Raccontare di San Vincenzo mi viene facile perché è un posto
a cui mi sento particolarmente legata.
E’ stato il caso a
portarmi su quelle spiagge una estate di oltre vent’anni fa e da
quel momento non ho più smesso di tornarci.
Ormai fa parte dei miei posti dell’anima con i suoi
incredibili tramonti sempre diversi e
sempre emozionanti, con la sua gente dallo spirito un po’ ribelle
ma sempre ironico, sagace e divertente, con le tradizioni della sua marineria, il suo patrimonio
storico e con la grande ricchezza
del suo territorio.
San Vincenzo, collocata in una strettoia naturale della
fascia litoranea in prossimità del Parco Costiero di Rimigliano, centocinquanta
ettari di sabbia bianca e di macchia modellata dai venti marini e dominata dal
leccio e dalla pineta, ha accolto me e altre amiche e amici blogger in una giornata di sole
e vento.
Conosco abbastanza bene quello che è il panorama produttivo
della zona e della Val di Cornia, culla della civiltà etrusca, dalle colline al
mare, un’area di circa 366 kmq tra
Livorno a Grosseto
che con
efficacia ha saputo coniugare la valorizzazione del patrimonio culturale con l’efficiente
gestione
economica del territorio. Olio e vino i suoi
punti di forza.
Quello che non conoscevo, nonostante i tanti anni di
frequentazione della zona, è la storia di come si è evoluta la pesca del pesce
azzurro su questo pezzo di litorale.
“C'era una volta un
paese di mare dominato da una grande chiesa forse troppo grande per le case che
aveva intorno e da una torre. Fra la chiesa e la torre c'era un ininterrotto
spazio di mura che dava a questo paese e a questo borgo l'immagine affascinante
di terra murata”
Così descrive la
cittadina Vinicio Biagi, storico e appassionato della pesca nel suo libro "Cronache del mare - San Vincenzo e la pesca del pesce azzurro"
e proprio in quella torre, in piedi dal 1200 e sotto la quale avvenne una sanguinosa battaglia nel 1505, oggi diventata uno spazio
culturale molto bello, ho assistito,
insieme ai miei compagni blogger, alla presentazione della Friggera grazie al giornalista e storico Maurizio Dell'Agnello
coadiuvato da Rodolfo Tagliaferri, presidente del circolo fotoamatori di San Vincenzo.
La Friggera.
Per raccontare la storia della Friggera dobbiamo partire da
lontano.
In principio furono i gozzi rivani, barche liguri di Riva
Trigoso, ad effettuare attività di pesca lungo la costa. Partivano da Santa
Margherita e da Sestri Levante, calavano la sciabica, una rete a strascico
costituita da due lunghe ali e da un sacco, pescavano, facevano la salatura delle sardine a bordo e ripartivano. Se ne ha documentazione a partire dal 1750.
Parte di questi pescatori, nel tempo, si stabilizzò
lungo le coste,
quindi
anche a San Vincenzo dando origine ad una
marineria non più stagionale, mescolandosi ai pescatori locali.
Ad un certo punto, a fine secolo, una grande
famiglia di San Vincenzo,
i Federici,
riesce ad organizzare
la prima vera flottiglia per la pesca del
pesce azzurro che si articola con la posa della
manaide, una rete che viene
calata nella
corrente e che con una luce
spinge il pesce
in modo da catturarlo.
Per manovrare la luce era necessaria la presenza del
luciaio, che non aveva certo un compito facile. Solitamente faceva parte
di maestranze che arrivavano da Gaeta per
fare la stagione finché
durava la pesca
del pesce azzurro,
da marzo
a ottobre.
Poi, a inizi ‘800, la pesca ha una evoluzione, viene introdotto un altro tipo
di rete, la
lampara. Un
grosso sacco che viene tirato a bordo dalla
barca.
E arriviamo agli anni ‘20/’30. Fu in questi anni che la pesca del pesce
azzurro in San Vincenzo ebbe come riferimento
la Friggera, una piccola industria conserviera che il Conte Gaddo della
Gherardesca aveva fondato a Donoratico, appunto
per la lavorazione del pesce azzurro, e
che assorbiva gran parte del pescato. Il resto era destinato al consumo e alla
salagione familiare.
In quel tempo, la pesca su larga scala era, come ho detto, affidata alla flottiglia dei numerosi Federici nel
tentativo di sfruttare in modo più razionale la grande abbondanza di sardine,
ma la redditività non era in ogni caso soddisfacente e il Conte Gaddo decise di
interrompere l’attività a Donoratico.
A questo punto San Vincenzo costruì
la propria Friggera.
I lavori iniziarono sul
finire degli anni '30 subito fuori dal paese, poco prima del passaggio a livello che interrompeva la vecchia Aurelia, e il nuovo impianto conserviero
arrivò ad impiegare fino a 60 donne, incrementando l’economia del paese.
Le sardine pescate venivano subito portate alla Friggera e,
dopo la pesatura, venivano pulite ed eviscerate per essere immesse in grandi
recipienti colmi di acqua e sale per la “sciacquatura”
poi venivano collocate su dei graticci per farle asciugare all’aria. Terminate
queste fasi, le sardine selezionate secondo la taglia, venivano messe nelle classiche scatolette di metallo, in numero di 6 o 8 e immediatamente ricoperte
di olio d’oliva. La friggitura avveniva in questo momento, posate su una
griglia sopra a un uniforme strato di brace rovente. A cottura ultimata si
passava alla chiusura a stagno e poi immagazzinate per la spedizione e la
vendita non senza aver passato la revisione di controllo per evitare difetti di
conservazione o di inscatolamento.
Le sardine in scatola prodotte a San Vincenzo erano assai
apprezzate e furono davvero una grande risorsa.
Non dobbiamo dimenticare che la Maremma iniziò ad essere bonificata nel 1830 e la stessa bonifica terminò negli anni che andarono dal 1948 al 1954, quindi una terra di estrema povertà legata alla presenza di paludi che ne impedivano la coltivazione, o l'allevamento di bestiame. La piccola industria conserviera dunque, offriva lavoro e sostentamento.
Furono etichettate
“Dante’s” un nome perlomeno strano dato il
contesto, ma che in realtà aveva una
sua
ragione d’essere.
Dante’s
simile per assonanza a “Nantes”, le sardine in scatola della Bretagna, famose in tutta Europa a quel tempo.
Marketing ante-litteram?
La pesca del pesce azzurro finirà a San Vincenzo sul finire
degli anni ’50, perché l’approdo non era più sufficiente a far entrare barche che impiegavano una
nuova rete creata nel frattempo, la soccoleva
o cianciolo. Una nuova rete spagnola usata in Sicilia e arrivata fino a Piombino.
Una rete da
circuizione orientata alla cattura di
piccoli pesci di banco che, con degli anelli
al fondo in cui scorre una corda, chiude
ed imprigiona il pesce azzurro.
A San Vincenzo, nel tentativo di salvare l’attività di pesca,
viene inventata una lampara a catenelle, per cercare di usare lo stesso metodo del cianciolo, in proporzioni più ridotte. Ma anche questa
piccola rete ha bisogno di altri metodi
di pesca e di equipaggi addestrati ad usarla,
per cui l’esperimento fallisce.
E la pesca del pesce azzurro, nella storia di San
Vincenzo, finisce.
Dopo la guerra la Friggera
termina ogni attività. Lo stabile viene
rilevato dalla Curia Arcivescovile di Siena e
destinato a Colonia Marina.
Ora è un
albergo di vaste dimensioni, quasi
irriconoscibile
persino per le
ultime vecchie operaie rimaste e che un
tempo ci lavorarono.
Fra quelle mura dimenticate sono passate vite, storie, gioie, dolori e
fatiche di tante persone ma quel lavoro umile e onesto ha contribuito, in anni davvero
difficili, ad affrancare tante famiglie dalla miseria.
Vinicio Biagi racconta:
“C'erano due
affioramenti di scogli, uno davanti alla
Torre ed uno alla buca, due grossi affioramenti che interrompevano l'onda così
che le barche potevano trovare un modesto riparo anche durante le grosse
mareggiate. Barche tirate a terra con una
fatica improba, barche grosse di nove e dieci metri, feluche, gozzi,
alcuni addirittura gozzi rivani, gozzi molto pesanti, portati fin sulla strada.
Queste due localizzazioni erano i due
posti nei quali aveva luogo l'attività di pesca della marineria di San
Vincenzo, piccola marineria che se un merito avrà è di essere ricordata”
Usciamo dalla sala affrescata della Torre, e il mare ci regala ancora una emozione...
ho girato abbastanza mondo e ne ho visti parecchi di tramonti, ma mai come a San Vincenzo.
Il mio sentito e caloroso ringraziamento va a Cristina, davvero infaticabile e onnipresente in ogni momento legato alla manifestazione, e a Deborah Corsi per essere sempre la stessa persona che ho conosciuto molti anni fa, semplice, affabile e disponibile, praticamente ubiqua in questi giorni, oltre che una chef sopraffina, certamente innovativa ma sempre attenta alle sue radici, un valore aggiunto per me e per chi ha il piacere di sedersi alla sua tavola.
Grazie anche alla Amministrazione Comunale di San Vincenzo che ci ha ospitato, nelle persone del sindaco Dott. Alessandro Bandini e dell'Assessore al turismo D.ssa Serena Malfatti e alla famiglia Lachi, dell'Hotel Villa Lo Scoglietto per la sempre calorosa e generosa accoglienza.
Abbiamo visitato alcune interessanti realtà produttive
Podere S.S. Annunziata
Beatrice Massaza
oli monovarietali biologici
www.ssannunziata.it
Podere San Michele
Giorgio Socci
vini
www.poderesanmichele.it
Podere L’Agave
Barbara Zenoni
allevamento cinta senese
www.poderelagave.com
Tenuta Poggio Rosso
Edi Fossi
cantina e glamping
www.tenutapoggiorosso.it
e la Necropoli etrusca di Populonia, una passeggiata nel nuovissimo percorso
archeologico, aperto solo da qualche tempo, dove si possono ammirare i resti
delle terme e dove, alla fine del sentiero intorno alle mura dell' Acropoli, si apre alla vista il panorama
mozzafiato sulla Buca delle Fate.
Parchi Val di Cornia
Marta Coccoluto, archeoblogger
Erika Grilli ufficio stampa
E' stata un bellissimo fine settimana, in luoghi amati, insieme a
tante amiche e amici che, sono sicura, hanno potuto scoprire e apprezzare
questa parte di Toscana davvero sorprendente per la sua bellezza e la
sua storia.
vi invito a proseguire la lettura e i resoconti di questa bella esperienza sui blog dei miei compagni di avventure: