lunedì 25 dicembre 2017

Buon Natale!





Perché
la gente parla lingue diverse?
In fondo tutti diciamo le stesse cose.

Perché
il colore della pelle non e indifferente?
In fondo siamo tutti diversi.

Perché
gli adulti fanno la guerra?
Dio certamente non lo vuole.

Perché
avvelenano la terra?
Abbiamo solo quella.

A Natale – un giorno – gli uomini andranno d’accordo in tutto il mondo.
Allora ci sarà un enorme albero di Natale con milioni di candele.
Ognuno ne terrà una in mano, e nessuno riuscirà a vedere l’enorme albero fino alla punta.

Allora tutti si diranno “Buon Natale!” a Natale, un giorno.
(Hirokazu Ogura)




(foto trovata in rete)

domenica 24 dicembre 2017

Il baccalà della Vigilia

Ci siamo, fra qualche ora sarà Natale.
Il mio sarà un po' diverso stavolta, col cuore diviso a metà.
Mi siedo un attimo sul divano, ripiglio fiato. Le tende sono aperte e lo sguardo indugia oltre i vetri, una coppia di  cornacchie svolazza davanti alle finestre,  ce ne sono talmente tante dappertutto, ormai. Sempre in coppia, monogame, perennemente alla ricerca di cibo, qualunque sia. Se ne vanno gracchiando e io resto seduta a guardare il cielo.  Inevitabile pensare a quante vigilie di Natale sono passate.
Per noi friulani, che chiamiamo baccalà lo stoccafisso, è quello il piatto della vigilia. 
Da che ho memoria,  a casa mia cominciava tutto con la ricerca del baccalà. Doveva essere Ragno e con il ventre chiaro, sinonimo di qualità,  e doveva corrispondere a determinate caratteristiche stabilite  e tramandate da riti  arcaici, quelli della famiglia patriarcale di mio padre: non troppo grosso ma nemmeno piccolo, secco ma polposo.  Doveva rendere, una volta bagnato.
Abbiamo vissuto in quella casa di ringhiera dal 1954  al 1966,  e finchè siamo stati lì mia madre lo comprava al mercato coperto  di piazza Wagner,  e se per una malaugurata circostanza non lo trovava,  si rifugiava alle Fattorie Prealpine di Via S. Siro che a Natale esibivano  il trionfo  della tradizione natalizia lombarda e non solo. Mastelli di mostarda cremonese, montagne di mascarpone e di ricotta piemontese, enormi tome di Panerone e di Gorgonzola,  forme di grana lodigiano, quello con la crosta nera,  orizzontalmente divise a metà, grandi latte di acciughe sotto sale e di ventresca di tonno, salami, mortadelle di fegato, coppe e   prosciutti appesi come stalattiti fra tralci di agrifoglio e lauro, senza contare gli innumerevoli vassoi di insalata russa e gamberi in gelatina,  tartine di ogni tipo, e addirittura aragoste in bellavista,  era un paradiso per gli occhi, anche se per noi,  in quei tempi,  era tutto costosissimo, inarrivabile. Poi, dopo che traslocammo in una vera casa vicino all'ospedale di Niguarda,  il compito dell'acquisto rimase delegato a mia madre,  magari capitava che  qualche  volta andassero insieme, prendevano il bus e lo cercavano  al  mercato del sabato  di Piazzale Lagosta. Tornavano a casa con la borsa che lasciava la scia di baccalà...non oso immaginare sul bus... poi comprarono l'auto e il problema si risolse.
Quando lo acquistava mia madre,  il baccalà doveva passare al vaglio di mio padre.  Lui, tornato dal lavoro, lo ispezionava, lo soppesava  mentre mia madre lo guardava con un sorrisetto ironico  sulle labbra aspettando di vedere se avesse da ridire. L'approvazione  arrivava puntuale, tranne rarissime volte in cui  secondo lui o era troppo piccolo o non aveva il ventre abbastanza  chiaro.
Solo dopo quel momento si poteva passare  alla fase successiva: il rito della battitura. Che sembra una cosa semplice, ma non lo è affatto.  La carne va ammorbidita, sfibrata,  ma non si  deve assolutamente rompere o stracciare. Ci volevano anni di esperienza e  grande tecnica per riuscirci.
Mio padre prendeva il suo Ragno, scendeva in cantina dove aveva allestito un angolo di lavoro tutto attrezzato  accanto alle damigiane e alle bottiglie di vino, e iniziava il rito.
Colpi decisi e ritmati,  con un mazzuolo di gomma dura, da campeggio,  avuto da non so più chi, sempre attento a non rompere le carni. La battitura durava  un bel po'.  A volte scendevo con lui e  osservavo quel suo modo ritmato di battere il mazzuolo, costante  e continuo, senza incertezze e senza errori, più leggero sul ventre, più pesante sul resto e non l'ho mai visto rompere nemmeno la pelle del baccalà, mai.
La battitura si concludeva con  un sorriso soddisfatto di mio padre che  poi tagliava  la bestia  in due o tre pezzi  e si tornava di sopra a passare le consegne a mia madre.
E lì iniziava il secondo rito: l'ammollo. Tre o quattro giorni di puzza insopportabile in casa anche se tenevamo tutto sul davanzale della finestra di cucina che dava sul balcone.
Tre o quattro giorni a cambiare acqua, a rivoltare i pezzi, finchè mia madre, giudice supremo sul grado di morbidezza raggiunto, decretava che si poteva diliscare.  Me li vedo, intenti alla bisogna, stretti nel minuscolo cucinino,  spalla a spalla, complici.
E lì si arrivava alla  volata finale: la cottura.  La sopraintendevano tutti e due, a volte battibeccando, a volte ridendo, ma sempre con la voglia e la gioia  di festeggiare il Natale con tutta la famiglia, con figli,  nipoti, e  con i parenti che ogni anno via via   si aggiungevano.
Cuocerlo, finchè non è arrivata la pentola a pressione,  era una operazione che durava altri due giorni se andava bene, mentre la puz.. pardon, l'odore che,  nonostante tutte le porte delle stanze chiuse,  impregnava qualsiasi cosa in quell'appartamento di 65 mq. e quando infilavi il cappotto per uscire,  per strada ti guardavi alle spalle per controllare che non ti seguisse qualche gatto randagio... avevi un bel metterlo fuori sul balcone durante la notte, alla fine era anche peggio, un mix fra l'odore dell'inverno e quello del baccalà! E non è bello per una quindicenne andare in giro col cappotto "profumato" in quel modo!
Sorrido al pensiero, e una voragine di malinconia si apre e mi risucchia dentro i ricordi.
Torno a  Natali innevati, alle lucine dell'albero sempre accese che riflettevano sui vetri, al freddo pungente,  al cielo invernale punteggiato di stelle luminosissime,  c'era  il baccalà fumante sulla tavola, la polenta bianca, che costava poco  e,  fuori,  la neve, che costava nulla.
C’era una grande famiglia. Che si voleva bene.

Mio padre non c'è più da quindici anni, ed è  sempre difficile ogni volta che arriva la vigilia di Natale, senza di lui tante cose non hanno più lo stesso sapore, lo stesso significato. Ma il baccalà resta il nostro rito della vigilia,  anno dopo anno, per continuare  a sentirlo  tra noi,  e nonostante non ci sia chi lo sappia battere,   lo porta avanti mia madre anche per lui. Credo che gli faccia piacere, se ci guarda da lassù.


Il baccalà della Luisa non ha bisogno di molte cose.
Si sciolgono quattro o cinque filetti di acciughe, diliscate e   dissalate, nell'olio caldo e si mette il baccalà,   perfettamente  ammollato e  pulito da pelle e spine,  ad insaporire, lo si lascia assorbire il condimento e poi si copre di latte e si porta a cottura rabboccando col latte se si asciuga troppo,  la Luisa mette anche una punta di conserva di pomodoro, come ha imparato a fare da mia nonna. Con  la pentola a pressione il risultato è parecchio soddisfacente, si accorciano i tempi e  ne guadagna il sapore poi, una volta cotto, ci si arma di olio di gomito e di una frusta, oltre che di olio buono, e si procede alla mantecatura a fuoco allegro.

Noi lo accompagnamo con una polenta morbida, rigorosamente bianca.


Oggi è la giornata che il Calendario del Cibo Italiano dedica ai piatti della Vigilia di Natale, e ho voluto condividere quello che per noi è e sarà sempre il piatto tradizionale di questo giorno.




giovedì 14 dicembre 2017

L'Avvento dei Trifle per MTChallenge - Gordon ’s Christmas Trifle

Siamo giusto nell'Avvento,  il tempo dell'attesa. Mentre aspettiamo che arrivi Natale,  vogliamo ingannare il tempo preparando un meraviglioso Trifle?
Alle ricette ci ha pensato MTChallenge  regalandoci un' altra  scoppiettante sorpresa del  suo bellissimo Calendario dell'Avvento,   e sono quelle del  Tema del mese n. 61 che i soci e le socie del Club del 27 si sono subito accaparrate. Una carrellata di vere meraviglie che portate in tavola mettono d'accordo tutti.






Ce n'è per ogni gusto, talmente golosi che non si riesce a pensare di  prepararne uno solo. Io, visto il periodo,  ho voluto iniziare con un Trifle prettamente natalizio


Gordon's Christmas Trifle
per 4  bicchieri, o una coppa grande da Trifle

250 g mascarpone
6 cucchiai zucchero a velo
1/2 bicchiere di Baileys
la scorza grattugiata  di una arancia non trattata
2 cucchiaini di cannella
100 ml panna liquida fresca
2 o 3 fette di panettone
poco Brandy
per completare:

cioccolato fondente grattugiato
poco zucchero a velo


Tagliate il panettone a cubetti non troppo grossi, metteteli in un piatto fondo o in una ciotola e spruzzateli con il Brandy. Mescolate delicatamente con le mani e tenete da parte.

In un'altra ciotola radunate tutti  ingredienti:  il mascarpone, lo zucchero a velo,  il Baileys, la scorza d'arancia grattugiata e la cannella.
Con l'aiuto di una marisa amalgamate bene tutto. A questo punto montate la panna e unitela al composto di mascarpone. Mescolate bene finchè la crema è perfettamente omogenea.
Ora iniziate a comporre il dolce.
Fate uno strato di crema sul fondo dei bicchieri o della coppa, distribuiteci sopra uno strato di panettone, continuate con un altro strato di crema e poi ancora il panettone.
Terminate con una o più quenelle di crema posate sull'ultimo strato di panettone,  completate con una grattugiata di cioccolato fondente e una leggera spolverata di zucchero a velo.
Se lo volete ancora più goloso, tostate i pezzetti di panettone in un padellino antiaderente leggermente unto di burro, fino a farli dorare leggermente, poi procedete come da ricetta, bagnandoli  con il Brandy. 


Confesso di averlo preparato già tre volte da quando ho letto la ricetta catturata dal Baileys,  che mi piace assai,  dalla velocità con cui si prepara ma anche dalla velocità con cui sparisce!
Mi riservo di provarli tutti,  uno alla volta!



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martedì 12 dicembre 2017

Il Miacetto per il Calendario del Cibo Italiano

Grazie alla giornata  che il Calendario del Cibo Italiano dedica ai Pani Dolci,  ne ho scoperto uno che non avevo mai sentito nominare, il Miacetto.
E' nato a  Cattolica, la città romagnola, ed è il tipico dolce delle feste di Natale, anche se ora si può trovare  tutto l'anno.
Perfetto per la vigilia  perchè è un dolce magro, tra i suoi ingredienti non c'è nulla che vada contro la tradizione. Ha una certa somiglianza con il panforte toscano, la certosa bolognese e il pan pepato di Modena e ricorda altri dolci veneti e lombardi, ma si distingue nettamente per la quasi assenza di spezie, compensata però dal meraviglioso profumo di arancia e limone la cui scorza, dosata perfettamente, regala al dolce un aroma davvero unico.
Dobbiamo pensare che Cattolica fin da tempi molto antichi era una cittadina la cui economia era legata al passaggio, al transito di viaggiatori e pellegrini e definita, nel Cinquecento, contrada di taverne. Normale quindi che la sua popolazione avesse molta cura per tutto quello che erano gastronomia e cibo,  e il Miacetto potrebbe essere nato come dolce da offrier ai viaggiatori nel periodo dell'Avvento, tempo di astinenza.
Essendo un dolce comunque squisito, sopperiva alla proibizione di consumare altri dolci caratteristici come il ciambellone, le frittelle, il casadello in un periodo di regime magro, privo di carni, condimenti e grassi animali.
Mi ha davvero sorpreso e conquistato e non è facile perchè solitamente  non amo questo tipo di dolci.
E' veloce da preparare, ci vuole solo la pazienza di far riposare l'impasto poi,  mentre cuoce,   la casa si riempie di un profumo meraviglioso, lo sforni e vorresti che si raffreddasse al più presto perchè sei impaziente di assaggiare.
Fatelo, è buono, profumato, perfetto per la tavola delle feste!





 Il Miacetto di Cattolica

con le dosi  della ricetta  se ne  ottengono due, se invece optate per  uno solo basta dimezzare le quantità previste, come ho fatto io.


250 g semolino a grana fine
100 g farina
150 g mandorle
150 g gherigli di noci
200 g uvetta sultanina
50 g pinoli + altri 50 g per la decorazione
la scorza di 2 arance
la scorza di 2 limoni
300 g miele di acacia o millefiori
100 g zucchero
50 g olio d'oliva
50 g olio di semi
1 pizzico di cannella
1 pizzico di sale
acqua tiepida q.b.
poco zucchero a velo

Procedimento:
Tritate grossolanamente sia le mandorle che le noci.
Mettete a bagno l'uvetta in poca acqua tiepida per qualche minuto, poi scolatela e asciugatela al meglio possibile.
In una ciotola riunite tutti gli ingredienti,tranne i secondi 50 grammi di pinoli.
Mescolate bene con una spatola o una marisa e aggiungete acqua tiepida il tanto che basta ad avere un composto  morbido e abbastanza fluido. Tenete conto che col riposo si addensa di più, perchè semolino e farina assorbono e gonfiano.
Fatelo riposare almeno 12 ore circa.
Al momento di cuocere,  ungete leggermente due stampi a cerniera da 24 cm. foderateli con carta forno facendola ben aderire. Dividete il composto in due parti possibilmente uguali e fate colare ognuno nel proprio stampo foderato, livellate bene e pareggiate tutto con l'aiuto di una marisa o di una spatola.
Cuocete in forno già caldo a 180° ventilato, per circa 45 /50 minuti, dipende dal forno.
Non essendoci lievito potrete aprire  lo sportello  per controllare agevolmente la cottura, e saranno  pronti quando saranno ben dorati. In caso temiate che  si scuriscano troppo spostate sulla funzione statica e copriteli con dell'alluminio.


Una volta pronti, toglieteli dal forno e lasciateli raffreddare nella  loro teglia poi, con delicatezza sganciate, eliminate la carta forno e fateli scivolare sul loro piatto.  Distribuite i pinoli rimasti sulla superficie e date una leggera spolverata di zucchero a velo.

Non avendolo mai fatto, spero di essere riuscita a riprodurlo fedelmente, in caso contrario, chiedo venia ai cattolicini.  
Posso dire che è veramente buono,  ne è rimasto solo un pezzettino e anch'esso non durerà a lungo...




sabato 9 dicembre 2017

Champignons alla greca per il Recipe-tionist

La mia amica  Elena del Blog Lo zibaldone culinario
è la vincitrice dello scorso Recipe-tionist,  il contest bimestrale che propone il blog   Cuoci cuci dici e questo mi ha fatto molto piacere. Il suo blog è una miniera di ricette e di consigli,  e per sceglierne qualcuna da riprodurre  confesso che mi ci è voluto un po', non sapevo decidermi, le rifarei tutte.
In questo periodo però  i miei tempi sono sempre strettissimi e alla fine la mia scelta è caduta su un contorno  semplice e veloce  ma che è stato molto apprezzato.



 

Champignons alla greca

per 2 persone:


250 g funghi champignon
20 pomodorini datterini
50 ml vino rosso
1/2 limone
1 foglia di alloro
1 rametto di timo fresco
un goccio d'olio e.v. d'olia
1 spicchio d'aglio  (mia aggiunta)
sale, pepe


Lavate i pomodorini, tagliateli a metà ed eliminate i semini.
In una padella scaldare un goccio d'olio e.v. d'oliva, aggiungete l'aglio e fateci saltare i pomodorini a fuoco vivo, poi sfumateli con il vino rosso, profumate con  il rametto di timo e la foglia di alloro, e fate cuocere per circa 5 minuti, il tempo che evapori il vino e che i pomodorini appassiscano.
Nel frattempo mondate, lavate e affettate gli champignon,  raccoglieteli in una ciotola e bagnateli man mano  col succo del mezzo limone.
Uniteli ai pomodori e lasciate cuocere circa una decina di minuti, salate e pepate.
Io non ho dovuto aggiungere liquido perchè i funghi ne hanno rilasciato abbastanza di loro, ma se fosse il caso aggiungete pochissima acqua calda per volta. Alla fine erano perfetti, saporiti e profumati.

Grazie Elena!






I

giovedì 7 dicembre 2017

Contaminazioni

Oggi è il giorno del risotto per il Calendario del Cibo Italiano non un risotto normale, ma quello che considero il re:   il risotto alla milanese, quello  con lo zafferano e sì, anche col midollo.
Per me, milanese d'adozione da più di 60 anni è il classico dei classici,  da sempre  molto amato (e cucinato) a casa mia. Rallegra e illumina  col suo colore certe  tipiche giornate  invernali milanesi...
Recentemente il Calendario ha organizzato un blog tour alla scoperta di nuove realtà produttive presenti nel Parco del Ticino, in provincia di Pavia.
In questo quadro operano molte piccole aziende che hanno fatto scelte coraggiose, una di queste è l'Azienda Agricola Bramante che propone una coltivazione atipica rispetto a quella solitamente praticata nella terra del riso. Hanno deciso infatti  di coltivare lo zafferano e lo fanno avvalendosi delle loro sole forze, senza usare prodotti chimici, seguendo il ritmo naturale della terra, com'era un tempo. La loro azienda fa parte del marchio "Parco Ticino - Produzione Controllata" che la impegna a conservare e a migliorare il paesaggio agricolo sui terreni in conduzione. Il loro zafferaneto si trova nei pressi di Vigevano e propongono un alimento pregiato e unico, lo zafferano in pistilli.  Prodotto  che ha bisogno di essere trattato in cucina con tutte le attenzioni e gli accorgimenti per valorizzare al meglio le sue qualità olfattive, gustative e cromatiche.. Quale migliore matrimonio con il riso che si produce in quelle zone?




Per celebrare  questa giornata,  Il Calendario ha  pensato ad  un contest che abbia al centro questo magnifico ingrediente,  il cui tema sarà   : Riso, zafferano e...  e non significherà solo riprodurre  un classico risotto alla milanese,  ma  sarà  anche un  modo per unire le tradizioni   attraverso un percorso regionale legato alle blogger che parteciperanno al contest.
Anna Zerbi dell'Azienda Agricola Bramante, Sara Preceruti  chef  del ristorante Acquada  e Simona Sansonetti dellAssociazione Maestro Martino,  compongono la giuria che vaglierà le ricette.
Io in questa cosa  mi ci ritrovo perfettamente, friulana di nascita e milanese d'adozione.  Nella mia cucina convivono  da sempre entrambe le tradizioni.   Pensando a come  "contaminare" la bellezza e il sapore del risotto allo zafferano,  ho deciso per una ricetta povera della cucina friulana. Un incontro fra l'eleganza del risotto giallo e la rusticità del salame, in un connubio decisamente saporito.
Il salat  tal asêit,  (il salame nell'aceto e cipolla) è uno dei piatti più antichi e poveri della mia terra d'origine.
Un tempo anche molte parti grasse del maiale, di cui non si poteva sprecare nulla,  finivano per essere tritate e insaccate con l'impasto del salame e  il risultato, alla fine, era un salame molto morbido e parecchio grasso. Col passare degli anni però sono cambiate le metodiche del lavoro in campagna,  di conseguenza anche l'alimentazione e   pure il modo di preparare gli insaccati. Il salame friulano è fatto con un mix di carne suina (coscia, filetto, spalla, braciola) che  viene mescolata con lardo e ritagli della parte ventrale (pancettone)  il tutto tritato e molto speziato, a volte agliato, e poi  il trito messo a macerare nel vino bianco o rosso, secondo le abitudini di famiglia.  E' diventato un po' più magro rispetto al passato, ma sempre adatto a cuocere con la cipolla.
Per  dare il massimo in questa preparazione  deve essere fresco, infatti  non deve avere più di 15 giorni altrimenti indurirà troppo, ma il segreto è anche la cottura, sapere quando è il momento di toglierlo dal fuoco. Io lo amo molto, il suo sapore mi riporta all'infanzia, a mia nonna davanti  al fogolar intenta a smuovere la farsora, (la padella di ferro) per non farlo attaccare e al tempo stesso girare la polenta mentre i profumi della cipolla e dell'aceto si spandono per tutta casa. La polenta, da noi bianca,  era il perfetto accompagnamento che equilibrava un piatto molto saporito.

Ma veniamo al mio risotto "contaminato":



Premessa: vista la presenza dell'aceto, non ho sfumato il riso col vino bianco. Sarebbe stato aggiungere una nota acida in più, rovinando l'armonia del piatto, per cui riporterò la ricetta del risotto, con la mia variazione fra parentesi.

Caso vuole che avessi in casa un salame friulano,  comprato durante l'ultima breve visita al paesello,  in più avevo congelato qualche pezzetto di midollo tolto dagli ossibuchi  in vista di una buona salsa pearà...




Non potevo non partecipare al contest!


Risotto  Est - Ovest

per 3 persone  di buon appetito


400 g riso Carnaroli
1 piccola cipolla bionda o bianca, tritata finemente
40 g midollo di bue
80 g burro
50 g parmigiano reggiano
pistilli di zafferano
del buon brodo di carne, q.b.
1 bicchiere di vino bianco (in questo caso, come ho spiegato sopra, l'ho omesso) 
sale


per il salame:
2 o 3  grosse cipolle bionde o bianche
6  fette di salame friulano tagliate un po' più spesse
6 cucchiai  colmi   di aceto bianco
pochissimo olio e.v. d'oliva
pochissimo sale


Preparazione:

In una tazzina stemperate i pistilli di zafferano in un goccio  di brodo caldo, calcolatene 6 o 7 a testa e lasciateli in infusione almeno un paio d'ore. 


Pelate le cipolle, affettatele non troppo sottili cercando di farle più o meno dello stesso spessore.
Non usate la mandolina  a meno che non abbia la lama regolabile, in questo caso, lasciatele un po' più grossine.
In un largo tegame scaldate un filo d'olio, unite le cipolle, aggiungete un pizzico di sale , mettete il coperchio  e lasciatele stufare pian piano. Date una mescolata ogni tanto perchè non attacchino, eventualmente unite qualche cucchiaiata d'acqua calda,  ma senza esagerare, giusto per non farle scurire.

 Affettate il salame eliminando la pelle.

 Avviate il risotto.


In una casseruola fate stufare la cipolla tritata insieme alla metà del burro e al midollo altrettanto  tritato . Non devono colorirsi ma appassire dolcemente. Nel frattempo scaldate il brodo.
Unite il riso e lasciatelo tostare insieme al condimento continuando a mescolare con un cucchiaio di legno finchè i chicchi saranno traslucidi e inizieranno a "cantare".
A questo punto sfumate con il vino bianco e lasciatelo evaporare, (io ho  saltato questo passaggio e bagnato direttamente con il brodo) poi iniziate a cuocere il risotto aggiungendo poco brodo  bollente alla volta senza smettere di mescolare.  Dopo una decina di minuti, aggiungete il brodo con l'infusione di zafferano.
Continuate ad aggiungere il brodo bollente poco per volta fino a portate la cottura del risotto al dente lasciandolo morbido, all’onda. Ora aggiungete il restante burro e il parmigiano,  mescolate energicamente anche agitando il tegame per mantecare bene il riso. Assaggiate e, se è il caso, salate leggermente. Spegnete, lasciate riposare un paio di minuti. 
Mentre preparate il risotto le cipolle saranno arrivate a cottura, a questo punto aggiungete le fette di salame, lasciate che  prendano  calore, rigiratele e poi sfumate tutto con l'aceto e continuate la cottura finchè l'aceto è completamente  evaporato. Assaggiate ed eventualmente regolate di sale, probabilmente non ne servirà, il salame è saporito di suo. Mescolate un'ultima volta in modo che il salame prenda ancor più il condimento di cipolle e spegnete il fuoco.

Calcolate bene i tempi in modo da avere pronto il salame con la cipolla allo stesso momento del  riso.
Il salame tende a indurire se la cottura si prolunga o se deve essere riscaldato.
Una volta mantecato il risotto,  impiattatelo facendo una piccola nicchia al centro, metteteci  un poco di cipolle col loro fondo e appoggiateci sopra un paio di fette di salame, decorate con una foglia d'alloro se vi piace un tocco di verde,  e servite caldissimo.