Quel piccolo microcosmo dove sono
cresciuta, la casa di ringhiera di Via Correggio, era una casa a 5
piani, divisa in due ali quasi ad angolo ottuso . Le scale
arrivavano sul ballatoio e le ringhiere si aprivano come un ventaglio
a destra e a sinistra, affacciate sul cortile.
Le scale di pietra serena, i corrimani
di ferro battuto, semplici, senza arzigogoli chè era una casa
operaia, mica di signori. In ferro battuto anche il cancello in mezzo
al portone, che obbligava gli inquilini ad aggirarlo per passare
davanti alla nostra guardiola. Era un po' più lavorato, perchè è
bene dare una bella immagine a chi passa lì fuori.
Il grande portone di legno scuro, a due ante, pesantissimo, che mio padre alla mattina alle 6 e la sera alle 22 apriva e chiudeva, tutti i santi giorni, domeniche incluse.
Non c'erano porte vere e proprie, ogni
appartamento che dava sulla ringhiera aveva una grande persiana verde
a due battenti. Nessuna paura dei ladri negli anni '50... bastava
una semplice chiave per sentirsi al sicuro.
Era la casa più alta, all'angolo con
la Via San Siro, e , poco più avanti su quella stessa via,
confinava per un lato col muro di una vecchia Corte, la
Valsorda,....una di quelle costruzioni basse, con le ringhiere
affacciate, appunto, sulla corte.
Termine che intende la corte delle
case contadine, l’aia, lo spiazzo dove si facevano i lavori. Spesso
le case erano disposte a cerchio intorno alla corte, e comprendevano
i fienili, i ripari per le bestie. Nell’Ottocento a Milano erano
ancora molti i contadini, e questa è forse l’origine della case di
ringhiera.
Ogni Corte aveva un nome, ma io
l'origine della Valsorda non la so, probabile che, siccome la
costruzione sorgeva più in basso rispetto alle case circostanti,
come in un avallamento, fosse quello il motivo del nome.
In quelle case inizialmente si
ritrovavano lombardi provenienti un po’da tutta la regione spinti
lì dal lavoro . Un miscuglio fra campagna e città, risaie e
fabbriche, cascine e case di ringhiera, “paisàn” e “uperari”
“mundin” e “filandere”…arrivavano dalla terra delle
risaie del Ticino, dalla bassa lodigiana e cremonese, dalle colline
bresciane o dalle montagne bergamasche, dal Veneto, qualcuno dal
Trentino e chi, come noi, dal Friuli... gente legata alla cultura dei
campi, al lavoro, poi, negli anni del boom economico è seguita la
grande immigrazione dal sud, primo laboratorio a cielo aperto di
convivenze tra nuovi e vecchi cittadini.
I paisàn a poco a
poco abbandonano la terra, la campagna, per la città. Soprattutto
Milano, dove sorgono le fabbriche per andare a lavorare. Ne avevamo
giusto qualcuna dall'altra parte del marciapiede, la Cucirini
Cantoni, la Salmoiraghi, la fonderia Radaelli,.
La Valsorda era una vecchia Corte un
po' malandata e ci erano rimaste ad abitare si e no 5 o 6 famiglie,
quasi tutte al primo piano, e quasi tutte composte da anziani.
Quegli appartamenti non si possono immaginare come i nostri, infatti
consistevano in due stanze ad andar bene, col gabinetto in comune in
fondo alla ringhiera. Niente bagno, ci si lavava nel mastello nella
prima stanza che fungeva da pranzo/cucina.
Al piano terra c'erano botteghe di
artigiani, tipo il materassaio, il robivecchi, ricordo un meccanico
e un carrozziere....alcuni ci tenevano le cantine, chiuse da
cancelletti di ferro.
Il cortile prendeva tutta la lunghezza
della costruzione ed era usato anche come luogo di lavoro dal
materassaio e dalle altre piccole officine, oltre che dai gatti e dai
cani randagi.
Il cortile, la Curt in dialetto
milanese, era il fulcro di tutta la comunità. Così le storie, gli
amori, le passioni, le feste, le sagre, si intrecciavano, un luogo dove intensi
erano i rapporti sociali e tutti si era parte di un’unica famiglia,
nel bene e nel male.
In quella casa quasi fatiscente abitava
la “sciura Bambina”. Strideva quel nome, solo a guardarla.
Era trasandata e sciatta, con i capelli
sempre scarmigliati, ormai del tutto bianchi, che le arrivavano un
bel po' sotto le orecchie, il parrucchiere credo non l'avesse visto
mai o quasi.. Aveva perso parecchi denti, perciò le labbra erano
come rientrate, e sempre con uno scialletto di lana grigria traforata
sulle spalle, estate e inverno... Ma non era proprio vecchia, anche
se non so definirne l'età, la vedevo con gli occhi di bambina, e
quando si è piccoli sembrano vecchi anche quelli di 30 anni...
Il suo aspetto poco rassicurante però
nascondeva un gran cuore.
Era forse quella che abitava lì da più
tempo, conosceva tutti dentro e fuori la Corte, nel rione, era
disponibile con tutti, aiutava tutti e tutti facevano riferimento a
lei per ogni cosa, dalla più piccola bega di cortile fino
all'organizzazione della resistenza contro una grande immobiliare,
quando arrivarono le ruspe.
Alla sciura Bambina era permesso un po'
tutto in quel piccolo pezzo di paese che era la Valsorda.
Le veniva tacitamente riconosciuto il ruolo di
capo, per cui lei poteva muoversi come voleva, e disporre come più le piaceva delle
stanze vuote del piano terra .
Infatti un bel giorno arrivò una
capretta.
Aveva avuto la balzana idea di farsela portare dal figlio
di suo cugino, che viveva in una delle valli bergamasche. Chissà
cosa pensava di farci....latte? Mah, chissà se sapeva mungerla..
Ricordo il trambusto di quel giorno,
la corte era tutta in subbuglio. Sentendo tutto quel vociare al di
là del basso muro del giardino che delimitava il confine fra le due
case, salii al primo piano e corsi nell'angolo della ringhiera di
destra che si affacciava proprio sul loro cortile.
La scena era incredibilmente comica.
La capretta correva di qua e di là, credo anche spaventata, le
donne con le scope cercavano di spingerla dentro a una di quelle
stanze vuote, il materassaio che cercava di mettere in salvo i
materassi appena finiti che erano appoggiati su una specie di
treppiede, il carrozziere che se la rideva come un matto...
La sciura Bambina che saltellava di
qua e di là con le braccia aperte cercando di acchiappare la povera
bestia.
Ci riuscirono dopo una buona mezzora,
grazie a una gran manciata di sale e un mazzo abbondante di erba
che non so chi le aveva agitato davanti.... Io credo di non essermi
mai divertita tanto....
Durò poco però la convivenza con la
capretta, alla fine richiamò il figlio del cugino e la fece
riportare da dove l'aveva presa.
Ho saputo molto dopo, attraverso mia
madre che aveva parlato con una sua vicina, che l'intenzione era
quella di avere qualcuno di cui occuparsi....questa cosa ricordo che
mi colpi molto. Chissà perché non un gatto, o un cane....mistero.
La Valsorda è stata abbattuta dalle
ruspe a metà degli anni '60, nonostante la strenua resistenza di
Bambina e degli altri.
Si opposero alla distruzione per
qualche mese, poi cominciarono i primi cedimenti davanti alle
offerte in denaro affinché se ne andassero, e alla fine rimasero
solo in due e dovettero cedere anche loro. Lei, che non aveva
nessuno, grazie all'interessamento del parroco della chiesa di via
Previati, andò a finire alla Baggina, il Pio albergo Trivulzio di
ben nota fama.
Non ho più saputo nulla di lei, ma ne
ho un ricordo vivido, quando ne parlo con mia mamma rivedo quel suo
volto segnato, e il suo improbabile sorriso.
Fu tristezza quando arrivarono le
ruspe.....in un momento venne spazzato via, cancellato, un pezzo
della vecchia Milano, con tutte le sue storie, le gioie e i dolori
di una vita vissuta dentro a quelle piccole stanze, dentro a quella
corte, da tutte le persone che l'hanno animata...
Milano conta circa 70.000 appartamenti
nelle case di ringhiera, oggi in alcune zone come i Navigli per
esempio non sono più considerate come case popolari, anzi, sono
molto ambite...mentre in quelle di periferia o di periferia estrema,
i passaggi sono identici, i percorsi sono identici, adesso per gli
stranieri, negli anni '50 -'60 per gli italiani. Dal punto di vista
umano, davvero identici. E' l'umano ripetersi.
Sono passata lì davanti qualche giorno fa, il palazzone che venne costruito al posto della Valsorda è lì,
ormai invecchiato anche lui, e inevitabilmente il mio pensiero è
andato a lei...alla sciura Bambina e alla sua capretta.
Tra me e me in quel momento ho deciso
che avrei fatto un dolce e glielo avrei dedicato.
Arrivata a casa, ho aperto il frigorifero e ho preso quel mezzo chilo di ricotta che avevo comprato per un cheesecake e ho optato per una ricetta della compianta Alda Muratore.
Un cheesecake un po' diverso, speciale, che mi piace davvero molto.
Petersburger
Streuselkuchen
per la frolla:
250 g farina
125 g zucchero
1 uov0
1 cucchiaio colmo
di cacao
1 cucchiaino scarso di lievito
150 g
di burro.
Per il ripieno:
100 g di burro
150 g zucchero
5 uova a temperatura ambiente
500 g
di ricotta
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
Per lo streusel:
75 g zucchero
75 g burro
150 g
farina
1 cucchiaio colmo di cacao
Preparare la frolla al solito modo, io ho messo tutto nel Kenwoood. Una volta pronta lasciarla riposare in frigorifero.
Mentre la pasta riposa, preparare il ripieno.
In una terrina montare il burro insieme allo zucchero fino ad avere una crema densa e liscia.
Aggiungere le uova che devono essere assolutamente a temperatura ambiente, in modo che una volta che si uniscono il burro non impazzisce. Unire le uova dicevo, una alla volta, mescolando con la frusta elettrica finchè ogni uovo non sarà perfettamente assorbito.
Setacciare la ricotta per renderla ben liscia, e aggiungerla al composto di uova. Mescolare bene per ottenere una crema perfettamente liscia.
Preparare lo streusel. Fondere dolcemente in burro, non deve friggere, lasciarlo raffreddare.
Radunare tutti gli ingredienti in una ciotola, aggiungere poi il burro fuso intiepidito e mescolare brevemente con la frusta elettrica fino al formarsi di un composto a grossi grumi.
A questo punto, strofinare fra le mani questi grumi ottenendo dei grumi più piccoli.
Imburrare uno stampo a cerniera da 24 a bordi alti, stendere la frolla e foderare lo stampo.
Versare il composto di ricotta dentro la pasta, e cospargere fittamente la superficie con lo streusel, fino a coprire tutto perfettamente. Qualche pezzo rimarrà grosso e sprofonderà ma è il suo buono.
Cuocere in forno già caldo a 180° per almeno un'ora, ma col mio forno ci è voluta quasi un'ora e mezza, quindi regolatevi col vostro forno. E' pronto quando la lama di un coltello infilzata nel centro del dolce, esce asciutta.
In cottura si gonfierà parecchio, facendo una specie di cupola che poi si abbasserà al centro raffreddandosi, ma è normale che i bordi siano un po' più alti . Stavolta a me, alla fine, ha fatto addirittura un cratere...
ora vi mostro com'è una vecchia corte. Questa è la Curt de l'America
probabilmente chiamata così perchè molti ci stavano qualche settimana o qualche mese in attesa di fare i documenti per
l'America. E proprio di fronte alla casa c'era la fermata del tram che
portava alla Stazione Centrale, dove prendevano il treno per Genova da
cui salpavano carichi di sogni.
La Valsorda era simile a questa, nella parte a sinistra. Sulla destra, invece, c'era un muro basso che delimitava il confine con casa mia.
Sono stata prolissa, spero di non avervi annoiato..