lunedì 21 marzo 2016

Tradizioni

oggi vi parlo di una tradizione nota solamente a chi vive o frequenta abitualmente la zona di Como.
La Resta.
E' un pane dolce che si prepara per la domenica delle Palme, e  ha origini antiche. Le storie che la riguardano sono molte, tutte diverse, nate nel corso del tempo.
C'è chi crede che sia nata per un errore di lievitazione per cui l'impasto gonfiò a dismisura  e per evitare che debordasse dalla teglia, il pasticcere prese un bastoncino di ulivo da una fascina di legna usata per alimentare il forno,  e lo schiacciò sulla parte superiore dell'impasto fino a che il legno fu completamente conglobato all'interno.
C'è chi invece sostiene che la specificità simbolica del dolce, il ramoscello d'ulivo e l'incisione di una spiga, o lisca (resta) nella pasta, siano entrambi simboli associati,  nelle culture tradizonali,  ai miti lunari della rinascita primaverile.
Oppure la Resta si chiama così semplicemente perchè alla fine, una volta consumata,  resta  soltanto il bastoncino di ulivo.
Non mi ero mai cimentata con questo dolce, mi ha sempre incuriosito ma ad ogni Pasqua me ne ricordavo troppo tardi, quest'anno invece sono riuscita ad essere in tempo.


la Resta

per il lievitino:
18 gr lievito di birra fresco
75 gr acqua tiepida
75 gr farina

per l'impasto:
350 gr farina 00
120 gr zucchero
3 uova grandi
1 cucchiaio abbondante di miele
150 gr burro morbido
la scorza di un limone non trattato
1 pizzico di sale
80 gr uvetta sultanina
80 gr arancia candita a pezzetti
2 cucchiai di rhum


la resta:
1 rametto di ulivo privato delle foglie, lavato e asciugato.

preparate il lievitino.
Intiepidite l'acqua, mettetela direttamente nella ciotola dell'impastatrice,  poi sbriciolatevi dentro il lievito di birra  e fatelo sciogliere completamente. Unite la farina e mescolate in modo che non ci siano grumi, ottenendo un impasto morbido. Coprite e lasciatelo lievitare per circa mezz'ora, o fino a quando è bello gonfio. Io l'ho messo in forno, spento, ma con la luce accesa.
Nel frattempo mettete a bagno l'uvetta in acqua tiepida mescolata a due cucchiai di rhum.
Una volta pronto il lievitino, unite la farina, lo zucchero,  la scorza del limone grattugiata, e cominciate a mescolare con la frusta a gancio, a bassa velocità, aggiungete le uova una alla volta mentre la frusta è in azione, quindi il burro morbido poco alla volta, alla fine il pizzico di sale. Lasciate lavorare la frusta fino ad avere un impasto molto liscio. Sarà parecchio morbido e appiccicoso. Se vi sembra troppo morbido, aggiungete un poco di farina, senza esagerare.
Spegnete l'impastatrice , coprite la ciotola con la pellicola e lasciate sempre in forno con la lampadina accesa fino a che sarà lievitato fino a raddoppiare. Ci vorrà più di un'ora.
A questo punto riprendete l'impasto, infarinate leggermente il piano di lavoro e lavoratelo un poco con le mani, allargatelo leggermente e aggiungete un po' per volta, mentre lo lavorate, uvetta ben scolata e asciugata e i canditi all'arancia. Lavorate ancora abbastanza a lungo da incorporare uvetta e canditi.
Alla fine formate una pagnottella dalla forma ovoidale e posatela su una teglia rivestita di carta forno.
Prendete il rametto di ulivo e infilatelo nell'impasto.


 Quindi fate la terza lievitazione. Lasciate lievitare il tutto ancora per un'ora circa, fino al raddoppio o quasi.
Poi cuocete in forno statico a 180° per 45/50 minuti. Trascorso il tempo, provate a fare la prova stecchino, se esce asciutto, spegnete il forno e lasciate la Resta al calduccio in forno fino al raffreddamento.



buona, una specie di panbrioche con uvetta e canditi. Ottima per la colazione, oppure da "pucciare" nel Vinsanto. A me piace anche mangiata nature...

Non ho inciso la pasta col disegno della spiga, avevo paura che sgonfiasse e che alla fine non si vedesse comunque dopo la cottura. Ci proverò la prossima volta.






La Resta si chiama così in quanto finito di mangiare il dolce, resta il bastoncino di ulivo, da qui il nome del dolce.
- See more at: http://www.lagodicomo.com/italian/tavola.php#sthash.OmjvnE44.dpuf
La Resta si chiama così in quanto finito di mangiare il dolce, resta il bastoncino di ulivo, da qui il nome del dolce.
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lunedì 14 marzo 2016

memorie e baccalà

Marianna viveva sola, in una casetta bianca e rossa, in fondo al paese. Tutta la sua famiglia consisteva in un lontano cugino che risiedeva altrove, credo nel bellunese.
Non so a che punto della vita fosse rimasta sola, da che ho memoria la ricordo così.
Credo si mantenesse con una esigua pensione Coldiretti, con gli animali del cortile, con le verdure che coltivava nell'orto dietro casa . Anche un po' con l'aiuto dei compaesani che ogni tanto le portavano un pezzo di formaggio, un salame, o patate o frutta di stagione e con qualche lavoretto di cucito o di lavanderia per i militari. Ogni giorno infatti, verso sera, percorreva a piedi tutta la strada principale del paese fino ad arrivare alle caserme. C'era sempre qualcuno, graduato o no, che poteva permettersi di farsi lavare e stirare le camicie. Ormai la conoscevano bene anche in caserma; aveva ormai dei clienti fissi che rimanevano tali per tutta la ferma. Aspettava fuori, seduta su un paracarro della strada, la libera uscita del cliente di turno, prendeva in consegna la roba da lavare e stirare e poi rifaceva la strada a ritroso, un paio di km circa all'andata e altrettanti al ritorno.....
Passava davanti a casa nostra e non c'erano santi che le impedissero di entrare ogni sera. Mia nonna la accoglieva con un sorriso e con un abbraccio. Il dialogo che iniziava fra loro in quel momento era come una pantomima, qualcosa di surreale anche per me che allora non arrivavo a 10 anni.
Parlavano, se così si può dire, a gesti e a versi, perché Marianna era muta.
Fortunatamente, per non so quale motivo, non era sorda.
Si esprimeva con la mimica, con qualche sforzo vocale indefinito, con gli occhi e con le mani.
Ossuta e segaligna, aveva un viso dolcissimo e grandi occhi da cerbiatto, quasi a compensare quella sua statura allampanata e quella sua magrezza che la facevano sembrare un fenicottero curvo e che mi colpivano molto.
Assistere a quei dialoghi fatti di gesti, di smorfie, di suoni indistinti era strano, molto strano, ma confesso che ne ero sempre incuriosita. E mi chiedevo come facessero a capirsi,  ma  si capivano, in tutto.
Mia nonna le voleva molto bene, credo avessero più o meno la stessa età ed erano cresciute insieme. Due percorsi diversi, vite diversamente difficili e paradossalmente uguali nell'affrontare le  grandi difficoltà, nello stesso piccolo paese dove ci si conosceva tutti e ci si aiutava, dove solidarietà ed empatia non erano solo parole, soprattutto in quei tempi lontani.
A volte mia nonna la tratteneva per cena, e allora lei si sedeva vicino al fogolar, al camino posto nel centro della stanza, come in tutte le vecchie case friulane, lo sguardo fisso sul fuoco che crepitava, persa nel suo silenzio, aspettando che il cibo fosse pronto.
Io la osservavo da dietro la mia sedia vicino al tavolo, il fuoco riverberava sul suo volto, sui suoi corti capelli ondulati pepe e sale, tenuti all'indietro da una specie di cerchietto in grosgrain nero e da piccoli pettini di osso ai lati delle orecchie. Osservavo le sue mani che stropicciavano nervosamente il grembiule di cotonina grigia a fiorellini bianchi che immancabilmente indossava sopra un vestito alquanto liso e consunto. Come per tutte le donne friulane del resto, a quel tempo, il grembiule e il fazzolettone annodato in testa erano una consuetudine quasi obbligatoria.
Mani lunghe e affusolate, mani gentili e delicate, curate, punteggiate dalle macchie dell'età, molto diverse da quelle di mia nonna, grandi e callose, rovinate dal lavoro nei campi e dalle tante fatiche.
Eppure anche lei lavorava l'orto, faceva lavori faticosi, andava a lavare al fiume....ma le sue mani non erano rovinate come quelle di mia nonna. Un dettaglio che mi è rimasto sempre impresso.
Non stavano ferme quelle mani, andavano dalle tasche del grembiule fino all'orlo, ai bottoni del vestito, e passavano e ripassavano sopra i capelli mentre era assorta ad osservare il guizzare delle fiamme nel centro del fogolar.
Poi a un certo punto alzava lo sguardo dal fuoco e mi sorrideva. Quel sorriso le illuminava il volto e lo sguardo si riempiva di tenerezza. Allora mi faceva cenno di andare vicino a lei e quando lo facevo mi avvolgeva  in un abbraccio e mi accarezzava i capelli, le guance, e si sforzava di dire qualcosa senza riuscirci ovviamente, emetteva solo suoni incomprensibili. Ma la capivo lo stesso, e mi abbandonavo alla tenerezza del suo abbraccio affondando il viso sulla sua spalla . Respiravo il suo profumo di pulito, di borotalco.
Andava pazza per il baccalà.
Quello che in Friuli si chiama baccalà è invece lo stoccafisso, che va battuto e ammorbidito, messo a bagno per giorni. Il rito del baccalà ora, nella mia famiglia, si compie solamente la vigilia di Natale, ma un tempo compariva molto più spesso sulla tavola. Costava molto anche allora, ma rendeva parecchio, e con la polenta poteva sfamare parecchie persone per un paio di giorni.
Così ogni tanto mia nonna lo preparava in umido alla sua maniera, e quando lo faceva era naturale che Marianna sedesse a tavola con noi.
Era felice come una bimba, guardava mia nonna versarlo a mestolate nei piatti, aspettando il suo turno con evidente bramosia. Una bella fetta di polenta bianca e lei non alzava più la testa dal piatto finché non era vuoto.
Io invece non l'ho mai amato tantissimo e regolarmente ne avanzavo un poco. Lei mi guardava e mi interrogava con gli occhi.....allora le passavo il mio piatto da finire cercando di non farmi vedere da nonna. Che invece regolarmente si accorgeva, ma faceva finta di non vedere quello scambio di piatti.
Dopo cena si fermava un poco vicino al fuoco con mia nonna. Percepivo la loro complicità, pur nel silenzio rotto dal crepitìo della legna che bruciava. Un silenzio diverso dalla quiete, un silenzio che comunque riempiva la stanza del palpabile affetto che le legava.
L'ho capito molto dopo, da adulta,  quando Marianna se ne andò. La trovarono in casa, esanime, una mattina di dicembre di molti anni fa.
La ricordo con quel suo profumo di borotalco, con quelle sue mani gentili, con quei suoi abbracci colmi di tenerezza, con quei suoi occhi da cerbiatta che riuscivano a darle le parole  che non ha mai avuto.
Quando torno in Friuli, ogni volta che passo davanti a quella che era la sua casa, mi sembra di vederla lì, seduta sulla panchina di pietra davanti alla porta, il grembiule di cotonina a fiori ripiegato ad angolo sul vestito e il cerchietto di grosgrain nero. E' solo un attimo, ma è sufficiente a farmi venire un nodo in gola. Marianna era una di quelle persone che hanno accompagnato la mia infanzia, lasciando ricordi indelebili.

Cucino poco il baccalà, o lo stocco, ma quando lo faccio fatico a non pensare a lei, al suo sguardo mentre osserva mia nonna fare le porzioni, aspettando con desiderio di affondare la polenta nell'intingolo.
Temo che la ricetta che ho fatto io non sarebbe stata tanto di suo gusto , ma gliela dedico lo stesso. Chissà..




Bignole di baccalà e marmellata di cipolle rosse


2 tranci di baccalà già ammollato, circa 400 gr
mezzo bicchiere di vino bianco
200 gr farina
200 gr acqua
8/10 gr lievito di birra
poco sale
olio per friggere 
io ho usato olio di arachidi.


mettete a bagno i tranci di baccalà in abbondante acqua, lasciateli al fresco per un altro giorno cambiando l'acqua un paio di volte..
Sono già ammollati, ma meglio non fidarsi del tutto ed eliminare il rischio che non siano stati dissalati a sufficienza.
Quando sono pronti, eliminate la pelle ed eventuali spine, scottateli qualche minuto in acqua bollente profumata col mezzo bicchiere di vino bianco. Scolate e lasciate raffreddare. Dopodichè sminuzzate grossolanamente  il baccalà e tenete da parte.
In una ciotola mettete i 200 gr di acqua tiepida, scioglieteci il lievito di birra, quindi unite la farina mescolando con la frusta per non fare grumi. Dovrete ottenere una pastella densa ma fluida.
Salate leggermente  e aggiungete il baccalà sminuzzato.  Mescolate di nuovo in modo che il tutto sia perfettamente omogeneo, quindi coprite la ciotola con la pellicola  e mettete in frigorifero per 3 o 4 ore a lievitare.
Trascorso il tempo, scadate l'olio in una padella non troppo grande, in modo che l'olio sia profondo.
Prelevate il baccalà a cucchiaiate e friggetelo da tutti i lati fino a che è dorato e croccante.
Scolate man mano che friggete  le bignole su carta da cucina o carta paglia in modo da eliminare il più possibile eventuale olio in eccesso.
Servite caldissimo  accompagnato dalla marmellata di cipolle rosse.
Una cosa, questa, che ho imparato dallo chef della Cuccagna, il mio ristorante preferito. Ci sta benissimo col baccalò cotto in questo modo.

Ovviamente la marmellata di cipolle rosse è una conserva che faccio d'estate  quando è piena stagione  di cipolle di Tropea.  La ricetta è questa:

1 kg cipolle rosse di Tropea
600 gr zucchero
1 bicchiere d'aceto rosso
2o 3  foglie di alloro
1 cucchiaino di bacche di ginepro
1 cucchiaino di grani di pepe nero
sale

in una capace pentola affettate sottilmente le cipolle mondate, lavate e asciugate,  con la mandolina in modo che lo spessore sia uniforme. Aggiungete lo zucchero, l'aceto, le bacche e le foglie di alloro, il sale.
Mescolate tutto e lasciate macerare il tutto per 3 o 4 ore, coperto.
Portate sul fuoco e fate cuocere la marmellata per 20/25 minuti. Lasciatela un po' liquida, col tempo le cipolle riassorbiranno parte del liquido addensando la marmellata che comunque si manterrà sempre morbida.
Invasate a caldo in vasetti sterilizzati.
Io, visto che ne regalo molta, preferisco sterilizzare tutto a caldo. Non ce ne sarebbe bisogno, visto la presenza dell'aceto e la dose dello zucchero, ma mi fa stare più tranquilla. Quindi metto i barattoli in una capace pentola, li copro completamente, li sommergo di acqua tiepida e porto a bollore, lascio bollire circa 25 minuti, poi spengo il fuoco e lascio il tutto a raffreddare nella pentola. Di solito è un lavoro che faccio la sera, quindi la mattina riprendo i vasetti, controllo nuovamente i coperchi dei barattoli, asciugo bene tutto e ripongo in cantina al fresco.  Un mesetto di riposo ed è più buona. Perfetta per i formaggi, per certe terrine, con la cacciagione e con il maiale.














sabato 12 marzo 2016

sistemando la dispensa

mi sono resa conto di avere molte cose aperte, pacchetti non finiti di farine varie, frutta secca e altro, e siccome ho il terrore di essere invasa da farfalle dopo che ho passato una estate un paio d'anni fa a  bonificare i mobili e la cucina, dovrò pensare a come usarle tutte prima che arrivi il caldo.
Di solito metto in congelatore le farine e per i pacchi ancora intonsi, soprattutto di farina da polenta bianca che ho comprato in Friuli e a cui tengo molto,  lo farò.  Ma per le farine avanzate bisogna che mi dia da fare.
E visto che la stagione ancora mi sostiene dato che è tornato il freddo, stavolta è toccato a  un fondo di farina di castagne, giusto la quantità per una cosa che mi girava in testa da un po', così ho approfittato   per finire anche un pezzo di  formaggio Salva cremasco che stava invecchiando in frigorifero.


Gnocchi di patate e castagne, speck, fonduta di Salva cremasco e mirtilli

per 3 persone

1 kg patate a pasta bianca  (pesate con la buccia)
150 gr farina
100 gr farina di castagne
1 uovo
sale


100 gr speck
un goccio d'olio
1 rametto di rosmarino
un poco di vino bianco


150 gr formaggio Salva cremasco
1 cucchiaio di parmigiano reggiano
latte q.b.

mirtilli per accompagnare


spelate le patate, tagliatele a grossi tocchi e cuocetele a vapore. A volte, per fare prima, le cuocio così, nel cestello a vapore della pentola a pressione,  restano  asciutte e  le posso lavorare subito.
Mentre le patate cuociono, in una  piccola padella antiaderente scaldate un filo d'olio, aggiungete lo speck tagliato a dadini, a fettine, come vi piace, unite un rametto di rosmarino e quando lo speck inizia a dorarsi, sfumatelo con un poco di vino bianco. Lasciate restringere l'intingolo, eliminate il rosmarino ed eventuali aghi sparsi e  tenete in caldo.
Tagliate il Salva a piccoli pezzi, metteteli in un pentolino, copriteli a filo con del latte intero e mettete su fuoco dolce, quando inizia a scaldarsi, iniziate a mescolare e fatelo fino a che il formaggio non è completamente sciolto. Aggiungete un cucchiaio abbondante di parmigiano.  Mescolate bene per amalgamare tutto. Dovrete ottenere una crema densa e liscia, al liminte, se vi sembra troppo densa, aggiungete un goccio di latte, fatelo mentre è sul fuoco e poco alla volta, fino ad avere la consistenza desiderata.

Quando le patate saranno cotte, schiacciatele sulla spianatoia e lasciate evaporare un paio di minuti, poi fate una fontana e aggiungete l'uovo, sbattetelo con la forchetta e unite anche le farina, impastate velocemente e formate una palla liscia e omogenea.
Procedete come sempre per dei normali gnocchi, fate i rotolini e tagliateli a pezzi, rigateli se vi va. Io non lo faccio,  per abitudine. Spolverateli di farina.
Cuocete gli gnocchi pochi alla volta, una porzione ogni volta.
Quando tornano a galla, prelevateli con una schiumarola.
Fate un letto di fonduta nel piatto, appoggiatevi gli gnocchi,  aggiungete una cucchiaiata di speck con un poco del suo fondo e colorate il piatto con i mirtilli.

E' un piatto sostanzioso, che può essere anche un piatto unico.

Inutile dire che li abbiamo spazzolati. Erano buonissimi! Lo speck e l'acidità dei mirtilli smorzano il dolce della castagna, in una armonia di sapori che mi ha veramente soddisfatto.



lunedì 7 marzo 2016

La domenica e il dessert

ormai l'ho detto e ridetto molte volte, la domenica un dolce non deve, non può mancare sulla mia tavola. E' una tradizione consolidata da molti anni, diciamo da quando le mie figlie erano piccole. Non è domenica se non c'è qualcosa di dolce a fine pasto.
Nel cassetto delle ricette da fare ce ne sono alcune che già da un po' ho intenzione di provare, mi girano in testa da tempo, ma non sempre le idee corrispondono con la voglia di fare, o con il tempo e la calma che mi ci vogliono per realizzarle. 
Ieri sono stata indecisa fino all'ultimo su un paio di idee, ma  mi sono talmente impigrita e attardata a fare altro che ad un certo punto, guardando l'orologio, mi sono resa conto  che non c'era più tempo a sufficienza per nessuna delle cose che avevo in mente.
Solo che la tradizione va rispettata.
E allora mi sono ricordata una foto incrociata non so più dove,  ricordo solo di essermi annotata mentalmente il fatto che fosse qualcosa  che si poteva realizzare velocemente,  perfetto per quando hai poco tempo, o un ospite inaspettato, o poca voglia di spignattare.
Ho controllato di avere l'occorrente,  c'era tutto, e allora ho calibrato le dosi  e in poco tempo, intanto che il brasato finiva di cuocere,  le crêpes erano pronte e aspettavano solo di essere farcite.

Veloce ma molto, molto goloso!


Foresta nera sciué sciué

 per 8/10 crêpes

per le crêpes:
300 gr latte intero
25 gr cacao amaro
140 gr farina
2 uova grandi
1 cucchiaio abbondante zucchero a velo
1 cucchiaino estratto di vaniglia

per la ganache:
150 gr cioccolato fondente
150 gr panna liquida fresca
1 cucchiaio Kirsch

per completare:
amarene sciroppate q.b.
250 gr panna liquida
1 cucchiaio abbondante zucchero a velo
poco cacao amaro


In una ciotola sbattete le uova, aggiungete il latte, l'estratto di vaniglia e lo zuccehero, mescolate bene il tutto e unite la farina mescolata al cacao, facendola scendere man mano  da un setaccino.
Mescolate il tutto con la frusta finchè avrete ottenuto una pastella densa e liscia.  Coprite la ciotola e lasciatela riposare in frigorifero per una mezz'ora.
Nel frattempo  preparate la ganache.  Spezzettate il cioccolato in una ciotola, scaldate la panna e non appena si alza il bollore, versatela sul cioccolato spezzettato, aspettate un paio di minuti poi mescolate il tutto fino ad avere una crema perfettamente liscia. Profumatela con il cucchiaio di Kirsch o altro liquore di ciliegie.
Lasciate intiepidire poi mettete in frigorifero a indurire, ben coperta.
Ora preparate le crêpes.  Ungete leggermente una piccola padella. Io uso un padellino basso da crêpes, da 20 cm. antiaderente, è comodissimo.
Scaldate la padella e con il mestolo versate un poco del composto al cacao, facendo roteare il padellino in modo che la pastella si distribuisca uniformemente. Lasciate cuocere un attimo, poi con l'aiuto di una spatola, staccate i bordi della crêpe e giratela dall'altro lato.  Cuocetela per altri due minuti facendo attenzione che non bruci e adagiatela su un piatto. Procedete allo stesso modo fino a finire la pastella.  Io ho ricavato una decina di crêpes. Lasciate raffreddare poi copritele con della pellicola, affinché restino belle morbide.
Al momento di servire, scolate le amarene dallo sciroppo lasciandole a sgocciolare in un colino.
In una ciotola mettete la panna e iniziate a montarla con le fruste elettriche, quando è semimontata aggiungete lo zucchero  a velo e continuate a montarla finchè sarà una neve ferma. Trasferitela in una sac à poche  con la bocchetta spizzata.

Al momento di servire, spalmate ogni crêpe con un paio di cucchiai  di ganache al cioccolato, sopra la ganache spremete dei ciuffi di  panna montata, spargete qualche amarena qua e là  in quantità a piacere . Piegate  su se stessa  ogni crêpe tenendo il bordo un po' sfalzato, come nella foto.
Fate altri ciuffi lungo il bordo inferiore e alternateli con delle altre amarene.
Date una leggera spolverata col cacao amaro.  


Facile, veloce, golosissimo e gratificante!