lunedì 27 febbraio 2012

cucina dedicata

difficile descrivere  bene i sentimenti,  a volte dai tante cose per scontate,  presa come sei  dalle mille incombenze quotidiane, dalla vita che scorre  troppo vorticosamente, da tutte le corse contro l'orologio,  e invece poi arriva un giorno in cui senti il bisogno di  dire pubblicamente quello che hai  dentro di te  da una vita,  di ribadire l'affetto per una persona, in questo caso  per una amica   come Pinella.
Quale modo migliore per dirglielo, se non con qualcosa della sua meravigliosa terra, la Sardegna?
Qualcosa che ti è arrivato in dono, complice un viaggio fatto tempo fa per S. Efisio, una tradizione grandissima di cui parlerò  più diffusamente con calma......

le lorighittas



Parlare  quindi di lorighittas significa entrare nella più antica arte culinaria sarda, specificatamente della zona di Morgongiori.
Una pasta unica nel suo genere...il suo nome deriva da "loriga",  anello, e la sua preparazione richiede anche 4/5  ore per farne un  solo chilogrammo.Una preparazione che in passato era legata strettamente  alla tradizione religiosa  di Ognissanti e di questa pasta se ne faceva dono anche ai vicini e agli amici...
Oggi, come anticamente, le abili mani delle donne  sarde foggiano,  con movimenti precisi  intrecciando con due o tre dita, i singolari anelli di pasta che sembrano preziosi orecchini..
La maniera classica di gustare  questa pasta è con un sugo di pomodoro, galletto ruspante e una manciata di pecorino. Ma io trovo che siano talmente eclettiche che si possono sposare con tantissimi altri ingredienti, spaziando dal pesce alle verdure...




io le ho cucinate così:



Lorighittas della Giuli

per due persone:
250 gr lorighittas
200 gr salsiccia dolce
3 bei carciofi, solo il cuore
150 gr olive taggiasche snocciolate (uso quelle sott'olio)
mezzo bicchiere di vino bianco
1 cipolla
poco prezzemolo
poco succo di limone
olio e.v. di buona qualità
sale, pepe




in un tegame far appassire una cipolla affettata finemente in un goccio d'olio buono. Aggiungervi la salsiccia spellata e sbriciolata, fare colorire bene poi sfumare con il vino bianco.
nel frattempo mondare i carciofi e ridurli a spicchietti non troppo sottili ma nemmeno troppo grossi e metterli man mano a bagno in acqua e limone perché non anneriscano.
Una volta evaporato il vino, aggiungere i carciofi nella padella, scolandoli e asciugandoli bene. Dare una mescolata, regolare di sale e di pepe.
Coprire il tutto con poco brodo vegetale, o acqua calda, e portare a cottura pian piano, a tegame coperto.
Intanto tritare un poco di prezzemolo che servirà alla fine, e mettere a scolare dall'olio le olive denocciolate.
Verso fine cottura, aggiungere le olive, lasciar insaporire qualche minuto e spegnere, aggiungere il prezzemolo tritato, mescolare e tenere in caldo il tutto.
Cuocere le lorighittas, scolarle e ripassarle nel tegame con il sugo preparato.  Servire ben caldo.






Pine, ti voglio bene. Sono fortunata ad avere una amica come te.









sabato 25 febbraio 2012

Variazioni sul tema

Tiramisù è ormai un nome che identifica un determinato tipo di dolce, non necessariamente quello canonico.
Confesso che mi ha stufato la versione classica, la trovi dappertutto, e non sempre fatto coi sacri crismi, però per me,  che adoro i dolci al cucchiaio, è divertente variare sul tema, liberando la fantasia....
questa è una versione molto ricca, e molto buona....un poco laboriosa ma niente affatto difficile...


Variazione sul tema tiramisu


5 Tuorli
500 gr mascarpone
150 gr zucchero
400 gr pain d'épices
4 arance non trattate, la sola buccia grattugiata
4 cucchiai di liquore all'arancia
scorzette d'arancia candite ridotte a dadini
nocciole pralinate


per la crema pasticcera:
1 l. latte
9 tuorli
80 gr zucchero
100 gr farina
1 bacca di vaniglia o una scorzetta di limone

per il caramello
100 gr zucchero
4 cucchiai acqua
2 gocce di limone


preparare la crema pasticcera: Scaldare il latte con la bacca di vaniglia o la scorzetta. Montare i tuorli con lo zucchero, unire la farina e amalgamare bene il composto, e versare il latte caldo a filo nella crema  mescolando fino a che  è tutto ben stemperato.
Rimettere sul fuoco e cuocere a fuoco dolce fin quando  la crema è bella densa. Togliere dal fuoco,
eliminare la scorza di limone e lasciar raffreddare completamente, coprendo la crema con un poco di pellicola messa a contatto, in modo che non indurisca in superficie.

Preparare la crema di mascarpone:

Con le fruste elettriche montare  a caldo  in un bagnomaria i tuorli  con lo zucchero finché sono belli gonfi e spumosi per circa 5/6 minuti,  se si dispone di un termometro, portarli alla tmperatura di 85°,  poi continuare frullare con le fruste fino a quando sono ben freddi,  a questo punto  incorporare il mascarpone, la buccia d'arancia grattugiata, il liquore. Mescolare bene fino ad avere una crema liscia e profumata.

Preparare il caramello:
In un pentolino mettere lo zucchero, l'acqua, le gocce di limone e porre sul fuoco, a fiamma media senza mescolare mai. Qualche minuto e lo zucchero comincerà a colorire, scuotere quindi il pentolino per muovere lo zucchero finchè sarà della caramellatura giusta, facendo attenzione che non scurisca troppo altrimenti diventerà amaro.

Montare il dolce:

In una capiente coppa trasparente fare un fondo con metà del pain d'épices sbriciolato, cospargere con un po' di caramello e scorzette candite.
Versare tutta la crema pasticcera ormai fredda, quindi di nuovo il resto del pain d'épices altro caramello e altre scorzette candite.
Finire con la crema al mascarpone e completare con nocciole pralinate tritate grossolanamente, e scorzette candite.
Tenere in frigo almeno mezza giornata.





per il pain d'épices uso la ricetta della mia amica Silvana, la trovo perfetta, fidatevi..
ve ne avanzerà un poco dopo la preparazione del tiramisù, sarà  ottimo  per la colazione, magari spalmato di marmellata d'arancia:


Pain d'épices  di Silvana

per 6/8

250 gr miele
20 cl latte
50 gr burro
250 gr farina
1 bustina di lievito
1 cucchiaino da caffè di estratto di vaniglia
1 cucchiaino da caffè di cannella
1 cucchiaino da caffè di noce moscata
1 cucchiaino da caffè di zenzero in polvere
3 chiodi di garofano polverizzati
2 uova
In una casseruola,  scaldare il miele insieme al  latte e al burro
Setacciare la farina insieme al lievito, le spezie e l'estratto di vaniglia , direttamente in un recipiente che resista al calore.
Versarvi il contenuto bel caldo della casseruola col miele, mescolando senza sosta, finchè il tutto sarà perfettametne omogeneo.
Incorporare a questo punto le uova con le fruste elettriche.
Imburrare uno stampo da plumcake, versarvi la preparazione e infornare per circa 50 minuti circa, in forno già caldo a 150°
Per controllare la cottura vale la prova stecchino, se esce asciutto, è pronto.
Lasciare raffreddare prima di sformare.

 



mercoledì 22 febbraio 2012

Assolutamente

vi capita mai di imbattervi in rete in qualche piatto che vi  sorprende particolarmente? Che accenda i sensori del cervello e ve ne  faccia sentire subito, d'amblé, il sapore nella vostra testa? E che vi faccia partire un impulso irrefrenabile, un desiderio incontrollabile di riprodurlo subito?


A me è successo con questo:


Assoluto di cipolla e gnocchetti di ricotta

Lo chef, titolare della ricetta,  lo serve con dei piccolissimi ravioli di parmigiano, io non avevo il tempo di farli e ho optato per qualcosa di veloce ma che si sposasse bene comunque..



per due persone

8/10  grosse cipolle bionde, preferibilmente dello stesso calibro.
250 gr ricotta vaccina freschissima
3 cucchiai abbondanti parmigiano grattugiato
3 cucchiai rasi di farina
2 rossi d'uovo
sale, pepe, 
un niente di noce moscata
pochissimo olio
stimmi di zafferano per guarnire
poco brodo vegetale

Foderare di alluminio una teglia da forno che possa contenere le cipolle ben allineate.
Mettetevi le cipolle così come sono, con  tutta la buccia..magari si possono eliminare con la forbice eventuali barbe in eccesso.
Cuocetele 2 ore circa a 150°...se avete un forno a vapore lo chef consiglia una cottura a 100° per un'ora.
Non disponendo di quello,  io le ho lasciate finchè al tatto erano tutte completamente morbide.
Mentre le cipolle cuociono preparate  l'impasto per dei  piccoli gnocchi di ricotta. 
In una ciotola schiacciate bene  la ricotta con la forchetta, fino ad averla il più possibile liscia, aggiungete il parmigiano, la farina, i tuorli,  il sale, il pepe e un pizzico di noce moscata. Mescolate bene e tenete in frigorifero.
Togliete le cipolle dal forno e sbucciatele velocissimamente. E non sarà una cosa facile, perchè ustionano...
io mi sono aiutata con  una forchetta per tenerle ferme su un tagliere  e un coltello molto tagliente..
man mano che le pulite, trasferitele nel mixer o in un capiente frullatore, io le ho messe nel Bimby  e ho frullato qualche secondo finchè è rimasta una poltiglia grossolana.
A quel punto, munitevi di guanti e di uno  grande strofinaccio ben pulito e non profumato.
I guanti perchè riparano un pochino dal calore.....
Appoggiate lo strofinaccio su una ciotola, radunatene i capi e cominciate a strizzare con le mani per ricavare il liquido che le cipolle emettono.  Continuate fino a che ne esce.
Se disponete di una centrifuga sarà un gioco da ragazzi, io mi sono arrangiata così..non è agilissimo, per via del grande calore, ma con un poco di pazienza ce la si fa..
Di questo brodo assoluto ne ho ricavato abbastanza per me e mio marito, e l'ho tenuto in caldo.
A questo punto,  portate a ebollizione il brodo vegetale, formate dei piccoli gnocchetti con il composto di ricotta e tuffateli pochi alla volta nel liquido bollente, sono pronti quando tornano a galla,  prenderteli con la schiumarola e depositateli  con delicatezza nel centro del piatto, già  pronto con l'assoluto di cipolle  debitamente regolato di sale perchè le cipolle sono alla fine un po' dolci, e condito con un leggerissimo giro d'olio di sapore delicato....decorare con qualche stimmo di zafferano e servire caldissimo.

Vi avanzerà poca polpa di cipolla, niente paura. Si congela in piccole dosi e si usa per arricchire soffritti, o sughi, o cosa preferite....


Il sapore mi ha sorpreso, niente affatto aggressivo, anzi, è delicato...la cipolla si sente, ma prende quasi un profumo speziato, molto molto piacevole.
Lo zafferano non ha il tempo di rilasciare nè il suo colore, nè  tutto il suo profumo, per cui si sente appena e si fonde perfettamente con il sapore dell'assoluto.

Da rifare assolutamente. Magari nella versione originale con i raviolini di parmigiano....
è un piatto che, con pochi gnocchetti, può fungere da antipasto, oppure , se siamo più golosi, da primo....ci sta in entrambe le situazioni, inoltre trovo che sia leggerissimo, cosa che non guasta..

per la cronaca lo chef è  Niko Romito del Ristorante Reale, a Rivisondoli....

grazie chef, per aver condiviso questa bellissima idea!








domenica 19 febbraio 2012

Come si cambia..

eh sì, come si cambia...
Non mi sono mai piaciuti i cachi.  No,  forse non è del tutto esatto. Una volta li mangiavo,  quando avevano ancora i semi.
Quattro grossi semi marroncini avvolti da una polpa più gelatinosa ed elastica, gommosa quasi......ecco,  era quella che mi piaceva, tutto il resto del frutto lo mangiava mio padre, che ne andava matto.  Metteva un'idea di  Cognac nel mezzo macello che avevo fatto scavando nella polpa, e letteralmente li divorava...
Mia nonna ne aveva una grande pianta in mezzo all'orto dietro la casa, in Friuli. D'inverno rallegrava tutto con quei palloncini arancioni appesi a sembrare tante piccole lanterne..
Ma lei la odiava quella pianta, e ha fatto di tutto per farla morire, senza riuscirci. Alla fine ha preso la drastica decisione di  tagliarla, e l'ha fatto senza metterci ne uno ne due,  alla fine di una estate.
Inutile dire che i miei, che vivevano a Milano, non sapevano nulla.
Così, una volta arrivati al paese per le feste di Ognissanti, si sono trovati la  sgradita sorpresa. Niente più pianta, e soprattutto  niente più cachi.
Ricordo ancora la rabbia di mio padre, imprecava come un camallo inferocito in mezzo al cortile........
ricordo anche il mio dispiacere, sotto l'ombra del suo cappello avevo giocato una infinità di volte da bambina, mentre la nonna faceva il pisolino del dopopranzo...
era sempre stata lì, sempre. Ed era rimasta solo  una macchia di terra smossa.....
Odio veder tagliare gli alberi, è una vera sofferenza per me, soprattutto ora che è scoppiata questa maledetta moda di capitozzarli, di tagliare loro la cima, anche senza un vero motivo. L'albero è una scultura viva, che aiuta a vivere, ci regala tantissimo, e capitozzarlo significa condannarlo a una lunghissima agonia...
Se penso a quella pianta di cachi, mi rivedo con AnnaMaria, la mia compagna di scorribande estive, anche lei refrattaria alla pennica post prandiale.... quanti giochi là sotto!  Avevamo fatto una specie di armadietto con dei legni di recupero,  rivestito alla bell'e meglio con una vecchia tovaglia di plastica, e lo lasciavamo sotto quelle fronde scure.. ci mettevamo i pentolini e le tazzine di plastica, classici regali di Natale per le bambine di un tempo, dove fingevamo di cucinare....che fosse già  un segno?
Attingevamo a piene mani dall'orto....cetrioli e pomodori ancora caldi di sole....che sapore!!! I fiori di zucca, sapevo quali prendere, quelli sterili,...non avrebbero fatto zucchine....ce n'erano sempre in abbondanza,  nonna non si sarebbe accorta pensavo.....
li stracciavamo e li mescolavamo alle foglie delle succulente di mia nonna tagliate a pezzettini.......un connubio perfetto direi, soprattutto per la gioia di mia nonna,
quel pasticcio  non lo mangiavamo di sicuro...fingevamo di preparare il minestrone per i nostri ipotetici mariti....
Questo avveniva d'estate, durante le mie lunghe vacanze friulane.....me ne andavo quando i cachi cominciavano ad abbozzarsi sulla pianta, piccoli frutti verdi in divenire e che non mi piacevano del tutto...
Infatti non è un frutto che gira molto in casa mia, solo sporadicamente, giusto qualche volta  per mio marito e le mie figlie, ma anche loro non ne sentono la mancanza.....
col tempo poi,  dal cuore del frutto sono spariti i semi, ragione di più per non comprarli, visto che l'unica cosa che mi piaceva era quella membrana gommosa che li rivestiva...ora invece ci sono sui banchi i cachi mela, duri che sembrano palle da tennis.... E la cosa mi ha incuriosito, mi son chiesta se allappassero, come succedeva con quelli non ancora maturi, e nonostante le assicurazioni  del contrario del mio  fruttivendolo non mi sono mai avventurata a comprare questi cachi-mela .....poi   ho  visto un dolce che Artemisia ha pubblicato sul suo Blog...talmente bello e particolare che sono stata tentata, perchè no  mi son detta, ... ho messo da parte la mia avversione per questo frutto e ho pensato che sicuramente, anche se a me non fosse piaciuto, qualche cliente l'avrei comunque trovato....e infatti...
ecco la mia versione, un po' arrangiata, non avendo la pentola da tatin...



Tatin di cachi e frolla di cioccolato e mandorle

per la frolla:
200 gr farina
100 gr burro
50 gr cioccolato fondente
50 gr zucchero
50 gr mandorle
Rhum 


per il ripieno
4 cachi mela
4 o 5 cucchiai zucchero di canna scuro (io avevo il Muscovado, molto scuro e aromatico)
poco burro,
qualche goccia di limone per il caramello.

Nel Bimby o nel mixer tritare il cioccolato con lo zucchero fino a polverizzarlo, aggiungere le mandorle e tritare ancora il tutto fino ad avere un composto molto fine.
Nella ciotola dell'impastatore mettere la farina, il burro ammorbidito, la polvere al cioccolato e azionare la spatola a foglia aggiungendo tanto Rhum quanto basta ad avere una pasta liscia e omogenea. Lasciar riposare mezzoretta in frigorifero.
Nel frattempo sbucciare i cachi con una mandolina,  facendo lieve pressione per non asportare troppa polpa,  tagliarli a metà o in quarti, come si preferisce, eliminando eventuali filamenti interni. Io li ho fatti a quarti perchè non erano tutti di uguale calibro,  sarebbe uscito un dolce sbilenco, invece a quarti li ho potuti assestare meglio nella teglia.
In una teglia antiaderente,  24/26 cm. dipende da quanti cachi avete da disporre, caramellare lo zucchero con un cucchiaio d'acqua e qualche goccia di limone, facendo molta attenzione perchè brucia facile, e aggiungere qualche fiocchetto di burro.
Disporre i quarti, o i mezzi cachi sul caramello a piacere ma  in modo che sia completamente rivestito il fondo della teglia.
Tirare la pasta e appoggiarla sui cachi rincalzandola ai bordi in modo che il caramello e il liquido che inevitabilmente si formerà, non possa fuoriuscre.
Non è una operazione facile,  perchè  la pasta può rompersi, ma io di solito  mi aiuto mettendola fra due  ampi strati di pellicola, la stendo, poi tolgo il foglio superiore  e prendendo il foglio sottostante riesco a manovrarla senza problemi...la  capovolgo sulla teglia e delicatamente tolgo l'altra pellicola e  hop!.... La pasta, anche la più sottile,  è nello stampo senza problemi..

Cuocere in forno già caldo a 200° per circa 30 minuti...dipende dal forno.
Una volta pronta, togliere dal forno e lasciarla riposare qualche minuto,  in modo che il caramello si distribuisca bene, sformarla capovolgendola su un piatto, o altro,  resistente al calore..operazione che va fatta a torta ancora abbastanza calda in modo che la frutta non si appiccichi alla teglia..


Beh è piaciuta.....

Confesso di aver assaggiato un caco mela mentre lo sbucciavo....una fettina sottile sottile, è stata una vera sorpresa....un sapore delicato di caco, ma con la consistenza di una mela....e nemmeno troppo dolce...

mi sa che li comprerò di nuovo...

venerdì 17 febbraio 2012

sotto il segno dell'Acquario

Febbraio. Mio marito è nato a febbraio sotto il segno dell'Acquario.....
Un mese che ha anche altre ricorrenze importanti  per noi due, che non vi sto a raccontare..
Lui è nato il 15, fra San Valentino e  il mio onomastico.
C'è una ragione migliore per festeggiare? A pensarci bene, arrivati a questa età, i compleanni non è che hai tanta voglia di festeggiarli, allora la metti come fosse un pranzo di famiglia un poco più speciale.
Cominci a telefonare alle ragazze...senti se hanno impegni, come se non sapessi che per loro è immancabile festeggiare il papà,  nel frattempo, mentalmente, inizi a pensare a un menu abbastanza semplice  che vada incontro alle preferenze di tutti.  Infatti i gusti sono abbastanza diversi e per una volta non vuoi fare una cosa unica,  che accontenti tutti.  No, stavolta vuoi preparare a ognuno il suo piatto preferito....anzi, e a qualcuno anche più di uno, se penso al festeggiato....ne è uscito un pranzo senza voli pindarici,  il classico  impostato sulla sostanza, e cosa c'è di più sostanzioso di un piatto di tagliatelle al ragù?

 Tagliatelle al ragù


Per le tagliatelle,  ricetta classica della pasta fatta in casa..1 uovo ogni etto di farina e poi impastata,  tirata allo spessore desiderato e tagliata alla larghezza preferita...

il  mio ragù:
1 kg. abbondante carne di manzo passata solo una volta al tritacarne
200 gr salsiccia
1 carota
1 cipolla
1 grossa costa di sedano
1 foglia di alloro
1 spicchio d'aglio
sale, pepe, olio e.v.
1 bicchiere vino rosso
1 scatola di pomodori pelati, o di polpa pronta
conserva di pomodoro, quella in tubetto, a occhiometro.

 tritare le verdure e farle rosolare in un goccio d'olio con uno spicchio d'aglio, aggiungere la carne tritata, la salsiccia spellata e sbriciolata e lasciar rosolare mescolando ogni tanto. La carne deve "soffrire", deve attaccarsi un po' alla pentola, e alla fine deve essere completamente rosolata e asciutta. Ci vorrà un po' di tempo, nel frattempo mescolare ogni tanto  con pazienza.
Una volta rosolata la carne, sfumare con il vino, lasciar evaporare e aggiungere i pomodori pelati, la foglia di alloro e coprire d'acqua calda. Lasciar cuocere pippiando dolcemente per più di due ore, mescolando e avendo cura che non attacchi, nel caso si asciugasse troppo aggiungere poca acqua calda alla volta.

Cuocere le tagliatelle, scolarle e condirle abbondantemente con il ragù e spolverarle con una pioggia di parmigiano grattugiato.



I secondi...
ho privilegiato i gusti del festeggiato, ma, come dicevo, ho cercato di diversificare per dare a ognuno la possibilità di scegliere quello che preferiva.....e allora, per Alice, le ragazze e per me:





Spinacino ripieno

lo Spinacino, così lo chiamano qui in Lombardia,  penso, ma non ne sono sicura, che da altre parti lo chiamino Piccione,  è una parte del quarto posteriore del vitello (o del manzo) posto sotto la noce. E'  un pezzo piccolo, di forma vagamente triangolare allungata,  adatto a stufato, o arrosto, o a fare ripieno. Così:

 1 Spinacino
200 gr carne tritata di vitello
100 gr salsiccia
80  gr  pancetta dolce a cubetti
2 cucchiai parmigiano grattugiato
1 uovo
1 spicchio d'aglio.
sale, pepe,  prezzemolo tritato, o timo
poca noce moscata
1 cipolla
salvia, rosmarino, timo
1 bicchiere di vino bianco
olio e  poco burro.


dal macellaio fatevi fare una tasca dentro allo Spinacino. Io lo trovo già pronto, confezionato,  all'Esselunga.
Preparare la farcia. In una ciotola mettere la carne trita, la salsiccia spellata e sbriciolata, la pancetta a cubetti, l'uovo, il parmigiano, l'aglio tritato finissimo, sale e pepe, la noce moscata e il prezzemolo tritato o il timo, io stavolta  ho messo il timo fresco. Mescolare bene il tutto, anche con le mani, sino ad avere un composto ben amalgamato. Riempire la tasca con la farcia preparata e cucire l'apertura. Siccome era piccolo, e siccome odio cucire la carne, ho preferito usare degli stuzzicadenti per sigillare i bordi, ne son serviti solo tre. La cottura ha fatto il resto.
In una pentola alta, che possa andare in forno, rosolare lo spinacino in un goccio  d'olio e poco burro, finchè è ben dorato da tutti i lati,  aggiungere salvia, rosmarino e timo e una cipolla affettata grossolanamente.
Sfumare con il vino, regolare di sale e pepe, e una volta evaporato aggiungere un po' d'acqua calda, incoperchiare e cuocere per poco mezzora  circa, poi passare in forno a 180° e finire la cottura.
Al momento di portare in tavola, affettare la carne e napparla con il suo fondo filtrato.






Quaglie ripiene e puré di cavolfiore verde

1 quaglia a persona
la mollica di tre o quattro panini
80 gr prosciutto cotto
poco latte
2 cucchiaiate abbondanti di parmigiano grattugiato
100  gr o più pancetta liscia, quanto basta a bardarle
1 cipolla bionda
salvia
sale, pepe, poco olio, burro
mezzo bicchiere di Cognac


per il puré di cavolfiore:

1 cavolfiore verde
1 rametto di rosmarino
1 spicchio d'aglio
burro, sale, pepe

Pulire le quaglie, fiammeggiarle per eliminare eventuali piume residue, lavarle ed eviscerarle bene. Eliminare la punta delle ali e l'estremità delle coscette.
In una ciotola mettere la mollica di pane, bagnare con pochissimo latte, e con le mani lavorare il pane finché è ben impregnato, ma non molle. Aggiungere il parmigiano, il prosciutto tritato, poca salvia tritata, sale, e pepe. Mescolare bene per ottenere un composto maneggiabile facilmente, nè troppo duro nè troppo morbido.
Asciugare le quaglie, riempirle con il composto di pane, riunirle bene e bardarle con la pancetta. Legarle con dello spago da cucina o del filo, in modo che restino in forma.... io ho usato quei laccetti di silicone, regalo che mi fece una cara amica molto tempo fa.

In una capace pentola, scaldare l'olio, unire il burro e quando questo comincia a spumeggiare, posarvi le quaglie, e abbondante salvia, lasciarle rosolare da tutti i lati, e sfumarle con il Cognac facendo attenzione...potrebbe incendiarsi se qualche goccia finisce sul fuoco alto... una volta evaporato l'alcool, aggiungere nel tegame una cipolla affettata grossolanamente, un po' d'acqua calda e portare a cottura pian piano. Alla fine dovranno risultare rosolate e conservare del fondo di cottura ristretto.

 Per il puré:

mondare il cavolfiore verde, dividerlo in cimette e cuocerle a vapore, io lo faccio nel cestello apposito della pentola a pressione. Conservare l'acqua di cottura una volta tolti dalla pentola.
Una volta  ben cotte, passarle al burro in un tegame insieme a uno spicchio d'aglio e un rametto di rosmarino, e un poco dell'acqua di cottura.
Quando il liquido si è riassorbito completamente, schiacciare bene il cavolo con una forchetta in modo da avere una purea  leggermente rustica.


Per servire le quaglie, eliminare lo spago, il filo o quello che avete usato per legarle, tagliarle a metà ed appoggiarle su un leggero strato di puré di cavolfiore e bagnarle con un goccio del loro fondo filtrato.





Costolette d'agnello impanate e patate rosmarine


costolette d'agnello (2 o 3 a persona)
scorza di limone
salvia, rosmarino, timo
finocchietto selvatico
aglio
sale, pepe
uova q.b. per la dose da impanare (a me ce ne sono voluti 3)
pane grattugiato q.b.
sale, pepe


per le patate:

patate
rosmarino, aglio, scorza di limone



 la sera prima mettere in "condimento" le costolette.
Pararle bene, eliminando grasso in eccesso e tagliando i bordi in modo che friggendo non arriccino.
Metterle tutte ben distese in una teglia o una pirofila.  Se son tante anche in due strati, avendo cura di condire ogni strato.
Condirle con il pepe nero, parte delle  erbe tritate, l'aglio a pezzetti e la scorza di limone sempre a pezzetti un po' grossi, in modo da poterla recuperare facilmente.  Coprire con la pellicola e lasciarle in luogo fresco.
Quando è il momento, preparare per la frittura.
Sbattere le uva in una terrina, e preparare la panure con il pane grattugiato, il resto delle erbe tritate, qualche rametto sbriciolato di  finocchietto selvatico e una macinata di pepe.
Togliere le costolette dalla pirofila, eliminare le scorze di limone, e lasciandole tranquillamente  "sporche" di erbe tritate,  passarle nell'uovo e poi nel pangrattato profumato,  premere bene per impanare e friggere in olio d'oliva ben caldo, lasciarle scolare su della carta da cucina e salarle solo a questo punto.  Tenerle in caldo, nel forno, visto che già sarà sicuramente caldo dopo la cottura delle  patate, fino al momento di portarle a tavola.


per le patate:

una volta sbucciate e lavate, tagliarle a tocchi regolari, asciugarle in un canovaccio, metterle in una teglia antiaderente, cospargerle di un trito grossolano  di rosmarino e aglio, condirle con olio d'oliva, mettere qua e là poca scorza di limone tagliata sottile, possibilmente senza il bianco. Poca, solo un'idea, perchè deve solo profumare...e infornare a 200°, a metà cottura salare e dare una mescolata e finire la cottura.






 i dolci..

Alice, la mia nipotina non è particolarmnte golosa, ma ai dolci di cioccolato non resiste...  e allora niente di meglio di questo dolce di Rita Mezzini, lo aveva messo sul   suo blog  tempo fa, e recentemente su Coquinaria e io l'ho copiato al volo....il risultato non è dei più belli, mi si è crepato in superficie, segno che ho sbagliato qualcosa, ma il sapore era fantastico, così la consistenza, umido e morbido, niente di ingozzante, cosa che odio...





 Plumcake al cioccolato

vi riporto pari pari la ricetta che ha pubblicato Rita

120g burro
70g di cioccolato fondente
6 uova (M)
100g di miele
170g di zucchero
100g di farina di mandorle
160g di farina
10g di lievito
30g di cacao
160ml di panna
70gl di rum


Procedimento:
Nel micronde o a bagnomaria fondere il burro ed il cioccolato fondente.
Nella ciotola dell’impastatrice sbattere le uova con lo zucchero ed il miele,aggiungere le polveri (farina,farina mandorle,lievito e cacao) e mescolare delicatamente con una spatola per non fare smontare il composto.
Unire,sempre mescolando, la panna ed il rum ed infine la massa sciolta di cioccolato e burro.
Imburrare ed infarinare generosamente uno stampo da plumcake da 25-30cm,versare l’impasto e cuocere a 170-180°C per 30-40min.


Io ho cotto con funzione statica.


invece la torta di compleanno è stata una umilissima torta sbriciolata di ricotta e amaretti, niente di pannoso o cremoso, mio marito non ama  molto quel genere di torte,  predilige dolci più casalinghi e semplici, quasi rustici direi.....e il compleanno era il suo, la torta si è adeguata.....





questa è una ricetta che ho in archivio  da una vita, a me l'ha passata la mia amica Silvia e gliene sarò sempre grata, anche se non amo particolarmente gli amaretti, questa torta devo ammettere che è davvero ottima....


Sbriciolata di ricotta e amaretti  (e una mela)

per il ripieno:

300 gr ricotta vaccina fresca 
90 gr  zucchero 
1 uovo intero 
1-2 cucchiai di latte o panna liquida (solo se la ricotta è ben asciutta)
circa 20 amaretti morbidi
1 mela (mia variazione)

per l’impasto 
300 gr  farina
1 uovo intero
1 etto di burro ammorbidito ma non fuso
100 gr di zucchero
1 bustina di lievito 
1 cucchiaino di estratto di vaniglia

 
In una terrina schiacciare bene la ricotta, aggiungere   l’uovo e lo zucchero, mescolare bene e, se la ricotta è molto asciutta, aggiungere un paio di  cucchiai di latte o panna (io ho usato panna) o ancora, dell' Amaretto di Saronno.  All'impasto questa volta ho voluto aggiungere una mela a fettine sottili.
Sbriciolare gli amaretti ed amalgamarli al composto di ricotta.Tenere da parte al fresco
Nella ciotola dell'impastatore, mettere la farina, il burro, l’uovo e lo zucchero. Con le fruste a K, mescolare il composto che tenderà a formare dei bricioloni. Aggiungere il lievito e la vaniglia e, se serve, un po’ di farina per rendere il tutto più sbriciolato. Imburrare  e infarinare generosamente  una teglia apribile da 24 cm o altro stampo a piacere, cospargere la base con 2/3 del briciolame fino a formare uno strato che, con un po’ di pressione delle mani, formerà la base della torta. Deve rimanere un po’ meno della metà del composto sbriciolato. 
Spalmare sulla base la crema di ricotta, avendo cura di lasciare 1 cm e ½ dai bordi. Poi ricoprire con le altre briciole, facendole scendere anche nello spazio lasciato ai bordi.
Cuocere in forno a 180° per circa 40 minuti o più, dipende dal forno.  Una volta fredda, sformare e spolverizzare di zucchero a velo.






Buon compleanno amore mio!

lunedì 13 febbraio 2012

in un giorno un po' così..


E’ un giorno storto, di quelli che ti fanno sentire come Matusalemme e Atlante insieme...il freddo e questa luce invernale non mi aiutano, non amo affatto l'inverno, non amo il freddo, non mi piace la notte che comincia al pomeriggio, non mi piace dovermi infagottare, ed è troppo, troppo lungo, non ne posso già  più..
La mente vaga qua e la, in un intrico di pensieri misti a inquietudini, un po' rivolta alle preoccupazioni per il futuro, e un po' ripercorre pezzi di vita, momenti, persone, incontri...
Cerco di scacciare la cipressaggine, ma la mia mente si rifiuta di uscire da questo turbinio, capisco che è inutile opporsi, ormai lo so come funziona, mi conosco fin troppo bene……….e allora la lascio andare, la lascio scavare nei ricordi, lascio che mi faccia male, la lascio esplorare e analizzare tutto il mio bagaglio di cose belle, di cose meno belle, di errori, la lascio passare in rivista volti, voci, fatti, luoghi , situazioni vissute …………..mi farò una bella “caragnata” e poi forse così smetterò di sentirmi cipressa...
Cerco automaticamente di fare qualcosa, nella speranza che il lavoro mi aiuti ma è inutile, è meglio lasciar perdere...potrei far danni..
Allora metto un Cd della Callas e mi faccio invadere dalla musica……..così, uno dietro l’altro, chiamati, affiorano i ricordi, per primi quelli che ti fanno male…..

Chiudo gli occhi…….. rivedo una bambina coi capelli lunghi, due ciocche legate sulla nuca con un nastro rosso, sta seduta su uno scanno. E’ sola.
La tanza da letto  a piano terra è  buia, la poca luce entra da una finestra affacciata sul piccolo cortile.
Zia Ines è in guardiola, indaffarata con la portineria, non la può lasciare incustodita. Ma lei non può muoversi, non può uscire nel sole a giocare in cortile, in quel condominio i bambini sono proibiti.
Se ne sta lì con le braccia conserte, a guardare fuori dalla finestra, cercando di immaginare il volo degli uccelli in mezzo a quello scorcio di azzurro fra i tetti delle case, osservando la fila di formiche che si arrampica sul muro fuori dalla finestra, le conta, scruta il movimento delle loro antenne, cerca di intuire la direzione che prenderanno dopo aver superato l'arco della finestra....a sinistra verso la finestra dell'appartamento del piano di sopra, o a destra verso la tromba delle scale?

Ha un gessetto bianco lì vicino, appoggiato su una lavagnetta incorniciata di legno chiaro e qualche matita colorata con un quaderno dalla copertina nera, ogni tanto si mette a disegnare malamente sulla lavagna, cancellando distrattamente con la manica del vestito, nel frattempo spera che arrivino subito le cinque in modo che suo padre possa venire a riprenderla…
Tufy, il persiano nero dalla macchia bianca sulla fronte finge di sonnecchiare acciambellato sul lettone, ogni tanto apre un occhio, agita leggermente le vibrisse in una specie di sbuffo e la controlla. E' un gatto pieno di sussiego, con la puzza al naso....non si fa né prendere in braccio, e nemmeno accarezzare, ha una reputazione di gatto scorbutico da difendere....non si struscia sulle gambe nemmeno quando ha fame.....
mi sa che è vero che ogni animale assomiglia al suo padrone..

La zia ogni tanto viene a vederla, a raccomandarsi di non uscire in cortile, di non farsi vedere dagli inquilini, di giocare con le matite colorate…..

Negli anni ’50 la zia Ines, sorella di mia nonna, era la portinaia di un elegante condominio di tre piani in Corso Monforte al numero 25, pieno centro di Milano, vicino alla Prefettura, un posto cupo, in cui anche i muri trasudavano di un odore strano, un misto di chiuso, di naftalina e di cucina, un cortiletto interno dove la luce del sole entrava solo di traverso per pochissimo tempo, tutto di cemento e sassi grigi, senza una pianta che fosse una, nemmeno in vaso…..un palazzo patrizio, abitato da persone altolocate, da qualche nobile e altra gente ultraricca.... Nessun bambino. 
Quel cortile non è mai stato colorato da risa, giochi, urla…..l'unica persona un po' giovane era la figlia della contessa Cicogna, Marina, quella che poi diventerà produttrice cinematografica...a quel tempo non arrivava ai vent'anni..
Una via del centro  di Milano vivacissima, animata da una vita quotidiana che scorreva fra botteghe artigiane e negozi di frutta e verdura, panetterie, drogherie, una pasticceria le cui vetrine guardavo sempre con molto desiderio, con le locandine del Teatro San Babila appese fuori, da dove il volto di Lucio Flauto mi sorrideva...

Era vedova la zia Ines, lo zio Melchiorre se ne era andato presto, lei lo aveva sposato per convenienza quando si era trovata già un po' avanti con gli anni, per cui non è mai stata affranta per la sua dipartita, anzi…….
Non era una persona di buon carattere la zia Ines, tutt'altro. E deve aver corso parecchio la cavallina, e anche se io ero troppo piccola per capire, ricordo la giacca nera bordata di rosso di una divisa da carabiniere appoggiata su una sedia in guardiola.....sempre la stessa, sempre in alcuni giorni...quando c'era quella giacca sapevo che mio padre sarebbe arrivato sul far della sera, e mi pesava, non mi piaceva quella giacca.....lei invece era tutta giuliva e garrula.... poi la giacca spariva e lei riprendeva la sua aria seriosa e compunta......
Il proprietario della giacca l'ho visto qualche volta, ma non ne ricordo più il volto....ricordo solo un uomo corpulento e rigido...

Di lei invece ricordo i capelli ondulati candidissimi, raccolti a crocchia come mia nonna…. Da che ho memoria l’ho sempre vista così, vestita quasi sempre di scuro, vecchia…..e negli ultimi anni della sua vita, claudicante, sempre appoggiata al bastone....andata in pensione, e lasciata la portineria, si era messa insieme a Bepi, soprannominato Violon, perchè in gioventù amava suonare il contrabbasso.... uno del mio paese, pensionato come lei, era tornata in Friuli e viveva nella piccola casa di lui, in fondo alla strada principale che tagliava il paese...
Non ha avuto figli, o non ne ha mai voluti,  forse è questo il motivo per cui non ci sapeva fare coi bambini, non aveva la pazienza necessaria, e probabilmente il fatto di dovermi tenere, anche solo sporadicamente, la infastidiva, al punto che impose a mio padre, che una volta era capitato a trovarla senza dirle nulla, di preavvisare la sua visita con una telefonata....temeva che suo nipote le scoprisse gli altarini...

Lei con me e mia sorella era solo capace di fare regali, quelli sì.. a modo suo ti voleva bene, ma non ne sono del tutto sicura..... Però ricordo il Cicciobello che regalò a mia sorella, quanto ne fu felice!! Erano i primi che si vedevano, e averlo era una gran soddisfazione...
E' stata anche la mia madrina di cresima, ma il braccialettino d'oro che mi regalò in quell'occasione non ce l'ho più, rubato insieme a molti altri ricordi quando anni dopo passarono i ladri a trovarci.....

Cucinava per dovere, non che le piacesse granché, senza infamia senza lode, ma quando aveva la giacca nera sulla sedia, allora la musica cambiava......faceva  la pasta, niente di particolarmente difficile in verità, sicuramente non le tagliatelle o i ravioli.....faceva i blecs...una cosa che in Friuli è di casa, che si fa in un amen, che risolve un pranzo o una cena anche all'ultimo minuto...

Cosa sono i blecs?

Blec significa più o meno, pezzetto di stoffa, toppa,.....di qui il loro nome, un impasto che, una volta tirato a mattarello, poi viene tagliato con la rotella senza regole o misure, come si fa per i maltagliati...
Il condimento di base era semplice e povero, specchio della cucina friulana.  La trida e formaggio...
la trida è la farina di mais fatta rosolare nel burro, a volte profumata con la salvia,  si versa sui blecs, si mescola e ci si fa cadere una pioggia di formaggio Latteria vecchio, grattugiato sopra...
ma la fantasia qui si può liberare perchè è una pasta che si presta a tantissimi abbinamenti.
Io ho scelto questo, per fondere il mio amore per la mia terra di provenienza a quello per la mia terra d'adozione..




Blecs alle verze e salsiccia in salsa di Bitto


per la pasta:
150 g. farina di grano saraceno
150 g.. farina di frumento
150 g. di burro 
3 uova
acqua tiepida q.b.
sale



per il condimento:


mezza verza
200 gr salsiccia dolce 
150 gr Bitto
poco vino bianco
poco latte
2 piccoli  scalogni
sale, pepe nero
olio e.v. e poco burro



Mescolare le due farine, io ho usato farina di grano saraceno, ma si può usare kamut, o farro, secondo quello che suggeriscono  la voglia e la fantasia del momento
preparare la pasta facendo la solita fontana, mettere al centro le uova, il burro ammorbidito a pezzetti, il pizzico di sale e impastare aggiungendo poca acqua solo se necessario, se l'impasto fosse troppo duro...
Quando l'impasto si rassoda è pronto, lasciarlo riposare una mezzoretta coperto, e poi stenderlo col mattarello, e ricavare blecs tagliando la sfoglia ottenuta con una rotella tagliapasta. Si possono tagliare a rombi, a triangoli,  a rettangoli..come volete...
Lasciarli un poco asciugare  mentre si prepara il condimento scelto.....intanto la pentola dell'acqua è sul fuoco, aggiungete all''acqua anche  un poco di brodo vegetale se lo avete..

Per il condimento:

mondare la verza , eliminare le foglie esterne più dure e ridurla  a striscioline non troppo sottili, si dovrà trovare e sentire nel piatto...
lavarla bene, e lasciarla scolare.  In un largo tegame rosolare in un goccio di'olio e un pezzetto di burro lo scalogno tritato, aggiungere la salsiccia spellata e sbriciolata, lasciar insaprorire bene e sfumare con il vino bianco.

A parte, in un altro tegame, fare appassire la verza in un goccio d'olio e una noce di burro, finchè comincia a diventare morbida.  Regolare di sale e trasferirla nel tegame con la salsiccia. Portare a cottura aggiungendo poco brodo vegetale, o acqua calda alla volta.... 
Una volta pronto,  regolare di sale e pepe e tenere in caldo.

In un pentolino fondere il Bitto tagliato a pezzetti, insieme a un goccio di latte, tenere in caldo anche la salsa.
Cuocere quindi i blecs , scolarli e farli saltare direttamente nel tegame della verza finchè i sapori si sono ben amalgamati.  Versare qualche cucchiaiata di salsa al Bitto nel piatto e appoggiarvi i blecs conditi, una macinata di pepe nero e via a gustarli belli caldi.




Mi capita ogni tanto di ripassare di lì, ma quel cortile non si riesce più nemmeno a intravvedere, quel portone di legno grigio è sempre chiuso, i negozi, i rumori, le voci, la gente di allora spariti…..come quella bambina che non c’è più se non dentro ai miei ricordi….