martedì 31 luglio 2012

arrivano i fichi


Non è un frutto che amo particolarmente, ma ogni tanto, quando li vedo belli sodi e freschi, cedo alla tentazione di comprarne qualcuno.
 Di solito aspetto i fichi della pianta che abbiamo in Friuli per mettermi a fare conserve, ma ormai lei poverina non me ne regala abbastanza, perciò quando comincia la stagione mi porto avanti con quelli che trovo dal mio solito fruttivendolo che, essendo pugliese, ha sempre i fichi della sua zona, piccoli e dolcissimi, perfetti per farli caramellati. 
Li adoro fatti così!  Mi piacciono sia con lo squaquerone che col gelato, o con la panna e anche da soli a dire il vero...questi sono quelli dell'ultimo vasetto rimasto dall'anno scorso







Mio padre ne andava matto, e in Friuli ne avevamo una bellissima pianta di quelli neri, nell'orto, in un angolo a ridosso di un muro a secco. Lui la curava e accudiva con particolare amore, e il fico lo ricompensava con una generosa messe di frutti, ogni anno.  Ce n'era sempre per noi, per i parenti e per gli amici, per gli uccellini e per gli insetti...
Poi sono invecchiati tutti e due. Mio padre non c'è più, e il fico nemmeno,   se ne è andato più o meno con lui, come se capisse, se sapesse....
In quell'angolo, dove l'ombrello di quel fico ha visto i miei giochi di bambina, da poco  è rispuntata una piccola piantina, figlia delle sue radici, ancora lì, da qualche parte... Ora è  alta poco più  di un metro,  ma promette bene. La curiamo con altrettanto amore, nel ricordo di mio padre e del suo vecchio albero...
C'è  anche una pianta di fichi bianchi, in mezzo a quello che un tempo era l'orto, sono molto più grossi ma non hanno la stessa dolcezza che ricordo di quelli neri. Anche questo albero è molto vecchio, ne ha viste tante ormai, ha il tronco quasi cavo dove trovano riparo piccole lucertole, qualche orbettino e innumerevoli insetti. Lui resiste, aggrappato alla vita anche se vecchio e stanco, ed ogni anno prepara i suoi frutti, che non sempre arrivano a maturazione completa, si macchiano e scuriscono, poi cadono prima di maturare definitivamente....riusciamo a salvarne solo qualcuno...





quest'anno non ho aspettato,  ho incominciato presto a spignattare conserve perchè l'Agrimi, il mio fruttivendolo, ne aveva alcune cassettine in negozio, appena arrivate. Sodi, sani, freschi e dolci dolci......perfetti da conservare.


la ricetta che uso viene da  Rossanina di Coquinaria, collaudata e ottima, si fa ad occhi chiusi e Ross è una garanzia,  le sue ricette sono affidabili e di sicura riuscita, sempre.

I fichi caramellati  poi, da quando li hanno assaggiati, me li richiedono ogno anni parenti e amici, ...è una di quelle cose che va nei cesti di Natale, e l'aspettano....altrochè se l'aspettano!



Fichi caramellati

1 kg fichi  (neri sarebbe meglio)
500 gr zucchero semolato
1 bicchiere di aceto bianco 
1 bicchiere e mezzo di acqua
cannella in stecche
una punta di vaniglia
un paio di scorzette di limone pulite dalla parte bianca
un bicchierino abbondante di rhum, o Marsala, o Grand Marnier, come vi piace, io cambio sempre...
se usate il Grand Marnier ci sta bene anche qualche scorza d'arancia.


usare solo fichi perfettamente sani, senza ammaccature da dove possa uscire la polpa, sodi e carnosi, magari anche leggermente indietro di maturazione.
Pulirli uno a uno con un panno inumidito. Allinearli in piedi, col picciolo in su, in una larga teglia antiaderente, che li contenga ben stretti. Aggiungere qualche piccolo pezzetto di cannella, una idea di vaniglia, ma proprio una idea,  in estratto, o un pezzetto di bacca, come preferite, la scorza di limone completamente priva della parte bianca..
Se optate per il Grand Marnier, meglio un paio di scorze d'arancia, sempre private della parte bianca.
Versarvi sopra lo zucchero, l'aceto e l'acqua. Porre sul fuoco e una volta preso il bollore, abbassare a fuoco dolce, e lasciar cuocere scoperto pian piano finchè il liquido che si sarà formato sarà diventato sciropposo, ci vorrà un'ora circa, un'ora e mezza. Dipende dall'allegria del fuoco...
Alla fine sfumare con il liquore prescelto leggermente scaldato in precedenza, altrimenti la diversa temperatura fra sciroppo e liquore può far danno... 

Se vi piace, potete aggiungere anche qualche bacca di cardamomo, o un pezzetto di anice stellato. Io ho provato diverse versioni, ma alla fine  ho deciso che  li preferisco classici. 

Questa volta ho messo il Grand Marnier con le scorze d'arancia. I prossimi vedrò, dipende dall'estro del momento...

 eccoli in cottura



Invasare nei Bormioli, curando che siano ben coperti col loro sciroppo,  tappare e sterilizzare i vasetti  mediante bollitura per circa 20 minuti. Non ce ne sarebbe bisogno, data la presenza dell'aceto e dello zucchero, ma io preferisco farlo, mi fa sentire più sicura perchè  ne regalo qualche vasetto durante l'anno.


eccoli pronti, sterilizzati, da etichettare e rivestire..







certo che con lo squaquerone sono proprio il massimo...







Il difficile, alla fine, è resistere almeno tre mesi dopo averli preparati, tocca lasciar loro il tempo di sciropparsi ancora di più.......diciamo che sono perfetti a Natale.
Quindi teneteli in cantina, fuori dalla vista, dimenticati fino a quella data.



provate a farli una volta e non potrete più farne a meno...

domenica 29 luglio 2012

a qualcuno piace crudo

uno di quei qualcuno è mio marito, un altro è mio genero. In famiglia il pesce crudo piace pressocché solo a loro.Io non ce la faccio proprio a mangiarlo così, se non in rari casi.
E' capitato però che  io incontrassi  una bella ombrina.
Se ne stava in bella vista sul banco del pesce, era  lì bella grossina,   comodamente appoggiata su un letto di ghiaccio con le sue branchie rosse rosse, l'occhio  vivo cerchiato d'oro che guardava fuori dal banco, eppure   nessuno se la filava.
Tutti a chiedere orate e branzini, e chi se ne importa se sono di allevamento, se la pezzatura è tutta uguale, se il sapore non è propriamente di mare......devono essere per forza branzini e orate.
Non so se è perchè le persone non sanno come cucinare, oppure non vogliono fare fatica a togliere spine,  o se è per il prezzo, che ci sta di questi tempi, sta di fatto che tantissime persone  non prendono  nemmeno in considerazione pesci meno pregiati ma molto più freschi e sani, pescati in mare, a favore di quelli d'allevamento..
 io non ho esitazioni, mi porto a casa l'ombrina....





 Tartare di Ombrina, mela verde e dragoncello




1 bella Ombrina, o due piccole
Il succo di un limone
qualche foglia di dragoncello fresco, oppure una punta di quello secco
mezza mela  Granny Smith, o altra asprigna
olio buono, sale, pepe bianco di mulinello


per guarnire: valeriana o altra insalatina verde,  coriandoli di pomodoro



Sfilettare il pesce ottenendo due filetti con la pelle da un lato e, con pazienza e una pinzetta, eliminare le eventuali spine. Dopodiché sfilettare anche il lato con la pelle per ottenere solo la polpa ormai ben pulita da spine ecc.ecc.
Passarla a coltello in modo da avere una tartare.
Sbucciare la mezza mela, passarla nel succo di limone perché non annerisca.
Mescolare la tartare con il dragoncello tritato, il succo del limone, il sale, il pepe, l’olio e la mela tagliata a piccoli pezzetti.
Lasciarla marinare per circa un’ora. Al momento di servire, assaggiare  e regolare a piacere.
Appoggiare  un coppa pasta nel piatto, riempirlo di tartare premendo leggermente, sfilare poi il coppapasta pian piano, quindi guarnire con un ciuffo di valeriana (o altra insalatina fresca a piacere,) tagliuzzata grossolanamente, colorare con i coriandoli di pomodoro,  condire con qualche goccia d’olio e servire.

Non buttate gli scarti del pesce, testa, pelle, lische ecc.ecc. perchè si possono usare per un buon fumetto che potrà servire  per altre preparazioni..






lunedì 23 luglio 2012

peperoni allegri

invidio tantissimo chi, come la mia amica Isolina, ha un orto che ogni giorno regala  verdura saporita e fresca.
Un tempo l'avevamo anche noi, in Friuli, dietro casa. Lo coltivavano prima mia nonna e poi mio padre.
Partiva da Milano, stava su finchè non aveva seminato, sistemato, piantato. E poi chiedeva a sua sorella che abita lì,  di bagnare. Quanto lavoro ha fatto in quel fazzoletto di terra! E quella terra lo ricambiava sempre generosamente..
Così d'estate, per le vacanze nella casa friulana,  avevamo sempre tantissima verdura.... quanto mi piaceva  andare a raccogliere i cetrioli e i pomodori e mangiarli ancora caldi di sole e con tutta la buccia..
Quante urticate con le foglie dei fagiolini, e quanti pizzichi di zanzare...mi piaceva anche osservare  le Dorifere, con la loro livrea a righe, ma quelle dovevamo eliminarle, altrimenti niente patate....
Melanzane, zucchine, fagiolini, insalatina, pomodori e cetrioli la facevano da padroni, e
i peperoni li piantava solo per me che li adoro, poche piante che producevano dei peperoni verdi che ingrossando si ingiallivano leggermente. Non so che qualità scegliesse, ma ricordo che erano sempre un poco amarognoli..
tutt'altra cosa questi invece, che ho trovato al mercato, e che ho comprato subito, incuriosita...
arancioni non li avevo mai visti. Li ho trovati dolcissimi e carnosi..




i peperoni li cucino in diversi modi, ma nella classica peperonata per me  sono il massimo, l'unico problema è che ci mangio insieme un sacco di pane, troppo....



 


1 kg peperoni misti
2 grosse cipolle bionde
2 spicchi d'aglio
abbondante basilico
pomodori freschi q.b.
olio e.v.
sale, pepe




pulire e lavare  i peperoni, ridurli a falde e poi a  pezzi non troppo piccoli. Affettare grossolanamente  anche le cipolle, sbucciare l'aglio.
Tuffare per un attimo i pomodori in acqua bollente e poi spellarli, eliminando anche i semi.
In una capiente pentola, rosolare le cipolle ma senza far prendere colore. Aggiungere i peperoni, l'aglio e il basilico, lasciare insaporire il tutto poi tritare grossolanamente anche i pomodori pelati, e aggiungerli nella pentola. Lasciar cuocere pian piano, magari aggiungendo pochissima acqua se dovessero asciugarsi troppo.
Sono pronti quando il sugo si è un po' ristretto e i peperoni sono cotti ma non spappolati, dovranno risultare ancora un po' sodi...

 è un piatto davvero semplice, ma è allegro e colorato, perfetto emblema dell'estate...








giovedì 12 luglio 2012

Pesche e dintorni



che si fa quando non hai tanta voglia di spignattare ma allo stesso tempo hai voglia di dolce?

Si fa un dolce alla frutta che ti dia la sensazione di freschezza, accontenti la tua voglia di dolce e non ti faccia lavorare troppo..





 
TERRINA DI PESCHE AL MOSCATO CON CREMA ALL’AMARETTO 

liberamente ispirata da  Claudio Sadler, uno degli chef più simpatici, golosi, pazienti e disponibili  che conosco.
Lui la fa col Prosecco, stavolta io ho preferito il Moscato...


Per la terrina
6/7  percoche  nè troppo mature nè troppo dure
1/2 l. abbondante di Moscato spumante 
mezzo limone 
200  gr zucchero
4 cl liquore Amaretto di Saronno
20 gr gelatina in fogli

Per la salsa all'amaretto
300 gr latte
60 gr amaretti morbidi 
8 tuorli  
100 gr zucchero 


Per guarnire

Frutti di bosco  q.b.
menta fresca


Tagliare le pesche a metà togliendo il nocciolo e lasciarle marinare direttamente dentro una casseruola d'acciaio, coperte, per almeno un'ora  insieme allo zucchero ,  2 cl  di  liquore all'Amaretto, il succo del mezzo limone e il Moscato.
Dopodichè passare la casseruola in forno  già caldo a 180° il tempo che si ammorbidiscano. Non devono cuocere da essere troppo molli o peggio, sfatte.
Col mio forno e le percoche che ho trovato ci sono voluti più o meno  20 minuti. Ma basta sentirle al tatto, se sono appena morbide sono pronte. Una volta tolte dal forno meglio
toglierle dal loro sugo,  lasciarle intiepidire leggermente e poi pelarle, altrimenti diventa un delirio e tocca pulirle  fetta a fetta, con il risultato di rovinarle un  pochino.
Una volta che sono pelate, metterle ad asciugare su una griglia posta sopra una teglia, in modo da raccogliere anche il liquido che inevitabilmente rilasceranno.
A questo punto ammollare i fogli di gelatina in acqua fredda, rimettere il sugo di cottura sul fuoco e ridurre un pochino, aggiungendo la gelatina ammollata e strizzata. Mescolare bene perchè si sciolga perfettamente.
Affettare le pesche a fette spesse, oppure lasciarle così, a metà, come preferite, l'effetto sarà abbastanza simile..
In uno stampo da plumcake fare un leggero strato di liquido gelatinato e metterlo in freezer o in abbattitore, per addensarlo velocemente.
Allineare poi le pesche  in un primo strato sulla gelatina, lasciando un minimo spazio ai bordi, e bagnarle con qualche cucchiaio del loro succo gelatinato e riporre nuovamente in freezer o in abbattore in modo che le pesche si àncorino bene allo strato di gelatina sottostante. Poi, una volta che la gelatina ha tirato e le pesche sono abbastanza fissate, completare con le restanti pesche e coprire delicatamente, poco per volta per non spostarle,  con il resto della gelatina. Dovranno essere completamente coperte.
Mettere in frigo a rassodare.  Io la preparo la sera prima di solito, perchè abbia tutto il tempo di rassodare bene.


Preparare la crema:

In una casseruola far bollire il latte con gli amaretti sbriciolati.
Sbattere con una frusta i tuorli  con lo zucchero e il resto del liquore all'Amaretto.
Una volta caldo, aggiungere il latte a filo sulle uova e rimettere su fuoco dolce.
Cuocere sempre mescolando finchè la crema si addensa.  Lasciarla raffreddare, e poi filtrarla attraverso un colino a maglia molto fine. Coprire la crema a contatto con la pellicola in modo che non prenda aria e conservare in frigorifero fino al momento di usarla. 


Per servire il dolce:

Velare un piatto da portata con un poco di crema  all'amaretto.
Sformare la terrina. Sarà più facile se  si immerge  velocemente lo stampo  in un goccio di acqua calda, in modo che la gelatina si stacchi leggermente, bisogna solo  fare attenzione che non si sciolga troppo, il tanto che basta per sformarla.  

Appoggiarla sulla crema, guarnirla con i frutti di bosco e le foglie di menta. Servire a fette con la crema all'amaretto a parte, per chi ne vuole di più..




  

con questo dolce vi saluto per qualche giorno...

a presto!

martedì 10 luglio 2012

c'era una volta una gatta..


Per noi era “il bagnino”, ma non so se fosse davvero il suo lavoro.
Beppe era un uomo di circa 50 anni, o perlomeno così mi sembrava perché  a 10 anni non hai la vera percezione dell'età degli adulti, magari li dimostrava e basta coi suoi capelli pepe e sale, il suo viso largo e aperto cotto dal sole,  la sua fronte perennemente corrugata e la sua espressione quasi arcigna, non ricordo di averlo   mai visto sorridere o quasi ..
Lui era, insieme al medico, l’unico uomo che lavorava all’interno della colonia marina  della Associazione Combattenti e Reduci a San Mauro Pascoli, in Romagna, ed era l’unico fra tutti che non era prigioniero, confinato là dentro..
Arrivava tutte le mattine prestissimo e se ne andava dopo la  cena non senza aver aiutato a rigovernare il refettorio.
Abitava in paese credo, o nelle vicinanze.
A lui spettava anche il compito di provvedere alla distribuzione dei pasti, cene e merende, coadiuvando le inservienti.
La colonia era un grande edificio squadrato, dalla tipica architettura del ventennio, bianchissimo, a tre piani con delle grandi tapparelle verdi. Sorgeva proprio vicinissima al mare, divisa dalla spiaggia da una piccola  strada semi sterrata.
La mia prima volta fu a fine anni '50, mia madre non sentiva ragione, era convinta che mandarmi a respirare l’aria del mare per 20 giorni all’anno risolvesse i miei problemi di linfatismo. Non potendomi portare al mare, agli inizi di giugno mi mandava in colonia grazie all'interessamento del sig. Cattaneo, l'inquilino dell'ultimo piano.
Ci sono andata per tre volte, sempre a giugno, tranne l'ultimo anno, il 1960 che invece andai a cavallo fra giugno e luglio...proprio mentre il governo Tambroni ammazzava la gente per strada a Reggio Emilia....l'eco di questo fatto arrivò anche in colonia...io allora non potevo certo capirne la portata, ma ricordo tutto il subbuglio di quei giorni...
Io però odiavo quella vita, non mi piacevano quelle “signorine”...
quasi sempre giovani ragazze che d’estate facevano le sorveglianti nelle colonie estive per guadagnare qualcosa pur non avendo nessun diploma o una specializzazione per l'infanzia, detestavo cordialmente i miei compagni di sventura, non mi ci pigliavo mai molto con loro, erano estranei con cui dovevo vivere per tre settimane e di solito, quando cominciavo a socializzare con qualcuno di essi, erano  finiti i giorni di colonia   e si tornava a casa....
andavo sempre molto malvolentieri in quel posto..
Non so se mi abbia mai giovato  il soggiorno marino in quell'ambiente, molto probabilmente sì, a qualcosa sarà anche servito ma per me quelli sono stati sempre giorni pesanti, sentiti come abbandoni, e ho vissuto quei periodi con molta tristezza per la lontananza da casa. Contavo i giorni che mi separavano dal ritorno, e non vedevo l'ora che finisse tutto per poter andare in Friuli, lì sarei stata al sicuro,  con mia nonna e  i miei amici friulani. Con loro stavo bene, ci divertivamo un sacco..
E’ per il tuo bene mi diceva mia madre, ma a me non importava un fico secco del “mio bene” a quel tempo. Non capivo perché dovessi stare via da casa per tre settimane, in una specie di campo di concentramento dove la tua presenza era testimoniata solo da un numero, quello cucito qualche giorno prima su tutto il corredo di biancheria che ti dovevi portare. Un elenco che veniva fornito al momento dell’accettazione della tua domanda di iscrizione ai turni estivi.
Si partiva tutti insieme dalla Centrale. Ricordo il brulicare di adulti e bambini attorno a quel lungo treno a vapore, noi su, col magone,  affacciati a grappoli ai finestrini, e i genitori giù che ci davano le ultime raccomandazioni.....il mio viaggio era sempre molto silenzioso, non avevo nessuna  voglia di parlare o di fare altro che guardare fuori dai vetri...
Rivedo il volto della direttrice, una specie di virago dai capelli nerissimi e cortissimi e la bocca dipinta di un colore rosso profondo, quasi bordeaux. Quella bocca così scura la impallidiva ancor più di quanto già non fosse.
Alta e grossa, incuteva paura. Si piazzava tutte le mattine ai piedi della scala da cui scendevamo dalle camerate e, come nelle decimazioni, uno ogni dieci, ci controllava capelli, collo e orecchie. Dovevano essere pulitissimi, altrimenti erano dolori.
Il problema era che l’acqua dei lavandini veniva chiusa 10 minuti dopo la sveglia. Se non ti fiondavi immediatamente nei bagni, col fischio che riuscivi a lavarti! Non so quante volte sono rimasta con la bocca piena di  dentifricio...
la disciplina era ferrea e le punizioni erano all’ordine del giorno,....se parlavi in camerata durante le ore del riposo, la signorina ti faceva uscire in corridoio e  ti faceva stare in ginocchio con le mani sulla testa per intere mezzore.
Se la sera a luci spente ridacchiavi con la tua vicina di letto, il giorno dopo avresti saltato la merenda.
Per non parlare di quelle bambine che avevano il problema della pipì notturna.
Sulla sponda del loro letto c’era sempre legato un cordoncino rosso. E già così lo trovavo umiliante. Tutta la camerata sapeva....
le sventurate venivano svegliate nel cuor della notte e portate in bagno dalla sorvegliante, e inevitabilmente ci si svegliava tutti anche noi non appena veniva accesa la luce.....

le camerate erano enormi stanzoni con una trentina di letti allineati lungo le pareti e all'entrata, vicino alla porta d'ingresso, nascosti da pesanti tende bianche che li isolavano completamente da noi,  c'erano il letto e l'armadietto della signorina.

mia madre, prima di partire mi faceva tagliare i capelli “da mare”, per evitare comprensibili problemi ma alcune bambine, anche più piccole di me, arrivavano invece con i capelli lunghi, che poi in colonia dovevano tenere obbligatoriamente legati o raccolti....lavarli era una impresa con l'acqua razionata, nessuno le aiutava per cui il più delle volte tornavano a casa con una capigliatura che stava in piedi da sola...

la giornata scorreva monotona, lunghissima, cadenzata da colazione, pranzo, merenda e cena intrammezzati da lunghe passeggiate, dal riposo in silenzio assoluto in camerata al pomeriggio e dalle cene molto parche subito dopo le quali c'era una breve ricreazione nel grande salone comune e poi il silenzio della notte...

dopo la colazione, che consisteva in una scodella di caffelatte acquoso e mezza fetta di pane, tutti in fila all'alzabandiera col cappellino bianco legato sotto la gola, il golfino in vita anche se c'erano 30 gradi, e poi via, a camminare nella pineta.
La spiaggia la vedevamo molto poco, un paio di volte la settimana e di bagni in mare non se ne parlava minimamente. Ne facevamo solo due in tutto il periodo, uno il giorno dopo l'arrivo e uno il giorno prima di ripartire, neanche il tempo di entrare a prendere confidenza con l'acqua che già trillavano i fischietti delle signorine e di Beppe per farci uscire.
Avevamo delle grandi, lunghe  tende bianche, rettangolari, stese parallelamente alla spiaggia e quando ci andavamo stavamo là sotto a giocare con la sabbia....giochi semplici che oggi farebbero sorridere..
ciapa il tram balurda.....ciapel ti che mi sun surda.... cantavamo passandoci lo zoccolo. Chi alla fine della filastrocca restava senza, pagava pegno...

Beppe era praticamente il factotum della colonia, alle dirette dipendenze della direttrice. Si occupava di tutto quello che era l'organizzazione del lavoro della cucina, della spiaggia, della spesa.......
Era lui che passava fra i tavoli in refettorio a distribuire il pranzo in piatti di alluminio, tutti ammaccati.
Un pranzo che consisteva sempre in maccheroni al pomodoro, perennemente stracotti, e sardine fritte accompagnate da radicchio in insalata, tagliato a pezzi  grossolani...qualche volta pomodori, ma molto raramente..
Alle 16 era sempre lui che ci aspettava alla porticina che portava in cortile con un mastello di zinco pieno di fette di pane ed una grande latta di marmellata, sempre e solo di albicocche, appoggiati su un tavolaccio. In fila indiana gli passavamo davanti e a ognuno di noi veniva data una fetta di pane a cui erano stati sporcati i bordi con la marmellata e di nuovo si tornava in pineta..
Ancora lui la sera, a mettere mestoli di minestra nei piatti....tutte le sere minestra di patate...
 

Dovevamo fargli pena a Beppe,....da padre di famiglia, almeno credo che lo fosse, sapeva quanta fame avevamo, vedeva quanto era scarso, contato il cibo....
quante, quante volte di soppiatto allungava un altra mestolata di pasta nei piatti! E quante volte, appena le inservienti non guardavano, ci spalmava ben bene il pane di marmellata! In quei momenti credo di avergli voluto bene....

La domenica invece era proprio giorno di festa. Lasagne a pranzo, carne arrosto con le patate al forno  e  surrogato di crema spalmabile tipo Nutella a merenda. E il pomeriggio niente pineta ma uno spettacolo di burattini...Soprattutto Fasulén, protagonista assoluto di tante avventure che finivano regolarmente a bastonate sulla testa....
aspettavamo la domenica come non so cosa, perché era l'unico giorno in cui il cibo abbondava ed era buono..

Il soggiorno in colonia terminava sempre o quasi con un saggio, preparato dalle signorine e dai bambini.
Sono sempre riuscita a schivarlo, ma l'ultimo anno non ce l'ho fatta e alla fine mi sono ritrovata davanti alla direttrice e tutto il parterre delle signorine, delle inservienti, del personale dell'infermeria, vestita di carta a quadretti verdi e blu, con un cappello alla cinese sulla testa, di quelli con la treccia attaccata dietro, foderato con la stessa carta del vestito, truccata appunto da cinese a cantare una canzone di Gino Paoli che in quell'anno andava per la maggiore... La Gatta.
mi sentivo come una scimmietta ammaestrata con gli occhi di tutti addosso,  avrei voluto sparire...e invece dovevo cantare...
Tutto fortunatamente è finito in pochi minuti, e il sollievo che ho provato è stato grande...

Ho ancora in mente l'immagine di Beppe, in piedi , appoggiato a un pilastro del portico che mi guarda un po' accigliato come il suo solito, ma stavolta  un angolo della bocca aveva una piega strana....sarà stato un mezzo sorriso?





C'era una volta una gatta
che aveva una macchia nera sul muso
e una vecchia soffitta vicino al mare
con una finestra a un passo dal cielo blu.


Cosa poi c'entrasse truccarmi  da cinese con la canzone di Gino Paoli ancora me lo chiedo...



Beppe, quante me ne avrai date di sardine fritte??
Troppe. Decisamente troppe.

Cambiamo stavolta...sgombri al posto delle sardine.





Penne lisce allo sgombro alloro e  rosmarino

penne lisce q.b. ( per noi due  ne ho fatte 180 gr)
2 sgombri freschissimi di media grandezza
una ventina di pomodorini datterini
4 spicchi d'aglio pelati
4 foglie di alloro
1 cucchiaio raso di rosmarino tritato finemente
mezzo bicchiere di vino bianco secco
olio e.v., sale, pepe macinato al momento
peperoncino a piacere




Sfilettare gli sgombri e con pazienza certosina e l'attrezzino apposito, togliere tutte le lische. Il risultato saranno 4 bei filetti di sgombro.
Tenerli da parte, meglio in frigorifero fino al momento di usarli.
Far bollire abbondante acqua per la pasta.
In una padella far scaldare 3 cucchiai d’olio con 2 spicchi d'aglio interi, mezzo cucchiaio di rosmarino, 2 foglie di alloro e un pizzico di peperoncino. Dopo pochi minuti, aggiungere i pomodorini salare e fare saltare a fuoco vivo, in modo che le bucce si cuociano e la polpa resti fresca. 
Buttare la pasta e mentre cuoce far scaldare in un’altra padella, più grande, altri 3 cucchiai d’olio con i 2 spicchi d’aglio restanti, le 2 foglie d’alloro, il resto del rosmarino e ancora un pizzico di peperoncino. Quando l'olio è ben caldo aggiungere il vino bianco, lasciare evaporare l'alcool, aggiungere i filetti di sgombro, salare, pepare e cuocere brevemente.  Una volta cotti, toglierne due che serviranno a completare il piatto.
Aggiungere i pomodori con il loro sugo agli sgombri rimasti in padella,   saltare tutto insieme per qualche minuto, quindi  togliere le foglie di alloro e gli spicchi d'aglio. A questo punto scolare la pasta e aggiungerla nella padella, saltare un attimo a fuoco vivo e mettere nei piatti.
Servire decorando ogni piatto con uno dei filetti cotti tenuti da parte spezzato a metà, un filo di olio crudo, una cimetta di rosmarino.












domenica 8 luglio 2012

insolite insalate

un modo alternativo di preparare la trippa, o meglio, il foiolo.
me l'ha insegnato la mia amica Agata, di Coquinaria, siciliana doc.
L'aveva portato a uno dei nostri  incontri coquinari  e mi aveva stupito perchè fino a quel momento non avevo mai pensato di fare la trippa in insalata, abituata come sono alle ricette di casa che la prevedono sempre e solo nella stagione fredda, magari cotta con molte varianti, ma sempre più o meno in umido.
Certo, deve piacere  la trippa. Io, come ho già avuto modo di dire, preferisco sempre il foiolo, perchè è bello sodo e "nervoso", non scivola.

Questo piatto poi  è anche bello da vedere, allegro e colorato, leggermente piccantino, che ci sta benissimo e può diventare uno di quei piatti "svuotadispensa" basta dare corso alla fantasia...
Per cui se già la trippa è nelle vostre abitudini culinarie, non esitate a provarlo così


Insalata di foiolo




1 kg abbondante di foiolo
2 carote
3  coste di sedano
1 grossa cipolla bionda
2 foglie di alloro
1 bicchiere di vino bianco
1 vasetto di olive taggiasche denocciolate, sott'olio
5 o 6 cetriolini sottaceto, di misura media
una manciata di capperi dissalati
pomodorini datterini q.b.
1 mazzetto di prezzemolo
2 spicchi d'aglio
pepe nero in grani
un paio di chiodi di garofano
qualche bacca di ginepro
peperoncino a sentimento
olio e.v. buono
aceto bianco
sale, pepe




In una capace pentola portare a ebollizione dell'acqua in cui aggiungere le carote, 1 costa di sedano, la cipolla steccata con i chiodi di garofano, le foglie di alloro, il sale, il pepe in grani e le bacche di ginepro e uno degli spicchi d'aglio. Quando l'acqua bolle allegramente, aggiungere il vino bianco e la trippa, possibilmente in uno o due  pezzi interi. Meglio tagliare dopo la cottura.
Coprire la pentola, abbassare il fuoco e cuocere finchè la trippa è morbida ma ancora un poco al dente, lo si capirà assaggiando di volta in volta, secondo il proprio gusto.

Scolarla, eliminare le verdure e lasciarla raffreddare completamente.

Nel frattempo tagliare a pezzetti i cetriolini sottaceto, a rondelle il sedano,  sgocciolare le olive dall'olio, tritare finemente il prezzemolo ben lavato e asciugato, insieme all'altro spicchio d'aglio, dissalare i capperi.
Tagliare a metà o a pezzetti piccoli i pomodori datterini. Riunire tutto in una capiente ciotola, unendo anche le olive ben sgocciolate.
A questo punto il foiolo sarà ormai freddo, perciò tagliarlo a listarelle e aggiungerlo man mano nella ciotola.
Condire il tutto con dell'olio di oliva di buona qualità, un goccio di aceto bianco e un pizzico di peperoncino. Qui regolatevi a sentimento, se vi piace piccante non lesinate...il peperoncino ci sta benissimo...
regolare di sale e pepe nero macinato al momento. Coprire con un po' di pellicola e lasciar riposare in frigo...
il risultato work in progress:




Meglio preparare il giorno prima, così ha tutto il tempo di prendere  i sapori... 





venerdì 6 luglio 2012

ancora un cheesecake

il cheesecake è uno di quei dolci che non mi stancano mai. Trovo che  d'estate abbiano una loro freschezza, anche se non sono proprio dietetici, mentre d'inverno hanno quella  rotonda cremosità tanto gratificante...
questo è  uno di quelli senza cottura, e con questo caldo è perfetto.
E' una vecchia ricetta che avevo trovato sull'unica rivista di cucina che compro Cioccolata&C.
l'ho un poco modificata, aggiungendo della panna che non era prevista ed aumentando la dose di caffè.
Provatelo



Cheesecake al caffè


3 tazzine da caffè di caffè ristretto
400 gr. Philadelphia
240 gr latte condensato
150 gr panna liquida fresca
10 gr gelatina in fogli
3 cucchiai liquore al caffè

per la base:
100 gr cioccolato fondente
30 gr burro
100 gr amaretti secchi





Mettere gli amaretti  in un sacchetto e schiacciarli riducendoli in briciole grossolane, non troppo fini.
Fondere il cioccolato con il burro in un pentolino a bagnomaria, unire gli amaretti pestati.
Foderare il fondo di uno stampo a cerniera da 20 cm con della carta forno,
versare il cioccoamaretto e con il dorso bagnato di un cucchiaio stendere bene in modo da formare il fondo, compattare bene e mettere in frigo a indurire.
Ammollare la gelatina in acqua fredda.
nel frattempo preparare la crema, mescolare bene il formaggio, il latte condensato. Aggiungere anche il caffè ormai tiepido.
Una volta pronta la gelatina scaldare il liquore e farcela sciogliere dentro, aggiungere al composto di formaggio e latte condensato.
Ho usato il Kenwood, prima per mescolare il tutto, e poi ho aggiunto la gelatina intiepidita versandola mentre la frusta girava, in modo che non si rapprendesse al contatto con la crema fredda.
Montare la panna, ma non completamente.
Aggiungerla al composto mescolando bene finchè tutto è completamente omogeneo.
Riprendere lo stampo dal frigo, versarci dentro la crema, sbattere leggermente perchè si assesti e lisciare la superficie, sempre col dorso del cucchiaio inumidito.
Rimettere in frigo.
Togliere un po' prima di servire altrimenti il cioccolato del fondo resta troppo duro ed è difficoltoso da tagliare per porzionare correttamente.
Decorare la superficie a piacere. Io ho usato chicchi di caffè ricoperti di cioccolato e una spolverata di cacao questa volta,   ma   ci stanno  bene ghirigori di   cioccolato fuso fatto scendere da una sac à poche, e tutto quello che suggerisce la fantasia...