domenica 30 giugno 2013

le mie ricette classiche

quelle a cui sono più legata, quelle  faccio  più spesso,  che gli amici conoscono bene e che mi chiedono sempre, e quelle che mi piacciono di più forse.

Ne farò una raccolta a parte.... comincio con questa, molto estiva..




  Sformato di tonno e melanzane   con pomodori al basilico





2 melanzane grosse tonde,
2 scatolette di tonno medie,
3 spicchi d'aglio,
5 o 6 belle foglie di basilico,
50 gr parmigiano reggiano,
4 uova,
olio, sale, pepe, noce moscata.

per accompagnare:
1 o due pomodori
mezzo spicchio d'aglio
basilico
olio, sale, pepe



Sbucciare le melanzane, tagliarle a rondelle abbastanza spesse, cospargerle di sale  e metterle a fare l'acqua come il solito.
Aprire le scatolette di tonno e lasciarle sgocciolare dall'olio.
Dopo circa un'ora sciacquarle, asciugarle molto bene e tagliarle a tocchetti, quindi metterle a rosolare in olio caldo con gli spicchi d'aglio spezzettati e le foglie di basilico. Aggiungere un pizzico di pepe, una pizzico di noce moscata, regolare di sale, calcolando che sono state comunque salate prima, abbassare il fuoco e cuocerle finché sono belle tenere,  lasciarle raffreddare.Quando sono fredde mettere il tonno, le uova, il grana e le melanzane, aglio e basilico compresi, nel bicchiere del frullatore e frullare fino ad avere una crema omogenea.
Imburrare  generosamente uno stampo da plumcake o altro a piacere e versare il composto. Cuocere in forno per circa 50/60  minuti a 160°. Il tempo varia da forno a forno, quindi regolatevi in base al vostro. E' pronto quando al tatto è sodo e resistente.
Dovesse scurirsi troppo, coprirlo con un po' di alluminio.

E' ottimo sia tiepido che freddo.





preparare i pomodori per accompagnare lo sformato:

lavare i pomodori,  tagliarli in piccola dadolata, eliminando i semi ma non del tutto.
raccoglierli in una ciotola, aggiustare di sale e pepe, aggiungere il mezzo spicchio d'aglio tritato finemente, e il basilico spezzettato altrettanto finemente.
Condire con olio e.v. , mescolare e lasciar riposare almeno mezzoretta, il tempo che i pomodori rilascino la loro acqua di vegetazione.



Servire a fette accompagnaro dai pomodori







Io lo adoro! E' perfetto per le cene estive, per un buffet, per un pic nic,  da portare in spiaggia...



Dimenticavo, può essere anche un piatto adatto a chi ha problemi di dieta, basta usare il tonno al naturale, e stufare le melanzane a freddo insieme all'aglio e al basilico, con un goccio d'acqua, oppure cuocerle al microonde, eliminando l'olio, o usandone solo un cucchiaio.
Garantisco che il sapore non ne risente...

domenica 23 giugno 2013

vecchie storie milanesi

Quel piccolo microcosmo dove sono cresciuta, la casa di ringhiera di Via Correggio, era una casa a 5 piani, divisa in due ali quasi ad angolo ottuso . Le scale arrivavano sul ballatoio e le ringhiere si aprivano come un ventaglio a destra e a sinistra, affacciate sul cortile.
Le scale di pietra serena, i corrimani di ferro battuto, semplici, senza arzigogoli chè era una casa operaia, mica di signori. In ferro battuto anche il cancello in mezzo al portone, che obbligava gli inquilini ad aggirarlo per passare davanti alla nostra guardiola. Era un po' più lavorato, perchè è bene dare una bella immagine a chi passa lì fuori.
Il grande portone di legno scuro, a due ante,  pesantissimo, che mio padre alla mattina  alle 6 e la sera alle 22 apriva e chiudeva, tutti i santi giorni, domeniche incluse.
Non c'erano porte vere e proprie, ogni appartamento che dava sulla ringhiera aveva una grande persiana verde a due battenti. Nessuna paura dei ladri negli anni '50... bastava una semplice chiave per sentirsi al sicuro.
Era la casa più alta, all'angolo con la Via San Siro, e , poco più avanti su quella stessa via, confinava per un lato col muro di  una vecchia Corte, la Valsorda,....una di quelle costruzioni basse, con le ringhiere affacciate, appunto, sulla corte.
Termine che intende la corte delle case contadine, l’aia, lo spiazzo dove si facevano i lavori. Spesso le case erano disposte a cerchio intorno alla corte, e comprendevano i fienili, i ripari per le bestie. Nell’Ottocento a Milano erano ancora molti i contadini, e questa è forse l’origine della case di ringhiera.
Ogni Corte aveva un nome, ma io l'origine della Valsorda non la so, probabile che, siccome la costruzione sorgeva più in basso rispetto alle case circostanti, come in un avallamento, fosse quello il motivo del nome.

In quelle case inizialmente si ritrovavano lombardi provenienti un po’da tutta la regione spinti lì dal lavoro . Un miscuglio fra campagna e città, risaie e fabbriche, cascine e case di ringhiera, “paisàn” e “uperari” “mundin” e “filandere”…arrivavano dalla terra delle risaie del Ticino, dalla bassa lodigiana e cremonese, dalle colline bresciane o dalle montagne bergamasche, dal Veneto, qualcuno dal Trentino e chi, come noi, dal Friuli... gente legata alla cultura dei campi, al lavoro, poi, negli anni del boom economico è seguita la grande immigrazione dal sud, primo laboratorio a cielo aperto di convivenze tra nuovi e vecchi cittadini.
I paisàn a poco a poco abbandonano la terra, la campagna, per la città. Soprattutto Milano, dove sorgono le fabbriche per andare a lavorare. Ne avevamo giusto qualcuna dall'altra parte del marciapiede, la Cucirini Cantoni, la Salmoiraghi, la fonderia Radaelli,.
La Valsorda era una vecchia Corte un po' malandata e ci erano rimaste ad abitare si e no 5 o 6 famiglie, quasi tutte al primo piano, e quasi tutte composte da anziani. Quegli appartamenti non si possono immaginare come i nostri, infatti consistevano in due stanze ad andar bene, col gabinetto in comune in fondo alla ringhiera. Niente bagno, ci si lavava nel mastello nella prima stanza che fungeva da pranzo/cucina.

Al piano terra c'erano botteghe di artigiani, tipo il materassaio, il robivecchi, ricordo un meccanico e un carrozziere....alcuni ci tenevano le cantine, chiuse da cancelletti di ferro.
Il cortile prendeva tutta la lunghezza della costruzione ed era usato anche come luogo di lavoro dal materassaio e dalle altre piccole officine, oltre che dai gatti e dai cani randagi.
Il cortile, la Curt in dialetto milanese, era il fulcro di tutta la comunità. Così le storie, gli amori, le passioni, le feste,  le sagre, si intrecciavano, un luogo dove intensi erano i rapporti sociali e tutti si era parte di un’unica famiglia, nel bene e nel male.

In quella casa quasi fatiscente abitava la “sciura Bambina”. Strideva quel nome, solo a guardarla.
Era trasandata e sciatta, con i capelli sempre scarmigliati, ormai del tutto bianchi, che le arrivavano un bel po' sotto le orecchie, il parrucchiere credo non l'avesse visto mai o quasi.. Aveva perso parecchi denti, perciò le labbra erano come rientrate, e sempre con uno scialletto di lana grigria traforata sulle spalle, estate e inverno... Ma non era proprio vecchia, anche se non so definirne l'età, la vedevo con gli occhi di bambina, e quando si è piccoli sembrano vecchi anche quelli di 30 anni...
Il suo aspetto poco rassicurante però nascondeva un gran cuore.
Era forse quella che abitava lì da più tempo, conosceva tutti dentro e fuori la Corte, nel rione, era disponibile con tutti, aiutava tutti e tutti facevano riferimento a lei per ogni cosa, dalla più piccola bega di cortile fino all'organizzazione della resistenza contro una grande immobiliare, quando arrivarono le ruspe.
Alla sciura Bambina era permesso un po' tutto in quel piccolo pezzo di paese che era la Valsorda.
Le veniva tacitamente  riconosciuto il ruolo di capo, per cui lei poteva muoversi come voleva, e disporre come più le piaceva delle stanze vuote del piano terra .

Infatti un bel giorno arrivò una capretta.
Aveva avuto la balzana idea di farsela portare dal figlio di suo cugino, che viveva in una delle valli bergamasche. Chissà cosa pensava di farci....latte? Mah, chissà se sapeva mungerla..
Ricordo il trambusto di quel giorno, la corte era tutta in subbuglio. Sentendo tutto quel vociare al di là del basso muro del giardino che delimitava il confine fra le due case, salii al primo piano e corsi nell'angolo della ringhiera di destra che si affacciava proprio sul loro cortile.
La scena era incredibilmente comica. La capretta correva di qua e di là, credo anche spaventata, le donne con le scope cercavano di spingerla dentro a una di quelle stanze vuote, il materassaio che cercava di mettere in salvo i materassi appena finiti che erano appoggiati su una specie di treppiede, il carrozziere che se la rideva come un matto...
La sciura Bambina che saltellava di qua e di là con le braccia aperte cercando di acchiappare la povera bestia.
Ci riuscirono dopo una buona mezzora, grazie a una gran manciata di sale e un mazzo abbondante di erba che non so chi le aveva agitato davanti.... Io credo di non essermi mai divertita tanto....
Durò poco però la convivenza con la capretta, alla fine richiamò il figlio del cugino e la fece riportare da dove l'aveva presa.
Ho saputo molto dopo, attraverso mia madre che aveva parlato con una sua vicina, che l'intenzione era quella di avere qualcuno di cui occuparsi....questa cosa ricordo che mi colpi molto. Chissà perché non un gatto, o un cane....mistero.

La Valsorda è stata abbattuta dalle ruspe a metà degli anni '60, nonostante la strenua resistenza di Bambina e degli altri.
Si opposero alla distruzione per qualche mese, poi cominciarono i primi cedimenti davanti alle offerte in denaro affinché se ne andassero, e alla fine rimasero solo in due e dovettero cedere anche loro. Lei, che non aveva nessuno, grazie all'interessamento del parroco della chiesa di via Previati, andò a finire alla Baggina, il Pio albergo Trivulzio di ben nota fama.
Non ho più saputo nulla di lei, ma ne ho un ricordo vivido, quando ne parlo con mia mamma rivedo quel suo volto segnato, e il suo improbabile sorriso.
Fu tristezza quando arrivarono le ruspe.....in un momento venne spazzato via, cancellato, un pezzo della vecchia Milano, con tutte le sue storie, le gioie e i dolori di una vita vissuta dentro a quelle piccole stanze, dentro a quella corte, da tutte le persone che l'hanno animata...
Milano conta circa 70.000 appartamenti nelle case di ringhiera, oggi in alcune zone come i Navigli per esempio non sono più considerate come case popolari, anzi, sono molto ambite...mentre in quelle di periferia o di periferia estrema, i passaggi sono identici, i percorsi sono identici, adesso per gli stranieri, negli anni '50 -'60 per gli italiani. Dal punto di vista umano, davvero identici. E' l'umano ripetersi.

Sono passata lì davanti qualche giorno fa, il palazzone che venne costruito al posto della Valsorda è lì, ormai invecchiato anche lui, e inevitabilmente il mio pensiero è andato a lei...alla sciura Bambina e alla sua capretta.
Tra me e me in quel momento ho deciso che avrei fatto un dolce e glielo avrei dedicato.

Arrivata a casa, ho aperto il frigorifero e ho preso quel mezzo chilo di ricotta che avevo comprato per un cheesecake e ho optato per  una ricetta della compianta Alda Muratore.
Un cheesecake un po' diverso,  speciale, che mi piace davvero molto.


 

Petersburger Streuselkuchen


per la frolla:

250 g farina 
125 g zucchero 
1 uov0
1 cucchiaio colmo di cacao 
1 cucchiaino scarso di lievito 
150 g di burro.

Per il ripieno: 

100 g di burro 
150 g zucchero
5 uova a temperatura ambiente
500 g di ricotta
1 cucchiaino di estratto di vaniglia

Per lo streusel: 

75 g zucchero 
75 g burro 
150 g farina 
1 cucchiaio colmo di cacao


Preparare la frolla al solito modo, io ho messo tutto nel Kenwoood. Una volta pronta lasciarla riposare in frigorifero.
Mentre la pasta riposa, preparare il ripieno.
In una terrina montare il burro insieme allo zucchero fino ad avere una crema densa e liscia.
Aggiungere le uova che devono essere assolutamente a temperatura ambiente, in modo che una volta che  si uniscono il burro non impazzisce. Unire le uova dicevo, una alla volta, mescolando con la frusta elettrica finchè ogni uovo non sarà perfettamente assorbito.
Setacciare la ricotta per renderla ben liscia, e aggiungerla al composto di uova. Mescolare bene per ottenere una crema perfettamente liscia.

Preparare lo streusel.  Fondere dolcemente in burro, non deve friggere, lasciarlo raffreddare.
Radunare tutti gli ingredienti in una ciotola, aggiungere poi il burro fuso intiepidito e mescolare  brevemente con la frusta elettrica fino al formarsi di un composto a grossi grumi.
A questo punto, strofinare fra le mani questi grumi ottenendo dei grumi più piccoli.

Imburrare uno stampo a cerniera da 24 a  bordi alti, stendere la frolla e foderare lo stampo.
Versare il composto di ricotta dentro la pasta, e cospargere fittamente la superficie con lo streusel, fino a coprire tutto perfettamente. Qualche pezzo rimarrà grosso e  sprofonderà ma è il suo buono.
Cuocere in forno già caldo a 180° per almeno un'ora, ma col mio forno ci è voluta quasi un'ora e mezza, quindi regolatevi col vostro forno. E' pronto quando la lama di un coltello infilzata  nel centro del dolce, esce asciutta.
In cottura si gonfierà parecchio, facendo una specie di cupola che poi si abbasserà al centro raffreddandosi ma è normale che i bordi siano un po' più alti . Stavolta a me, alla fine,  ha fatto addirittura un cratere...

 




ora vi mostro com'è una vecchia corte. Questa è la Curt de l'America








probabilmente  chiamata così perchè molti ci stavano qualche settimana o  qualche mese in attesa di fare i documenti per l'America. E proprio di fronte alla casa c'era la fermata del tram che portava alla Stazione Centrale, dove prendevano il treno per Genova da cui salpavano carichi di sogni.  

La Valsorda era simile a questa, nella parte a sinistra. Sulla destra, invece, c'era un muro basso che delimitava il confine con casa mia.

Sono stata prolissa, spero di non  avervi annoiato..

domenica 16 giugno 2013

è di nuovo domenica

questa settimana è passata più velocemente del solito, o forse è solo la mia  impressione,  presa come sono stata nel fare la nonnasitter, alcuni controlli medici,  il lavoro normale e impegni vari. Il tempo mi sfugge  come sabbia tra le dita e arrivo al fine settimana ansimando, metaforicamente, per le corse. La stanchezza ormai non la ascolto nemmeno più, e il caldo, che finalmente è arrivato, non fa altro che aumentarla. E la mia insonnia non aiuta....
E' di nuovo domenica quindi. Ma domenica non significa festa, riposo. Non oggi. 
Però posso andare con lentezza, anche in cucina, con calma, preparare cose che richiedono tempo e pazienza...
E dopo, le cose  da fare rinviate per giorni aspettano,  e mi tocca. 

Accendo al massimo il ventilatore e penso al mare, a come mi bagnerei volentieri nelle sue acque azzurre e trasparenti,  penso a tutti quegli amici che ci  vivono vicino, e mentre cucino il mio risotto non posso fare a meno di invidiarli un pochino, benevolmente. Saranno in spiaggia ad abbronzarsi, e poi a fare un tuffo ristoratore....chissà..
Furba io, eh? A girare il risotto con questo caldo....ma gli asparagi non potevano più aspettare....e domani non è un altro giorno...
Fa caldo, ho sete, il mio mezzo  bicchiere di Traminer gelato sta per finire insieme alla cottura del riso....ma continuo, stoica, non posso fare diversamente, tanto so che il premio  mi  arriverà più tardi, col dessert....
E' in frigo che mi aspetta, fresco fresco  e buono buono...




Bavarese di  mango e gelée di lamponi



700 gr polpa di mango
12 cucchiai di vino bianco dolce
4 tuorli
4 dl. panna liquida fresca
100 gr zucchero
10 gr di gelatina  in fogli 


per la gelée di lamponi:
4 cestini di lamponi freschi
8 cucchiai di Fragolino
6 cucchiai zucchero a velo vanigliato
4 gr di gelatina in fogli





Ammorbidire la gelatina in acqua fredda.
Frullare la polpa di mango nel frullatore. Io ho usato il Bimby, il mio frullatore mi ha lasciato qualche giorno fa dopo anni di onorato servizio....
Montare i tuorli con lo zucchero fino a che sono belli chiari e gonfi, aggiungere il vino bianco, mescolare bene e mettere sul fuoco a bagnomaria, senza smettere di montare con la frusta elettrica. Cuocere la crema finchè velerà il cucchiaio,  e incorporare la gelatina  ammollata e  strizzata mescolando bene affinchè si sciolga completamente.
Lasciar intiepidire mescolando continuamente e aggiungere la polpa di mango amalgamando perfettamente  il tutto.
Montare la panna ben densa e incorporarla pazientemente al composto di frutta. Si dovrà ottenere una crema completamente liscia.
Mettere la crema in una coppa trasparente e tenere in frigorifero.


Per la gelée:

lavare velocemente i lamponi e frullarli con lo zucchero a velo e il Fragolino. Passare il tutto al setaccio per eliminare i semini.
Ammollare la gelatina in acqua fredda.  In un pentolino versare un cucchiaio abbondante di Fragolino e quando la gelatina è  pronta, scaldare il vino, unire la gelatina ben strizzata e lasciarla sciogliere completamente.
Versarla dentro il coulis di lamponi mescolando velocissimamente con la frusta in modo che la differenza di temperatura  non faccia addensare di colpo la gelatina. Così facendo non ne ha il tempo e non fa grumi.
Riprendere la bavarese dal frigorifero, che ormai si sarà solidificata, versarvi sopra delicatamente,  a cucchiaiate,   la  salsa di lamponi  in modo che faccia uno strato alto più o meno un dito, in maniera omogenea.
Al momento di servire, togliere la crema dal frigo  decorare con fette sottili di mango non sbucciate, foglie di menta e qualche lampone..


Per la riuscita di questo dolce, è fondamentale la bontà dei manghi. 
Io li amo molto, anche se quelli che arrivano da noi non hanno nulla a che vedere con quelli africani, più piccoli e con una buccia di colorazione diversa,  ma di una bontà incomparabile, che ho mangiato in Madagascar....
li ho cercati, inutilmente. Mi devo accontentare  di questi,  basta sceglierli maturi al punto giusto e non sono male.

altra cosa, la panna in questa preparazione la monto a neve ferma, perchè mi piace che abbia una consistenza moussosa, meno liscia, e perchè così darà più struttura alla crema in cui ho ridotto molto la gelatina,  anche se di solito, nelle bavaresi si aggiunge la panna semimontata perchè è più facile incorporarla  alla crema inglese.

E' il mio gusto, voi fate come vi piace di più....

martedì 11 giugno 2013

aspettando il caldo

quello vero, non questa specie di altalena continua fra pioggia a dirotto e sole malato. Prima che davvero cominci la canicola, se comincerà,  ho iniziato a far fuori un po' di cose che girano in  dispensa. Vorrei evitare di imbattermi in pacchetti brulicanti...non sempre mi ricordo di freezerare le varie farine, e la frutta secca è sempre molto pericolosa d'estate..
così domenica scorsa, complice la giornata piena di pioggia, ho deciso che avrei cominciato con le nocciole, avevo  in mente da un po' questo arrosto e non avevo ancora avuto occasione di farlo, avevo pensato che ormai non era più il caso e mi riproponevo di tenerlo per il prossimo inverno, ma i temporali a ripetizione e il freschetto conseguente stavolta sono capitati ad hoc....
Questa ricetta è di  una amabile signora piemontese che abita qui vicino e che incontro spesso quando vado dal medico.  E  facendo anticamera, si chiacchiera, si chiacchiera e si va a finire sempre a parlare di cucina e ci si scambia ricette e consigli, informazioni,  pareri...insomma si impara sempre qualcosa confrontandosi.
Di ricette per l'arrosto alle nocciole ce ne sono in giro a bizzeffe visto che è un classico piemontese,  ma lei, tutta compunta,  me l'ha data dicendomi  che questa è quella della sua famiglia da generazioni, anche se nelle Langhe ogni famiglia ha la sua, sempre diversa si sa...

Il risultato è questo



Arrosto di vitello alle nocciole


1 bel pezzo di arrosto di codino, o un Pesce di vitello, o un cappello da prete di vitello
  insomma un pezzo per arrosto che non sia asciutto e filoso, ma abbastanza venato di grasso.
80 gr nocciole di ottima qualità, tostate, ho usato la tonda Gentile delle Langhe
80 gr pancetta liscia, tesa
1 rametto abbondante di salvia
1 rametto abbondante di rosmarino
2 foglie di alloro
2 spicchi d'aglio
1 bicchiere di vino bianco
brodo vegetale q.b.
olio, una noce di burro
sale, pepe
poco Marsala secco
poco latte




Fondere il burro con l'olio e rosolare la carne da tutti i lati in modo che sia sigillata. Regolare di sale e di pepe.  Fare a dadini la pancetta, e aggiungerla insieme alle erbe aromatiche legate, gli spicchi d'aglio, sfumare con il vino, aggiungere il brodo vegetale caldo, coprire la casseruola e portare a cottura, aggiungendo dell'altro liquido se si asciugasse troppo, e arrivando a cottura con un bel sughetto ristretto ma abbondante.
Una volta cotto l'arrosto, tritare le nocciole nel mixer, aggiungere nello stesso bicchiere il fondo di cottura filtrato dalle erbe aromatiche e dall'aglio, e frullare fino ad avere una crema grossolana.
Rimettere sul fuoco, aggiungere due cucchiai di Marsala, lasciar insaporire bene e tirare la salsa con qualche cucchiaio di latte.
Affettare la carne e servirla con la sua salsa di nocciole.



E' stata una piacevole sorpresa.  Appena incontro nuovamente  la signora, riferisco e  la ringrazio, era davvero ottimo.
Una ricetta affidabile, semplice ma d'effetto.






giovedì 6 giugno 2013

colore e sapore

spulciando nell'archivio delle foto con l'idea di fare un po' di pulizia, altrimenti qui non ci sta più nulla,  il mio sguardo è catturato dal colore di questo piatto



e il  ricordo del suo sapore arriva immediatamente a  dirmi che è da quella volta che non la rifaccio.
Devo rimediare a breve.
La  Voiello  stava organizzando  il  "Tour del piacere", un giro itinerante nelle maggiori piazze italiane  per la promozione della loro pasta  e indicevano una specie di concorso. Mi pare promuovessero 4 ricette ogni città che toccavano.
Ricordo che Marina Braito mise il link su Coquinaria  sul luogo r sul modo  dove  iscriversi e io,  un po' per scommessa e senza crederci molto, inviai la mia brava ricetta corredata da foto e poi me ne dimenticai.
Non ricordo quanto tempo passò, ma un giorno arrivò una telefonata.
Per la tappa di Milano avevano scelto anche la mia ricetta e avrei dovuto andare a cucinarla davanti alle telecamere presso la scuola di cucina a cui si appoggiavano in città.
La vedete  e,  ahimé,  mi vedete QUI

Beh, son cose belle per la propria autostima! 


La ricetta:

Paccheri  Primavera

paccheri
2 cipollotti freschi
500 gr piselli freschi, altrimenti vanno bene  anche surgelati,
ma riducendo la quantità a 300/400 gr
200 gr pancetta affumicata tesa
poco brodo vegetale
salvia
olio, sale, pepe


affettare sottilmente la pancetta affumicata
tritare finemente anche i cipollotti
in un goccio d'olio far appassire i cipollotti senza che prendano colore. Aggiungere i piselli sgranati,  o quelli surgelati preventivamente  passati sotto un getto d'acqua fredda. Lasciar insaporire, salare e coprire con il brodo vegetale caldo, un paio di foglioline di salvia e portare a cottura lasciandoli un po' lenti. Un po' di liquido servirà per lasciare morbida la crema.
In un pentolino a parte scaldare dell'olio, aggiungere la pancetta affumicata, mescolare e lasciarla consumare  e dorare,  facendo però attenzione che non diventi troppo secca e croccante. Deve rimanere fra il morbido e il croccante. Bisogna guardarla a vista e spostarla dal fuoco quando è il momento.
Cuocere  nel frattempo i paccheri.
Passare al minipimer i piselli, eliminando la salvia e  frullando bene per avere una crema ben liscia. Tenere in  caldo.
Al momento di portare in tavola, fare un piccolo  letto di crema nel piatto, scolare i paccheri, aggiungere la porzione desiderata sulla crema di piselli, versarvi sopra un poco della pancetta rosolata con un goccio del suo condimento e dare una macinata di pepe.

Semplice, semplice e gustoso.

A proposito, adoro i paccheri!







domenica 2 giugno 2013

compleanni

ieri era il mio compleanno, nessuno mi ha fatto gli auguri come un tempo.
Ma non ha più importanza,  ho 61 anni e non invecchierò più.  Me ne sto seduta qui fuori, il cielo è bellissimo, terso e azzurro come non ho visto mai, le nuvole mi fanno da cuscino, bianche e morbide che sembrano bambagia, sto qui e penso.  Ogni tanto guardo di sotto, e osservo il panorama, guardo dentro le finestre di una casa mentre un sospiro mi sfugge,   sorrido....
Mi chiamo Antitza,  Antitza Kraljev, ma in Italia mi hanno sempre chiamata Antonietta, e a me stava bene, mi piaceva il mio nome tradotto in italiano.
Sono nata in una  città di mare della Dalmazia, quando ancora era in terra italiana, Zara. Eravamo in 5 in famiglia, i miei genitori, io e le mie due sorelle. Barbara e Ljuba.
La vita a Zara non era per niente facile, e la città era molto povera, divisa fra la zona del porto e la città vecchia.
Le strade bianche di polvere  e le case vicine una all'altra avrebbero avuto bisogno di qualche sistemazione,  soprattutto verso il porto dove vivevo con la mia famiglia. Siamo cresciute così, io e le mie sorelle,  in mezzo a quella polvere bianca, con le nonne del quartiere che ogni sera, verso il tramonto, sedute davanti all'uscio di casa,  ci raccontavano vecchie favole e storie di mare, siamo cresciute con i nostri giorni scanditi dalle stagioni che si alternavano,  caldissime estati e inverni spazzati da venti gelidi...e con noi che vivevamo praticamente per strada, o sulla spiaggia di sassi non molto lontano. Il mare era l'unica consolazione. 
Mi piaceva fare i bagni d'estate in una piccola caletta che raggiungevamo a piedi...
Mi piaceva cammminare cercando e raccogliendo i piccoli regali che il mare portava, conchiglie, sassi strani, legni, qualche stella marina portata dal mare grosso,  e ossi di seppia.
Con le mie sorelle  perdevamo la nozione del tempo a volte, camminando in su e in giù con le onde che ci lambivano le caviglie, e tornavamo a casa che era quasi notte...
Mia madre era una donna gracile, ha sempre avuto poca salute e non sempre  la forza per crescere tre  bambine vivaci come noi...ma in qualche modo siamo arrivate all'età dell'adolescenza. Preferisco non ricordare quel periodo, è stato uno dei più difficili della mia vita. Mio padre, pescatore, faceva fatica a mettere insieme il pranzo con la cena..
Quando mia madre morì, avevo quasi 18 anni. E a quell'età si scalpita, e io scalpitavo davvero. Volevo fuggire da quel posto, anche se sapevo che mi sarebbe mancato il mare. Volevo andare via con tutte le mie forze e aspettavo soltanto una occasione. 
Ma in cuor mio sentivo di dover aiutare mio padre, e non volevo lasciare sole le mie sorelle. Così, restai a Zara, restai a quella vita di stenti, conservando nel cuore la segreta speranza che un giorno sarei finalmente partita.
Ma l'occasione  non arrivò che molti anni più avanti, quando ero  ormai donna fatta.
Barbara e Ljuba  si erano  sposate  nel frattempo, e io ero rimasta in casa con mio padre,  ma fu per poco, anche lui se ne andò, un giorno uscì  in barca a pescare e non tornò più, disperso  mi dissero. Lo cercarono per qualche giorno, e poi smisero...fu un dolore che si aggiungeva a dolore, non riuscimmo a superare questa cosa per molti,  molti anni.
Pian piano, arrivò il momento in cui non mi sentivo più i pesi da portare sulle spalle...
Un giorno di maggio arrivò una lettera......una lontana cugina che era partita molti anni addietro e aveva trovato lavoro presso una famiglia benestante sul lago di Como, mi scrisse che  ci sarebbe stato bisogno di braccia in  più, e che aveva pensato a me, se mi poteva interessare questo lavoro mi avrebbe mandato lei i soldi per il viaggio........era arrivata  quella occasione che tanto avevo aspettato.
Così, misi in una valigia le poche cose che avevo, presi una corriera e dopo un viaggio abbastanza lungo e difficile, arrivai fino a Trieste. Lì  ad attendermi trovai il marito di questa cugina, che mi scortò fino  a Cernobbio, dove arrivai con un po' di inquietudine ma  piena di speranze,  non immaginando nemmeno lontanamente che non sarei più ripartita.
Si può dire che  la mia nuova vita  è incominciata in quel momento.
Certo non fu un periodo facile, la guerra ci lambiva, avevamo la fortuna di essere città di confine con la Svizzera e non ci furono bombardamenti, se non a Como città o verso Varese,  ma la vita era comunque complicata.  Il cibo scarseggiava, toccava comprare tutto a borsa nera, e in pochi se lo potevano permettere, come la famiglia per cui lavoravo,  così finchè ho lavorato lì  il cibo non è mai mancato a nessuno, magari a razioni ridotte, ma non posso dire di aver fatto la fame qui, come è stato a Zara.
Cernobbio è stato per me il luogo dove mi sono sentita finalmente libera e anche se l'impegno del lavoro era gravoso io mi sentivo leggera, per la prima volta. Una sensazione che non posso scordare.
Un giorno, passeggiando in Riva, conobbi Ambrogio, quello che sarebbe diventato mio marito. Eravamo entrambi maturi, e il nostro è stato un amore quieto, ma profondo.  Ambrogio faceva il sarto da uomo, lavorava in casa e ad aiutarlo aveva me e  la fida Olga. Non che fosse un mestiere da arricchirsi, ma era sufficiente a mantenere la nostra famiglia, i nostri due figli.  Facendo economie, certo. Non nuotavamo nell'abbondanza, e i tempi erano sempre difficili. Stavo attenta a quello che spendevo in posteria, tenevo strettamente sotto controllo  il libretto dove il negoziante scriveva tutto quello che compravo e che avrei pagato alla fine del mese.... si usava così una volta, si faceva la spesa a credito...
Ambrogio non era  molto alto, io lo sopravvanzavo un pochino, ma non ci facevamo caso. Lui mi sapeva capire, ed era un uomo buono, capace di una dolcezza e di una tenerezza infinite. Era quasi  sordo,colpa della meningite  che lo aveva colpito da piccolo, ma sapeva leggere sulle labbra, e non ci sono mai stati problemi di nessun titpo, ci siamo intesi sempre in tutto.
Ci sposammo e andammo a vivere con  sua madre e due delle sue  sorelle. Non è stata una convivenza facile, lo so bene io quello che ho passato, ma per noi  non c'erano alternative a quel tempo. Poi le cognate si sono sposate e sono andate via da Cernobbio e con noi è rimasta la nonna. Una donna d'altri tempi, temprata con l'acciaio. L'ho sempre rispettata, ma finchè è vissuta non ha perso occasione per farmi sentire solo un'ospite...
Gli anni sono passati, tanto velocemente che è meglio che non ci penso...ci siamo ritrovati alla mezza età in un attimo... i figli fuori casa, il più grande già padre di due maschietti.
Un giorno viene a trovarci e mi dice:
- Venite a vivere da me? Ho bisogno che mi teniate i bambini.
Come dire di no a un figlio? Ci trasferimmo nell'appartamento sotto il suo, in una casa a due piani con un piccolo giardino, in un paesotto fra Como e Varese. Niente più passeggiate in riva al  lago quindi, ma avevo i due piccoli di mio figlio da crescere, non mi pesava più di tanto, averli ogni  giorno con me mi ripagava di tutto.... Quanto ho desiderato dei nipoti!!
Per me non fu difficile abituarmi alla vita in quel paese, ma per Ambrogio significò un vero e proprio tracollo. Fu lì che cominciò a manifestarsi l'alzheimer,  era stato sradicato dal posto dove aveva vissuto tutta la vita, senza i suoi amici, senza i suoi riti, le strade conosciute, il lago tanto amato.......successe poi che un giorno, senza che io lo sapessi,   prese la corriera per andare a Como, e poi non seppe più tornare,  ce lo riportò a casa l'autista, impietosito da questo omettino sperduto...  da lì cominciò un periodo davvero doloroso e difficile, finchè non potemmo più assisterlo in casa e lo dovemmo ricoverare.
E così inziai a fare la pendolare. Ogni giorno lo andavo a trovare a Como,  prendevo il bus alla fermata poco lontano da casa, andavo e gli portavo da mangiare le cose che cucinavo apposta per lui, perchè il cibo di quell'ospedale non è che fosse dei migliori....  passavo con lui tutti i pomeriggi. Fino a quella maledetta domenica  5 luglio 1970.
Me lo sentivo che doveva succedere qualcosa, stavo  bene in quel periodo.  Mio figlio più piccolo si era finalmente sistemato, si  era sposato da poco, e già pensavo che sarebbero presto arrivati altri nipoti, magari una femminuccia stavolta, la vita era avviata verso la vecchiai, con i suoi ritmi regolari, se così si può dire, l'unico neo era che Ambrogio non mi riconosceva quasi più ormai. A dire il vero non riconosceva più nessuno di noi, era perso nel suo mondo di ricordi passati, e  vederlo in quello stato era una ferita che ogni giorno scavava un po' di più...ma la rassegnazione cominciava a farsi lentamente  strada dentro di me...

E' domenica, ho fatto tardi, mio figlio è venuto da Milano con la sua mogliettina,  sono stata felice di abbracciarli,  era dal giorno del matrimonio che non ci vedevamo. Ci siamo dilungati in chiacchiere  e io non ho fatto in tempo a prendere la corriera delle 14, e se non mi sbrigo perderò anche quella delle 15, così  corro. 
Sto attraversando le strisce pedonali per arrivare alla fermata,  d'improvviso un colpo fortissimo nella schiena, un dolore lancinante, mi sento sbalzare in aria.  Ricado un po' più lontano, non riesco a muovermi, però non sento più male, non sento più nulla. Chiudo gli occhi per un attimo, la luce mi dà molto fastidio, ma è una luce molto bella, calda e dorata.
Mentre riprendo fiato, riapro gli occhi, oh bella, sono in piedi accanto al  mio corpo steso a terra, la borsa con il cibo per Ambrogio è  molto più in là, ho perso una scarpa, la mia bella giacca blu  è a brandelli,  mi guardo intorno e vedo molte auto  ferme,  anche  due ambulanze, e tanta gente che gesticola e corre. Abramo, il cognato di mio figlio, mi sta tenendo la ma mano e mi sta chiamando a bassa voce. Passava di lì  per caso e mi ha riconosciuto...Io non sento nulla, sto bene, cerco di rassicurarlo ma la voce non mi esce. Poi finalmente capisco.. Non vedrò crescere i miei nipoti, non ne vedrò nascere altri. 
E ora, ad Ambrogio, chi ci pensa?


Antonietta, hai visto, ci abbiamo pensato noi, fino all'ultimo. Non te l'ha detto quando l'hai rivisto?
Hai avuto anche due belle nipoti, e ora saresti bisnonna. 
Ma sono sicura che lo sai, che le guardi ogni tanto, le  tieni d'occhio mentre  da lassù sbirci dentro le nostre finestre.
Non abbiamo avuto molto tempo per conoscerci a fondo, ma ti ho voluto bene sin dal primo momento, e so che anche tu me ne hai voluto, da subito..L'ho capito dai gesti teneri che hai sempre avuto per me,  dalle tue premure, dagli sguardi affettuosi che coglievo, dalle parole non dette.
Ricordi quella volta che veniste a casa dei miei? Eravamo ancora fidanzati allora...Era Natale, il primo Natale che passavamo insieme, le famiglie riunite.  Mio padre non finiva più di raccontare delle nostre tradizioni friulane e di farti domande sulla Dalmazia e sulla tua famiglia, e a fine pasto chiedesti timidamente se ci fosse anche un pezzetto di formaggio...  A te piaceva molto il formaggio.
E allora per il tuo compleanno, invece della solita torta,  ti dedico questa ricetta, sono sicura che l'avresti preferita.




Bavarese di caprino e porri con pane all'uvetta e olio di noci



2 grossi porri, 3 se fossero piccoli
4 formaggini caprini di latte vaccino (tipo Petit Suisse per intenderci)
100 gr panna liquida fresca
6 gr di gelatina in fogli
poco burro
sale, pepe

per accompagnare:

fette di pane con l'uvetta tostate
olio di noci

Mondare i porri,  tenendo da parte le foglie esterne più verdi e più dure. Ridurre il resto a rondelle.
In una pentola sbollentare le foglie di porro per un paio di minuti, quindi passarle subito sotto l'acqua fredda in modo da fissare il colore. Stenderle su un canovaccio pulito e asciugarle tamponando. Tenere da parte.
Fondere il burro, aggiungere i porri e lasciarli stufare finché sono completamente cotti e sfatti. Eventualmente dare un colpo di minipimer per frullarli grossolanamente. Lasciar raffreddare.
In una terrina montare a crema i caprini, aggiungere i porri frullati.
Mettere ad ammollare la gelatina, una volta pronta, scaldare un goccio della panna prevista dalla ricetta, e lasciarla fondere. Versarla a filo, sempre mescolando con le fruste elettriche, dentro il composto di caprino e porri, regolare di sale e di pepe. Montare ben densa la restante panna e incorporarla pazientemente al composto.
 Foderare uno stampo a piacere con le foglie di porro sbollentate, in modo che lo stampo sia completamente ricoperto, lasciandole sbordare un poco.
Io ho usato uno stampo da zuccotto, ma non c'è stato tutto il composto, per cui ne ho foderato di porri anche  uno monoporzione dentro un domopack.
Versare il composto di caprino e porri dentro allo stampo foderato, sbattere bene per far uscire eventuale aria, premere leggermente per compattare il tutto e riversare verso l'intenro la parte di foglie di porro debordante, in modo da chiudere perfettamente il tutto. Fare la stessa cosa con eventuali stampi individuali.
Sigillare bene con la pellicola e conservare in frigorifero fino al momento di servire.
Tostare il pane con l'uvetta in forno, sformare la bavarese, e portare in tavola accompagnata da dell'olio di noci.






Antitza era mia suocera. Venne investita da un'auto  mentre attraversava la strada,  una domenica di luglio. Le sue ultime parole furono per suo marito..

Ciao Antonietta, sei qui con noi ogni giorno.