vanoni non era ancora arrivato), mi ha praticamente tirato fuori dal guscio, insegnandomi che nulla è fuori dalle mie capacità. Certo non è poco, ma era una donna impossibile, arrogante, capricciosa e prepotente, e quei tre anni sono stati davvero pesanti.
Vabbè, bando ai ricordi e torniamo all'anatra.
Ho imparato ad apprezzarla nel tempo, ma non la faccio spesso. Purtroppo l'anitra intera si trova più frequentemente sotto Natale, per il resto dell'anno solo cosce o petti, e uno di questi che avevo in freezer ho pensato che sarebbe stato molto bene accompagnato da un riso affumicato che ho trovato non mi ricordo più dove.
Risotto affumicato, crema di porri e petto d'anatra laccato all'arancia e miele
per 2 persone di buon appetito
per il risotto
300 g di riso affumicato
3 bei porri
1 piccola cipolla
q.b. di brodo vegetale
100 g di burro
2 cucchiai colmi di parmigiano grattugiato
1/2 bicchiere di vino bianco
sale
per il petto:
1 petto d'anatra
il succo di 3 arance
1 spicchio d'aglio
2 cucchiai colmi di miele d'acacia
1 cucchiaino di pepe di Sichuan
2 rametti di timo
sale
Parate il petto d'anatra, incidetene trasversalmente la pelle senza arrivare alla carne e facendo una specie di griglia.
Dalle arance, con un rigalimoni ricavate dei filettini, poi spremetele e filtrate il succo raccogliendolo in una ciotola, aggiungete lo spicchio d'aglio tagliato a pezzetti, il timo, 1 cucchiai di miele, il pepe di Sichuan pestato nel mortaio e un pizzico di sale, mescolate bene per far sciogliere il miele. Immergete il petto in questa marinata, coprite la ciotola e mettetela in frigorifero per almeno un'ora.
Dalla scorza delle arance spremute, a cui avrete tolto la parte bianca, ricavate delle strisce sottili.
Mondate e lavate i porri, tagliateli a rondelle e fateli stufare con una noce di burro, aggiungendo un poco di brodo vegetale. Fateli cuocere a fuoco basso coperti, regolate di sale e controllate che rimangano abbastanza lenti, eventualmente aggiungete poco brodo vegetale alla volta. Una volta cotti, frullateli a crema con il minipimer e teneteli in caldo.
Rriprendete il petto dalla marinata, asciugatelo tamponandolo con della carta da cucina e spennellatelo dalla parte della pelle con il restante cucchiaio di miele.
Scaldate un filo leggerissimo d'olio e iniziate a rosolare la carne dalla parte della pelle. Lasciate che si dori molto bene, ci vorranno circa 5 o 6 minuti, poi giratela dall'altra parte e fatela cuocere per altri 5 minuti, quindi filtrate il liquido della marinata, conservatene una mezza tazza e col resto sfumate la carne, continuando a cuocerla per altri 6 o 7 minuti, non di più. Il petto dovrà rimanere rosato.
Togliete la carne dalla padella, avvolgetela in un poco di alluminio e lasciatela riposare. Deglassate il fondo con la tazza di marinata tenuta da parte, poi trasferitelo in un pentolino più piccolo, filtrandolo. Rimettete su fuoco dolce, unite le scorze d'arancia ricavate in precedenza e lasciate che si riduca un pochino poi, fuori dal fuoco, aggiungete una noce di burro freddissimo e fatelo sciogliere roteando il pentolino, in questo modo il fondo si ispessirà. Tenete in caldo.
Nello stesso tempo avviate il risotto, rosolate la cipolla e unite il riso, lasciatelo tostare poi sfumatelo con il vino bianco, quindi iniziate a tirarlo con il brodo vegetale ben caldo. Verso fine cottura, aggiungete il due terzi di crema di porri, lasciate insaporire qualche minuto, giusto il tempo che il riso arrivi a cottura e mantecate il risotto con il burro e il parmigiano.
Lasciate riposare qualche istante, nel frattempo affettate il petto d'anatra
Infine mettete il riso nei piatti, aggiungete un poco di crema di porri, nappate con il fondo di cottura ridotto, appoggiateci sopra le fette di petto d'anatra, decorate con qualche scorzetta d'arancia e servite.
Il riso affumicato che ho trovato è questo:
Aprendo il barattolo mi è sorto qualche dubbio, ma una volta preparato il risotto, tutto si è rivelato delicato e per niente invasivo. Un ottimo connubio con la dolcezza del miele e del porro e la leggera acidità dell'arancia.
La Monaci, credo ormai scomparsa, non saprà mai che l'anatra arrosto di quella lontana sera del 1965 ha lasciato comunque il segno.
lunedì 6 gennaio 2020
Crêpes con pere al Porto per MTC Story
Anche il giorno più bello della vita è destinato a finire. A volte con un tramonto straordinario o una notte piena di stelle, ma finisce. Così è purtroppo, la fine arriva anche per tutto quello che ami di più e tocca farci i conti. Si resta lì a farsi mille domande, col cuore gonfio dal dispiacere per una esperienza bellissima che non continuerà mentre invece speravi durasse un tempo infinito. Niente è fermo nella vita, tutto scorre, passa e si trasforma e, se sei fortunata come me, ti arricchisce.
Sono arrivata in MTChallenge, a settembre 2016 e ho iniziato con la sfida n. 59 quella sugli gnocchi. Per chi non lo sapesse MTchallenge consiste(va) in una bellissima sfida tra food-bloggers e appassionati di cucina che si confrontavano ogni mese su un’unica ricetta proposta dalla vincitrice del mese precedente.
Agli inizi ho cominciato a muovermi con un po' di timidezza nella collaudatissima Community più famosa del web, poi ho partecipato ai raduni che sono stati organizzati, ho conosciuto molte persone, altre sono rimaste conoscenze virtuali ma da ogni membro di questa grande comunità ho imparato sempre molto, in ogni momento, e non parlo solo di tecniche e ricette di cucina. Ho trovato amiche e amici che mi onorano della loro stima, che mi fanno sentire la loro vicinanza e il loro affetto, il loro sostegno. Penso a MTC come una sorta di grande casa di ringhiera come quella in cui sono cresciuta, con le finestre sempre illuminate da una luce calda e avvolgente, un microcosmo popolato da tanti caratteri, a volte allegro, ironico e scanzonato ma sempre accompagnato da serietà e impegno, solidarietà e aiuto, un angolino riparato dove imparare con lievità e leggerezza e condividere la passione che ci accomuna . Un luogo che mi è rimasto nell'anima, e ci rimarrà sempre.
Questo Flash Mob nasce per ritornare a cucinare insieme allo stesso momento, per rendere omaggio al nostro amato MTChallenge.
Per l'occasione ho pensato di guardare al passato così sono andata a curiosare nelle sfide precedenti al mio arrivo e ho scelto quella sulle crêpes, la n. 18 del 2012. La ricetta che ho voluto rifare è del blog La cucina di Bucci che ringrazio.
L'ho un po' modificata, aggiungendo una crema, per accontentare i miei "polli" di cui conosco assai bene i gusti, e devo dire che è piaciuta tantissimo.
Crêpes con pere al Porto e crema al mascarpone
per 10/12 crêpes ricetta di Giuseppina, vincitrice della sfida precedente, la n. 17 dedicata al paté, che vi riporto
150 gr di farina 0
350 ml di latte
50 ml di acqua
2 uova medie
1/2 cucchiaino da caffè di sale
30 gr burro chiarificato per cuocere
per il ripieno:
4 o 5 piccole pere abate non troppo mature
400 ml Porto Ruby
4 cucchiai di zucchero di canna
2 pezzetti di cannella
1 bacca di anice stellato
4 o 5 bacche di cardamomo (pestate)
1 cucchiaino di essenza di vaniglia
1 cucchiaino di bacche di pepe nero
qualche pezzetto di scorza d'arancia non trattata
per la crema:
250 g di mascarpone
150 g di panna liquida fresca
1 cucchiaio di zucchero a velo
1 cucchiaio abbondante di grappa Williams di pere
per completare:
q. b. di cannella in polvere
Preparate le crêpes.
In una ciotola montate le uova con la frusta, stemperatele aggiungendo man mano il latte, l'acqua e la farina setacciata. Dovrete avere un composto perfettamente liscio e fluido.
A questo punto io ho fatto fondere il burro e l'ho aggiunto al composto, ho aggiunto anche il sale e poi ho coperto la ciotola e messo a riposare in frigo per un'ora buona, dopodichè ho unto leggeremente col burro il mio padellino da 22 cm. di diametro e ho iniziato a cuocere le crêpes.
Ho misurato la quantità di impasto ogni volta, in modo di averle tutte dello stesso spessore e forma. Per me l'ideale è stato di 68/70 ml ogni volta.
Ho versato l'impasto nel centro della padella ben calda, roteandola in modo che si distribuisse in modo uniforme poi, non appena erano un po' rapprese, le capovolgevo aiutandomi con un mestolo di legno piatto. Con queste dosi me ne sono venute 10.
Potete prepararle anche il giorno prima, l'importante è sigillare bene il contenitore.
Preparate il ripieno. Sbucciate la prima pera, eliminate i semi e dividetela in quarti, avendo cura di lasciare il picciolo su almeno uno dei pezzi. Vi serviranno come decorazione finale. Sbucciate le altre e affettatele non troppo sottili. Raccoglietele tutte (fette e quarti) in una piccola casseruola, aggiungete il Porto, lo zucchero, la vaniglia, le spezie e la scorza d'arancia. Portate a ebollizione e lasciate cuocere non oltre i 5 minuti. Non devono essere troppo cotte.
Prelevate le pere dal liquido e fate continuare l'ebollizione a fuoco dolce fino a quando il Porto si sarà ristretto. Filtretelo e tenetelo da parte coperto.
Montate la panna a neve ferma. Con le fruste montate anche il mascarpone con lo zucchero a velo per renderlo cremoso e omogeneo, quindi unite il liquore e la panna montata. Mescolate tutto fino ad avere una crema densa e liscia e trasferitene metà in una sac à poche munita di beccuccio spizzato.
Al momento di servire prendete una crêpe e posatela sul piatto di servizio, spalmatela per metà con un velo della crema rimasta, aggiungete sulla crema qualche fetta di pera poi ripiegatela a mezzaluna.
Completate ogni crêpe con un ciuffo di crema al mascarpone, uno dei quarti di pera e un cucchiaio di sciroppo al Porto. Sporcate il piatto con un pizzico di cannella in polvere e servite.
In questo momento vorrei tanto essere dentro a quel film in cui i protagonisti si trovano a ricominciare da capo ogni mattina, rivivendo le cose vissute il giorno precedente. Vorrei tanto avere la possibilità di rivivere quelle atmosfere, di condividere di nuovo le risate, la gioia dello stare insieme e tantissime altre cose con gli amici e le amiche di MTC.
Il mio grazie più sentito, il mio affetto sincero, la mia gratitudine, la mia stima infinita, sono per tutti voi Community di MTC ma soprattutto per Alessandra, donna eccezionale, testa pensante e spinta propulsiva di MTChallenge, che non solo mi ha insegnato tecniche e ricette di cucina, ma che in un momento della vita in cui di solito si tirano i remi in barca, mi ha fatto tornare la voglia di sperimentare, di confrontarmi e di mettermi in discussione regalandomi emozioni e momenti che rimarranno scolpiti dentro di me, e di cui le sarò sempiternamente grata.
"Finisce tutto, finiscono anche le cose belle. L'importante è che ci siano state"
scrisse qualcuno, ma in cuor mio spero che possano tornare ad esserci, magari in un tempo non troppo lontano, o quando si potrà. Io sarò qui ad aspettare.
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