L'anno scorso Virginia de Lo spilucchino ha coinvolto molte blogger in una bellissima iniziativa per aiutare Progetto Mondo Mlal una ONG che dal 1966 lavora in Africa e in
America Latina per assicurare un futuro migliore a bambini e giovani
che si trovano in situazione di difficoltà.
Con la campagna di raccolta fondi Io non mangio da solo il tema scelto é stato il pane, alimento universale che unisce molte culture e popoli di tutto il mondo.
L'iniziativa ha avuto moltissimo successo e allora perchè non continuare a dare una mano anche quest'anno?
Stavolta le ricette dovranno essere pensate e realizzate coi cereali. Le migliori, corredate di foto, andranno a creare un calendario 2014 e i ricavi della sua vendita andranno interamente a finanziare i programmi della campagna Io non mangio da solo.
Come l'altra volta, aderisco con molto piacere all'iniziativa, perchè fare anche solo una piccola cosa per aiutare gli altri, fa stare bene.
Il cereale che ho scelto è l'orzo, anche se sono stata indecisa fino all'ultimo fra questo e la quinoa.
Ma l'orzo mi riporta all'infanzia, a quando mia nonna e mia zia Norina lo cucinavano in grosse pentole messe sul fogolar, insieme ai fagioli. Il profumo che si levava da quelle pentole fa parte del mio DNA ormai....
La minestra di orzo e fagioli è un classico della cucina friulana, una cucina contadina, povera, ma molto varia e ricca di sapori.
Amo molto l'orzo e allora perché no? Stavolta però l'ho preparato in modo diverso, rispetto alla mia tradizione.
Orzotto mele e speck
500 gr orzo perlato
250/280 gr speck in un pezzo solo
1 grossa mela stark delicius
1 cipolla bionda
1 bicchiere di vino bianco
brodo q.b.
poco rosmarino
qualche bacca di ginepro
fettine di mela
olio e.v.
una noce abbondante di burro
parmigiano
Pulire e tagliare lo speck a dadini. Scaldare il brodo.
Mettere a bagno l'orzo giusto il tempo che serve a preparare la cipolla e lo speck. Si può anche evitare, ma io lo faccio comunque, mi sembra che cuocia in meno tempo.
In una casseruola scaldare l'olio con un poco di burro, aggiungere la cipolla tritata e lasciar appassire qualche minuto, unire lo speck e mescolare lasciandolo insaporire con la cipolla. A questo punto scolare bene l'orzo e aggiungerlo nella casseruola insieme alla cipolla e allo speck, mescolare e lasciarlo tostare un momento, quindi sfumare con il vino bianco.
Una volta evaporato l'alcool del vino, iniziare la cottura come si usa fare per il risotto, aggiungendo il brodo caldo poco alla volta e continuare a cuocerlo pian piano, mestolo dopo mestolo. Per portarlo a definitiva cottura ci vorranno circa 45 minuti.
A metà cottura, sbucciare la mela, conservandone una fettina con la buccia, che servirà per la guarnizione del piatto.
Tagliare a dadini anche la mela, e aggiungerla all'orzotto continuando la cottura.
Quando è quasi pronto, assaggiare e regolare di sale, unire una macinata di pepe nero e mantecare energicamente con una noce di burro e un paio di cucchiai di parmigiano.
Servire subito ben caldo, decorando il piatto con poco rosmarino tritato grossolanamente, qualche bacca di ginepro e la fettina di mela tenuta da parte.
Grazie a Virginia, che si è fatta carico di promuovere questa bella cosa! Sono sicura che sarà un successone..
lunedì 30 settembre 2013
venerdì 27 settembre 2013
l'arte di arrangiarsi
arrivare a casa stanca morta, completamente senza forze dopo una giornata che sembrava non finire mai. Il divano mi attira, è così comodo! Potessi sdraiarmici una mezz'ora.... Guardo l'orologio...non è proprio cosa, la cena incombe. Qualcuno ha già bofonchiato sottovoce...."avrei fame"..
E chi ha voglia di cucinare? Mi trascino un po' per casa, sistemo i gatti che a turno mi camminano sui piedi mordicchiandomi le caviglie....segno inequivocabile che hanno fame...sic! Anche loro!
Io per niente, quando sono così stanca mi passa anche la voglia di mangiare.
La lavatrice che ho fatto partire stamattina prima di uscire è lì che aspetta, con la lucina accesa che dice "aprimi, aprimi". Ok, ok, stendo.
Alzo lo sguardo fuori dalla finestra, sul campanile poco lontano l'orologio è sulle 19,20...mi tocca...
Torno in cucina e, rassegnata e senza idee, apro il frigorifero.
Una confezione un po' triste di filetti di cernia comprati ieri al volo alla pescheria dell'Esselunga, mi guarda. Vanno fatti per forza, non resistono. Solitamente compro il pesce in un negozio di fiducia, ma ieri mi ero fermata a prendere due cose che mi mancavano al super, e mi sono soffermata un attimo al banco del pesce, cosa che di solito non faccio mai, e ci ho trovato questi filetti. Ottimo, ho pensato, già sfilettato si fa prima.
Già, ma come li faccio? Che cosa ci metto insieme?
Apro il cassetto della verdura....un paio di melanzane scure giace da qualche giorno, in attesa. Pomodorini ci sono sempre nel mio frigo, insieme a molto altro..
Potrei farli confit, ma ci vuole troppo tempo. Vabbè, intanto laviamoli, poi penso a come utilizzarli.
Appoggiata alla porta del frigo, decido la cena. Hanno vinto le melanzane con i filetti di cernia.
Taglio a fette spesse una melanzana, la più grossa, le fette poi le metto in un colapasta a fare l'acqua cosparse con un po' di sale, e accendo la radio.
Si va ad incominciare..
Torrette di melanzane e spiedino di cernia al sesamo
500 gr filetti di cernia, puliti.
2 melanzane scure
una ventina di pomodorini datterini
1 grosso spicchio d'aglio
origano fresco
sesamo bianco
olio, sale, pepe
Mettere a bagno in acqua, in modo che siano completamente coperti, gli stecchini che serviranno per gli spiedino. Io uso quelli di bambù, un po' più decorativi. Così facendo si eviterà che brucino con il calore del forno.
spellare la melanzana, la più piccola. Tagliarla a dadini e metterla a rosolare in una larga padella con un filo d'olio buono e lo spicchio d'aglio tagliato in due pezzettoni, sarà più facile ritrovarlo dopo. Aggiungere anche qualche fogliolina di origano fresco.
Salare e pepare, e lasciar cuocere a fuoco basso finchè tende a disfarsi. Eliminare l'aglio e frullare il tutto a crema, tenere da parte, in caldo.
Sciacquare le fette di melanzana dal sale, asciugarle bene tamponandole con della carta da cucina per eliminare il più possibile l'acqua assorbita.
Tagliare a metà i pomodorini, farli saltare in padella con un piccolo spicchio d'aglio e abbondante origano fresco.
Devono solo ammorbidirsi, senza stracuocere. Una volta pronti, tenere da parte anch'essi.
In un piccolo pentolino cuocere le melanzane una grossa fetta alla volta, in olio d 'oliva molto caldo.
Man mano che son pronte, appoggiarle sun un piatto riverstito di carta per i fritti e tenere in caldo.
A questo punto il pezzo forte.
Versare in un piatto liscio il sesamo bianco.
Arrotolare i filetti di cernia, ungerli leggermente con un goccio d'olio d'oliva, passarli velocemente nel sesamo in modo che questi aderisca perfettamente ai rotolini. Infilzarli, due alla volta, sugli spiedini.
Ungere una teglia con un leggero velo di olio e.v., man mano che son pronti, allinearvi dentro gli spiedini ottenuti e cuocere in forno già caldo a 200° per circa 15/20 minuti, dipende dalla grandezza dei filetti. I miei non erano molto grand i e son bastati 20 minuti.
Mentre i filetti cuociono, preparare le torrette di melanzane.
Sul piatto di servizio fare una striscia di crema di melanzane, appoggiarvi una fetta di melanzana fritta, un altro leggero strato di crema, e aggiungere i pomodorini, la parte tagliata in sotto e continuare finchè son finiti gli ingredienti. Finire la parte superiore con un poco di crema, così lo spiedino si appoggerà senza scivolare da tutte le parti.
Per noi due ho calcolato una torretta a tre strati, come si vede in foto.
Qunando gli spiedini sono cotti, il sesamo ben tostato, appoggiateli sulla torretta di melanzane e pomodori e guarniteli con qualche fogliolina di origano fresco.
.
E anche per stasera è andata, son riuscita ad arrangiarmi, posso finalmente prendere possesso del divano!
E chi ha voglia di cucinare? Mi trascino un po' per casa, sistemo i gatti che a turno mi camminano sui piedi mordicchiandomi le caviglie....segno inequivocabile che hanno fame...sic! Anche loro!
Io per niente, quando sono così stanca mi passa anche la voglia di mangiare.
La lavatrice che ho fatto partire stamattina prima di uscire è lì che aspetta, con la lucina accesa che dice "aprimi, aprimi". Ok, ok, stendo.
Alzo lo sguardo fuori dalla finestra, sul campanile poco lontano l'orologio è sulle 19,20...mi tocca...
Torno in cucina e, rassegnata e senza idee, apro il frigorifero.
Una confezione un po' triste di filetti di cernia comprati ieri al volo alla pescheria dell'Esselunga, mi guarda. Vanno fatti per forza, non resistono. Solitamente compro il pesce in un negozio di fiducia, ma ieri mi ero fermata a prendere due cose che mi mancavano al super, e mi sono soffermata un attimo al banco del pesce, cosa che di solito non faccio mai, e ci ho trovato questi filetti. Ottimo, ho pensato, già sfilettato si fa prima.
Già, ma come li faccio? Che cosa ci metto insieme?
Apro il cassetto della verdura....un paio di melanzane scure giace da qualche giorno, in attesa. Pomodorini ci sono sempre nel mio frigo, insieme a molto altro..
Potrei farli confit, ma ci vuole troppo tempo. Vabbè, intanto laviamoli, poi penso a come utilizzarli.
Appoggiata alla porta del frigo, decido la cena. Hanno vinto le melanzane con i filetti di cernia.
Taglio a fette spesse una melanzana, la più grossa, le fette poi le metto in un colapasta a fare l'acqua cosparse con un po' di sale, e accendo la radio.
Si va ad incominciare..
Torrette di melanzane e spiedino di cernia al sesamo
500 gr filetti di cernia, puliti.
2 melanzane scure
una ventina di pomodorini datterini
1 grosso spicchio d'aglio
origano fresco
sesamo bianco
olio, sale, pepe
Mettere a bagno in acqua, in modo che siano completamente coperti, gli stecchini che serviranno per gli spiedino. Io uso quelli di bambù, un po' più decorativi. Così facendo si eviterà che brucino con il calore del forno.
spellare la melanzana, la più piccola. Tagliarla a dadini e metterla a rosolare in una larga padella con un filo d'olio buono e lo spicchio d'aglio tagliato in due pezzettoni, sarà più facile ritrovarlo dopo. Aggiungere anche qualche fogliolina di origano fresco.
Salare e pepare, e lasciar cuocere a fuoco basso finchè tende a disfarsi. Eliminare l'aglio e frullare il tutto a crema, tenere da parte, in caldo.
Sciacquare le fette di melanzana dal sale, asciugarle bene tamponandole con della carta da cucina per eliminare il più possibile l'acqua assorbita.
Tagliare a metà i pomodorini, farli saltare in padella con un piccolo spicchio d'aglio e abbondante origano fresco.
Devono solo ammorbidirsi, senza stracuocere. Una volta pronti, tenere da parte anch'essi.
In un piccolo pentolino cuocere le melanzane una grossa fetta alla volta, in olio d 'oliva molto caldo.
Man mano che son pronte, appoggiarle sun un piatto riverstito di carta per i fritti e tenere in caldo.
A questo punto il pezzo forte.
Versare in un piatto liscio il sesamo bianco.
Arrotolare i filetti di cernia, ungerli leggermente con un goccio d'olio d'oliva, passarli velocemente nel sesamo in modo che questi aderisca perfettamente ai rotolini. Infilzarli, due alla volta, sugli spiedini.
Ungere una teglia con un leggero velo di olio e.v., man mano che son pronti, allinearvi dentro gli spiedini ottenuti e cuocere in forno già caldo a 200° per circa 15/20 minuti, dipende dalla grandezza dei filetti. I miei non erano molto grand i e son bastati 20 minuti.
Mentre i filetti cuociono, preparare le torrette di melanzane.
Sul piatto di servizio fare una striscia di crema di melanzane, appoggiarvi una fetta di melanzana fritta, un altro leggero strato di crema, e aggiungere i pomodorini, la parte tagliata in sotto e continuare finchè son finiti gli ingredienti. Finire la parte superiore con un poco di crema, così lo spiedino si appoggerà senza scivolare da tutte le parti.
Per noi due ho calcolato una torretta a tre strati, come si vede in foto.
Qunando gli spiedini sono cotti, il sesamo ben tostato, appoggiateli sulla torretta di melanzane e pomodori e guarniteli con qualche fogliolina di origano fresco.
.
E anche per stasera è andata, son riuscita ad arrangiarmi, posso finalmente prendere possesso del divano!
domenica 22 settembre 2013
Lombardia, che è casa mia...
Montevecchia è stata per lungo tempo, parecchi anni fa, una località brianzola molto trendy, un luogo dove i milanesi andavano la domenica a mangiare il salame e i caprini sott'olio, tutto annaffiato con l'ottimo, raro vino che si produce in quella zona.
Posta su una collina che domina la Val Curone, Mario Soldati la descriveva così:
“Quella delle terrazze di Montevecchia è tra le più belle posizioni della Brianza: uno spalto altissimo, un balcone che si erge, fuori dalle nebbie, e si affaccia dritto a sud; nelle giornate di vento si vede dalla Cisa al Monte Rosa. Alti monti la difendono dalle tramontane. Le brume, le nebbie, che salgono dalle pianure e dai laghi la sfiorano fruttuosamente: è chiaro, oramai, che il vino più delicato e squisito deriva sempre da uve mature al limite estremo delle condizioni climatiche e geoponiche necessarie alla vite”
Anche noi, da fidanzati, ci andavamo qualche volta in compagnia degli amici, ci passammo anche un capodanno, facendo l'alba in mezzo alle vigne bianche di neve...
una coppia di amici ci si è pure sposata nel Santuario...ricordo quella interminabile scalinata e lo strascico di pizzo della sposa ormai irrimediabilmente rovinato quando finalmente arrivò in cima...
C'erano molti localini dove potevi fare "merenda" con il salame locale e i formaggini, famosissimi.
I caprini, formaggi freschi a latte crudo e a pasta cruda, prodotti esclusivamente con latte di capra, solitamente in forma cilindrica.
Li potevi degustare freschi oppure potevi tentare di assaggiare quelli stagionati, coperti da una leggera patina gialla e messi sott'olio. Questi ultimi si spalmavano sul pane a fette e si annegavano con il Nustranel, un vinello bianco che andava giù come rosolio...
io non ci riuscivo, erano molto forti e preferivo quelli freschi. Ancora oggi per me è così, in ogni modo quelli stagionati non si trovano quasi più....a Montevecchia è rimasta solo una azienda che produce formaggini di capra come una volta.
Ora in commercio vanno perlopiù quelli di latte vaccino, tipo Petit Suisse per intenderci, anche se è da poco che sono comparsi anche quelli di capra, il primo supermercato a introdurli è stato il NaturaSì ma ora si trovano facilmente anche in altre catene di supermercati. Sempre e solo quelli freschi naturalmente...
Il periodo d'oro di Montevecchia è stato parecchio lungo, fra la fine anni '60 fino ai primi anni '80....e anche noi a un certo punto abbiamo smesso di andarci...
la vita cambia, ti porta da altre parti, ma poi arriva un momento in cui ti viene la voglia di rivedere i vecchi posti conosciuti, di ritrovare certe atmosfere della giovinezza e allora una mattina, prendi la macchina fotografica e vai....ripercorri la vecchia strada e ti accorgi che non riconosci più nulla lungo il cammino, ma la vista del Santuario fin dalla strada a valle, ti rassicura.
E' cambiata molto Montevecchia, come è nell'ordine delle cose. Ma le terrazze coltivate a rosmarino e a vigne sono sempre le stesse, sali nella piazzetta ed è tutto ristrutturato, i localini sono spariti, restano solo un paio di posti ma ritrovi la stessa sensazione di trovarti in una dimensione diversa, anche se i paesi e la città sono a qualche esiguo chilometro di distanza. Il traffico continua a scorrere mentre tu, dall'alto della collina, ti perdi ad osservare il patchwork disegnato dai terrazzamenti, dal verde del rosmarino, dal rosso della terra, dalla geometria dei campi e delle vigne. Uno spettacolo che ti incanta vedere la distesa della pianura, mentre una leggera foschia ammanta tutto di un'aura strana, impensata, quasi emozionante . Il tempo passa e non te ne accorgi, continui a riempirti gli occhi con la vista delle montagne e di tutte quelle tonalità di verde....e i ricordi tornano, scorrono come un fiume in piena, arrivano i volti, le voci, le risate e arriva anche il rimpianto per quella spensieratezza di cui a vent'anni quasi non ti rendi nemmeno conto...
Ricordo che nelle nostre scorribande lassù concludevamo sempre le merende a base di salame e caprini, con la torta di Montevecchia. La facevo spesso un tempo, ma poi anche lei è caduta nell'oblio...
L'ho rifatta dopo essere andata lassù, giusto per ricordare i vecchi tempi e ritrovarne il sapore....
Torta di Montevecchia
Togliere dal forno e lasciar raffreddare completamente.
preparare il coulis:
Nel bicchiere del frullatore mettere i lamponi e lo zucchero a velo, frullare e passare il coulis al setaccio per eliminare i semini e tenere in frigo.
i terrazzamenti
il Santuario
Qualche nota informativa da Wikipedia:
La parola Montevecchia si ritiene sia dovuta ad una fortificazione romana che si trovava al posto dell'attuale santuario, circondata da una cerchia di mura protettiva di oltre 800 metri di sviluppo. Il nome Mons Vigiliae (monte delle Vedette), si sarebbe nel tempo involgarito in Mons Vegliae, Monte Vegiae, Monte Vegia, sino all'attuale dialetto brianzolo, nel quale Vegia significa Vecchia.
L'origine di insediamenti umani nel territorio di Montevecchia è di antica data. Nel parco di Montevecchia alla fine degli anni settanta furono rinvenuti due accampamenti risalenti all'epoca dell'uomo di Neanderthal e dell'uomo sapiens, datati rispettivamente il primo a 60.000 anni ed il secondo a 32.000. Questi insediamenti sono alcuni fra i più antichi situati in Lombardia.
Amministrata come comunità libera della Brianza per tutto il corso del Medio Evo e di parte dell'età moderna, nel 1647 Montevecchia venne concessa in feudo alla famiglia Panigarola, che si estinse nel 1703. Nel 1713 il Conte Giacomo Brivio di Brochles, originario di Montevecchia, comprò il feudo natale, e la sua famiglia lo tenne fino al 1740, quando Carlo Brivio lo vendette agli Agnesi.
Sul punto più alto della collina di Montevecchia sorge il santuario della Beata Vergine del Carmelo di origini medievali. Si attribuisce la costruzione della prima chiesetta ai Longobardi che la dedicarono al loro santo "preferito" San Giovanni Battista (come il Duomo di Monza realizzato dalla regina Teodolinda). Poiché in epoca romana vi era sulla sommità di Montevecchia un posto di vigilanza, e nel paese sottostante un Castrum importante dove si controllava le principali arterie, all'arrivo dei Longobardi, le postazioni romane furono utilizzate per edificare due chiese entrambe dedicate a San Giovanni Battista. Il confinante comune di Cernusco Lombardone è infatti l'unico comune della Lombardia che ha nel suo nome quello dei "Longobardi" , dimostrandone la loro sicura presenza nel suo territorio. A maggior riprova di questo abbinamento religioso tra Montevecchia e Cernusco, sino all'epoca fascista i due comuni erano un unico comune amministrativo. Solo dagli anni sessanta Montevecchia ha ottenuto l'indipendenza comunale.
La chiesetta longobarda sulla sommità di Montevecchia è resistita sino al 1570, epoca in cui un incendio dovuto "all'incuria del parroco" (si legge dagli atti della visita di san Carlo Borromeo) la distrusse interamente insieme ai paramenti ed agli arredi sacri. Per quasi un secolo le messe furono officiate nella cappella di San Bernardo, sino al 1630 in cui il santuario fu ricostruito ma con dimensioni ridotte rispetto all'attuale. Ampliamenti con l'aggiunta della sacrestia da un lato e di ampi locali per la residenza dei preti officianti (avvenuti tra la fine del 1660 e la metà del Settecento) ha portato il santuario alle dimensioni attuali.
Nel 1924 l'attuale santuario fu dedicato alla Beata Vergine del Carmelo e consacrato nel novembre del 1954 dal card.Schuster
Posta su una collina che domina la Val Curone, Mario Soldati la descriveva così:
“Quella delle terrazze di Montevecchia è tra le più belle posizioni della Brianza: uno spalto altissimo, un balcone che si erge, fuori dalle nebbie, e si affaccia dritto a sud; nelle giornate di vento si vede dalla Cisa al Monte Rosa. Alti monti la difendono dalle tramontane. Le brume, le nebbie, che salgono dalle pianure e dai laghi la sfiorano fruttuosamente: è chiaro, oramai, che il vino più delicato e squisito deriva sempre da uve mature al limite estremo delle condizioni climatiche e geoponiche necessarie alla vite”
Anche noi, da fidanzati, ci andavamo qualche volta in compagnia degli amici, ci passammo anche un capodanno, facendo l'alba in mezzo alle vigne bianche di neve...
una coppia di amici ci si è pure sposata nel Santuario...ricordo quella interminabile scalinata e lo strascico di pizzo della sposa ormai irrimediabilmente rovinato quando finalmente arrivò in cima...
C'erano molti localini dove potevi fare "merenda" con il salame locale e i formaggini, famosissimi.
I caprini, formaggi freschi a latte crudo e a pasta cruda, prodotti esclusivamente con latte di capra, solitamente in forma cilindrica.
Li potevi degustare freschi oppure potevi tentare di assaggiare quelli stagionati, coperti da una leggera patina gialla e messi sott'olio. Questi ultimi si spalmavano sul pane a fette e si annegavano con il Nustranel, un vinello bianco che andava giù come rosolio...
io non ci riuscivo, erano molto forti e preferivo quelli freschi. Ancora oggi per me è così, in ogni modo quelli stagionati non si trovano quasi più....a Montevecchia è rimasta solo una azienda che produce formaggini di capra come una volta.
Ora in commercio vanno perlopiù quelli di latte vaccino, tipo Petit Suisse per intenderci, anche se è da poco che sono comparsi anche quelli di capra, il primo supermercato a introdurli è stato il NaturaSì ma ora si trovano facilmente anche in altre catene di supermercati. Sempre e solo quelli freschi naturalmente...
Il periodo d'oro di Montevecchia è stato parecchio lungo, fra la fine anni '60 fino ai primi anni '80....e anche noi a un certo punto abbiamo smesso di andarci...
la vita cambia, ti porta da altre parti, ma poi arriva un momento in cui ti viene la voglia di rivedere i vecchi posti conosciuti, di ritrovare certe atmosfere della giovinezza e allora una mattina, prendi la macchina fotografica e vai....ripercorri la vecchia strada e ti accorgi che non riconosci più nulla lungo il cammino, ma la vista del Santuario fin dalla strada a valle, ti rassicura.
E' cambiata molto Montevecchia, come è nell'ordine delle cose. Ma le terrazze coltivate a rosmarino e a vigne sono sempre le stesse, sali nella piazzetta ed è tutto ristrutturato, i localini sono spariti, restano solo un paio di posti ma ritrovi la stessa sensazione di trovarti in una dimensione diversa, anche se i paesi e la città sono a qualche esiguo chilometro di distanza. Il traffico continua a scorrere mentre tu, dall'alto della collina, ti perdi ad osservare il patchwork disegnato dai terrazzamenti, dal verde del rosmarino, dal rosso della terra, dalla geometria dei campi e delle vigne. Uno spettacolo che ti incanta vedere la distesa della pianura, mentre una leggera foschia ammanta tutto di un'aura strana, impensata, quasi emozionante . Il tempo passa e non te ne accorgi, continui a riempirti gli occhi con la vista delle montagne e di tutte quelle tonalità di verde....e i ricordi tornano, scorrono come un fiume in piena, arrivano i volti, le voci, le risate e arriva anche il rimpianto per quella spensieratezza di cui a vent'anni quasi non ti rendi nemmeno conto...
Ricordo che nelle nostre scorribande lassù concludevamo sempre le merende a base di salame e caprini, con la torta di Montevecchia. La facevo spesso un tempo, ma poi anche lei è caduta nell'oblio...
L'ho rifatta dopo essere andata lassù, giusto per ricordare i vecchi tempi e ritrovarne il sapore....
Torta di Montevecchia
500 gr pasta frolla
210 gr caprini di Montevecchia
(se preferite, si possono usare i caprini vaccini )
170 gr mascarpone
210 gr zucchero
4 tuorli
3 albumi
15 gr maizena
210 gr caprini di Montevecchia
(se preferite, si possono usare i caprini vaccini )
170 gr mascarpone
210 gr zucchero
4 tuorli
3 albumi
15 gr maizena
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
la scorza grattugiata di 1 limone non trattato
per guarnire
lamponi freschi
per il coulis
200 gr lamponi
la scorza grattugiata di 1 limone non trattato
per guarnire
lamponi freschi
per il coulis
200 gr lamponi
2 cucchiai colmi di zucchero a velo
Fare la frolla come d'abitudine, dopo il riposo stenderla in una teglia da 26 cm. bucherellare il fondo con la forchetta e cuocere in bianco per 10 minuti circa in forno a 180°. Togliere, eliminare i fagioli o altro della cottura in bianco e lasciar intiepidire.
Nel frattempo, con la frusta elettrica lavorare i formaggi in una ciotola insieme alla maizena, alla scorza di limone grattugiata e la vaniglia.
Fare la frolla come d'abitudine, dopo il riposo stenderla in una teglia da 26 cm. bucherellare il fondo con la forchetta e cuocere in bianco per 10 minuti circa in forno a 180°. Togliere, eliminare i fagioli o altro della cottura in bianco e lasciar intiepidire.
Nel frattempo, con la frusta elettrica lavorare i formaggi in una ciotola insieme alla maizena, alla scorza di limone grattugiata e la vaniglia.
A parte montare i
tuorli con 80 gr di zucchero fino ad avere un composto chiaro e
spumoso.
Unire la crema di formaggi, mescolando bene.
Montare a neve gli albumi e quando sono quasi montati unire lo zucchero rimasto, pian piano sempre montando, quindi incorporare anche la meringa al composto di formaggio.
Mescolare bene e versare nel guscio di frolla.
Rimettere in forno e continuare la cottura a 180° per circa 45 minuti, dipende dal forno.
Il ripieno si gonfierà, è normale, tornerà poi a compattarsi a dolce freddo.
Unire la crema di formaggi, mescolando bene.
Montare a neve gli albumi e quando sono quasi montati unire lo zucchero rimasto, pian piano sempre montando, quindi incorporare anche la meringa al composto di formaggio.
Mescolare bene e versare nel guscio di frolla.
Rimettere in forno e continuare la cottura a 180° per circa 45 minuti, dipende dal forno.
Il ripieno si gonfierà, è normale, tornerà poi a compattarsi a dolce freddo.
Togliere dal forno e lasciar raffreddare completamente.
preparare il coulis:
Nel bicchiere del frullatore mettere i lamponi e lo zucchero a velo, frullare e passare il coulis al setaccio per eliminare i semini e tenere in frigo.
Servire la torta con il coulis, qualche lampone fresco e foglioline di menta.
qualche foto di Montevecchia:
i terrazzamenti, preparati per la coltivazione del rosmarino
la vista sulle montagne alle spalle di Montevecchia, con i Corni di Canzo e le Prealpi...
i terrazzamenti
il Santuario
Qualche nota informativa da Wikipedia:
La parola Montevecchia si ritiene sia dovuta ad una fortificazione romana che si trovava al posto dell'attuale santuario, circondata da una cerchia di mura protettiva di oltre 800 metri di sviluppo. Il nome Mons Vigiliae (monte delle Vedette), si sarebbe nel tempo involgarito in Mons Vegliae, Monte Vegiae, Monte Vegia, sino all'attuale dialetto brianzolo, nel quale Vegia significa Vecchia.
L'origine di insediamenti umani nel territorio di Montevecchia è di antica data. Nel parco di Montevecchia alla fine degli anni settanta furono rinvenuti due accampamenti risalenti all'epoca dell'uomo di Neanderthal e dell'uomo sapiens, datati rispettivamente il primo a 60.000 anni ed il secondo a 32.000. Questi insediamenti sono alcuni fra i più antichi situati in Lombardia.
Amministrata come comunità libera della Brianza per tutto il corso del Medio Evo e di parte dell'età moderna, nel 1647 Montevecchia venne concessa in feudo alla famiglia Panigarola, che si estinse nel 1703. Nel 1713 il Conte Giacomo Brivio di Brochles, originario di Montevecchia, comprò il feudo natale, e la sua famiglia lo tenne fino al 1740, quando Carlo Brivio lo vendette agli Agnesi.
Sul punto più alto della collina di Montevecchia sorge il santuario della Beata Vergine del Carmelo di origini medievali. Si attribuisce la costruzione della prima chiesetta ai Longobardi che la dedicarono al loro santo "preferito" San Giovanni Battista (come il Duomo di Monza realizzato dalla regina Teodolinda). Poiché in epoca romana vi era sulla sommità di Montevecchia un posto di vigilanza, e nel paese sottostante un Castrum importante dove si controllava le principali arterie, all'arrivo dei Longobardi, le postazioni romane furono utilizzate per edificare due chiese entrambe dedicate a San Giovanni Battista. Il confinante comune di Cernusco Lombardone è infatti l'unico comune della Lombardia che ha nel suo nome quello dei "Longobardi" , dimostrandone la loro sicura presenza nel suo territorio. A maggior riprova di questo abbinamento religioso tra Montevecchia e Cernusco, sino all'epoca fascista i due comuni erano un unico comune amministrativo. Solo dagli anni sessanta Montevecchia ha ottenuto l'indipendenza comunale.
La chiesetta longobarda sulla sommità di Montevecchia è resistita sino al 1570, epoca in cui un incendio dovuto "all'incuria del parroco" (si legge dagli atti della visita di san Carlo Borromeo) la distrusse interamente insieme ai paramenti ed agli arredi sacri. Per quasi un secolo le messe furono officiate nella cappella di San Bernardo, sino al 1630 in cui il santuario fu ricostruito ma con dimensioni ridotte rispetto all'attuale. Ampliamenti con l'aggiunta della sacrestia da un lato e di ampi locali per la residenza dei preti officianti (avvenuti tra la fine del 1660 e la metà del Settecento) ha portato il santuario alle dimensioni attuali.
Nel 1924 l'attuale santuario fu dedicato alla Beata Vergine del Carmelo e consacrato nel novembre del 1954 dal card.Schuster
mercoledì 18 settembre 2013
a proposito di risotti
l'altra sera ho finalmente messo in pratica un'idea che mi girava in testa da un po', dall'anno scorso precisamente, quando mi sono imbattuta in rete in una descrizione relativa ai fichi d'india... solo che quando l'avevo letta la stagione era finita da un pezzo.. Ho dovuto aspettare che tornasse il periodo giusto.
Sinceramente me ne ero scordata, ma facendo la spesa li ho visti sui banchi del fruttivendolo e il cassetto in cui l'avevo riposta ha fatto un clac improvviso e si è riaperto di botto, accendendo la mia solita lampadina...
Li ho comprati, e ho comprato molto altro da metterci insieme, così una volta a casa... pronti? Via....
Risotto gamberi calamari e fichi d'india
per 2/3 persone
300 gr riso Carnaroli
4 o 5 fichi d'india
10/12 gamberi rossi
500 gr calamari possibilmente di taglia piccola
1 porro
mezzo bicchiere di vino bianco
sale, pepe
olio
poco burro
poco prezzemolo
per il fumetto:
sedano
carota
cipolla
1 foglia di alloro
i carapaci e le teste dei gamberi
poco vino bianco
pepe nero in grani
poco olio, sale
lavare i gamberi, togliere la testa e la corazza, eliminare il budello, poi con gli scarti preparare il fumetto che poi servirà per il risotto. Tenere da parte i gamberi, se sono troppo grossi, tagliarli a metà per il lungo, lasciandone però qualcuno intero.
In un goccio d'olio fare un soffritto con cipolla sedano e carota tritati, aggiungere gli scarti dei gamberi, una foglia di alloro, qualche grano di pepe nero, lasciar insaporire bene il tutto quindi sfumare con il vino, dopodichè coprire tutto a filo con dell'acqua calda, salare leggermente e lasciar cuocere mezzoretta più o meno. Trascorso il tempo filtrare tutto con un colino cinese, schiacciando bene le teste dei gamberi per recuperare il più possibile i succhi. Daranno più sapore al fumetto.
Tenere in caldo.
Pulire anche i calamaretti, poi tagliare sia la sacca che i tentacoli a pezzettoni.
Pulire i fichi d'india con attenzione, tagliarli a pezzi e passarli al frullatore tenendo da parte un paio di fette per la guarnizione del piatto. Io ho usato il Bimby perchè il risultato è migliore, ma un buon frullatore va più che bene. Una volta frullati, passarli al setaccio in modo da ricavarne solo il succo.
Mondare e lavare il porro, conservandone solo la parte bianca. Tritarla abbastanza finemente.
Ora si può iniziare il risotto.
In una casseruola scaldare un goccio d'olio con una piccola noce di burro, aggiungere il porro tritato e lasciar insaporire, unire i calamari mescolandoli e lasciandoli soffriggere insieme al porro per qualche minuto, poi aggiungere il riso, mescolare e lasciare che prenda il condimento, quindi sfumare con il vino e, una volta evaporato, iniziare la cottura aggiungendo un po' di brodo e un po' del succo dei fichi d'india alternativamente, una mestolo di uno e la volta dopo un mestolo dell'altro.
Probabilmente ne avanzerà un poco, ma l'importante è che i liquidi siano sufficienti a portare il riso a cottura.
Continuare a cuocere il risotto al solito modo, aggiungendo liquido poco alla volta alternato, poi, a metà cottura, unire anche i gamberi e continuare fino a che è quasi pronto, a quel punto unire una noce di burro e mantecare il risotto mescolando e nel contempo sbattendo la casseruola .
Spegnere il fuoco, lasciar riposare qualche secondo, poi si può servire con una macinata di pepe bianco e un pizzico di prezzemolo tritato.
Il sapore mi ha sorpreso, mi aspettavo qualcosa di vagamente dolce ma non è stato così.
Nonostante la presenza del fico d'india, che alla fine poi non era così dolce dato che probabilmente è all'inizio stagione, il tutto è stato bilanciato dal fumetto e dal sapore deciso dei calamari e dei gamberi,
Ottimo connubio, fico d'india e crostacei/molluschi, e anche il colore che regala al piatto mi è piaciuto molto, da rifare assolutamente.
Sinceramente me ne ero scordata, ma facendo la spesa li ho visti sui banchi del fruttivendolo e il cassetto in cui l'avevo riposta ha fatto un clac improvviso e si è riaperto di botto, accendendo la mia solita lampadina...
Li ho comprati, e ho comprato molto altro da metterci insieme, così una volta a casa... pronti? Via....
Risotto gamberi calamari e fichi d'india
per 2/3 persone
300 gr riso Carnaroli
4 o 5 fichi d'india
10/12 gamberi rossi
500 gr calamari possibilmente di taglia piccola
1 porro
mezzo bicchiere di vino bianco
sale, pepe
olio
poco burro
poco prezzemolo
per il fumetto:
sedano
carota
cipolla
1 foglia di alloro
i carapaci e le teste dei gamberi
poco vino bianco
pepe nero in grani
poco olio, sale
lavare i gamberi, togliere la testa e la corazza, eliminare il budello, poi con gli scarti preparare il fumetto che poi servirà per il risotto. Tenere da parte i gamberi, se sono troppo grossi, tagliarli a metà per il lungo, lasciandone però qualcuno intero.
In un goccio d'olio fare un soffritto con cipolla sedano e carota tritati, aggiungere gli scarti dei gamberi, una foglia di alloro, qualche grano di pepe nero, lasciar insaporire bene il tutto quindi sfumare con il vino, dopodichè coprire tutto a filo con dell'acqua calda, salare leggermente e lasciar cuocere mezzoretta più o meno. Trascorso il tempo filtrare tutto con un colino cinese, schiacciando bene le teste dei gamberi per recuperare il più possibile i succhi. Daranno più sapore al fumetto.
Tenere in caldo.
Pulire anche i calamaretti, poi tagliare sia la sacca che i tentacoli a pezzettoni.
Pulire i fichi d'india con attenzione, tagliarli a pezzi e passarli al frullatore tenendo da parte un paio di fette per la guarnizione del piatto. Io ho usato il Bimby perchè il risultato è migliore, ma un buon frullatore va più che bene. Una volta frullati, passarli al setaccio in modo da ricavarne solo il succo.
Mondare e lavare il porro, conservandone solo la parte bianca. Tritarla abbastanza finemente.
Ora si può iniziare il risotto.
In una casseruola scaldare un goccio d'olio con una piccola noce di burro, aggiungere il porro tritato e lasciar insaporire, unire i calamari mescolandoli e lasciandoli soffriggere insieme al porro per qualche minuto, poi aggiungere il riso, mescolare e lasciare che prenda il condimento, quindi sfumare con il vino e, una volta evaporato, iniziare la cottura aggiungendo un po' di brodo e un po' del succo dei fichi d'india alternativamente, una mestolo di uno e la volta dopo un mestolo dell'altro.
Probabilmente ne avanzerà un poco, ma l'importante è che i liquidi siano sufficienti a portare il riso a cottura.
Continuare a cuocere il risotto al solito modo, aggiungendo liquido poco alla volta alternato, poi, a metà cottura, unire anche i gamberi e continuare fino a che è quasi pronto, a quel punto unire una noce di burro e mantecare il risotto mescolando e nel contempo sbattendo la casseruola .
Spegnere il fuoco, lasciar riposare qualche secondo, poi si può servire con una macinata di pepe bianco e un pizzico di prezzemolo tritato.
Il sapore mi ha sorpreso, mi aspettavo qualcosa di vagamente dolce ma non è stato così.
Nonostante la presenza del fico d'india, che alla fine poi non era così dolce dato che probabilmente è all'inizio stagione, il tutto è stato bilanciato dal fumetto e dal sapore deciso dei calamari e dei gamberi,
Ottimo connubio, fico d'india e crostacei/molluschi, e anche il colore che regala al piatto mi è piaciuto molto, da rifare assolutamente.
lunedì 16 settembre 2013
Reminiscenze
La zia Vina mi faceva un po' paura.
Era zia di mia nonna, sorella di suo padre, il mio bisnonno Alfonso. Era sola, non si era mai sposata ed era l'unica rimasta della sua famiglia, come parenti aveva soltanto nipoti, ma di questi solo due abitavano in paese. Non so il nome intero come fosse, tutti la chiamavano Vina, immagino Malvina, ma non ne sono sicura.
Viveva in una piccola casetta che confinava con la nostra, in Friuli. Proprio piccola, consisteva in una stanza a piano terra e una stanza al piano di sopra, a cui si accedeva solo esternamente da una scala di legno che dava su un piccolo ballatoio, anch'esso di legno, davanti alla porta di quella che era la stanza da letto.
Due piccoli locali, una costuzione un po' più bassa, che facevano da trait d'union fra la casa della vicina, Santina, che dava direttamente sulla strada, e la nostra, all'interno. Come molte case friulane, sul cortile o sulla grande aia si affacciavano case di proprietà diverse, anche di parenti. Retaggio di un tempo lontano, tutti con l'obbligo della servitù di passaggio. Cosa che ha determinato, nel tempo, infinite dispute, liti e dissapori fra familiari e vicinato...
La zia Vina era una donnetta piccola piccola, credo si sia come "ritirata" invecchiando, piegata dall'artrosi, dalla fatica, e dalla vita.
Longeva, ha vissuto fra il 1800 e 1900, così ho avuto modo di conoscerla quando, d'estate, andavo a fare le vacanze da nonna.
Non posso dimenticarla la "gnagna Vina" (zia in friulano). Vestiva con la foggia dell'800, con gonne lunghe fino ai piedi, marroni o nere, una camicia con le maniche a sbuffo, scura anch'essa, senza colletto, con una lunga fila di bottoni, e sopra un grande grembiule nero con la pettorina. In testa l'immancabile fazzoletto legato alla maniera friulana, che le copriva completamente la testa, nascondendo la canizie.
Mi metteva paura forse perchè assomigliava moltissimo alla raffigurazione che si dà delle streghe, con il naso adunco e il mento a punta, un bitorzolo a lato del naso, e la bocca sdentata. Era così, e ogni volta che la incontravo in cortile, un senso di inquietudine mi prendeva sempre.
Lei, per contro, non amava i bambini. Credo non amasse nessuno a dire il vero. Non che fosse proprio cattiva, ma aveva quella acidità, quella ruvida scontrosità che hanno certe persone molto avanti con gli anni. Le dava fastidio tutto, e si lamentava in continuazione, imprecando contro tutti. Ogni tanto mi apostrofava in un friulano antico che non sempre capivo... ah busitata, busitata!....ho saputo dopo che quella parola significa ragazza....ah ragazza, ragazza".....chissà cosa voleva dirmi...
Mia nonna la sopportava ma, pur aiutandola nel bisogno, cercava di lasciarla nel suo brodo. E pure io le stavo il più lontano possibile.
Ricordo che ogni settimana prendeva tutti gli oggetti in rame che aveva, pentole, paioli, mestoli, bacinelle e quant'altro, e si metteva fuori, in ginocchio sul lavatoio della roggia che scorreva sulla strada e cominciava...prima sfregava ogni pezzo con farina da polenta, sale grosso e aceto, sfregava lungamente fino a far tornare il metallo del suo colore brillante, sciacquava tutto accuratamente dentro l'acqua della roggia, poi metteva tutto sugli scalini di casa ad asciugare al sole.
La sera si metteva seduta fuori, sulla scala , e cenava con una tazza di pane e latte. Tutte le sere, con qualunque tempo.
Non ho mai saputo granché su di lei, solo quello che mi raccontava mia nonna. Era l'ultima dei fratelli Maniago, e aveva sempre lavorato in famiglia, o nei campi. Fra i tanti suoi compiti c'era anche quello di governare e accudire i maiali, e ne avevano molti. Mia nonna mi raccontò di quando gliene scappò uno dal recinto e pensò bene di andare a grufolare nel cortile della casa accanto....la zia Vina si armò di un ramo di salice, molto flessibile e partì per andarlo a recuperare. Il vicino se lo voleva tenere e lei iniziò a litigare menando fendenti con il ramo di salice facendolo roteare come una frusta, gridando come una ossessa, a tal punto che il malcapitato, faticando a difendersi da questa specie di piccola Erinni, cacciò lei e il maiale dal suo cortile...posso assicurare, per esperienza diretta, che una frustata con un ramo di salice è molto dolorosa....mia nonna usava lo stesso sistema con me quando non tornavo a casa puntuale per la cena..
Mi pare di vederla!! Con le sue spalle curve, il fazzoletto nero in testa, che sbraita agitando il ramo di salice...deve essere stata una scena incredibile!
Siccome non aveva un buon carattere, non si era mai sposata, pur avendo avuto qualche pretendente...mia nonna ci scherzava ogni tanto, diceva che li aveva fatti scappare tutti a gambe levate.
E' scomparsa sul finire degli anni '50. Dopo una vita solitaria, fatta solo di lavoro, di fatica, senza alcuna gratificazione, vissuta in una società contadina abbastanza arcaica, dove la condizione della donna non era certo rose e fiori. Ci credo che fosse così scorbutica e tignosa.
Ora la sua casa è diventata tutt'uno con la casa sulla strada che era di Santina, ha cambiato proprietà ed è stata rimessa completamente a nuovo, ma ha conservato quel balconcino, ora in muratura con la ringhiera di ferro. Ma è sempre lo stesso. Per andare a casa mia ci passo davanti, e non posso fare a meno di mandare mentalmente un saluto a quella vecchietta con la faccia da strega e il carattere di un orso.
Pensavo a lei anche oggi, mentre preparavo questa terrina di maiale, appunto. Non so se le sarebbe piaciuta, lei ci si affezionava ai suoi maiali...
Terrina di maiale e mele al Calvados
Mentre la terrina si intiepidisce, preparare la salsa di mele.
Sbucciare le mele e ridurle a dadini, metterle in un pentolino con i due cucchiai di Calvados, un pizzico di sale, una macinata di pepe e una foglia di alloro, cuocere pian piano finchè sono morbide, aggiungere una noce di burro e mescolare bene per farlo assorbire, quindi frullarle a crema con il minipimer.
Fare uno strato di salsa di mele sul piatto di servizio, affettare la terrina e appoggiarla sulla salsa, ed è pronta da gustare!
Era zia di mia nonna, sorella di suo padre, il mio bisnonno Alfonso. Era sola, non si era mai sposata ed era l'unica rimasta della sua famiglia, come parenti aveva soltanto nipoti, ma di questi solo due abitavano in paese. Non so il nome intero come fosse, tutti la chiamavano Vina, immagino Malvina, ma non ne sono sicura.
Viveva in una piccola casetta che confinava con la nostra, in Friuli. Proprio piccola, consisteva in una stanza a piano terra e una stanza al piano di sopra, a cui si accedeva solo esternamente da una scala di legno che dava su un piccolo ballatoio, anch'esso di legno, davanti alla porta di quella che era la stanza da letto.
Due piccoli locali, una costuzione un po' più bassa, che facevano da trait d'union fra la casa della vicina, Santina, che dava direttamente sulla strada, e la nostra, all'interno. Come molte case friulane, sul cortile o sulla grande aia si affacciavano case di proprietà diverse, anche di parenti. Retaggio di un tempo lontano, tutti con l'obbligo della servitù di passaggio. Cosa che ha determinato, nel tempo, infinite dispute, liti e dissapori fra familiari e vicinato...
La zia Vina era una donnetta piccola piccola, credo si sia come "ritirata" invecchiando, piegata dall'artrosi, dalla fatica, e dalla vita.
Longeva, ha vissuto fra il 1800 e 1900, così ho avuto modo di conoscerla quando, d'estate, andavo a fare le vacanze da nonna.
Non posso dimenticarla la "gnagna Vina" (zia in friulano). Vestiva con la foggia dell'800, con gonne lunghe fino ai piedi, marroni o nere, una camicia con le maniche a sbuffo, scura anch'essa, senza colletto, con una lunga fila di bottoni, e sopra un grande grembiule nero con la pettorina. In testa l'immancabile fazzoletto legato alla maniera friulana, che le copriva completamente la testa, nascondendo la canizie.
Mi metteva paura forse perchè assomigliava moltissimo alla raffigurazione che si dà delle streghe, con il naso adunco e il mento a punta, un bitorzolo a lato del naso, e la bocca sdentata. Era così, e ogni volta che la incontravo in cortile, un senso di inquietudine mi prendeva sempre.
Lei, per contro, non amava i bambini. Credo non amasse nessuno a dire il vero. Non che fosse proprio cattiva, ma aveva quella acidità, quella ruvida scontrosità che hanno certe persone molto avanti con gli anni. Le dava fastidio tutto, e si lamentava in continuazione, imprecando contro tutti. Ogni tanto mi apostrofava in un friulano antico che non sempre capivo... ah busitata, busitata!....ho saputo dopo che quella parola significa ragazza....ah ragazza, ragazza".....chissà cosa voleva dirmi...
Mia nonna la sopportava ma, pur aiutandola nel bisogno, cercava di lasciarla nel suo brodo. E pure io le stavo il più lontano possibile.
Ricordo che ogni settimana prendeva tutti gli oggetti in rame che aveva, pentole, paioli, mestoli, bacinelle e quant'altro, e si metteva fuori, in ginocchio sul lavatoio della roggia che scorreva sulla strada e cominciava...prima sfregava ogni pezzo con farina da polenta, sale grosso e aceto, sfregava lungamente fino a far tornare il metallo del suo colore brillante, sciacquava tutto accuratamente dentro l'acqua della roggia, poi metteva tutto sugli scalini di casa ad asciugare al sole.
La sera si metteva seduta fuori, sulla scala , e cenava con una tazza di pane e latte. Tutte le sere, con qualunque tempo.
Non ho mai saputo granché su di lei, solo quello che mi raccontava mia nonna. Era l'ultima dei fratelli Maniago, e aveva sempre lavorato in famiglia, o nei campi. Fra i tanti suoi compiti c'era anche quello di governare e accudire i maiali, e ne avevano molti. Mia nonna mi raccontò di quando gliene scappò uno dal recinto e pensò bene di andare a grufolare nel cortile della casa accanto....la zia Vina si armò di un ramo di salice, molto flessibile e partì per andarlo a recuperare. Il vicino se lo voleva tenere e lei iniziò a litigare menando fendenti con il ramo di salice facendolo roteare come una frusta, gridando come una ossessa, a tal punto che il malcapitato, faticando a difendersi da questa specie di piccola Erinni, cacciò lei e il maiale dal suo cortile...posso assicurare, per esperienza diretta, che una frustata con un ramo di salice è molto dolorosa....mia nonna usava lo stesso sistema con me quando non tornavo a casa puntuale per la cena..
Mi pare di vederla!! Con le sue spalle curve, il fazzoletto nero in testa, che sbraita agitando il ramo di salice...deve essere stata una scena incredibile!
Siccome non aveva un buon carattere, non si era mai sposata, pur avendo avuto qualche pretendente...mia nonna ci scherzava ogni tanto, diceva che li aveva fatti scappare tutti a gambe levate.
E' scomparsa sul finire degli anni '50. Dopo una vita solitaria, fatta solo di lavoro, di fatica, senza alcuna gratificazione, vissuta in una società contadina abbastanza arcaica, dove la condizione della donna non era certo rose e fiori. Ci credo che fosse così scorbutica e tignosa.
Ora la sua casa è diventata tutt'uno con la casa sulla strada che era di Santina, ha cambiato proprietà ed è stata rimessa completamente a nuovo, ma ha conservato quel balconcino, ora in muratura con la ringhiera di ferro. Ma è sempre lo stesso. Per andare a casa mia ci passo davanti, e non posso fare a meno di mandare mentalmente un saluto a quella vecchietta con la faccia da strega e il carattere di un orso.
Pensavo a lei anche oggi, mentre preparavo questa terrina di maiale, appunto. Non so se le sarebbe piaciuta, lei ci si affezionava ai suoi maiali...
Terrina di maiale e mele al Calvados
500 gr spalla maiale tritata
250 gr filetto di maiale
1 mela Golden
30 gr uvetta
30 gr pinoli
2 tuorli
un mazzetto finocchietto selvatico
Calvados q.b.
3 foglie di alloro
20 gr burro
poca noce moscata
sale, pepe nero in grani
per la salsa di mele:
3 mele Golden
1 noce di burro
1 foglia di alloro
2 cucchiai di Calvados
sale, pepe bianco
Mettere a bagno l’uvetta con poco
Calvados per il tempo della preparazione della carne, poi scolarla e strizzarla leggermente.
Lavare il finocchietto, asciugarlo e
sminuzzarlo con le forbici.
Tagliare il filetto di maiale a dadini,
raccoglierli in una ciotola con la carne tritata, l’uvetta, i
pinoli i tuorli
e 2 cucchiai di Calvados, il
finocchietto, la noce moscata grattata al momento, una decina di
granelli di pepe
pestati grossolanamente, il sale e
mescolare bene bene finchè tutto è ben omogeneo.
Trasferire il composto in uno stampo da terrina
(da 1,5l) imburrata generosamente, e premere affinché non restino spazi
vuoti.
Coprire con la mela non sbucciata e
tagliata a fettine sottili, la mia era una Royal Gala, non ho trovato le Golden, allineare anche l'alloro sopra le mele
Chiudere lo stampo con il suo coperchio.
Mettere in forno a 180° per circa
un’ora. Se si usano stampi piccoli cuocere a 45 minuti.
Sfornare e lasciar
intiepidire leggermente.
Sbucciare le mele e ridurle a dadini, metterle in un pentolino con i due cucchiai di Calvados, un pizzico di sale, una macinata di pepe e una foglia di alloro, cuocere pian piano finchè sono morbide, aggiungere una noce di burro e mescolare bene per farlo assorbire, quindi frullarle a crema con il minipimer.
Fare uno strato di salsa di mele sul piatto di servizio, affettare la terrina e appoggiarla sulla salsa, ed è pronta da gustare!
lunedì 9 settembre 2013
il segno di una estate
una estate molto breve, la mia. Vacanze vere e proprie poche, solo un breve periodo in Friuli, il posto delle radici.
Stavolta però siamo riusciti a ritagliarci qualche giorno per gironzolare nelle montagne friulane, bellissime .
Poco conosciuto il Friuli, e soprattutto poco promosso, fuori dal grande turismo. Eppure offre panorami diversissimi, capaci di stupire, di affascinare....spaziano dal mare, passando per pianure e colline per arrivare alle Alpi, maestose, imponenti, di una bellezza struggente. Montagne ruvide, come la gente che le abita, montagne aspre talvolta, caratterizzate da guglie rocciose, incise da capricciosi torrenti, coperte da distese di boschi a loro volta solcati da profonde forre.
Laghi dalle acque turchese, e fiumi che ne segnano il territorio, bianchi come i loro ciottoli che riflettono il sole, che segnano percorsi sinuosi e le cui acque a volte scompaiono e scorrono sotto terra, per ricomparire più a valle.
Ve lo racconterò meglio il mio Friuli, prossimamente...
In uno di quei giri per montagne, siamo capitati un pomeriggio al Rifugio Tita Piaz sul passo Pura a quota 1417 m. sopra Ampezzo Carnico.
Il cielo si era annuvolato improvvisamente, faceva un bel frescolino, e ci siamo fermati per bere un caffè e scaldarci un momento, prima di scendere verso casa. Il camino acceso occupava quasi una stanza, il fuoco crepitava allegro e veniva nutrito costantemente da un tipo seduto su una delle panche intorno..... che voglia di polenta! Ma erano solo le cinque del pomeriggio..
Col caffé decidiamo di assaggiare un dolce, che ci ha incuriosito solo a leggerlo sul menù. Crostata di tarassaco. Ohibò, e come sarà?
Beh, al primo morso è stata una rivelazione! Un sapore incredibilmente buono, una leggerezza e una morbidezza fantastica....
Potevo non chiedere la ricetta al cuoco? Con la mia faccia di tolla l'ho fatto, e lui, davvero gentilissimo e disponibile, e in fondo anche un poco soddisfatto credo, me l'ha scritta per sommi capi su un pezzo di carta volante. Che ho custodito gelosamente finchè non sono tornata a casa, determinata a rifarla al più presto.
Già, ma il problema era la marmellata di fiori di Tarassaco. Ho dimenticato di chiedergli se me ne vendeva un paio di vasetti.... Dove trovarla? Cerco in rete in lungo e in largo, e finalmente la trovo. Arriva, non è proprio una marmellata come intendeva il cuoco del Rifugio, ma in quanto a sapore ci siamo.
Subito, non ho resistito, l'ho fatta subito e al diavolo la dieta!
Sì, perchè è un dolce molto ricco, molto. Ma ne vale la pena, anche solo per un pezzettino - ino - ino.
Crostata di ricotta e tarassaco
Una teglia ha preso la via dell'ufficio di Chiara, che l'ha condivisa coi suoi colleghi, l'altra l'ho condivisa io con Valerio e Alice...ne resta ancora un pochino, ma proprio pochino...
Stavolta però siamo riusciti a ritagliarci qualche giorno per gironzolare nelle montagne friulane, bellissime .
Poco conosciuto il Friuli, e soprattutto poco promosso, fuori dal grande turismo. Eppure offre panorami diversissimi, capaci di stupire, di affascinare....spaziano dal mare, passando per pianure e colline per arrivare alle Alpi, maestose, imponenti, di una bellezza struggente. Montagne ruvide, come la gente che le abita, montagne aspre talvolta, caratterizzate da guglie rocciose, incise da capricciosi torrenti, coperte da distese di boschi a loro volta solcati da profonde forre.
Laghi dalle acque turchese, e fiumi che ne segnano il territorio, bianchi come i loro ciottoli che riflettono il sole, che segnano percorsi sinuosi e le cui acque a volte scompaiono e scorrono sotto terra, per ricomparire più a valle.
Ve lo racconterò meglio il mio Friuli, prossimamente...
In uno di quei giri per montagne, siamo capitati un pomeriggio al Rifugio Tita Piaz sul passo Pura a quota 1417 m. sopra Ampezzo Carnico.
Il cielo si era annuvolato improvvisamente, faceva un bel frescolino, e ci siamo fermati per bere un caffè e scaldarci un momento, prima di scendere verso casa. Il camino acceso occupava quasi una stanza, il fuoco crepitava allegro e veniva nutrito costantemente da un tipo seduto su una delle panche intorno..... che voglia di polenta! Ma erano solo le cinque del pomeriggio..
Col caffé decidiamo di assaggiare un dolce, che ci ha incuriosito solo a leggerlo sul menù. Crostata di tarassaco. Ohibò, e come sarà?
Beh, al primo morso è stata una rivelazione! Un sapore incredibilmente buono, una leggerezza e una morbidezza fantastica....
Potevo non chiedere la ricetta al cuoco? Con la mia faccia di tolla l'ho fatto, e lui, davvero gentilissimo e disponibile, e in fondo anche un poco soddisfatto credo, me l'ha scritta per sommi capi su un pezzo di carta volante. Che ho custodito gelosamente finchè non sono tornata a casa, determinata a rifarla al più presto.
Già, ma il problema era la marmellata di fiori di Tarassaco. Ho dimenticato di chiedergli se me ne vendeva un paio di vasetti.... Dove trovarla? Cerco in rete in lungo e in largo, e finalmente la trovo. Arriva, non è proprio una marmellata come intendeva il cuoco del Rifugio, ma in quanto a sapore ci siamo.
Subito, non ho resistito, l'ho fatta subito e al diavolo la dieta!
Sì, perchè è un dolce molto ricco, molto. Ma ne vale la pena, anche solo per un pezzettino - ino - ino.
Crostata di ricotta e tarassaco
per la frolla:
500 gr farina
300 gr burro
200 gr zucchero
4 tuorli
un cucchiaino di estratto di vaniglia
oppure scorza di limone
per il ripieno
300gr burro
300gr zucchero
6 uova intere
500gr ricotta
200gr marmellata di tarassaco
Preparare la frolla:
Nell'impastatore, col gancio a foglia, mettere il burro freddissimo a pezzettini con lo zucchero e iniziare a mescolare a bassa velocità, quindi aggiungere i tuorli uno alla volta e la vaniglia o la scorza di limone, e infine la farina. Continuare a mescolare finchè la frolla si raccoglie a palla nella ciotola. Togliere dall'impastatore e metterla a riposare in frigorifero per almeno una mezz'ora buona.
Una volta riposata la pasta frolla, stenderla e foderare una tortiera da 26, magari apribile.
Preparare il ripieno:
Mettere la ricotta in un colino a perdere eventuale liquido in eccesso e dopo, passarla al setaccio, sarà più liscia e si amalgamerà meglio al composto di burro
Montare bene il burro con lo zucchero finchè sarà cremoso e gonfio,
aggiungere le uova una alla volta facendo attenzione che non si
smonti, unire la ricotta e e la marmellata di tarassaco.
Mescolare delicatamente per amalgamare
bene
Versare il composto nella tortiera e cuocere in forno ventilato a 175/180°
per 40 minuti circa, dipende dal forno. Con il mio, che verso il fondo tende a bruciare, a metà cottura sono passata allo statico.
Con queste dosi ho fatto due teglie rettangolari antiaderenti, di quelle col fondo mobile, da 20x30.
la confettura di tarassaco, alla fine, l'ho trovata in rete QUI.
a differenza di quella del Rifugio, ha la consistenza del miele, ed ha un bel colore ambrato, mentre quella di lassù era più verdognola e consistente. Il sapore però è quello...
Questo dolce è rimasto impresso a tutti noi che quel giorno l'abbiamo assaggiato, magari è la scoperta dell'acqua calda, ma io ne sono rimasta davvero folgorata.
Una teglia ha preso la via dell'ufficio di Chiara, che l'ha condivisa coi suoi colleghi, l'altra l'ho condivisa io con Valerio e Alice...ne resta ancora un pochino, ma proprio pochino...
Un dolce che, posso dirlo, è stato il suggello, il segno della mia estate.
giovedì 5 settembre 2013
cucina dedicata - la chitarra di Lucia
A volte capita di fare incontri fortunati, a me è successo, fra gli altri, con Lucia, una persona conosciuta attraverso Facebook qualche tempo fa, e mi piace, Lucia.
E anche se la conosco solo virtualmente, per ora, condivido con lei molte cose e mi piace la passione che mette in tutto quello che fa, mi piace il suo modo diretto di dire le cose. Mi piace il suo impegno sociale e la sua capacità di analisi, sempre molto lucida e approfondita. Leggo sempre con interesse i suoi interventi, mai lasciati al caso.
Anche lei ama cucinare, e allora, in omaggio alla sua regione, l'Abruzzo, le dedico questo piatto:
Chitarra, salsiccia, zafferano e crema di zucchine
per 4 persone
350 gr spaghetti alla chitarra
3 belle zucchine verdi
2 spicchi d'aglio
400 gr salsiccia dolce
1 bicchiere di vino bianco
2 o 3 bustine di zafferano
olio, sale, pepe
poco prezzemolo tritato
Spuntare, lavare, asciugare le zucchine e affettarle. Scaldare un goccio d'olio in un largo tegame, aggiungere uno spicchio d'aglio quindi versare le zucchine, mescolarle per far prendere sapore, abbassare il fuoco e coprire il tegame, devono stufare senza colorirsi. A metà cottura aggiungere sale e una macinata di pepe quindi finire di cuocere. Frullarlea crema, aglio compreso, con il minipimer e tenere in caldo.
In un padellino a parte, scaldare poco olio con uno spicchio d'aglio, aggiungere la salsiccia spellata e sbriciolata grossolanamente e lasciarla colorire ben bene. Regolare di sale e pepe e sfumare con il vino bianco. Una volta assorbito il vino, aggiungere una bustina di zafferano e un poco d'acqua calda, mescolare bene e lasciar asciugare ancora qualche minuto, se vi sembra ancora pallida, aggiungete una seconda bustina.. Tenere da parte anche la salsiccia.
Portare a ebollizione l'acqua per la pasta, e una volta pronta, sciogliervi dentro l'altra bustina di zafferano. Cuocere la pasta, e una volta scolata, condirla con l'intingolo di salsiccia. Fare un leggero strato di crema di zucchine sul fondo del piatto di servizio, aggiungere la pasta ben condita, e colorare con un poco di prezzemolo tritato.
Lucia, spero che ti piaccia!
E anche se la conosco solo virtualmente, per ora, condivido con lei molte cose e mi piace la passione che mette in tutto quello che fa, mi piace il suo modo diretto di dire le cose. Mi piace il suo impegno sociale e la sua capacità di analisi, sempre molto lucida e approfondita. Leggo sempre con interesse i suoi interventi, mai lasciati al caso.
Anche lei ama cucinare, e allora, in omaggio alla sua regione, l'Abruzzo, le dedico questo piatto:
Chitarra, salsiccia, zafferano e crema di zucchine
per 4 persone
350 gr spaghetti alla chitarra
3 belle zucchine verdi
2 spicchi d'aglio
400 gr salsiccia dolce
1 bicchiere di vino bianco
2 o 3 bustine di zafferano
olio, sale, pepe
poco prezzemolo tritato
Spuntare, lavare, asciugare le zucchine e affettarle. Scaldare un goccio d'olio in un largo tegame, aggiungere uno spicchio d'aglio quindi versare le zucchine, mescolarle per far prendere sapore, abbassare il fuoco e coprire il tegame, devono stufare senza colorirsi. A metà cottura aggiungere sale e una macinata di pepe quindi finire di cuocere. Frullarlea crema, aglio compreso, con il minipimer e tenere in caldo.
In un padellino a parte, scaldare poco olio con uno spicchio d'aglio, aggiungere la salsiccia spellata e sbriciolata grossolanamente e lasciarla colorire ben bene. Regolare di sale e pepe e sfumare con il vino bianco. Una volta assorbito il vino, aggiungere una bustina di zafferano e un poco d'acqua calda, mescolare bene e lasciar asciugare ancora qualche minuto, se vi sembra ancora pallida, aggiungete una seconda bustina.. Tenere da parte anche la salsiccia.
Portare a ebollizione l'acqua per la pasta, e una volta pronta, sciogliervi dentro l'altra bustina di zafferano. Cuocere la pasta, e una volta scolata, condirla con l'intingolo di salsiccia. Fare un leggero strato di crema di zucchine sul fondo del piatto di servizio, aggiungere la pasta ben condita, e colorare con un poco di prezzemolo tritato.
Lucia, spero che ti piaccia!
lunedì 2 settembre 2013
una cena fredda
approfitto degli ultimi scampoli d'estate per una cena fredda. Finchè si può, finchè c'è ancora qualche giornata calda.
Già ormai la sera il buio arriva prima, l'aria è frizzantina....l'autunno mette le mani avanti ed è alle porte....e io, l'ho detto tante volte, l'autunno non lo amo per nulla..
Continuo con piatti colorati e freschi, che poi avrò tempo per cucinare tutt'altro, molto tempo.L'inverno per me arriva sempre troppo presto e non finisce mai...
L'altra sera che avevamo un amico a cena, via a tutto pesce!
Ricette per tre persone quindi.
per iniziare
Carpaccio di pesce spada
200 gr pesce spada a fette sottili
un cuore di sedano
pomodorini datterini
prezzemolo
pepe rosa
limone
sale, pepe aromatico
olio e.v.
facilissimo, una volta ben adagiato nel piatto di servizio, salare, pepare, aggiungere il cuore di sedano tagliato a pezzetti, i pomodorini svuotati dei semi e ridotti anch'essi a pezzetti, un trito di aglio e prezzemolo, pepe rosa per colorare, succo di limone e un giro d'olio buono.
Carpaccio di tonno
200 gr tonno a fette sottili
1 cipollotto fresco
qualche pomodorino datterino
qualche cappero
erba cipollina
poco aneto
sale, pepe aromatico
limone
olio buono
la stessa cosa facile, una volta steso nel piatto di servizio cospargere il tonno con rondelle di cipollotto tagliato sottile, pomodorini svuotati dei semi e tagliati a pezzetti, capperi, sale, pepe, succo di limone e per finire erba cipollina tagliuzzata con la forbice e un ciuffetto di aneto spezzettato anch'esso. Un giro d'olio buono completa il tutto.
Piccola catalana di astice
2 piccoli astici
pomodori Piccadilly (tipo datterino ma più grosso)
1 cuore di sedano
cipolla di Tropea
olio, sale, pepe
basilico per guarnire
per il bouillon:
poco vino bianco
1 carota
1 scalogno
1 costa di sedano
1 foglia di alloro
sale, pepe in grani
portare a ebollizione l'acqua con gli odori, il sale, il pepe. Quando bolle tuffarci gli astici, precedentemente lavati, aggiungere anche il vino bianco e cuocere per circa 10 minuti, anche meno.
Scolare gli astici, lasciarli intiepidire quindi procedere a sgusciarli, chele comprese, aiutandosi con un attrezzo apposito, se lo avete, o con una forbice da cucina, in modo da non rompere la polpa all'interno.
Non è una operazione facile, io con la forbice ho faticato non poco a levare la polpa dalle chele cercando di lasciarla il più intatta possibile.
Mentre gli astici si intiepidiscono, tagliare le verdure a pezzi, a fette sottili la cipolla. Emulsionare in una tazza il sale, il pepe e l'olio buono.
Tagliare la polpa degli astici a pezzettoni condirla con le verdure e per ultimo aggiungere le chele "nude" per non rovinarle troppo.
Guarnire con una foglia di basilico.
Cena molto apprezzata devo dire!
Già ormai la sera il buio arriva prima, l'aria è frizzantina....l'autunno mette le mani avanti ed è alle porte....e io, l'ho detto tante volte, l'autunno non lo amo per nulla..
Continuo con piatti colorati e freschi, che poi avrò tempo per cucinare tutt'altro, molto tempo.L'inverno per me arriva sempre troppo presto e non finisce mai...
L'altra sera che avevamo un amico a cena, via a tutto pesce!
Ricette per tre persone quindi.
per iniziare
Carpaccio di pesce spada
200 gr pesce spada a fette sottili
un cuore di sedano
pomodorini datterini
prezzemolo
pepe rosa
limone
sale, pepe aromatico
olio e.v.
facilissimo, una volta ben adagiato nel piatto di servizio, salare, pepare, aggiungere il cuore di sedano tagliato a pezzetti, i pomodorini svuotati dei semi e ridotti anch'essi a pezzetti, un trito di aglio e prezzemolo, pepe rosa per colorare, succo di limone e un giro d'olio buono.
Carpaccio di tonno
200 gr tonno a fette sottili
1 cipollotto fresco
qualche pomodorino datterino
qualche cappero
erba cipollina
poco aneto
sale, pepe aromatico
limone
olio buono
la stessa cosa facile, una volta steso nel piatto di servizio cospargere il tonno con rondelle di cipollotto tagliato sottile, pomodorini svuotati dei semi e tagliati a pezzetti, capperi, sale, pepe, succo di limone e per finire erba cipollina tagliuzzata con la forbice e un ciuffetto di aneto spezzettato anch'esso. Un giro d'olio buono completa il tutto.
Piccola catalana di astice
2 piccoli astici
pomodori Piccadilly (tipo datterino ma più grosso)
1 cuore di sedano
cipolla di Tropea
olio, sale, pepe
basilico per guarnire
per il bouillon:
poco vino bianco
1 carota
1 scalogno
1 costa di sedano
1 foglia di alloro
sale, pepe in grani
portare a ebollizione l'acqua con gli odori, il sale, il pepe. Quando bolle tuffarci gli astici, precedentemente lavati, aggiungere anche il vino bianco e cuocere per circa 10 minuti, anche meno.
Scolare gli astici, lasciarli intiepidire quindi procedere a sgusciarli, chele comprese, aiutandosi con un attrezzo apposito, se lo avete, o con una forbice da cucina, in modo da non rompere la polpa all'interno.
Non è una operazione facile, io con la forbice ho faticato non poco a levare la polpa dalle chele cercando di lasciarla il più intatta possibile.
Mentre gli astici si intiepidiscono, tagliare le verdure a pezzi, a fette sottili la cipolla. Emulsionare in una tazza il sale, il pepe e l'olio buono.
Tagliare la polpa degli astici a pezzettoni condirla con le verdure e per ultimo aggiungere le chele "nude" per non rovinarle troppo.
Guarnire con una foglia di basilico.
Polpo in carpione
1 polpo da circa kg. 1,300
300 gr zucchine (solo la parte verde)
2 cipolle bionde, non troppo grosse
200 gr peperoni fra gialli e rossi
200 gr vino bianco
100 gr aceto bianco
500 gr acqua
1 mazzetto di basilico
2 spicchi d'aglio
un cucchiaino coriandolo in grani
un cucchiaino pepe bianco in grani
olio e.v.
poca farina bianca
Pulire il polpo e privarlo di becco e
occhi, lavarlo accuratamente più volte.
Cuocerlo in abbondante acqua bollente salata, finché é morbido. Spegnere e lasciarlo
intiepidire nell'acqua di cottura, dopodiché spellarlo togliendo le
ventose e tagliarlo a pezzetti.
Preparare la brunoise di verdure per il
carpione. Pulire le cipolle ridurle a fette non troppo sottili.
Ridurre così, a pezzi molto piccoli,
anche i peperoni e le zucchine eliminando di queste la polpa
centrale.
Portare a bollore sostenuto l'acqua e salare
leggermente, unire il vino e l'aceto, l'aglio, il pepe e il
coriandolo.
Appena bolle unire le cipolle e le verdure e quando riprende il bollore calcolare 4/5 minuti di cottura, le verdure dovranno essere ancora croccanti, ma dipende da voi, se le preferite un po' più cotte lasciatele ancora qualche minuto, quindi spegnere.
Infarinare il polpo eliminando il più
possibile la farina in eccesso aiutandosi con un setaccio. Friggerlo in una larga padella antiaderente in abbondante olio d'oliva
caldo, toglierlo senza sgocciolarlo eccessivamente e raccoglierlo in
un largo piatto profondo, o un altro recipiente che possa andare in tavola, irrorarlo con il carpione caldo, eliminare
l'aglio e unire il basilico spezzettato con le mani.
Lasciar marinare almeno 24 ore prima di servire.
Al momento di portare in tavola, aggiungere dell'altro basilico spezzettato con le mani.
Cena molto apprezzata devo dire!
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