Per noi era “il bagnino”, ma non so
se fosse davvero il suo lavoro.
Beppe era un uomo di circa 50 anni, o
perlomeno così mi sembrava perché a 10 anni non hai la vera percezione dell'età degli adulti, magari li dimostrava e basta coi suoi capelli pepe e sale, il suo
viso largo e aperto cotto dal sole, la sua fronte perennemente corrugata e la sua
espressione quasi arcigna, non ricordo di averlo mai visto
sorridere o quasi ..
Lui era, insieme al medico, l’unico
uomo che lavorava all’interno della colonia marina della Associazione
Combattenti e Reduci a San Mauro Pascoli, in Romagna, ed era l’unico
fra tutti che non era prigioniero, confinato là dentro..
Arrivava tutte le mattine prestissimo e
se ne andava dopo la cena non senza aver aiutato a rigovernare il
refettorio.
Abitava in paese credo, o nelle
vicinanze.
A lui spettava anche il compito di
provvedere alla distribuzione dei pasti, cene e merende, coadiuvando
le inservienti.
La colonia era un grande edificio
squadrato, dalla tipica architettura del ventennio, bianchissimo, a
tre piani con delle grandi tapparelle verdi. Sorgeva proprio
vicinissima al mare, divisa dalla spiaggia da una piccola strada semi
sterrata.
La mia prima volta fu a fine anni '50,
mia madre non sentiva ragione, era convinta che mandarmi a
respirare l’aria del mare per 20 giorni all’anno risolvesse i
miei problemi di linfatismo. Non potendomi portare al mare, agli
inizi di giugno mi mandava in colonia grazie all'interessamento del
sig. Cattaneo, l'inquilino dell'ultimo piano.
Ci sono andata per tre volte, sempre a
giugno, tranne l'ultimo anno, il 1960 che invece andai a cavallo fra
giugno e luglio...proprio mentre il governo Tambroni ammazzava la
gente per strada a Reggio Emilia....l'eco di questo fatto arrivò
anche in colonia...io allora non potevo certo capirne la portata, ma
ricordo tutto il subbuglio di quei giorni...
Io però odiavo quella vita, non mi
piacevano quelle “signorine”...
quasi sempre giovani ragazze che
d’estate facevano le sorveglianti nelle colonie estive per
guadagnare qualcosa pur non avendo nessun diploma o una
specializzazione per l'infanzia, detestavo cordialmente i miei compagni
di sventura, non mi ci pigliavo mai molto con loro, erano estranei con cui dovevo vivere per tre settimane e di solito, quando cominciavo a socializzare con qualcuno di essi, erano finiti i giorni di colonia e si tornava a casa....
andavo sempre molto malvolentieri in quel posto..
Non so se mi abbia mai giovato il
soggiorno marino in quell'ambiente, molto probabilmente sì, a qualcosa
sarà anche servito ma per me quelli sono stati sempre giorni
pesanti, sentiti come abbandoni, e ho vissuto quei periodi con
molta tristezza per la lontananza da casa. Contavo i giorni che mi
separavano dal ritorno, e non vedevo l'ora che finisse tutto per
poter andare in Friuli, lì sarei stata al sicuro, con mia
nonna e i miei amici friulani. Con loro stavo bene, ci divertivamo un sacco..
E’ per il tuo bene mi diceva mia
madre, ma a me non importava un fico secco del “mio bene” a quel
tempo. Non capivo perché dovessi stare via da casa per tre
settimane, in una specie di campo di concentramento dove la tua
presenza era testimoniata solo da un numero, quello cucito qualche
giorno prima su tutto il corredo di biancheria che ti dovevi portare.
Un elenco che veniva fornito al momento dell’accettazione della
tua domanda di iscrizione ai turni estivi.
Si partiva tutti insieme dalla
Centrale. Ricordo il brulicare di adulti e bambini attorno a quel
lungo treno a vapore, noi su, col magone, affacciati a grappoli ai finestrini, e
i genitori giù che ci davano le ultime raccomandazioni.....il mio
viaggio era sempre molto silenzioso, non avevo nessuna voglia
di parlare o di fare altro che guardare fuori dai vetri...
Rivedo il volto della direttrice, una
specie di virago dai capelli nerissimi e cortissimi e la bocca
dipinta di un colore rosso profondo, quasi bordeaux. Quella bocca
così scura la impallidiva ancor più di quanto già non fosse.
Alta e grossa, incuteva paura. Si
piazzava tutte le mattine ai piedi della scala da cui scendevamo
dalle camerate e, come nelle decimazioni, uno ogni dieci, ci controllava capelli, collo e orecchie.
Dovevano essere pulitissimi, altrimenti erano dolori.
Il problema era che l’acqua dei
lavandini veniva chiusa 10 minuti dopo la sveglia. Se non ti fiondavi
immediatamente nei bagni, col fischio che riuscivi a lavarti! Non so
quante volte sono rimasta con la bocca piena di dentifricio...
la disciplina era ferrea e le punizioni erano all’ordine del
giorno,....se parlavi in camerata durante le ore del riposo, la
signorina ti faceva uscire in corridoio e ti faceva stare in ginocchio con le
mani sulla testa per intere mezzore.
Se la sera a luci spente ridacchiavi
con la tua vicina di letto, il giorno dopo avresti saltato la
merenda.
Per non parlare di quelle bambine che
avevano il problema della pipì notturna.
Sulla sponda del loro letto c’era
sempre legato un cordoncino rosso. E già così lo trovavo umiliante.
Tutta la camerata sapeva....
le sventurate venivano svegliate nel
cuor della notte e portate in bagno dalla sorvegliante, e
inevitabilmente ci si svegliava tutti anche noi non appena veniva
accesa la luce.....
le camerate erano enormi stanzoni con
una trentina di letti allineati lungo le pareti e all'entrata,
vicino alla porta d'ingresso, nascosti da pesanti tende bianche che
li isolavano completamente da noi, c'erano il letto e l'armadietto
della signorina.
mia madre, prima di partire mi faceva
tagliare i capelli “da mare”, per evitare comprensibili problemi
ma alcune bambine, anche più piccole di me, arrivavano invece con
i capelli lunghi, che poi in colonia dovevano tenere
obbligatoriamente legati o raccolti....lavarli era una impresa con
l'acqua razionata, nessuno le aiutava per cui il più delle volte
tornavano a casa con una capigliatura che stava in piedi da sola...
la giornata scorreva monotona,
lunghissima, cadenzata da colazione, pranzo, merenda e cena
intrammezzati da lunghe passeggiate, dal riposo in silenzio assoluto
in camerata al pomeriggio e dalle cene molto parche subito dopo le
quali c'era una breve ricreazione nel grande salone comune e poi il
silenzio della notte...
dopo la colazione, che consisteva in
una scodella di caffelatte acquoso e mezza fetta di pane, tutti in
fila all'alzabandiera col cappellino bianco legato sotto la gola, il
golfino in vita anche se c'erano 30 gradi, e poi via, a camminare
nella pineta.
La spiaggia la vedevamo molto poco, un
paio di volte la settimana e di bagni in mare non se ne parlava
minimamente. Ne facevamo solo due in tutto il periodo, uno il giorno
dopo l'arrivo e uno il giorno prima di ripartire, neanche il tempo
di entrare a prendere confidenza con l'acqua che già trillavano i
fischietti delle signorine e di Beppe per farci uscire.
Avevamo delle grandi, lunghe tende bianche,
rettangolari, stese parallelamente alla spiaggia e quando ci
andavamo stavamo là sotto a giocare con la sabbia....giochi semplici
che oggi farebbero sorridere..
ciapa il tram balurda.....ciapel ti che
mi sun surda.... cantavamo passandoci lo zoccolo. Chi alla fine
della filastrocca restava senza, pagava pegno...
Beppe era praticamente il factotum
della colonia, alle dirette dipendenze della direttrice. Si occupava
di tutto quello che era l'organizzazione del lavoro della cucina,
della spiaggia, della spesa.......
Era lui che passava fra i tavoli in
refettorio a distribuire il pranzo in piatti di alluminio, tutti
ammaccati.
Un pranzo che consisteva sempre in
maccheroni al pomodoro, perennemente stracotti, e sardine fritte
accompagnate da radicchio in insalata, tagliato a pezzi grossolani...qualche volta pomodori, ma molto raramente..
Alle 16 era sempre lui che ci aspettava
alla porticina che portava in cortile con un mastello di zinco pieno
di fette di pane ed una grande latta di marmellata, sempre e solo
di albicocche, appoggiati su un tavolaccio. In fila indiana gli
passavamo davanti e a ognuno di noi veniva data una fetta di pane a
cui erano stati sporcati i bordi con la marmellata e di nuovo si
tornava in pineta..
Ancora lui la sera, a mettere mestoli
di minestra nei piatti....tutte le sere minestra di patate...
Dovevamo fargli pena a Beppe,....da
padre di famiglia, almeno credo che lo fosse, sapeva quanta fame
avevamo, vedeva quanto era scarso, contato il cibo....
quante, quante volte di soppiatto
allungava un altra mestolata di pasta nei piatti! E quante volte,
appena le inservienti non guardavano, ci spalmava ben bene il pane di
marmellata! In quei momenti credo di avergli voluto bene....
La domenica invece era proprio giorno
di festa. Lasagne a pranzo, carne arrosto con le patate al forno e surrogato di crema spalmabile tipo
Nutella a merenda. E il pomeriggio niente pineta ma uno spettacolo
di burattini...Soprattutto Fasulén, protagonista assoluto di tante
avventure che finivano regolarmente a bastonate sulla testa....
aspettavamo la domenica come non so
cosa, perché era l'unico giorno in cui il cibo abbondava ed era
buono..
Il soggiorno in colonia terminava
sempre o quasi con un saggio, preparato dalle signorine e dai
bambini.
Sono sempre riuscita a schivarlo, ma
l'ultimo anno non ce l'ho fatta e alla fine mi sono ritrovata
davanti alla direttrice e tutto il parterre delle signorine, delle
inservienti, del personale dell'infermeria, vestita di carta a quadretti verdi e
blu, con un cappello alla cinese sulla testa, di quelli con la
treccia attaccata dietro, foderato con la stessa carta del
vestito, truccata appunto da cinese a cantare una canzone di Gino
Paoli che in quell'anno andava per la maggiore... La Gatta.
mi sentivo come una scimmietta ammaestrata con gli occhi di tutti addosso,
avrei voluto sparire...e invece dovevo cantare...
Tutto fortunatamente è finito in
pochi minuti, e il sollievo che ho provato è stato grande...
Ho ancora in mente l'immagine di Beppe,
in piedi , appoggiato a un pilastro del portico che mi guarda un po'
accigliato come il suo solito, ma stavolta un angolo della bocca aveva una piega strana....sarà stato un mezzo sorriso?
C'era una volta una gatta
che aveva
una macchia nera sul muso
e una vecchia soffitta vicino al mare
con una finestra a un passo dal cielo blu.
Cosa poi c'entrasse truccarmi da cinese con la canzone di Gino Paoli ancora me lo chiedo...
Beppe, quante me ne avrai date di
sardine fritte??
Troppe. Decisamente troppe.
Cambiamo stavolta...sgombri al posto delle sardine.
Penne lisce allo sgombro alloro e rosmarino
penne lisce q.b. ( per noi due ne ho fatte 180 gr)
2 sgombri freschissimi di media grandezza
una ventina di pomodorini datterini
4 spicchi d'aglio pelati
4 foglie di alloro
1 cucchiaio raso di rosmarino tritato finemente
mezzo bicchiere di vino bianco secco
olio e.v., sale, pepe macinato al momento
peperoncino a piacere
Sfilettare gli
sgombri e con pazienza certosina e l'attrezzino apposito, togliere tutte le lische. Il risultato saranno 4 bei filetti di sgombro.
Tenerli da parte, meglio in frigorifero fino al momento di usarli.
Far bollire abbondante acqua per la pasta.
In una
padella far scaldare 3 cucchiai d’olio con 2 spicchi d'aglio interi, mezzo
cucchiaio di rosmarino, 2 foglie di alloro e un pizzico di
peperoncino. Dopo pochi minuti, aggiungere i pomodorini salare e fare
saltare a fuoco vivo, in modo che le bucce si cuociano e la polpa
resti fresca.
Buttare la pasta e mentre cuoce far scaldare in
un’altra padella, più grande, altri 3 cucchiai d’olio con i 2
spicchi d’aglio restanti, le 2 foglie d’alloro, il resto del
rosmarino e ancora un pizzico di peperoncino. Quando l'olio è ben
caldo aggiungere il vino bianco, lasciare evaporare l'alcool,
aggiungere i filetti di sgombro, salare, pepare e cuocere brevemente. Una volta cotti, toglierne due che serviranno a completare il piatto.
Aggiungere i pomodori con il loro sugo agli sgombri rimasti in padella, saltare tutto insieme per qualche minuto, quindi togliere le foglie di alloro e gli spicchi d'aglio. A questo punto scolare la pasta e aggiungerla nella padella, saltare un attimo a fuoco vivo e mettere nei piatti.
Servire
decorando ogni piatto con uno dei filetti cotti tenuti da parte spezzato a metà, un filo di olio crudo, una cimetta di
rosmarino.