mercoledì 21 dicembre 2016

I mandarini di Natale





questi giorni a ridosso del Natale, sono sempre particolarmente convulsi. Quest'anno per me ancora di più,   per diverse ragioni sto arrivando a Natale con il morale sotto ai piedi e la stanchezza  ormai  cronica, per cui mi sono resa conto  molto in ritado che eravamo a ridosso  del Natale, e io non ero pronta, organizzata come il mio solito.
Milano impazzisce di traffico, sembra che le persone si sveglino all'ultimo minuto, tanto che si riversano come un fiume impetuoso lungo tutte le vie del centro e delle zone adiacenti, ma io  in giro vedo  un'aria triste e  spenta, i negozi hanno vetrine sfavillanti  però dentro ci vedo poca gente, anche la Rinascente,  che di solito in questo periodo è molto frequentata, risente di quest'aria  appannata nonostante le sue luminarie a cascata siano molto belle e si facciano piacevolmente  ammirare,  e anche le altre luminarie, a parte le zone centrali, sono molte meno. La crisi morde forse più di prima e non se ne vede la fine, anzi.  La rassegnazione quasi la si tocca tanto è palpabile.

Anche il caldarrostaro fa magri affari e per lo stesso prezzo dello scorso anno te ne dà di meno...




Mi fermo, attratta dal profumo delle castagne abbrustolite, resto lì un attimo assorta nei pensieri mentre qualcuno mi urta e mi spinge.  Rinuncio e riprendo a camminare ma quel profumo di caldarroste ce l'ho nelle narici e  mi porta immediatamente indietro a una piccola stanza dal pavimento a lunghe travi di legno grezzo, un poco sconnesse e consumate, la tenda a di cotonina a fiori a nascondere  l'acquaio e il fornello a gas, una grande finestra con una griglia panciuta e un ampio davanzale interno dove stavo comodamente seduta a guardare fuori.

Mi piaceva stare in contemplazione, lo sguardo spaziava dal cielo alle case sulle ringhiere, al cortile interno, percorreva il muro di cinta che faceva da confine con quella che era chiamata la Valsolda, una piccola, vecchissima corte abitata da persone ormai molto anziane, sfiorava il tetto di una vecchia rimessa affittata al fruttivendolo ambulante del mercato di Piazza Wagner e si soffermava sulla cima del ciliegio spoglio i cui rami contorti sembravano sofferenti.
Quel piccolo cortile era come un posto magico, solo mio. Da sola in quella grande casa piena di bambini. Che non potevano scendere a giocare in cortile, non era permesso.
Solo io avevo il pieno possesso di quell’angolino, solo io e la mia solitudine.

Dal mio punto di osservazione potevo vedere quasi tutti i piccoli appartamenti sull’ala destra delle ringhiere, cinque piani sempre animati da un movimento e da una vita che oggi sembra lontanissima.
Normalmente erano solo due stanze che si aprivano sulla ringhiera, all'interno uno stanzino con un piccolo lavabo fungeva da servizio, la turca fuori, alla fine della ringhiera, in comune.
I veri e propri bagni sarebbero venuti più tardi.
Era gente semplice quella che ci abitava, e negli anni '50 le case di ringhiera erano tantissime, retaggio di fine '800, quando sorsero, alle porte della città, ricalcando il modello rurale delle cascine. Erano praticamente l'equivalente delle case popolari...
il riscaldamento non esisteva come lo conosciamo noi, ci si scaldava con la stufa a carbone o a legna. Questa realtà di ringhiera, comprendeva anche una serie di botteghe artigiane, negozi il cui retro dava su questo piccolo cortile...

Conoscevo tutti, visto che ero la figlia della portiera, e vivevo immersa un piccolo universo variegato e rumoroso che riempiva le giornate con voci gridate, canzoni cantate a squarciagola, ritmiche battiture di materassi la mattina, apparecchi radio a tutto volume il pomeriggio, e, nel corso della giornata, un continuo spandersi di profumi di cucina….… scendendo le scale sentivi il profumo del ragù al quarto piano, a casa Tolusso oggi pastasciutta…….e quello di fritto al piano sotto, la signora Pilone è stranamente in cucina, al secondo piano il minestrone copriva tutti gli altri odori, era la signora Bellenghi, una nonnina molto anziana che viveva sola, da lei sentivi sempre e solo odore di minestra…..
Ogni tanto il grammofono del signor Giussani, capo contabile alla Voce del padrone, spandeva nell’aria romanze d’opera…. Era un fortunato lui, possedeva quel bellissimo grammofono a tromba ed è stato per tanto tempo il primo ed il solo in tutto il caseggiato a potersi permettere un televisore.
Quanti pomeriggi ho passato in casa sua! Ogni giorno, alle 17,30 mi pare, cominciavano i programmi, e i primi erano sempre quelli per i ragazzi. Lui allora permetteva a me e agli altri bambini di stare a casa sua a guardare la televisione.....metteva tutte le sedie disponibili disposte su più file, come al cinema, e alla fine c'era sempre una caramella per ognuno di noi....

Una vita in comunità dunque , gomito a gomito divisi da una tramezza, Si sapeva tutto di tutti, ci si aiutava, ci si sosteneva, si era solidali. Certo non era tutto rose e fiori, i litigi avvenivano ogni tanto, alcuni non si parlavano più, altri si guardavano con sospetto, ma nell’insieme c’era un forte senso di solidarietà e nel momento del bisogno sapevi che potevi contare sull’aiuto di tutti.

Ma il momento più bello arrivava a Natale.


Non c’era usanza di fare alberi di Natale nei giardini, né di mettere luminarie. Erano Natali un po’ in sordina, i momenti non erano dei migliori e la gente non aveva soldi, proprio come nel momento attuale,....no adesso è anche peggio...in quegli anni le speranze di una vita migliore avevano un fondamento, eravamo agli inizi degli anni del boom economico, mentre ora il futuro è buio e senza certezze.

Non ricordo se ci fosse già la tredicesima, non lo so, ma credo di sì, anche se non nella forma che conosciamo ora. Ricordo che mia madre, sotto Natale, parlava di gratifica. Certo non si spendevano soldi in regali inutili né ci si faceva prendere dal consumismo, i bisogni erano altri. Anche il clima era diverso, faceva molto più freddo, la neve arrivava presto e rimaneva per giorni e giorni ed era l’unico momento in cui ai bambini del palazzo era consentito scendere a fare il pupazzo  poi si finiva sempre col fare a palle di neve fino a ridurci bagnati fino all’osso.

Il Natale dicevo…nei negozi comparivano cose tipicamente natalizie e stagionali, niente pomodori o fragole in inverno, si seguivano le stagioni e quando arrivava il momento gustavi tutto molto di più, perché finalmente si soddisfaceva la lunga attesa...
zampone, cotechini e salsicce facevano bella mostra di sé su tutti i banchi delle salumerie e delle macellerie...
il mascarpone che di solito veniva venduto sfuso, tal quale, a Natale era montato come una mousse, sembrava spremuto con la sac à poche in enormi volute, una montagna di mascarpone bianchissimo e sofficissimo che ti faceva venire voglia di infilarci prima un dito e poi tutta la faccia.
La ricotta piemontese, esposta in enormi coni rovesciati, lisci lisci.... La mostarda di frutta, tipica lombarda, non mancava mai, dentro a piccole tinozze di legno chiaro spiccava coi suoi colori fra i formaggi delle Fattorie Prealpine, dove improvvisamente comparivano numerose anitre, oche e faraone,
le prime esposte come fossero accovacciate, con le ali divaricate le penne della coda messe a ventaglio, oche e faraone invece con ancora tutto il piumaggio intatto
galli e capponi penzolavano appesi alla rastrelliera dietro il banco. Il tacchino no, ancora la moda americana non aveva preso piede...
Grandi vassoi di insalata russa in forma e gelatina, tranci di paté in bellavista e formaggi strani tipo il Panerone e la forma grande di grana lodigiano, quello con la crosta nera, troneggiavano in tutti i negozi di alimentari...
La decorazione del bancone era sempre fatta con rami di alloro, intrecciati con carta stagnola o carta crespa rossa, alle volte con agrifoglio, ma più di rado.
Il panettone si comprava direttamente allo stabilimento dell’Alemagna, che era poco distante. Naturalmente quello uscito storto, con qualche pecca. Lo spaccio li vendeva per poche lire. Ricordo il profumo di burro e canditi che aleggiavano dentro a quella stanza, ne uscivi inebriato con i vestiti impregnati di quel profumo, e io continuavo ad annusarli anche dopo giorni per ritrovare quel profumo...
La produzione era quasi sempre in vicinanze del Natale, non da mesi prima.. Era fragrante e burroso, mi pareva molto più buono che adesso....ma magari è solo una mia impressione, perché è uno di quei sapori legati all'infanzia...

La festa era completa quando arrivavano gli zampognari. Ogni Natale li aspettavamo chiedendoci quando sarebbero arrivati.
Normalmente arrivavano per Sant'Ambroeus, infatti alla fiera degli oh bej oh bej, c'erano sempre...da lì iniziavano a fare il giro della città casa per casa....
A pensarci ora erano povera gente che approfittava delle feste per guadagnare qualcosa, arrivavano dal Lazio, battevano la città palmo a palmo entrando in tutti portoni e mettendosi a suonare nel mezzo dei cortili.

La gente si affacciava e lanciava delle monete dalle ringhiere e io, a riparo del mio osservatorio, stavo a guardarli un po’ affascinata ma anche un po’ intimorita dal loro vestiario. Erano figure alle quali non ero abituata, gente che veniva da una realtà completamente diversa dalla nostra.
Avevano le cioce, il gilet di vello di pecora, cappellacci a tesa larga, e a coprire tutto un grande tabarro,un mantello a ruota di colore indefinito. Sembravano i briganti di Musolino...

Finito di suonare, uno di loro raccoglieva il magro incasso e se ne andavano.
Quel canto dolce e malinconico di zampogne sottolineava l’atmosfera natalizia ed era magica davvero....poi pian piano anche questa tradizione si è persa, i bisogni cominciavano a non essere più così impellenti e alla fine non vennero più e Natale non fu più  la stessa cosa...
Lo stesso rito, ma il Primo dell'anno, lo compiva la banda....
arrivavano, entravano in cortile, suonavano romanze d'opera e altre canzoni natalizie, una sorta di mini concerto di Capodanno, e la gente ugualmente si affacciava e lanciava monete e dolciumi. Era il concerto d'auguri per il nuovo anno, fatto casa per casa.
A volte era la banda dei Martinitt, gli orfani....mi intristiva vederli, sapevo che vivevano nell'orfanotrofio che anticamente era situato nell'oratorio di S. Martino, di qui, il nome Martinitt....
arrivavano, bambini poco più grandi di me, nella loro divisa di panno grigio, con una banda rossa sul lato dei pantaloni, una piccola mantellina altrettanto grigia bordata di rosso, e il berretto  rigido con la visiera, sulla testa.... Tutti compìti coi loro strumenti, tutti in fila ordinatamente, ai comandi del maestro che li dirigeva nella musica.....
a volte invece arrivava la banda dei Combattenti e Reduci, a volte di altre istituzioni... ma era un appuntamento immancabile, che tutti aspettavamo e seguivamo con gioia.

I regali….praticamente erano fatti di piccole cose, un libro, un paio di guanti, un paio di calzettoni…. A casa mia soldi pochi e mia madre faceva quello che poteva per farmi trovare un pacchetto la mattina di Natale.
La signorina Barbolini, di cui ho già ampiamente raccontato, mi regalava sempre libri, Aspettavo il suo regalo sicura che fosse un libro e ne pregustavo la lettura, anche senza sapere che tipo di libro sarebbe arrivato.
Erano sempre bellissimi libri di avventure tipo 20.000 leghe sotto i mari, oppure La storia di Cosa Cosetta, L'Isola del Tesoro…. E la mia fantasia volava ogni volta...

Il regalo invece che ricordo con un sentimento misto di tenerezza e malinconia, erano i mandarini che mia madre nascondeva nei calzettoni per farmeli trovare. Un frutto che compravamo abbastanza di rado allora, perlomeno noi che avevamo ben poco, in effetti si mangiavano solo nei giorni di festa. Mio padre li legava e li appendevamo al piccolo albero di Natale che stava nell'angolo opposto alla vetrata. Pian piano naturalmente sparivano.....poi mettevamo le bucce sulla stufa, per profumare la casa.
Non esistevano ancora i mandaranci, e ai semi eravamo abituati, era normale trovarceli.

I mandarini volevano dire Natale, odore di inverno, di nebbia, di neve, di carbone, di panni bagnati messi ad asciugare sui raggi di ferro avvitati intorno al tubo della stufa, luci e ombre di un tempo che non tornerà più, profumi, colori e visi di persone che non ci sono più ma che per un attimo lungo 10 anni hanno condiviso la mia vita e che hanno tutti un loro piccolo cassetto nel mio cuore...

Quei frutti me li ricordo sempre, col loro colore acceso e il loro profumo e a pensarci bene, ancora oggi, per me, non è Natale senza mandarini.


Buon Natale a tutti, che sia migliore di quello che immaginate.









giovedì 15 dicembre 2016

aspettando Natale

un bel risotto ci sta, ma  che non sia il solito risotto di pesce.
Per me è sicuramente da  inserire sotto la voce "piatti delle feste" per via di quel suo profumo così particolare, e per la semplicità e la facilità di esecuzione. Come il mio solito, massima resa con il minimo sforzo,  e non è poco, soprattutto nei giorni che precedono il  Natale, dove le corse sono frenetiche e si arriva alla fine con la lingua di fuori, stremate.
Dunque prendete nota, e procuratevi il bergamotto per tempo.



 Risotto gamberi e bergamotto

per 2 persone:

250 g riso Carnaroli
6 gamberoni
1 bergamotto maturo, il succo
poco olio
1 piccolo scalogno
una noce di burro
fumetto di gamberi


per il fumetto:
1 carota
1 costa di sedano
1 scalogno
qualche gambo di prezzemolo
1 foglia di alloro
vino bianco
sale, pepe in grani
le teste e i carapaci dei gamberoni
poco olio


per completare il piatto:
due o tre spicchi di bergamotto pelati a vivo
qualche foglia di acetosella


Pulite i gamberoni, togliete la testa e il carapace, eliminate il budelletto, lavateli e asciugateli. Eventualmente divideteli in due metà se fossero troppo grossi. Tenete da parte.
Preparate il fumetto. Preparate un trito grossolano con la carota, il sedano, lo scalogno. Fatelo rosolare in una larga padella con un goccio d'olio, aggiungete le teste e il carapace dei gamberoni, fateli tostare bene insieme alle verdure, salate, aggiungete i grani di pepe, poi sfumateli con il vino bianco, una volta evaporato, unite i gambi di prezzemolo e l'alloro e coprite tutto con dell'acqua calda e portate a ebollizione. Cuocete per una mezz'ora dopodichè spegnete e filtrate il tutto attraverso un colino cinese, premendo bene le teste per estrarre tutto il loro succo.  Con metà di questo fumetto farete il risotto, l'altra metà mettetela in congelatore dentro a quei sacchetti per i cubetti di ghiaccio.  Lo avrete sempre pronto per insaporire qualsiasi piatto di pesce.
Allungate leggermente con poca acqua la metà del fumetto  che è rimasta e rimettete sul fuoco in modo che sia sempre molto caldo. In questo modo il fumetto sarà delicato e non prevarrà sul profumo del bergamotto, pur conferendo carattere al piatto.
Ora è la volta del risotto,  in una casseruola scaldate un poco di olio extra vergine d'oliva, aggiungete lo scalogno tritato finemente e lasciatelo appassire qualche istante, quindi aggiungete il riso, mescolate affinchè assorba il condimento e quando diventa traslucido bagnate con un mestolino del fumetto ai gamberi.
Continuate così, tirando il risotto con il fumetto versato poco per volta, mescolando. Verso fine cottura unite i gamberi e il succo del bergamotto filtrato, qualche minuto ancora di cottura e mantecate il tutto con una noce di burro. Fate in modo che il riso resti all'onda, cremoso e morbido.
Lasciatelo riposare qualche secondo poi mettete nei piatti completandoli con uno o due spicchi di bergamotto pelati a vivo e un paio di foglie di acetosella che darà colore al piatto.

Sì, decisamente un piatto che "fa festa"












mercoledì 7 dicembre 2016

Natale si avvicina

e io sono entrata nel tunnel del budino ....
non un dolce qualsiasi, ma nientepopodimenoche il Christmas Pudding. Lo conoscete? E' classicissimo dolce inglese delle feste. Si cucina intorno al 20  Novembre e si lascia maturare al fresco fino al giorno di Natale.
La sua preparazione ha regole ben precise, così  come la cottura e la conservazione.
Dunque, nel mio frigorifero riposa tranquillo il mio primo Christmas Pudding  e ve lo mostrerò più avanti, con le ricette delle feste e poi,  siccome  ci sono moltissime versioni che si possono fare,  ne ho in mente una con il cioccolato che farò per Capodanno o per l'Epifania, così vi mostrerò anche quello.
Solitamente in Inghilterra le operazioni cominciano all'inizio dell'Avvento, infatti tradizione vuole che venga preparato nella venticinquesima domenica dopo la Trinità, che di solito cade fra  Maggio e Giugno,  e si devono usare tredici ingredienti per rappresentare Gesù e i dodici Apostoli. Ogni componente della famiglia, a turno,  dovrebbe mescolarlo usando un cucchiaio o un mestolo di legno procedendo in senso orario per ricordare il viaggio  dei Re Magi.  Mentre si mescola  si può esprimere un desiderio.  La tradizione dice anche   di infilare una monetina avvolta in alluminio  nel composto  in modo che porti  un anno fortunato a chi la trova.
Un dolce che nella prima metà del Seicento, con l'avvento di Oliver Cromwell,  quando il puritanesimo si diffonde in tutto il Paese, viene dichiarato illegale con una legge apposita, così come il Natale con tutte le sue tradizioni. Con l'avvento di Carlo II le leggi emanate da Cromwell decadono e il Pudding, pur rimanendo nell'immaginario un dolce proibito,  ritorna sulle tavole inglesi, riabilitato pienamenete  però solo durante l'epoca vittoriana.
Nel tempo è  diventato un dolce molto conosciuto e apprezzato, più o meno in tutto il mondo.
Io ho avuto modo di assaggiarlo diverse volte, in varie occasioni. Ovviamente di quelli confezionati, già pronti. Ma grazie a Roberta   una amica blogger  che su FB ha buttato lì una frase  tipo: - che ne direste di provare a fare il Christmas Pudding.- eccomi qui,  in questo tunnel puddofilo da cui credo stenterò ad uscire...
Infatti, per il mio compleanno appena trascorso, mi sono regalata una delle tante versioni possibili. Un  pudding che non deve maturare, da fare e mangiare subito. E quale migliore occasione per assaggiare un Pudding fatto con le mie manine senza aspettare il Natale?  Dopo aver tribolato  per trasformare in grammi le dosi di cup, mezze cup, tre quarti di cup, eccolo qui:


Steamed Persimmon Puddig  ovvero Pudding ai cachi
ricetta di Martha  Stewart

280/300 g farina
70 g burro morbido
3 uova grandi
250 g zucchero
70 g uvetta sultanina
120 g noci pecan
40 g zenzero candito
70 g Calvados
3  grossi cachi maturi
120 ml latte
1,5 cucchiaini estratto di vaniglia
2 e 1/4 cucchiaini cannella
1/4 di cucchiaino di sale grosso
3/4 di cucchiaino di noce moscata
1, 5 cucchiaini  lievito per dolci
1 cucchiaio succo di limone fresco, filtrato

per completare il dolce:
1 caco mela  maturo ma sodo
zucchero a velo q.b.
ribes
alkikinger

 
per la crema di accompagnamento:
250 g mascarpone
3 cucchiai abbondanti Calvados
150 ml panna liquida fresca
poco zucchero a velo


Prendete il caco mela, abbastanza sodo, lavatelo, asciugatelo e tagliatelo a fettine sottili, in sezione,  con un buon coltello bene affilato. Foderate di carta forno una teglia bassa, e disponete le fette più sane e integre sulla carta, distanziate e sfalzate fra loro.
Spolveratele abbondantemente di zucchero a velo, mettete la teglia in forno ventilato a 90/100° e dimenticatevene per almeno un'ora, dopodichè girate delicatamente le fette di caco, rispolveratele di zucchero a velo  e rimettetele in forno.  Passata un'altra mezz'ora controllate che si siano asciugate bene, non fosse così, lasciatele in forno fino a che sono pronte. Si arricceranno un poco, è normale.
Potete prepararle anche il giorno prima, volendo.

Imburrate abbondantemente  uno stampo che possa sopportare la cottura a vapore.
Ne esistono di specifici per il pudding che va necessariamente cotto in questo modo.  Hanno una forma a cupola svasata con un bordo in rilievo, in modo che si possa sigillare, oppure ce ne sono anche muniti di coperchio avvitabile,  di diverse capienze e sono pensati per la lunga permanenza del dolce all'interno dello stampo.


In questo caso, dato che il budino era di pronto consumo, è stato sufficiente uno stampo antiaderente  da Kugelhupf della capienza di circa 2 litri, e anche se la quantità di impasto non arrivava a riempirlo tutto ho preferito usare quello lo stesso, per l'effetto estetico del dolce  una volta sformato. Un po' si gonfia comunque in cottura.                                                                                                 

In un pentolino tostate le noci pecan, mescolandole continuamente, per qualche minuto. Toglietele, lasciatele raffreddare poi tritatele grossolanamente.  Tritate finemente anche lo zenzero candito. Tenete tutto da parte.
Mettete l'uvetta in un pentolino, aggiungete il Calvados e mettete su fuoco dolce fino a quando inizia l'ebollizione, poi togliete dal fuoco e lasciate raffreddare  per circa 15 minuti, l'uvetta assorbirà il liquore per la maggior parte, ma eventualmente scolatela e tenetela da parte.
In una ciotola setacciate la farina,  unite le spezie, il sale.
Pelate i cachi e ricavatene la polpa, frullatela se non è liscia abbastanza e mettetela in una ciotola, aggiungete metà del latte e mescolate.
In un'altra ciotola montate il burro con lo zucchero con le fruste elettriche o nella planetaria, a velocità media fino a che il burro è montato e spumoso. Aggiungete le uova una alla volta, la vaniglia, il succo di limone e il composto di cachi e latte in due volte, man mano che la frusta o lo scudo a K della planetaria girano.
A questo punto unite la farina e le spezie preparate in precedenza, poca alla volta, sempre mescolando con le fruste o con lo scudo, aiutatevi con il resto del latte se l'impasto fosse troppo sodo. Magari non servirà tutto, andate poco per volta finchè avrete un  impasto morbido, ma senza esagerare. Unite  il lievito, le noci pecan e lo zenzero, tritati. Mescolate bene bene.
Versate nello stampo e sbattetelo leggermente in modo che si assesti e si pareggi.
E ora viene la parte della copertura.
Prendete un foglio di carta forno, imburratene un lato, poi, a metà del foglio, fategli fare una piega su se stesso, posatelo con la parte imburrata verso  l'impasto  e, con dello spago da cucina, legate bene tutto intorno ai bordi, in modo da sigillare lo stampo. La piegatura della carta forno lascerà  al budino lo spazio  per gonfiarsi in cottura senza il rischio che si rovini.



ora coprite tutto con dell'alluminio, ripetete piega e legatura facendola passare anche da un capo all'altro, formando una sorta di manico.
Mettete a cuocere il pudding dentro a una capiente pentola di acqua già calda, in quantità tale da arrivare a metà dello stampo.


cuocete il pudding per circa  3 ore e mezza, controllando sempre il livello dell'acqua che non dovrà mai scendere sotto la metà dello stampo, nel caso rabboccate di volta in volta  con dell'altra acqua calda.. Abbassate il fuoco una volta raggiunta l'ebollizione, coprite la pentola e continuate così fino a cottura terminata.
Mentre il pudding cuoce, preparate la crema di accompagnamento. In una ciotola mettete il mascarpone, montatelo qualche secondo con la frusta elettrica per renderlo fluido e senza grumi, unite il liquore, mescolate per farlo assorbire, montate la panna ben ferma e aggiungetela al mascarpone mescolando con una spatola, finchè tutto è perfettamente omogeneo. Tenete in frigorifero fino al momento di servire.
Quando il pudding  è pronto toglietelo dal bagno, eliminate alluminio e la carta forno,   lasciatelo intiepidire leggermente,  quindi sformatelo sul piatto di servizio, decoratelo con  le fettine di cachi, dei grappolini di ribes rosso e gli alkikinger. Servitelo  tiepido con delle quenelles di crema di mascarpone  a parte.





Bene, un dolce che non fa parte della tradizione natalizia italiana ma che entra a buon diritto nella mia e credo che ci resterà a lungo.  Vi consiglio caldamente di provare a prepararlo, la sua cottura lascia la casa profumata a lungo ed ha un sapore delizioso, esaltato perfettamente dalla crema di mascarpone e Calvados, che ci sta davvero  molto bene.
Ed  ora aspetto il Christmas Pudding  che dorme al fresco...
                                                                                                                                                                 








domenica 20 novembre 2016

DolceMENTE Tiramisù (ovvero l'irresistibile fascino dell'ambiguità)





DolceMENTE Tiramisù
(ovvero  l'irresistibile fascino dell'ambiguità)

Il giorno che ho scoperto il tema della sfida ero in Garfagnana,  insieme a tante amiche blogger di MTChallenge per il work shop sugli gnocchi.  Ricordo la curiosità e l'ansia di sapere il nuovo tema, e quanto contavamo i minuti  che mancavano all'ora X, spazientite  perchè non trovavamo campo per il cellulare.... Poi, una volta scoperto l'argomento, lette le regole e dopo aver riso parecchio,  mandato un po' di affettuosi rimbrotti a Susy May   ci siamo un po' confrontate sulla sfida. La mia prima idea era di farne una versione salata  e mi ero immaginata qualcosa con il salmone. Poi invece,  per la prima versione,  ho optato per quello dolce, come avete visto.
Ma il tarlo ormai era nella mia testa, ricacciato in qualche anfratto ma  sempre pronto a riaffacciarsi al balenare di una idea. Lui lavorava, lavorava in silenzio finchè mi sono decisa. Lo faccio anche salato!
Non so spiegare il percorso mentale che mi ha portato fin qui, o forse sì, probabilmente  un ritornello che mi era rimasto in testa dopo aver riascoltato una  vecchia canzone di Renato Zero, Mi vendo. Non sono mai stata una sua particolare fan, una sorcina,  ma l'altra settimana  mi sono scoperta a canticchiare questo pezzo mentre mescolavo il mio risotto.  Questa frase : - Seguimi io sono la notte, il mistero,  l'ambiguità -  mi  ha acceso la lampadina.
L'ambiguità, proprio per la sua natura enigmatica e contradditoria esercita fascino.
Nell'arte l'opera  più famosa e conosciuta in tutto il mondo, appunto per il mistero e l'ambiguità che ruotano intorno al sorriso enigmatico del personaggio, è certamente La Gioconda di Leonardo.
Tantissime le interpretazioni che nei secoli sono state date a quel sorriso illusorio e ambiguo. Una componente essenziale della seduttività che Leonardo aveva perfettamente colto.
Ma non è la  Gioconda il mio filo conduttore.  Di solito siamo portati a pensare che le cose o le persone siano  quello che sembrano, in un rapporto univoco fra percezione e conoscenza. Ambiguo è poi quello che può prestarsi a diverse interpretazioni,  dando luogo a dubbi o confusione.

E cos'è un Tiramisù salato se non una diversa intrepretazione, un cibo salato camuffato da dolce?

A dire il vero non una novità,  si camuffavano i cibi già nel Rinascimento, durante la Quaresima, perchè non si dovevano mangiare carne, uova e  persino latte,  nei giorni di magro. E allora si faceva in modo che il cibo assomigliasse a quello che non si poteva consumare.

La seduttività è dunque una componente essenziale delle personalità ambigue e allora, pensando alla sfida lanciata da Susy,  l'espressione massima di ambiguità e fascino enigmatico, un misto di sessualità maschile e femminile è rappresentata da Tilda Swinton nel film Orlando, tratto dall'omonimo libro di Virginia Woolf.



Una storia che si articola su un individuo vissuto per quattrocento anni. Inizia  intorno al 1500, durante il regno di Elisabetta I dove Orlando, giovane e ricco nobiluomo,  vive nelle grazie della sovrana.




Alla morte della regina, durante il grande gelo,  si innamora follemente di una principessa russa e quando lei lo abbandona si improvvisa poeta senza grande successo ma  il destino lo porta nei deserti dell'Asia Centrale dove, in piena guerra,  cambia sesso dopo un lungo sonno  e al risveglio si ritrova, donna,  nel Settecento austero dei salotti di Londra...qui iniziano una serie di vicissitudini che porteranno Orlando, ormai definitivamente donna, a passare un periodo come nomade insieme a una carovana di zingari, e poi a tornare a Londra spinta dal desiderio di scrivere. Troverà l'amore per caso, nell'avventuriero Lord Bonthrop Shelmerdine, finchè arriviamo al 1928 dove Orlando è una scrittrice di successo grazie al poema La Quercia, scritto durante gran parte della sua vita.













Gioconda a parte, quale personaggio è più particolare,  ambiguo ed enigmatico,  di questo?


Dunque il  Tiramisù salato, un Tiramisù che MENTE,  è la mia  seconda prova per la sfida n. 61 di MTCkallenge e ringrazio Susy del blog  Coscina di pollo perché, nonostante le titubanze iniziali,  mi sono divertita tantissimo nel pensare  ricette e personaggi.
Susy, hai messo a dura  prova la mia cinefilia nel cercare di collegare personaggi, film e ricette!

Questa volta mi sono cimentata anche col mascarpone fatto in casa,  e con i savoiardi salati.
I secondi devo dire che non mi hanno soddisfatto del tutto, avrei voluto provare a rifarli modificando un poco la ricetta, ma non avevo più tempo a disposizione per cui mi sono accontentata. A loro merito posso dire che si inzuppano benissimo e reggono perfettamente.

Questo il mio mascarpone:

fatto seguendo la ricetta pubblicata da MTChallenge   QUI   e alla fine di tutto il procedimento  ho ottenuto 330 grammi abbondanti di mascarpone.

Questi i savoiardi salati:


la ricetta  che ho seguito  la trovate sempre pubblicata sul sito MTChallenge  QUI

 E finalmente la mia ricetta:




 DolceMENTE Tiramisù



per tre/quattro  persone

330 g mascarpone (vedi sopra)
70 g Stilton
10/12 noci
1 bicchiere scarso Ben Ryé (Passito di Pantelleria)
poco sale, poco pepe bianco


per il caramello:
60 g zucchero
acqua q.b.
poco limone


Lasciate lo Stilton a temperatura ambiente in modo che resti morbido.
Schiacciate le noci, ricavate i gherigli e tenete da parte.
Preparate il caramello con lo zucchero, un cucchiaio abbondante di acqua  e qualche goccia di limone in un pentolino dalla bocca larga.

Quando il caramello è pronto, lasciatelo intiepidire un paio di minuti, poi tuffateci i gherigli di noce, uno alla volta infilzati su un lungo  spiedino di legno, o uno stuzzicadenti. Fate in modo che siano tutti ben rivestiti di caramello e metteteli ad asciugare su un poco di carta forno.

Una volta freddi, tritateli grossolanamente,  tenendo da parte quelli riusciti meglio, per la decorazione finale.

Dividete in due ciotole il mascarpone, pari peso.
Ormai lo Stilton si sarà ammorbidito




prelevatene la dose della ricetta, e con la forchetta iniziate a schiacciarlo,  poi mescolatelo velocemente fino a ridurlo a crema.
Unitelo a una parte del mascarpone, mescolate finchè tutto è perfettamente omogeneo, regolate di sale e di pepe. Tenete da parte.

Unite il trito di noci caramellate all'altra parte di mascarpone. Mescolate e regolate di sale e pepe.

Ora si possono fare i bicchierini, oppure potete usare un coppapasta e formare questo antipasto su un piatto, scegliete voi come più vi piace..

Sul fondo fate uno strato con il mascarpone allo Stilton.
Bagnate i savoiardi nel Passito, strizzateli per eliminare il vino in eccesso  e coprite tutto con un sostanzioso strato.
Sopra ai savoiardi finite con uno strato di mascarpone alle noci caramellate.

Decorate con i  gherigli caramellati tenuti da parte.

Il sapore deciso dello Stilton, che io amo molto, è contrastato e armonizzato dalle noci caramellate e dal Passito.  In questo caso,  Ben Ryé,  un Passito Donnafugata che regala sentori di pesca e albicocca,  fichi secchi, miele e profumi di erbe aromatiche.

Con questa ricetta partecipo alla sfida Mtc n. 61





domenica 13 novembre 2016

Tiramisù Vermeer

 Tiramisù Vermeer




Ci siamo, la sfida MTChallenge di questo mese  è partita.   Il tema lo ha deciso Susy May, del blog  Coscina di Pollo che ha meritatamente vinto quella del mese scorso con le Star Trek tapas  Sembrava facile all'inizio, leggendo le regole. Sembrava.  Continuando a leggere,  un commento  mi è partito spontaneo.... Eppure mi sembrava di non aver fatto nulla di male!
La sfida è il Tiramisù in tutte le possibili sfumature e variazioni,  ma mica quello normale, no, no.  Già, ma poi cos'è la normalità?
Giusto per rendere la sfida più interessante e difficile,   nelle regole ci sono scritte due o tre  paroline che ti mettono leggermente in crisi, dato che quasi non te ne ricordi più  e con gli anni hai pure perso il  physique du rôle, se mai ce l'hai avuto.....deve essere sexy.
Cominciamo col dire che l'idea  di sensualità non è la stessa per tutti, e che non esiste una forma ideale per essere sexy. Per alcuni il termine sexy è associato principalmente ad elementi esteriori  e sessualmente chiari,  per altri  sensuale  può essere il tono della voce, la gestualità oppure una miscela di elementi che può far nascere un desiderio, sguardi, gesti, parole, il modo di accavallare le gambe, di guardare negli occhi, di avere empatia.
La sensualità poi si intreccia da sempre con la gola, Eros e gola non a caso condividono le stesse aree del cervello e ci portano ad avere una percezione sensuale di certi cibi e a trasformarli in un vero e proprio oggetto del desiderio, una tentazione irresistibile.
Per me infatti  è estremamente sensuale e voluttuoso  un dolce al cucchiaio, proprio come il Tiramisù. Nonostante io ami quasi tutti i tipi di dolce,  la mia scelta  cade praticamente sempre su una morbida  bavarese, o su una  crema,  o una montagna di panna montata.  La loro morbida consistenza per me  è  davvero irresistibile.
Ma per tornare alla sfida,  non è stato facile identificare un argomento, un personaggio, un film che rendesse l'idea di sensualità del Tiramisù.
Poi ho pensato all'arte.  E precisamente alla Ragazza col turbante  di  Jan Vermeer,  un quadro che  mi ha colpito parecchio, con quel volto giovane,  le labbra socchiuse, lo sguardo da cerbiatta.  E il film tratto dal romanzo di Tracy Chevalier, La Ragazza con l'Orecchino di perla, mi ha colpito altrettanto. Una Scarlett Johansson perfetta in quella parte, che nonostante le cuffiette olandesi e gli abiti dimessi, ho trovato molto sensuale.







soprattutto in scene come questa:


e che dire di Colin Firth che interpreta Vermeer? Guardate questa foto, non vi sembra sensuale nonostante la storia che il film racconta?


già, ma come legare questo film e questo quadro a un Tiramisù?  Quale ricetta? Ci ho messo un po', lo confesso, avevo qualche idea che mi girava in testa ma non mi convinceva del tutto. Poi,  pensando che Vermeer era olandese, ho cercato di capire che tipo di sapori piacciono agli olandesi, e qui la mia amica Marina, che vive ad Amsterdam , mi ha schiarito le idee, per cui, una volta inquadrati i sapori, è stata tutta discesa.


 Tiramisù Vermeer


per i savoiardi- speculaas 
ricetta di Leonardo Di Carlo,  mezza dose:

180 g albumi
150 g zucchero semolato
120 g tuorli
150 g farina setacciata
2 g scorza di limone grattugiata
1 g sale
la punta di un cucchiaino di tutte queste spezie:
cannella, noce moscata, chiodo di garofano in polvere, zenzero in polvere,  pepe bianco, cardamomo in polvere. In totale un cucchiaio, alla fine.
zucchero a velo setacciato per spolverare

Rivestite di carta forno un paio di teglie. Scaldate il forno a  170/180° ventilato.:
Separate i tuorli dagli albumi- Fate schiumare gli albumi montandoli leggermente, aggiungete lo zucchero a pioggia, il sale e continuate a montarli fino a che avrete una meringa lucida e soda.
Mescolate i tuorli con la frusta in modo da renderli fluidi, quando gli albumi saranno pronti, unite le uova a cucchiaiate, poche per volta, mescolando delicatamente dall'alto verso il basso con una spatola in modo da incorporarli pian piano alla montata. Una volta amalgamate le uova, unite la scorza di limone, e le spezie, mescolate ancora delicatamente poi passate ad incorporare la farina, poca per volta, mescolando con una spatola sempre dall'alto verso il basso per non smontare il composto.
Trasferitelo poi in una sac à poche munita di beccuccio liscio, abbastanza grande.  Spremete l'impasto sulle teglie facendo dei bastoncini cicciotti, regolari e distanziati fra loro.


Spolverate generosamente di zucchero a velo e lasciate riposare una decina di minuti, poi ripetete l'operazione.  Io poi ho seguito un insegnamento sardo, letto molto tempo fa sul forum di Coquinaria.
Bagnatevi i polpastrelli sotto l'acqua fredda e scrollateli sui biscotti, aiuterà il formarsi di minuscole bollicine sulla superficie. Ora infornate e cuocete fino a completa doratura. Col mio forno a 170° ci sono voluti circa 20  minuti. Toglieteli dal forno e lasciateli raffreddare COMPLETAMENTE prima di staccarli dalla carta forno e, anche da freddi, fatelo molto delicatamente.




Per le mandorle:
50 g mandorle a lamelle
Blue Curaçao q.b.

Mettete le mandorle a lamelle in una tazza, aggiungete liquore fino a che siano ben coperte. Sigillate la tazza con la pellicola e lasciatele macerare per almeno un paio di giorni. Dopodichè scolatele, ma vedrete che avranno assorbito tantissimo, e asciugatele grossolanamente  fra due fogli di carta da cucina. Foderate una teglia con della carta forno, sparpagliateci sopra le mandorle a lamelle e infornate a  120° ventilato fino a che sono perfettamente asciutte e secche.
Passatene una metà al tritatutto per avere una polvere finissima, e il resto tenetelo per la decorazione finale. Tenete tutto da parte.



Per la crema al mascarpone

500 g mascarpone
5 tuorli
5 albumi
zucchero q.b ovvero pari peso dei tuorli, pari peso degli albumi.

Separate le uova, raccogliete i tuorli in un recipiente che possa reggere il calore. Pesate i tuorli e aggiungete lo stesso peso in zucchero,  quindi ponete il recipiente sopra una pentola  sul fuoco con due dita d'acqua.
 Munitevi di termometro e portate le uova, sempre sbattendo, alla temperatura di 70°


Togliete la pâte à bombe dal calore e trasferitela in un bagno freddo, continuando a montare fino a completo raffreddamento.
Fate la stessa operazione con gli albumi, raccoglieteli in un contenitore che possa essere usato a caldo,  pesateli e aggiungete lo stesso peso in zucchero, trasferiteli su una  una pentola sul fuoco con due dita d'acqua.
Fateli schiumare sbattendoli leggermente, inserite il termometro  e portateli a 70° sempre sbattendo leggermente

toglieteli dal fuoco e continuate a montare con le fruste elettriche finchè avrete una meringa densa e lucida, completamente fredda.




A questo punto, trasferite il mascarpone in una  grossa ciotola, montatelo un attimo con le fruste elettriche per renderlo fluido e senza piccoli grumi, aggiungete prima la montata di uova e incorporatela mescolando con una spatola,  e poi la meringa. Mescolate a lungo  fino ad avere un composto perfettamente amalgamato e cremosissimo.






a questo punto tocca alla bagna per i savoiardi.


per la bagna:
mezzo bicchiere scarso di Blue Curaçao
50 g zucchero

50 g acqua


preparate uno sciroppo 1:1 con lo zucchero e l'acqua. In un piatto mettete il liquore, aggiungete lo sciroppo caldo e mescolate.



E ora si può passare a montare il dolce.
In una pirofila, in un grande piatto, in un contenitore a vostra scelta che possa andaer in tavola, iniziate a fare sul fondo uno strato di crema.
In un piatto a parte, bagnate ogni savoiardo con qualche cucchiaio del composto a base di liquore e sciroppo, strizzatelo bene, con delicatezza, e fate tutto uno strato sopra la crema, procedete allo stesso modo, per un altro strato di crema e di biscotti, finendo con la crema.

Completate con la polvere di mandorle,  decorate con le mandorle a lamelle e perle di zucchero.



Come vedete,  il mio Tiramisù per la sfida l'ho messo nel bicchiere, temendo che si spatasciasse se lo avessi porzionato, ma devo dire che la consistenza della meringa svizzera lo rende molto più stabile.
I savoiardi  inzuppati nella foto sembrano quasi verdi, ma non lo sono,   la bagna blu a contatto con la pasta del biscotto tende più al turchese, come le mandorle.

In ogni caso grazie Susy, è stata  una bella idea e mi sono divertita molto nel fare tutte le preparazioni.

Sia i savoiardi che la meringa svizzera non li avevo mai fatti! Sono stati la mia personale sfida nella sfida.

E ora mi metto qui buona buona ad aspettare tutte le meraviglie che arriveranno.




P.S. - QUI troverete la biografia di Jan Vermeer, se vi va di sapere qualcosa di più su di lui:




Con questa ricetta partecipo alla sfida  N. 61 di MtChallenge.   #mtc61

martedì 8 novembre 2016

A tutto tonno

Finalmente riesco a trovare un attimo per aggiornare il blog.
Lo faccio con una ricetta che avevo realizzato un bel po' di tempo fa e poi, a causa del  sempre più limitato tempo che posso dedicare a cose che mi piacciono, è rimasta in stand by.
Io non so se capita solo a me, ma quando cucino qualcosa e non scrivo subito dosi e procedimento, va a finire che non me lo ricordo più. Poi  magari rivedo tutto  spulciando le foto ma ormai è troppo tardi per ricordarmi esattamente come l'ho fatto.  Non ho decisamente più l'età per riuscire a tenere tutto a mente, e questo per me è un brutto segno, ho sempre avuto una memoria da elefante.
In ogni caso, visto che l'idea mi è venuta sfogliando un libro di Luigi Pomata almeno la traccia c'è, ho pensato..... e invece quasi non trovavo nemmeno più il libro,  ci ho messo un bel po' prima di  capire dov'era,  l'avevo cercato dappertutto sotto lo sguardo ironico e divertito di mio marito, che non so perchè deve sempre punzecchiare quando mi vede in queste situazioni..... alla fine ne ho scorto un angolo che spuntava  da sotto una pila di documenti da archiviare.....mannaggia a me, alla carta in cui a volte mi sembra di affogare, e all'antipatia che nutro per il lavoro di archiviazione....comunque, l'idea mi era venuta da una foto del libro, e leggendo la ricetta mi è pure sembrata  di facile e veloce realizzazione, quello che fa per me in questo ultimo periodo. Naturalmente ho modificato leggermente a modo mio.


Piccoli rollé  di tonno e mousse di ricotta alla paprica affumicata

da  una idea di Luigi Pomata

per 2 persone


6 fette di tonno  freschissimo, non troppo grandi
250 g ricotta di capra
10 gocce di  Tabasco
la scorza grattugiata di un lime
paprica affumicata q.b.
olio extra vergine d'oliva
sale, pepe bianco

per completare:
germogli alfa-alfa
erba cipollina
paprica affumicata
poca maionese

Prima di preparare la ricetta  sarà meglio abbattere il tonno per almeno 96 ore. Se avete un abbattitore, usate quello, altrimenti mettete il pesce in congelatore. Questo per scongiurare la presenza dell'Anisakis.
Trascorso il tempo, togliete il tonno dal freezer e lasciatelo scongelare completamente in frigorifero prima di usarlo. Una volta pronto, setacciate la ricotta di capra, raccogliendola in una ciotola. Ripetete la stessa operazione per una seconda volta.
Alla ricotta unite il Tabasco, la scorza grattugiata  del lime, regolate di sale e di pepe bianco,  aggiungete anche la paprica affumicata. Per la dose, iniziate con  mezzo cucchiaio e assaggiate,   seguendo il vostro gusto, se vi sembra che non si senta, aggiungetene altra finchè arriverete alla quantità che vi piace.
A me è bastato  un po' più di mezzo cucchiaio.
Mescolate bene tutto e lasciate riposare una mezz'ora in frigorifero, ben coperta.
Prendete  le fette di tonno, paratele bene in modo che siano simmetriche.  Stendetele su un tagliere  e arrotolatele su se stesse in modo che si possano farcire.
Mettetele in piedi, ravvicinate, tre su ogni piatto di servizio.
Riprendete la ricotta dal frigorifero,  trasferitela in una sac à poche munita di bocchetta liscia o spizzata, come più vi piace, e farcite i rollés di tonno fino ad uscire un po' dal bordo superiore.
Decorate con qualche spuntone di maionese, germogli  alfa-alfa, erba cipollina e qualche pizzico qua e la di paprica affumicata a sporcare il piatto.

 Se amata il tonno crudo, non potete non provare questa ricetta!















giovedì 3 novembre 2016

Zuppa di ceci e costine di maiale




 Inverno, tempo di zuppe. E non c'è niente di più consolante di un piatto di zuppa calda e  fumante ad attenderti  sulla tavola nei giorni più freddi dell'inverno, una zuppa che riempie e scalda fino al midollo..

Oggi ripropongo  questa vecchia ricetta in occasione della giornata dedicata alle zuppe di ceci dal Calendario del Cibo Italiano progetto della Associazione Italiana Food Blogger e Laura del blog Laura Adani Photography - io così come sono  ne sarà ambasciatrice. Credo che ne scopriremo di belle e di  buone.

Un piatto tradizionale questo,  sapore deciso e, per me che amo i ceci, squisito e adatto alle giornate lunghe, fredde e buie dell'inverno che è alle porte.
E' un piatto veramente robusto e ricco,  di quelli delle nonne;  un piatto  da preparare con  il   tempo e la pazienza  perchè deve pippiare dolcemente a lungo  sul fuoco profumando tutta la casa...
 Una ricetta che si fa in modi diversi, secondo la regione in cui la si trova e,  come per tutte le ricette tradizionali, ogni famiglia ne ha la propria  versione ed ogni famiglia sostiene che la propria è quella vera, quella giusta, quella  tramandata dalla nonna Maria, o Giuseppina, o Filomena...

Quella che invece  troverete più sotto è la ricetta di Elena Collini, una cara amica, vera gourmet,  che l'ha condivisa con noi sul forum di Coquinaria, anni fa e che io faccio e rifaccio ad ogni inverno.

E' decisamente  calorica, è vero, ma una volta tanto si può fare, soprattutto quando la temperatura scende parecchio  oppure quando fuori  nevica e si sta bene solo  rintanati al calduccio di casa,  la domenica..






Zuppa di ceci e costine di maiale

150 g di ceci secchi  (calcolati a persona)
2 grosse patate, o più, dipende da quanta zuppa si vuole fare
1 pezzetto non troppo grosso di cotenna di maiale
60 g  pancetta affumicata tagliata a  dadini
costine di maiale, calcolarne tre a testa, o più, secondo l'appetito  e il gusto..
1 carota
1 costa  di sedano
1 bella cipolla
burro abbondante
salvia abbondante
sale, pepe nero


Mettete a bagno i ceci per una notte, con una punta di bicarbonato di sodio. Il giorno dopo sciacquateli a lungo prima di utilizzarli.
Raschiate bene e strinate la cotenna per eliminare eventuali peli e setole residue, tagliatela a pezzetti.
Preparate un trito abbondante di sedano, carota, cipolla.  Tagliate a dadini la pancetta affumicata.
In una capace pentola,  fate  stufare il trito di sedano, carota, cipolla  con un goccio d'olio e una noce di burro insieme alla pancetta affumicata, aggiungert i ceci scolati,  mescolate il tutto per farlo insaporire un po', quindi coprite d'acqua bollente, aggiungete anche le patate intere, regolate di sale e di pepe  e fate cuocere dolcemente a fuoco bassissimo per un paio d'ore. Trascorso questo tempo,  schiacciate le patate ormai cotte, aggiungete la cotenna e le costine, e continuate la cottura per un'altra ora e mezza. Eventualmente aggiungete acqua calda se necessario.  Volendo, prima di unirli alla zuppa,  si possono scottare in acqua bollente sia le costine che la cotenna, conservando poi questo loro brodo che servirà ad allungare la zuppa  al posto dell'acqua,  in caso si riducesse troppo cuocendo.
Una volta pronta la minestra,   la carne delle costine sarà morbidissima, quasi sfatta e si staccherà dalle ossa, e allora fate fondere il burro insieme alla salvia, lasciandolo soffriggere un pochino, quindi unite il tutto alla zuppa, profumate  con una bella macinata di pepe nero,  mescolate e servite calda fumante...






lunedì 31 ottobre 2016

Pan dei morti e altre storie

Ripropongo questo vecchio post dedicato alle  celebrazioni di Ognissanti e alla commemorazione  dei defunti,  perchè oggi il  Calendario del cibo Italiano  progetto a cura  della Associazione Italiana Food Blogger dedicherà la settimana che si apre a questa ricorrenza, e Alessandra Gennaro del blog An Old fashioned lady e Susanna Canetti del blog Afrodita's Kitchen  ne saranno le ambasciatrici. Non perdetevi il loro articolo a riguardo, so che sarà molto interessante leggerlo e conoscere usi, costumi, storie e aneddoti legati a questo periodo.

Il giorno dei morti ci si veste pesante perché l'aria è ormai diventata fredda ed è arrivata la prima nebbia della stagione, si toglie il cappotto da dove era  stato riposto, si spolverano stivali e scarpe adatte e ci si accinge ad affrontare l'inverno imminente.

Il sole che sbiadisce e ci abbandona, i fiori che pian piano si seccano e cadono, il tappeto di foglie rosse e gialle su cui camminiamo, le notti lunghe che iniziano quando è ancora giorno....tutto questo fa pensare alla fatica, al riposo, al sonno, al passato, e il pensiero ritorna su ciò che è stato. 
Così in questa stagione più facilmente si evocano le ombre, si parla con loro.
Il giorno dei morti fiori e lumini riempiono il cimitero di ogni paese con un'aria quasi di festa se non fosse per quelle foto ovali con piccoli volti in bianco e nero di un tempo sparito, che sorridono lontani perché nulla  li può più toccare..
La morte è un tema spesso doloroso e difficile da accettare. Ma lo sappiamo, niente nell'universo intero può resistere al tempo. Tutto ne viene travolto, tutto è destinato a scomparire, a mutare. E' difficile ogni giorno accettare, sopportare la mancanza, il vuoto lasciato da chi non c'è più. 
Nel tempo a volte subentra una sorta di dolore quieto, quasi fatto di struggente tenerezza, ma  il dolore è comunque  sordo,  è muto e  ascolta solo se stesso...non ci sono parole uguali per ognuno di noi,  che possono raccontarlo.
Anche nel giorno dei morti richiamiamo alla mente i nostri cari scomparsi, per rivederli intorno a noi, per offrire loro un fiore, per fare pace, per non dimenticare,  perché sono sempre ben vivi dentro il nostro cuore, la nostra mente, il nostro ricordo.



Vita e morte sono  inevitabilmente legate, e il giorno dei morti ogni casa si riempie di tutte le tradizioni per continuare a mantenere forti legami con i propri defunti e
antiche usanze vivono in tutto il nostro Paese.
Io sono nata in Friuli  dove sono rimasta per tutto il primo anno di vita,  e poi mi sono trasferita a Milano con i miei genitori, dove sono cresciuta, dopo una parentesi di qualche anno sulle montagne comasche.  Grazie alla mia famiglia ho assimilato sia le  tradizioni lombarde che quelle friulane e le usanze di entrambe le regioni fanno parte della mia vita da che ho memoria.
A Milano, ma generalmente in tutta la Lombardia, il dolce tradizionale di questo periodo è il Pan dei Morti.
Cuocerlo  significa avere la casa a lungo  profumata  di spezie, un profumo che mi fa tornare bambina, quando il pan dei morti si comprava in panetteria. Ognuna ne aveva sempre un bel vassoio pronto sul banco e il suo profumo si sentiva fin sulla strada, si spandeva per la via solleticando le narici e facendo venire la voglia irrefrenabile di addentarne uno, bello morbido e fondente, e di riempirsi il viso  di  zucchero a velo..
La signora Luisa, la panettiera  quasi all'angolo di Via Marghera  dove passavo tutte le mattine per andare a scuola,   mi conosceva bene ormai, ogni giorno entravo a comprare la merenda da mettere in cartella....a volte la mantovana, una specie di pasta brioche tutta bitorzoluta,  asciutta che più asciutta non si può,  altre volte la veneziana, con la granella di mandorle e zucchero sopra, oppure, altre volte ancora, le peschine con la marmellata  belle rosse di Alchermes e,  in questo periodo, il pan dei morti...
....questo profumo di spezie che aleggia per casa, mi fa ricordare la  sciura Luisa, un donnone giunonico  bonario e gentile, dagli occhi più azzurri che ho visto in vita mia, piazzata sempre dietro al bancone del negozio, dopo la notte passata a sfornare pane in quantità....

entravo nel negozio insieme a frotte di altri bambini,  con un misto di soggezione e timidezza, sceglievo la mia merenda, tiravo fuori le monete che mi dava mamma per pagare e me ne andavo col mio pan dei morti in mano, avvolto in un minuscolo foglio di  carta velina beige,  accompagnata dal suo sguardo azzurro e intenso fin sul marciapiede...lo sentivo quello sguardo, come se fosse appiccicato sulla schiena...
poi, nell'ultimo pezzo di strada che mi divideva dalla scuola, non resistevo a quel profumo di cannella e ne sbocconcellavo golosamente  qualche pezzetto camminando... ne è passato parecchio di tempo da allora, ma il sapore di quel pan dei morti della Luisa, me lo ricordo ancora molto bene.... 

Invece in Friuli, mio nonno prima   e mio padre dopo di lui,  prima di andare a letto, il giorno dei morti lasciavano la luce accesa sotto il portico, un secchio d'acqua e del pane sulla tavola cosicché i defunti potessero trovare luce e cibo per ristorarsi durante il pellegrinaggio notturno verso le chiese e i santuari.
Si dice che in quella notte i defunti tornino a noi vestiti di bianco, e che chi entra in quelle chiese e in quei santuari le troverà affollate da una moltitudine di persone che non sono più in vita e che scomparirà all'alba, al  primo canto del gallo.
E guai a guardar fuori dalla finestra...ci potevano essere i morti chiamati dall'insistente e prolungato suono delle campane, a spiare noi vivi.
Ogni famiglia prepara i dolci dei morti....a casa mia delle semplici caldarroste, con un bicchiere di vino rosso...e un goccio non si negava anche ai bambini..
Su per le montagne invece , hanno da sempre fatto rivivere anche le antichissime tradizioni pagane e ancora oggi si fa la rievocazione storica del capodanno celtico, quando si pensava che in questa notte i defunti tornassero accompagnati dal piccolo popolo degli elfi, (gli sbilfs) delle streghe (lis striis) e delle fate (lis aganis) per visitare i luoghi in cui avevano vissuto. La gente va per le strade del paese con le zucche intagliate come maschere spaventose, illuminate dalle candele...
Intagliare le zucche per usarle come lumi non è solo una usanza americana, è presente da noi da secoli...
Ricordo quelle notti fredde, le processioni lungo le strade del paese, la polenta bianca, calda fumante , di mia nonna, il muset con la brovada, il riunirsi tutti intorno alla grande tavola insieme a parenti ed amici, a chiacchierare e a mangiare le castagne man mano che mio padre le cuoceva sulla stufa a legna, fra un bicchiere di Merlot e un bicchierino di grappa, e poi, prima di andare a letto, la tavola apparecchiata con tutto  quello che avevamo preparato, le caldarroste, il vino, il pane, l'acqua.
Mio padre usciva sotto il portico, accendeva la luce, rientrava e chiudeva le porte a doppia mandata...
Il giorno dopo era tutto come l'avevamo lasciato, ma ogni anno, alla stessa ricorrenza, erano gli stessi gesti, lo stesso sentire...Come a non voler spezzare quel legame col mondo dei più..
Ogni volta, la mattina dopo,  osservavo la tavola e poi guardavo mio padre ... Perchè è ancora tutto lì dove lo abbiamo lasciato, gli chiedevo muta... lui  mi guardava sorridendo sornione  e scambiava uno sguardo complice con mia nonna, si alzava dalla sedia e mi diceva: Dai, sparecchiamo e non preoccuparti, sono venuti ma   non avevano fame...probabilmente hanno mangiato a casa della zia Norina. Solo qualche anno dopo, ho capito. 
 









Ecco la ricetta del  Pan dei Morti, di tradizione lombarda.


PAN DEI MORTI

200 gr di rimasugli o briciolame di biscotti secchi
120 gr farina
150 gr zucchero semolato
3 cucchiai rasi di cacao amaro
100gr uvetta
50 gr mandorle pelate
50 gr pinoli
50 gr ciliegie candite
2 fichi secchi (facoltativo)
mezzo cucchiaino di lievito per torte
1 cucchiaio raso di cannella in polvere
1 cucchiaino di chiodo di garofano macinato
mezzo cucchiaino di noce moscata
un pizzico di sale
vino bianco q.b. (o del Vinsanto)
1 albume



Ammorbidite l'uvetta in un goccio di acqua calda mista a poco vino bianco, unite anche i fichi secchi ridotti a pezzetti, se decidete di metterli.
Nel mixer tritate i biscotti, raccoglieteli in una terrina e aggiungere la farina, lo zucchero, le mandorle tritate non troppo fini, i pinoli, le ciliegie tritate anch'esse grossolanamente, il lievito, il cacao, le spezie e infine l'uvetta scolata e strizzata e il pizzico di sale.
A questo punto aggiungete i liquidi, l'albume appena appena sbattuto, giusto per scioglierlo un pochino, e infine il vino bianco. Versate il vino poco alla volta, e regolatevi con la quantità in modo che l'impasto risulti abbastanza  compatto e solido, da lavorare con le mani, alla fine deve risultare una specie di palla compatta e liscia.
Scaldate il forno a 180° ventilato e foderate una teglia con carta forno.
Con l'impasto fate una specie di salsicciotti di 6/7 cm di diametro, tagliateli in pezzi di circa 4 cm, appiattiteli leggermente con le mani inumidite, in modo da ricavare una forma allungata ovoidale, alta poco meno di 1 cm.
Adagiateli in file sfalzate sulla teglia foderata, tenendo conto che un poco si gonfiano, distanziandoli abbastanza regolarmente.
Cuocete a 180° per 15 minuti, in funzione ventilata, si formeranno delle crepe, è normale. A questo punto abbassate a 160° la temperatura, cambiando la funzione da ventilato a statico, e tenendo un poco aperto il forno mettendo un cucchiaio di legno nello sportello (come si fa a volte con le meringhe) quindi continuate la cottura per altri 20/ 25  minuti. Devono essere morbidi e fondenti all'interno..
Lasciate che si raffreddino poi spolverate abbondantemente con lo zucchero a velo. 

Sulla tavola, insieme a un vassoio di Pan dei Morti, io aggiungo  anche qualche caldarrosta accompagnata da un buon bicchiere di vino rosso. E' il mio modo di fondere le tradizioni e di ricordare le persone a me care  che non ci sono più.


 


Ed è  anche il mio contributo a questa giornata dedicata alla commemorazione dei defunti da parte del Calendario del Cibo Italiano.