le stagioni si rincorrono velocissime, scivolano via come sabbia fra le dita. Passano le primavere, le estati e tornano gli inverni. E con l'inverno arrivano anche i compleanni....domenica scorsa è stato quello di mio marito e anche se lui è abbastanza restio a festeggiare, ho comunque voluto tutta la famiglia intorno a lui, o quasi tutta. So che gli fa piacere anche se fa finta di non voler celebrare gli anni che passano....cominciano ad essere troppi per contarli.
Ho cercato di preparare i piatti che preferisce, con qualche inserimento e qualche libera interpretazione, per cercare di accontentare i gusti di tutti, oltre che i suoi.
Nessun antipasto, ho preferito partire direttamente da queste...
Crespelle di grano saraceno, verze e fonduta di Bitto
per una ventina di crespelle:
150 gr farina 00
150 gr farina di grano saraceno
1 l. latte
6 tuorli
3 cucchiai abbondanti birra
1 cucchiaino di grappa
60 gr burro fuso
sale
per il ripieno:
1 piccola verza
1 scalogno
poco burro
sale, pepe
150 gr formaggio Casera
50 gr parmigiano grattugiato
600 gr latte
60 gr burro
60 gr farina
sale, pepe, noce moscata
per la fonduta:
300 gr Bitto
latte q.b.
per completare:
100 gr guanciale tagliato a pezzetti sottili
La sera prima preparate le crespelle.
In una ciotola mischiate le due farine, fate una piccola fontana nel centro e unite i tuorli d'uovo, sbatteteli con una forchetta quindi mescolateli con la farina mentre versate il latte a filo, ottenendo una pastella semimorbida e senza grumi. Aggiungete anche la birra e la grappa. Regolate di sale e di pepe, coprite e lasciate riposare per un'ora in frigorifero. Il burro fuso andrà aggiunto alla fine, poco prima di usare la pastella.
Trascorso il tempo del riposo, preparate le crespelle al solito modo, scaldando e ungendo una crêpiera antiaderente. Versate un mestolino di impasto, spargetelo e roteate la pentola in modo che si formi la crespelle, lasciatela cuocere un paio di minuti, quindi rigiratela e lasciatela cucoere anche dall'altro lato per altri due minuti, o finché vi sembra perfettamente cotta. Continuate così fino all'esaurimento dell'impasto.
Con la dose che ho indicato, mi sono venute una ventina di crespelle.
Una volta terminato il lavoro, lasciatele raffreddare completamente trasferitele in un contenitore o in una pirofilina, poi sigillate tutto con una pellicola e conservatele in frigorifero fino al momento dell'uso.
Preparate la verza per il ripieno.
Tagliate a metà la verza, eliminate le foglie dure esterne, eliminate anche il più possibile il torsolo duro.
Tagliatele a listelle e lasciatele a bagno in acqua fredda qualche minuto.
Nel frattempo sbucciate lo scalogno, scaldate un poco d'olio in una capiente padella e lasciatelo soffriggere pian piano affettato sottilmente, quando comincia a diventare trasparente, aggiungete le verze scolate dall'acqua. Mescolate bene per farle insaporire, salate e pepate leggermente, quindi coprite con un coperchio e abbassate il fuoco. Fatele cuocere a fuoco dolce finché saranno morbide. Tenete da parte in una ciotola.
La besciamella. Scaldate bene il latte, fate fondere il burro lasciandolo un poco colorire, quindi versate la farina mescolando con una frusta per non fare grumi, lasciate insaporire, quindi aggiungete il latte bollente, sempre mescolando con la frusta pe evitare il formarsi di grumi. Abbassate il fuoco e lasciate cuocere qualche minuto, salate, pepate e aggiungete un pizzico di noce moscata.
A questo punto riprendete le verze e mescolatele con la besciamella appena fatta, in modo che si amalgamino bene. Completate con il parmigiano grattugiato e il Casera a pezzetti.
Riprendete le crespelle tenute da parte, apritele su un tagliere e farcitele
quindi arrotolatele strettamente
pareggiatene i bordi con un coltello affilato e tagliatele a metà in modo da avere due tronchetti.
mettete dei fiocchetti di burro sul fondo di una teglia antiaderente, allineate strettamente i tronchetti di crespelle, cospargeteli con altrettanti fiocchetti di burro e mettete in forno già caldo a 180° per circa 20 minuti.
Mentre le crespelle sono in forno, preparate la fonduta. In un pentolino mettete il formaggio Bitto tagliato a piccoli pezzi, copriteli con del latte e mettete su fuoco dolce, mescolando finchè è ben sciolto e la fonduta corposa ma non troppo asciutta. Aggiungete latte se lo ritenete necessario. Tenete in caldo.
In un altro pentolino antiaderente mettete i pezzetti di guanciale e ponete il tutto su fuoco basso, lasciate che il guanciale diventi ben asciutto e croccante, mescolando spesso. Tenete da parte.
Quando le crespelle saranno pronte, mettete un poco di fonduta di Bitto sul fondo del piatto, appoggiatevi sopra un paio di rocchetti di crespelle alla verza e completate con il guanciale croccante.
I secondi che ho preparato:
Agnello e carciofi a modo mio
1,500 kg di cosciotto d'agnello a pezzi
8 carciofi senza spine
6 o 7 filetti di acciughe sott'olio
2 spicchi d'aglio
1 bicchiere di vino bianco
1 rametto di rosmarino
scorza di limone
3 o 4 rametti di timo, un paio di rametti di menta fresca,
sale, pepe
olio e.v.
la sera prima condite la carne, ben lavata e asciugata, con un poco di olio, pepe e con timo, rosmarino, pezzetti di scorza di limone e di aglio. Mettete tutto ben coperto in frigorifero.
Al momento di cuocere, elininare tutti i pezzetti di limone dalla carne.
Scaldare un goccio d'olio, aggiungere i filetti di acciuga insieme all'altro spicchio d'aglio e lasciatele fondere pian piano mescolando. quindi aggiungete i pezzi di carne e fatela ben rosolare da tutte le parti, quindi sfumate con il vino e non appena sarà evaporato, aggiungete la menta, salate, pepate e aggiungete anche tanta acqua o, se l'avete, brodo, quanto basta a coprire appena i pezzi di carne. Lasciate cuocere a fuoco basso, finchè il liquido si sarà ridotto e l'agnello inzia ad essere morbido.
Nel frattempo mondate i carciofi eliminando tutte le foglie esterne più dure, e l'evenutale fieno interno, tagliateli in quattro spicchi e tuffateli man mano in acqua acidulata con del limone per non farli annerire.
Quando l'agnello appunto è a metà cottura, aggiungete i carciofi nella stessa pentola, aggiungete ancora un goccio di liquido se vi sembra necessario, assaggiate e regolate di nuovo il sale, quindi portate a cottura a pentola coperta, a fuoco basso. La carne dovrà risultare morbida e dorata e il fondo altrettanto morbido, ma non liquido.
Arrosto di vitello ripieno e patate rosmarine
1 pezzo di fesa di vitello, aperto a tasca.
400 gr carne trita di manzo
100 gr mortadella
100 gr salsiccia dolce
1 spicchietto d'aglio
2 uova
2 cucchiai abbondanti di parmigiano grattugiato
1 ciuffo di prezzemolo
la mollica di un panino bagnata nel latte e strizzata
un generoso pizzico di noce moscata
olio, sale, pepe
per le patate
abbondante rosmarino
1 spicchio d'aglio
poca scorza di limone non trattato
olio, sale, pepe
fatevi preparare dal macellaio un pezzo di vitello a tascia in modo che si possa poi farcire.
Preparate il ripieno. In una ciotola mescolate la carne insieme alla mortadella tritata, alla salsiccia sbriciolata. Unite un trito abbondante di prezzemolo e aglio, le uova, il parmigiano, la mollica del panino bagnata nel latte e ben strizzata, sale, pepe e la noce moscata.
Mescolate a lungo fino ad avere un comporto perfettamente omogeneo. Io parto con una forchetta e continuo poi con le mani finchè sento arrivata la consistenza giusta, quando il ripieno, sollevandolo, si stacca interamente, senza difficoltà dalla ciotola, è pronto..
Riempite la tasca con il ripieno preparato, premendo per farlo arrivare bene dappertutto.
Completato il riempimento, cucite i due lembi di carne dell'apertura con del filo bianco.
Mettete un poco di olio in una teglia da forno, aggiungete la carne, due rametti di rosmarino, ciuffetti di salvia e qualche rametto di timo e mettete in forno a 200°. Rigiratelo ogni tanto, e quando comincia a dorarsi, sfumatelo con il vino bianco.
Cuocete a fiorno statico, rigirandolo spesso e bagnandolo col suo fondo di cottura, aggiungendo del liquido se si riducesse troppo.
In un'altra teglia, mettete le patate tagliate a grossi pezzi, condite con un trito abbondante di rosmarino, aglio e un poco di scorza di limone, sale e poco pepe bianco. Infornate su un altro piano, anche mentre l'arrosto cuoce, calcolando i tempi. Sono pronte quando sono belle dorate e abbrustolite.
Faraona arrosto
1 faraona in pezzi
100 gr pancetta dolce a dadini
abbondante salvia
i piccola cipolla
olio, una noce di burro
sale, pepe
mezzo limone
un bicchiere di vino bianco
fiammeggiate i pezzi di faraona per eliminare eventuali residui di piume, lavateli e asciugateli.
In una larga padella fondete una noce di burro insieme a un goccio d'olio e rosolatevi la pancetta a dadini e i pezzi di faraona finchè sono ben dorati, aggiungete la cipolla affettata sottilmente, mescolate in modo che si insaporisca bene tutto, poi regolate di sale e di pepe nero, sfumate con il vino bianco, il succo del mezzo limone. Aggiungete poi la scorza tagliata in due o tre parti.
Unite anche un paio di mestoli di brodo o di acqua calda e coprite la padella, abbassate il fuoco e portate a cottura facendo in modo che alla fine la carne risulti ben dorata e morbida.
Io l'ho servita su un letto di radicchio rosa, ma potete accompagnarla con le patate, o qualsiasi verdura cotta preferite.
e per finire i dolci.
Mio marito ha voluto una semplice crostata di marmellata di ciliegie, e per la frolla ho usato la ricetta Etoile, la mia preferita, fondente, friabile e burrosa come deve essere una frolla:
500 gr farina
300 gr burro
200 gr zucchero
4 tuorli
poca scorza di limone e 1 cucchiaino di essenza di vaniglia.
purtroppo non ho fatto in tempo a fare foto, mentre sistemavo la charlotte in cucina, è sparita in un nanosecondo, solo la mia fetta era rimasta solitaria nel piatto......
però come secondo dolce, un poco più importante, più da compleanno, ne ho preparato un'altro
Charlotte al caffè e crema di mascarpone
per la bavarese al caffè:
1/2 l. latte
4 tuorli
200 gr zucchero
300 gr panna liquida fresca
40 gr caffè + 1 cucchiaino di Nescafé
1 cucchiaino essenza di vaniglia
10 gr gelatina in fogli
2 cucchiai liquore al caffè
per la crema di mascarpone:
300 gr mascarpone
3 tuorli
3 cucchiai abbondanti di zucchero
200 gr panna liquida fresca
2 gr. gelatina in fogli
per completare
savoiardi q.b.
poco cacao
2 tazze di caffè
qualche chicco di caffè
La sera prima preparare la bavarese.
Scaldate il latte. A parte, in una ciotola montate i tuorli con lo zucchero fino a che diventano bianchi e spumosi, aggiungete la vaniglia, e il latte a filo.
Mettete in ammollo in acqua fredda la gelatina in fogli.
Mettete la crema inglese sul fuoco e fate cuocere a fuoco dolce, sempre mescolando, finchè la crema si ispessisce e vela il cucchiaio, se avete un termometro, portatela a 85°.
Unite la gelatina ammollata e ben strizzata e fate sciogliere completamente a caldo, preparate i 40 grammi di caffè ristretto, rinforzatelo con un cucchiaino di caffè liofilizzato, e fate sciogliere bene, quindi unite anche il caffè alla crema inglese, e i due cucchiai di liquore al caffè. Mescolate bene e trasferite il tutto in una ciotola. Quando la crema al caffè è completamente raffreddata, semimontate la panna e incorporatela con pazienza e delicatezza alla crema, mescolando finchè il tutto è perfettamente amalgamato. Foderate bene con della pellicola una ciotola rotonda, o uno stampo chiuso rotondo, più o meno di 22 cm.
Versatevi il composto, sigillate bene con dell'altra pellicola e mettete in congelatore.
La mattina, togliete la bavarese congelata dal freezer e dallo stampo. appoggiatela direttamente sul piatto di servizio.
Preparate due o tre tazze di caffè ristretto in una scodella, zuccheratelo leggermente. Prendete la misura dei savoiardi, appoggiandoli alla bavarese gelata, in modo da tagliarne un pezzetto sul fondo per farli stare dritti, e calcolando lo spazio necessario per fare poi lo strato di crema al mascarpone
Poi a cucchiaiate, versate il caffè in un piatto piano, intingete leggermente l'interno dei savoiardi per bagnarli di caffè, senza esagerare altrimenti diventeranno molli, e allineateli ben stretti contornando tutta la bavarese.
Mettete in frigorifero a scongelare lentamente.
Nel frattempo preparate la crema al mascarpone.
Mettete in ammollo la gelatina in fogli.
Montate a caldo, a bagnomaria e con le fruiste elettriche, i tuorli con lo zucchero fino ad ottenere una crema densa e vischiosa, aggiungete la gelatina ben strizzata sempre sbattendo con le fruiste, finchè è perfettamente incorporata e sciolta.
Togliete dal fuoco e sempre battendo con la frusta a bassa velocità, fate raffreddare completamente.
Ci vorrà soltanto qualche minuto.
Una volta fredde le uova, aggiungete il mascarpone, sempre con le fruste elettriche, fino ad avere una bella crema densa e liscia.
Montate la panna a neve ferma e incorporatela alla crema di mascarpone fimchè tutto è ben amalgamato e la crema perfettamente liscia.
Trasferitela in una sac à poche a cui avrete infilato una bocchetta liscia. Riprendete la charlotte dal frigorifero, e riempite lo spazio fra la bavarese e la cima dei savoiardi con dei ciuffetti di crema, il più possibile regolari, fatti scendere dalla sac à poche.
Fatela diventare ancora iù bella e importante legandola con un nastro colorato.
Mettete in frigorifero, e toglietela un'ora prima di assaggiarla, in modo che abbia il tempo di scongelarsi perfettamente.
Prima di portarla in tavola, fate scendere una leggera pioggerellina di cacao amaro sulla superficie della crema e mettete qua e là qualche chicco di caffè.
al taglio era così.
Ottima, ma io non faccio testo, adoro tutto quello che prevede caffè! Comunque è piaciuta molto a tutti, anche a mio marito che di solito non ama molto i dolci "pannosi".
E intanto, un altro anno se ne è andato...
giovedì 19 febbraio 2015
domenica 8 febbraio 2015
di anatre e di ricordi
- allora, sei pronta? Dai che fra poco si parte..
Così inizia una piccola vacanza, molti e molti anni fa...
Marina abitava al quarto piano della casa di ringhiera, nell'appartamento di testa che si apriva sul pianerottolo, quello decisamente più grande rispetto agli altri di due stanze a cui si accedeva dalle ringhiere. Molto più signorile, era ben diviso con soggiorno, camera da letto e un cucinotto ma, cosa più importante, aveva addirittura il bagno, se così si può chiamare un piccolo locale lungo e stretto, con lavandino e w.c..
Niente vasca da bagno, ci si lavava nel mastello, ma almeno i servizi erano in casa e non in comune sulla ringhiera.
Figlia di una coppia ormai incamminata verso la mezza età e venuta al mondo quando ormai sua madre, Milena, non ci sperava più, aveva la mia età quando sono andata ad abitare in quella casa, 6 anni. Lo strano regolamento imposto dal padrone di casa, l'odiato dott.. Colombo, non permetteva ai bambini di giocare in cortile; l'unica deroga era per me, la figlia della portiera. Così, io e Marina ci siamo guardate per un po' da posizioni diverse lei guardava me dall'alto del quarto piano invidiandomi perchè potevo stare in cortile, e io guardavo lei dal basso del cortile, soffrendo di solitudine.
Poi, nel tempo, a furia di guardarci in su e in giù, siamo diventate amiche...
A volte veniva lei in portineria e a volte andavo io a casa sua a studiare e dopo, la merenda.
Sorvegliate e anche aiutate spesso con i compiti, da sua madre.
Milena me la ricordo come una donna piena di verve, di carattere. Volitiva e decisa, fumava come una ciminiera, e in quegli anni le donne che fumavano venivano sempre etichettate malamente. Era sempre molto curata, unghie laccate di rosso, mai una sbavatura nel rossetto, rosso scuro come le unghie, capelli tinti di un castano ramato, vestiti sempre molto alla moda, una bella donna insomma, un po' avanti rispetto ai tempi, una donna che sembrava decisamente più giovane di molte della sua età che vivevano lì.
In quel piccolo microcosmo che era una casa di ringhiera, non era molto amata, sicuramente era invidiata anche se avere figli a qurantacinque anni suonati era visto come una specie di disgrazia, ai tempi.
La gente mormorava quando vedeva Milena con sua figlia per mano, le donne si davano di gomito e si scambiavano occhiate d'intesa...ma come, a quell'età, un figlio? Ma potrebbe essere sua nonna, non sua madre....e via discorsi di questo tipo, sottovoce.
Era fortunata Marina, era arrivata in una famiglia decisamente agiata, suo padre era proprietario di una grande profumeria molto avviata e conosciuta in corso Vercelli, sua madre ogni tanto aiutava in negozio ma raramente, perlopiù si curava della casa e di sua figlia.
Avevano anche una casa sul lago Maggiore, a Oggebbio, dove Marina e sua madre passavano le estati e dove andavano ogni volta che potevano ritagliarsi qualche giorno di vacanza.
Così, in occasione di una di quelle brevi vacanze, fui invitata ad andare con loro a Oggebbio.
Il padre di Marina non poteva lasciare il negozio, così andammo col treno delle Nord fino a Laveno Mombello e da lì prendemmo il battello che ci portò a Oggebbio. Un viaggio bellissimo per me che difficilmente potevo viaggiare, se non per andare in Friuli. Ricordo che sul battello io e Marina ci precipitammo verso prua a prendere i posti esterni per poter guardare il lago Maggiore in tutta la sua bellezza. In silenzio, ci riempivamo gli occhi di tutto quell'azzurro, ascoltavamo il sommesso rumore del motore e il fruscio del vento. Facevamo scorta di bellezza, per attingerne quando ne avremmo sentito il bisogno.
Arrivate a Oggebbio ci venne a prendere in auto un conoscente di Milena che si occupava anche della casa in loro assenza, e iniziammo a inerpicarci sulle montagne sovrastanti il lago. Un viaggio breve ma di cui ho un ricordo vivido. Ad ogni curva, fra gli alberi, riappariva il lago in tutta la sua bellezza.
La casa era a mezza costa, sopra Oggebbio, un po' isolata, e tutto intorno aveva grandi prati limitati da bassi muretti a secco. Dividevamo una cameretta bellissima, tutta tappezzata a fiori rosa, e i lettini gemelli avevano i copriletti dello stesso disegno, alle finestre tendine con dei grandi volants.
Su lunghe mensole alla parete erano allineati tantissimi giocattoli, di tutti i tipi, bambole soprattutto, di diversa grandezza, in celluloide e in bisquit, alcune spoglie e altre vestite come damine dell'800, e anche parecchi peluche. Mi incuriosivano, io non ne avevo mai avuto uno e l'unica mia bambola di celluloide era sempre da riparare perchè l'elastico interno che teneva insieme le gambe, si rompeva spesso, per la felicità di mio padre a cui toccava aggiustarla ogni volta.. Mi piaceva molto quella stanza da ragazzine, se capitava che piovesse ci andavamo a giocare con le bambole..... normalmente passavamo i giorni giocando fuori, sotto un pino, sempre con le bambole e i pentolini, oppure stavamo a lungo appollaiate su uno dei muretti, a guardare il panorama sotto di noi, sbocconcellando panini con la marmellata, o con il salame a volte, potevamo correre a perdifiato nel prati e raccogliere piccoli fiori azzurri e gialli che legavamo a mazzetti e portavamo alla cappelletta dedicata alla Madonna, poco distante, oppure ci sdraiavamo nell'erba e guardavamo le nuvole, cercando di indovinare a cosa somigliassero.
La mattina scendevamo in paese, con Milena, a fare la spesa. In una di quelle piccole bottteghe di paese, l'unica, dove trovavi di tutto, dal latte fresco fino alle pentole, passando per tutta la ferramenta e alle pezze di stoffa. Ne ricordo l'odore di quella bottega, un mix fra salumi appesi, formaggi, tonno e sgombro venduti sfusi, annegati in vaschette d'olio, ma mescolati con l'odore delle pezze di stoffa, dei copertoni da bici sparsi in giro.Non certo piacevole da sentire..
Mentre Milena finiva la spesa, noi andavamo in riva al lago a dar da mangiare alle anatre. Portavamo sempre un po' di pane secco apposta. Era uno dei divertimenti, sedersi sullo scalino lambito dall'acqua e iniziare a lanciare pezzi di pane. In un baleno arrivavano una decina di anatre selvatiche che si azzuffavano per accaparrarsi il boccone più grosso. Così facendo sollevavano alti schizzi d'acqua che spesso, se non quasi sempre, ci piovevano addosso.
Scappavamo ridendo e tornavamo su, alla casa, bagnate e intirizzite, rimbrottate bonariamente da Milena, ma contente.
Giorni sereni, gioiosi e spensierati, come è giusto che sia per delle bambine di 10 anni. Giocavamo con niente, e ci divertivamo tantissimo lo stesso. Con quanta malinconia ho ricordato quella vacanza, una volta tornata a casa!
L'altro giorno, facendo la spesa, ho visto dei petti d'anatra e siccome a mio marito piacciono molto, ne ho comprati un paio. Per un attimo, mentre mettevo la confezione nel carrello, mi sono rivista bambina, seduta su quello scalino con Marina, le teste vicine, le braccia protese verso il lago a lanciare il pane in acqua per attirare le anatre selvatiche. Mi è venuto un nodo in gola, ma l'ho ricacciato giù e ho pensato a lei, chissà dove sarà ora, cosa fa, come è stata la sua vita, chissà se si ricorda di quei giorni, e chissà se le piace cucinare l'anatra....
Domande che resteranno senza risposta perchè, come spesso succede, la vita ti porta da tutt'altra parte e ci si perde....
L'ho cucinata quell'anatra, pensando a quei giorni bellissimi...
Petto d'anatra al mandarino e tortino di topinambur
(da Sale&Pepe un po' modificata a modo mio)
(per due persone)
2 petti d'anatra,
1 rametto di rosmarino
1 rametto di mirto
mezzo cucchiaino di cannella in polvere
la scorza di mezzo mandarino non trattato
olio, sale, pepe
per il tortino:
300 gr topinambur
2 uova
100 gr robiola
25 gr parmigiano grattugiato
un pizzico di sale
poca noce moscata
per la riduzione di mandarino:
2 mandarini non trattati
2 cucchiai di liquore al mandarino
una noce di burro
Dopo aver lavato e asciugato i petti, incidete la pelle con dei tagli a croce, senta intaccare la carne sottostante.
Tritate insieme la scorza del mandarino, il rosmarino e il mirto.
Mescolate al trito il mezzo cucchiaino di cannella , un poco di pepe macinato al momento e con questo cospargete la pelle dei petti, premendo leggermente affinchè entri bene anche nei tagli.
avvolgete strettamente i petti in un poco di pellicola e lasciateli riposare per mezz'ora più o meno.
mentre i petti riposano, preparate il tortino.
Spelate e lavate i topinambur, lessateli a vapore finchè sono morbidi.
Frullateli a caldo e trasferiteli in una ciotola, lasciate intiepidire e aggiungete la robiola, le uova e il parmigiano, la noce moscata e il pizzico di sale. Mescolate molto bene tutto fino ad avere una crema omogenea.
Foderate il fondo di una teglia con un po' di carta forno, appoggiatevi sopra quattro coppapasta di circa 10 cm, distanziandoli. Versate dentro ogni coppapasta un po' del composto di topinambur, senza arrivare al bordo, e mettete in forno già caldo a 170° per circa 20/25 minuti.
Ora pensate alla riduzione. Spremete i mandarini, filtratene il succo e trasferitelo in un pentolino insieme ai due cucchiai di liquore, mettete su fuoco dolce e lasciatelo sobbollire dolcemente fino a ridursi della metà, tenete in caldo.
Calcolando i tempi, quando i tortini sono a tre quarti di cottura, cuocete i petti.
Scaldate un filo d'olio in una padella antiaderente, togliete la pellicola alla carne e mettetela dalla parte della pelle nella pentola calda, lasciate rosolare i petti per 4 o 5 minuti, poi girateli dall'altra parte e continuate a cuocerli per altri 3 o 4 minuti, senza schiacciarli e senza forarli con la forchetta, al limite coprite con un coperchio per evitare schizzi. Devono rimanere un po' indietro di cottura all'interno, per cui la cottura dipende da quanto li volete rosati. Se li preferite meno cotti, basteranno 3 minuti, altrimenti lasciateli un pochino di più, senza esagerare altrimenti rischiate che si cuociano troppo e induriscano..
Toglieteli dal fuoco, avvolgeteli in un poco di carta stagnola e lasciateli riposare qualche minuto prima di tagliarli, in modo che i succhi si redistribuiscano nella carne.
Affettateli in obliquo e adagiateli nei piatti.
Riprendete la riduzione di mandarino, rimettetela sul fuoco se si è intiepidita troppo, riportatela a bollore e aggiungete una noce di burro, togliete dal fuoco e, roteando il pentolino, fate sciogliere il burro.
La differenza di temperatura fra il burro e la salsa farà sì che si addensi.
Nappate le fette di petto d'anatra con un goccio di salsa al mandarino. Togliete i tortini dal forno, sfilate i coppapasta e con una paletta trasferitene uno nel piatto.
Se vi va potete aggiungere qualche cimetta di broccolo lessato e ripassato in padella come ho fatto io, giusto per dare colore al piatto, oppure con qualche altra verdura a vostra scelta, sempre lessata e ripassata.
Guarnite con un po' di scorza di mandarino ricavata con un rigalimoni e servite.
E ora qualche foto del lago Maggiore che ho fatto in diverse occasioni, mi sembra doveroso.
I castelli di Cànnero
i canneti
guardando il lago dai giardini di Palazzo Borromeo, sull'Isola Bella
L'isola dei Pescatori vista da Palazzo Borromeo, sull'Isola Bella
Il Ninfeo del giardino barocco, IsolaBella
I giardini di Villa Taranto, a Verbania
l'Isola Bella vista da Stresa
L'isola dei Pescatori
La rocca di Angera
L'Isola Bella, il Palazzo Borromeo e i giardini a terrazze.
Così inizia una piccola vacanza, molti e molti anni fa...
Marina abitava al quarto piano della casa di ringhiera, nell'appartamento di testa che si apriva sul pianerottolo, quello decisamente più grande rispetto agli altri di due stanze a cui si accedeva dalle ringhiere. Molto più signorile, era ben diviso con soggiorno, camera da letto e un cucinotto ma, cosa più importante, aveva addirittura il bagno, se così si può chiamare un piccolo locale lungo e stretto, con lavandino e w.c..
Niente vasca da bagno, ci si lavava nel mastello, ma almeno i servizi erano in casa e non in comune sulla ringhiera.
Figlia di una coppia ormai incamminata verso la mezza età e venuta al mondo quando ormai sua madre, Milena, non ci sperava più, aveva la mia età quando sono andata ad abitare in quella casa, 6 anni. Lo strano regolamento imposto dal padrone di casa, l'odiato dott.. Colombo, non permetteva ai bambini di giocare in cortile; l'unica deroga era per me, la figlia della portiera. Così, io e Marina ci siamo guardate per un po' da posizioni diverse lei guardava me dall'alto del quarto piano invidiandomi perchè potevo stare in cortile, e io guardavo lei dal basso del cortile, soffrendo di solitudine.
Poi, nel tempo, a furia di guardarci in su e in giù, siamo diventate amiche...
A volte veniva lei in portineria e a volte andavo io a casa sua a studiare e dopo, la merenda.
Sorvegliate e anche aiutate spesso con i compiti, da sua madre.
Milena me la ricordo come una donna piena di verve, di carattere. Volitiva e decisa, fumava come una ciminiera, e in quegli anni le donne che fumavano venivano sempre etichettate malamente. Era sempre molto curata, unghie laccate di rosso, mai una sbavatura nel rossetto, rosso scuro come le unghie, capelli tinti di un castano ramato, vestiti sempre molto alla moda, una bella donna insomma, un po' avanti rispetto ai tempi, una donna che sembrava decisamente più giovane di molte della sua età che vivevano lì.
In quel piccolo microcosmo che era una casa di ringhiera, non era molto amata, sicuramente era invidiata anche se avere figli a qurantacinque anni suonati era visto come una specie di disgrazia, ai tempi.
La gente mormorava quando vedeva Milena con sua figlia per mano, le donne si davano di gomito e si scambiavano occhiate d'intesa...ma come, a quell'età, un figlio? Ma potrebbe essere sua nonna, non sua madre....e via discorsi di questo tipo, sottovoce.
Era fortunata Marina, era arrivata in una famiglia decisamente agiata, suo padre era proprietario di una grande profumeria molto avviata e conosciuta in corso Vercelli, sua madre ogni tanto aiutava in negozio ma raramente, perlopiù si curava della casa e di sua figlia.
Avevano anche una casa sul lago Maggiore, a Oggebbio, dove Marina e sua madre passavano le estati e dove andavano ogni volta che potevano ritagliarsi qualche giorno di vacanza.
Così, in occasione di una di quelle brevi vacanze, fui invitata ad andare con loro a Oggebbio.
Il padre di Marina non poteva lasciare il negozio, così andammo col treno delle Nord fino a Laveno Mombello e da lì prendemmo il battello che ci portò a Oggebbio. Un viaggio bellissimo per me che difficilmente potevo viaggiare, se non per andare in Friuli. Ricordo che sul battello io e Marina ci precipitammo verso prua a prendere i posti esterni per poter guardare il lago Maggiore in tutta la sua bellezza. In silenzio, ci riempivamo gli occhi di tutto quell'azzurro, ascoltavamo il sommesso rumore del motore e il fruscio del vento. Facevamo scorta di bellezza, per attingerne quando ne avremmo sentito il bisogno.
Arrivate a Oggebbio ci venne a prendere in auto un conoscente di Milena che si occupava anche della casa in loro assenza, e iniziammo a inerpicarci sulle montagne sovrastanti il lago. Un viaggio breve ma di cui ho un ricordo vivido. Ad ogni curva, fra gli alberi, riappariva il lago in tutta la sua bellezza.
La casa era a mezza costa, sopra Oggebbio, un po' isolata, e tutto intorno aveva grandi prati limitati da bassi muretti a secco. Dividevamo una cameretta bellissima, tutta tappezzata a fiori rosa, e i lettini gemelli avevano i copriletti dello stesso disegno, alle finestre tendine con dei grandi volants.
Su lunghe mensole alla parete erano allineati tantissimi giocattoli, di tutti i tipi, bambole soprattutto, di diversa grandezza, in celluloide e in bisquit, alcune spoglie e altre vestite come damine dell'800, e anche parecchi peluche. Mi incuriosivano, io non ne avevo mai avuto uno e l'unica mia bambola di celluloide era sempre da riparare perchè l'elastico interno che teneva insieme le gambe, si rompeva spesso, per la felicità di mio padre a cui toccava aggiustarla ogni volta.. Mi piaceva molto quella stanza da ragazzine, se capitava che piovesse ci andavamo a giocare con le bambole..... normalmente passavamo i giorni giocando fuori, sotto un pino, sempre con le bambole e i pentolini, oppure stavamo a lungo appollaiate su uno dei muretti, a guardare il panorama sotto di noi, sbocconcellando panini con la marmellata, o con il salame a volte, potevamo correre a perdifiato nel prati e raccogliere piccoli fiori azzurri e gialli che legavamo a mazzetti e portavamo alla cappelletta dedicata alla Madonna, poco distante, oppure ci sdraiavamo nell'erba e guardavamo le nuvole, cercando di indovinare a cosa somigliassero.
La mattina scendevamo in paese, con Milena, a fare la spesa. In una di quelle piccole bottteghe di paese, l'unica, dove trovavi di tutto, dal latte fresco fino alle pentole, passando per tutta la ferramenta e alle pezze di stoffa. Ne ricordo l'odore di quella bottega, un mix fra salumi appesi, formaggi, tonno e sgombro venduti sfusi, annegati in vaschette d'olio, ma mescolati con l'odore delle pezze di stoffa, dei copertoni da bici sparsi in giro.Non certo piacevole da sentire..
Mentre Milena finiva la spesa, noi andavamo in riva al lago a dar da mangiare alle anatre. Portavamo sempre un po' di pane secco apposta. Era uno dei divertimenti, sedersi sullo scalino lambito dall'acqua e iniziare a lanciare pezzi di pane. In un baleno arrivavano una decina di anatre selvatiche che si azzuffavano per accaparrarsi il boccone più grosso. Così facendo sollevavano alti schizzi d'acqua che spesso, se non quasi sempre, ci piovevano addosso.
Scappavamo ridendo e tornavamo su, alla casa, bagnate e intirizzite, rimbrottate bonariamente da Milena, ma contente.
Giorni sereni, gioiosi e spensierati, come è giusto che sia per delle bambine di 10 anni. Giocavamo con niente, e ci divertivamo tantissimo lo stesso. Con quanta malinconia ho ricordato quella vacanza, una volta tornata a casa!
L'altro giorno, facendo la spesa, ho visto dei petti d'anatra e siccome a mio marito piacciono molto, ne ho comprati un paio. Per un attimo, mentre mettevo la confezione nel carrello, mi sono rivista bambina, seduta su quello scalino con Marina, le teste vicine, le braccia protese verso il lago a lanciare il pane in acqua per attirare le anatre selvatiche. Mi è venuto un nodo in gola, ma l'ho ricacciato giù e ho pensato a lei, chissà dove sarà ora, cosa fa, come è stata la sua vita, chissà se si ricorda di quei giorni, e chissà se le piace cucinare l'anatra....
Domande che resteranno senza risposta perchè, come spesso succede, la vita ti porta da tutt'altra parte e ci si perde....
L'ho cucinata quell'anatra, pensando a quei giorni bellissimi...
Petto d'anatra al mandarino e tortino di topinambur
(da Sale&Pepe un po' modificata a modo mio)
(per due persone)
2 petti d'anatra,
1 rametto di rosmarino
1 rametto di mirto
mezzo cucchiaino di cannella in polvere
la scorza di mezzo mandarino non trattato
olio, sale, pepe
per il tortino:
300 gr topinambur
2 uova
100 gr robiola
25 gr parmigiano grattugiato
un pizzico di sale
poca noce moscata
per la riduzione di mandarino:
2 mandarini non trattati
2 cucchiai di liquore al mandarino
una noce di burro
Dopo aver lavato e asciugato i petti, incidete la pelle con dei tagli a croce, senta intaccare la carne sottostante.
Tritate insieme la scorza del mandarino, il rosmarino e il mirto.
Mescolate al trito il mezzo cucchiaino di cannella , un poco di pepe macinato al momento e con questo cospargete la pelle dei petti, premendo leggermente affinchè entri bene anche nei tagli.
avvolgete strettamente i petti in un poco di pellicola e lasciateli riposare per mezz'ora più o meno.
mentre i petti riposano, preparate il tortino.
Spelate e lavate i topinambur, lessateli a vapore finchè sono morbidi.
Frullateli a caldo e trasferiteli in una ciotola, lasciate intiepidire e aggiungete la robiola, le uova e il parmigiano, la noce moscata e il pizzico di sale. Mescolate molto bene tutto fino ad avere una crema omogenea.
Foderate il fondo di una teglia con un po' di carta forno, appoggiatevi sopra quattro coppapasta di circa 10 cm, distanziandoli. Versate dentro ogni coppapasta un po' del composto di topinambur, senza arrivare al bordo, e mettete in forno già caldo a 170° per circa 20/25 minuti.
Ora pensate alla riduzione. Spremete i mandarini, filtratene il succo e trasferitelo in un pentolino insieme ai due cucchiai di liquore, mettete su fuoco dolce e lasciatelo sobbollire dolcemente fino a ridursi della metà, tenete in caldo.
Calcolando i tempi, quando i tortini sono a tre quarti di cottura, cuocete i petti.
Scaldate un filo d'olio in una padella antiaderente, togliete la pellicola alla carne e mettetela dalla parte della pelle nella pentola calda, lasciate rosolare i petti per 4 o 5 minuti, poi girateli dall'altra parte e continuate a cuocerli per altri 3 o 4 minuti, senza schiacciarli e senza forarli con la forchetta, al limite coprite con un coperchio per evitare schizzi. Devono rimanere un po' indietro di cottura all'interno, per cui la cottura dipende da quanto li volete rosati. Se li preferite meno cotti, basteranno 3 minuti, altrimenti lasciateli un pochino di più, senza esagerare altrimenti rischiate che si cuociano troppo e induriscano..
Toglieteli dal fuoco, avvolgeteli in un poco di carta stagnola e lasciateli riposare qualche minuto prima di tagliarli, in modo che i succhi si redistribuiscano nella carne.
Affettateli in obliquo e adagiateli nei piatti.
Riprendete la riduzione di mandarino, rimettetela sul fuoco se si è intiepidita troppo, riportatela a bollore e aggiungete una noce di burro, togliete dal fuoco e, roteando il pentolino, fate sciogliere il burro.
La differenza di temperatura fra il burro e la salsa farà sì che si addensi.
Nappate le fette di petto d'anatra con un goccio di salsa al mandarino. Togliete i tortini dal forno, sfilate i coppapasta e con una paletta trasferitene uno nel piatto.
Se vi va potete aggiungere qualche cimetta di broccolo lessato e ripassato in padella come ho fatto io, giusto per dare colore al piatto, oppure con qualche altra verdura a vostra scelta, sempre lessata e ripassata.
Guarnite con un po' di scorza di mandarino ricavata con un rigalimoni e servite.
E ora qualche foto del lago Maggiore che ho fatto in diverse occasioni, mi sembra doveroso.
I castelli di Cànnero
i canneti
guardando il lago dai giardini di Palazzo Borromeo, sull'Isola Bella
L'isola dei Pescatori vista da Palazzo Borromeo, sull'Isola Bella
Il Ninfeo del giardino barocco, IsolaBella
I giardini di Villa Taranto, a Verbania
l'Isola Bella vista da Stresa
L'isola dei Pescatori
La rocca di Angera
L'Isola Bella, il Palazzo Borromeo e i giardini a terrazze.
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