In quegli anni a metà del 1960 mio
padre lavorava alla costruzione della linea rossa della Metro
milanese, la prima linea che fu costruita.
Il suo cantiere era poco lontano dalla
casa di ringhiera di Via Correggio. Costruivano la fermata di
Piazza Amendola.
Ancora oggi, ogni volta che ci passo e
vedo le cupole di plexiglas plissettate, oramai annerite dallo smog
e dalle intemperie, mi viene un groppo in gola e penso a lui, a
tutte le volte che la sera con mia madre sono andata là sotto, in
quel buco che sembrava l'imbocco dell'inferno tanto era
brulicante di macchinari e di uomini...
andavamo dopo le 22, una volta chiusa
la portineria, a portargli la “schiscetta” con qualcosa di
caldo, perchè lavorava fin quasi a mezzanotte....
La stazione Amendola è stata una delle
stazioni più all'avanguardia per quel tempo, con le sue cupole
azzurre, così avveniristiche per quell'epoca...
Costruendo la metropolitana mio padre
conobbe tante persone, muratori, idraulici, elettricisti,
carpentieri come lui.
Con una di queste persone strinse una
amicizia molto più stretta, che durò molto a lungo, e coinvolse
entrambe famiglie, cosicchè, una volta lasciata la portineria per
trasferirci a vivere in un appartamento finalmente decente, ci si
scambiava inviti a pranzo nei giorni di festa, ma la maggior parte
delle volte si andava noi a trovarli la domenica pomeriggio, oppure
la sera...soprattutto d'estate.
Questo amico e compagno di lavoro di
mio padre si chiamava Rocco Casalanguida, era abruzzese, alto e
dinoccolato con un gran ciuffo alla Little Tony, sempre impomatato
di brillantina, come andava di moda in quegli anni. Talmente
brillantinato che nonostante il lavoro così pesante, non gli si
spostava mai nemmeno un capello...
Aveva tre figlie femmine, Maria,
Giuseppina e Assuntina con le quali andavo d'accordissimo.
Eravamo tutte molto vicine d'età, e
ci divertivamo moltissimo insieme. Quando ci riunivamo ci si
scatenava sempre...
Mi piaceva molto andare a casa
loro....almeno lì non ci si doveva confinare dentro ad un cortile.
La moglie di Rocco era una donnina
minuta, di bassa statura, che ricordo mi colpì molto per il timbro
di voce, basso e profondo. Strano in una donna...
aveva i capelli corti, pepe e sale, e
mi sembrava già vecchia a neanche 40 anni... badava
alle figlie e alla casa. A volte lavava e stirava la biancheria a un
signore anziano che viveva solo poco lontano, e andava a ore due
volte la settimana da una famiglia...
Abitavano in fondo alla Via Novara,
dove la città si diluisce in una grande periferia e in un tempo
in cui fuori porta non era ancora tutto costruito, dove c'erano
molti campi e molti prati, dove il boom economico stava per arrivare
ma dove ancora si viveva come in un piccolo paese, con le persone
che si conoscevano tutte fra loro.....
la loro casa era molto modesta, al
primo piano di una specie di cascina di campagna in mattoni rossi, ,
abbastanza malmessa...
Poco lontano scorreva l'Olona, e
intorno c'erano molti canali ad essa collegati.
Il nostro divertimento era andare a
camminare dentro quei piccoli corsi d'acqua, a caccia di girini,
rane e piccoli rospi, ogni tanto incontravamo qualche topolino di
campagna, dal musetto simpatico e curioso.... Non c'erano grossi
pericoli, ma bisognava comunque stare attenti a non scivolare.
Durante le scorribande lungo i canali
arrivavamo a volte fino all'Olona vera e propria, e allora toccava
stare molto attente. Lungo la strada ci si incontrava spesso con
gruppi di ragazzini e ragazzine che le mie amiche conoscevano bene
e con cui ci si fermava a chiacchierare per qualche istante,
immancabilmente lo smargiasso del gruppo si esibiva nel suo
repertorio di lazzi e frizzi e allora erano risate a non
finire....
a volte mi presentavano, a volte no, ma
a me non importava. In fondo ero lì di passaggio e non so se li
avrei incontrati di nuovo la volta dopo....
Eravamo libere, si stava per strada
senza nessun pericolo, ed era una sensazione bellissima, soprattutto
per me che di solito ero chiusa in quel cortile di sassi, in
assoluta solitudine...
Eravamo libere sì, ma avevamo
l'orario di rientro che era tassativo. Se eravamo da loro per il
pranzo dovevamo essere a casa entro mezzogiorno. Così stavamo
attente ai rintocchi delle campane dell'unica chiesa esistente....
Non la potevamo vedere se non arrampicandoci sugli alberi, ma
potevamo sentire le campane scandire le ore.......
a volte facevamo a turno. Si faceva la
conta con la solita filastrocca “ambarabà ciccì coccò”
...toccava tenere l'orecchio teso a chi la conta faceva finire con
l'ultima sillaba della filstrocca....
Allo scoccare del mezzogiorno dovevamo
tornare di corsa a casa. I nostri genitori e il pranzo ci
aspettavano..
Ci ripulivamo ben bene e ci mettevamo a
tavola...
Ricordo certi piatti di pasta al ragù
talmente pieni che quasi non riuscivano a contenerla...
E poi arrivavano sempre, ogni volta,
in un grande tegame che si piazzava in mezzo alla tavola, le
braciolette al sugo di pomodoro e prezzemolo. Una sorta di involtino
con il formaggio pecorino all'interno, che non ho mai capito se
fossero di carne di manzo o maiale. Allora la carne era praticamente
un lusso che non ci si poteva permettere spesso. Propendo quindi per
la carne di maiale, molto meno costosa. Se non addirittura di
cavallo, ma credo che se fosse stata equina me ne sarei accorta, la
odiavo! Mia madre me la propinava perchè ero un po' anemica,
obbligandomi a mangiarla tutta ogni volta. Un vero incubo per me, che
la trovavo, come oggi la trovo, disgustosa. E poi non si mangiano i
cavalli!!!
la carne, per quelle famiglie di operai
era qualcosa che ci si poteva permettere quasi solamente per le
grandi occasioni, o qualche volta la domenica, magari quando si era
appena riscosso il salario, davvero magro in verità.
Ricordo la stanza, con l'arredamento
scarno e consumato, la stufa a legna in un angolo, l'ottomana quasi
sfondata rivestita di vellutino bluette liso a tal punto che si
potevano intravvedere le molle sottostanti, le sedie scompagnate,
alcune impagliate, altre tutte di legno, come nelle osterie....
il pavimento di mattoni in cotto che
aveva dei solchi più chiari dove era consumato dal calpestio,
colorato con la cera rossa...
il lavandino di pietra grigia e il
fornello in un angolo della parete di fronte, che poi venivano
coperti da una tenda con grandi fiori blu. La tovaglia a quadri
bianchi e blu, i piatti sbeccati, uno diverso dall'altro, e i
bicchieri di vetro da osteria....il filone di pane che troneggiava in
mezzo alla tavola...
Non avevamo nulla, eravamo poveri in
canna, ma la sensazione di calore che provavo quando eravamo tutti
seduti a quella tavola me la ricordo ancora distintamente. Rivedo i
miei genitori nel pieno della loro giovinezza, risento le loro voci,
le risate, e ricordo che vederli sereni e felici mi
tranquillizzava...
Rocco e la sua famiglia poi si
trasferirono in Viale Ungheria, in una vera casa, un appartamento di
cooperativa.
Mio padre cambiò lavoro, così non
vide Rocco mentre in un pomeriggio invernale cadeva da una
impalcatura di una casa in costruzione. Morì dopo un mese di
calvario, in ospedale. Le sue donne lasciarono la casa di
cooperativa per prendere una portineria in Piazzale Cuoco, in modo
da non pagare affitti... il tempo passò e pian piano ci perdemmo di
vista, ricordo che un giorno che passavamo di lì ci fermammo per
salutarle ma non le trovammo più, ci dissero che erano partite ma
non per dove, non lo sapevano.
Non ne abbiamo più saputo
nulla....chissà se sono tornate in Abruzzo, se hanno cambiato città,
paese, o solamente strada....
Ripensando a quelle domeniche intorno a
quella tavola, a quella grande pentola con le braciolette che
annegavano nel sugo rosso, mi è venuta voglia di carne alla
tartara, che non c'entra nulla con le braciole, ma mi è partita
così, e qundo mi parte, mi parte...
Battuta di Fassona piemontese, uova di quaglia, salsa di senape e miele
per due persone
400 gr filetto di Fassona piemontese (o altra parte, purchè sia morbidissima)
2 uova di quaglia
sale, pepe
sale nero delle Hawai.
olio e.v. oliva
poco burro
per la salsa:
3 cucchiai senape
1 cucchiaio colmo di miele
In una scodella, o in una ciotola, miscelare la senape con il miele in modo da avere una salsa abbastanza fluida e omogenea.
Parare il filetto, eliminando tutte le parti grasse o eventuali nervature.
Tagliare la carne a pezzettoni e col coltello tagliuzzarla fino a ridurla in dadolata sottile, quindi batterla, sempre con lo stesso coltello in modo da farla diventare tipo carne trita, attenzione però a non farne poltiglia..
Condirla con un pizzico di sale, uno di pepe, un cucchiaio di salsa e un goccio d'olio e.v. di ottima qualità.
Tenere da parte.
Con un pennello, spennellare il piatto di servizio con un poco di salsa, appoggiare un coppapasta nel centro del piatto, mettere la battuta dentro al coppapasta premendo delicatamente per riempirlo, livellare bene e sfilare il coppapasta.
Per ultima cosa friggere l'uovo di quaglia all'occhio di bue.
In un padellino antiaderente messo su fuoco dolce, appoggiare un coppapasta di diametro inferiore a quello usato per la carne, aggiungere, dentro al coppapasta un pezzetto di burro, e non appena spumeggia rompere l'uovo di quaglia in modo che resti all'interno. Cuocerlo all'occhio di bue e una volta pronto, prelevarlo con una spatola e posarlo sulla carne,
Decorare con un pizzico di sale nero delle Hawai.
E il piatto è pronto.