Marianna viveva sola, in una casetta
bianca e rossa, in fondo al paese. Tutta la sua famiglia consisteva
in un lontano cugino che risiedeva altrove, credo nel bellunese.
Non so a che punto della vita fosse
rimasta sola, da che ho memoria la ricordo così.
Credo si mantenesse con una esigua
pensione Coldiretti, con gli animali del cortile, con le verdure che
coltivava nell'orto dietro casa . Anche un po' con l'aiuto dei
compaesani che ogni tanto le portavano un pezzo di formaggio, un
salame, o patate o frutta di stagione e con qualche lavoretto di
cucito o di lavanderia per i militari. Ogni giorno infatti, verso
sera, percorreva a piedi tutta la strada principale del paese
fino ad arrivare alle caserme. C'era sempre qualcuno, graduato o no,
che poteva permettersi di farsi lavare e stirare le camicie. Ormai
la conoscevano bene anche in caserma; aveva ormai dei clienti fissi
che rimanevano tali per tutta la ferma. Aspettava fuori, seduta su
un paracarro della strada, la libera uscita del cliente di turno,
prendeva in consegna la roba da lavare e stirare e poi rifaceva la
strada a ritroso, un paio di km circa all'andata e altrettanti al
ritorno.....
Passava davanti a casa nostra e non
c'erano santi che le impedissero di entrare ogni sera. Mia nonna la
accoglieva con un sorriso e con un abbraccio. Il dialogo che
iniziava fra loro in quel momento era come una pantomima, qualcosa di
surreale anche per me che allora non arrivavo a 10 anni.
Parlavano, se così si può dire, a
gesti e a versi, perché Marianna era muta.
Fortunatamente, per non so quale
motivo, non era sorda.
Si esprimeva con la mimica, con qualche
sforzo vocale indefinito, con gli occhi e con le mani.
Ossuta e segaligna, aveva un viso
dolcissimo e grandi occhi da cerbiatto, quasi a compensare quella sua
statura allampanata e quella sua magrezza che la facevano sembrare
un fenicottero curvo e che mi colpivano molto.
Assistere a quei dialoghi fatti di
gesti, di smorfie, di suoni indistinti era strano, molto strano, ma
confesso che ne ero sempre incuriosita. E mi chiedevo come facessero
a capirsi, ma si capivano, in tutto.
Mia nonna le voleva molto bene, credo
avessero più o meno la stessa età ed erano cresciute insieme. Due
percorsi diversi, vite diversamente difficili e paradossalmente
uguali nell'affrontare le grandi difficoltà, nello stesso piccolo paese
dove ci si conosceva tutti e ci si aiutava, dove solidarietà ed
empatia non erano solo parole, soprattutto in quei tempi lontani.
A volte mia nonna la tratteneva per
cena, e allora lei si sedeva vicino al fogolar, al camino posto nel
centro della stanza, come in tutte le vecchie case friulane, lo
sguardo fisso sul fuoco che crepitava, persa nel suo silenzio,
aspettando che il cibo fosse pronto.
Io la osservavo da dietro la mia sedia
vicino al tavolo, il fuoco riverberava sul suo volto, sui suoi corti
capelli ondulati pepe e sale, tenuti all'indietro da una specie di
cerchietto in grosgrain nero e da piccoli pettini di osso ai lati
delle orecchie. Osservavo le sue mani che stropicciavano nervosamente
il grembiule di cotonina grigia a fiorellini bianchi che
immancabilmente indossava sopra un vestito alquanto liso e consunto.
Come per tutte le donne friulane del resto, a quel tempo, il
grembiule e il fazzolettone annodato in testa erano una
consuetudine quasi obbligatoria.
Mani lunghe e affusolate, mani gentili
e delicate, curate, punteggiate dalle macchie dell'età, molto
diverse da quelle di mia nonna, grandi e callose, rovinate dal
lavoro nei campi e dalle tante fatiche.
Eppure anche lei lavorava l'orto,
faceva lavori faticosi, andava a lavare al fiume....ma le sue mani
non erano rovinate come quelle di mia nonna. Un dettaglio che mi è
rimasto sempre impresso.
Non stavano ferme quelle mani, andavano
dalle tasche del grembiule fino all'orlo, ai bottoni del vestito,
e passavano e ripassavano sopra i capelli mentre era assorta ad
osservare il guizzare delle fiamme nel centro del fogolar.
Poi a un certo punto alzava lo sguardo
dal fuoco e mi sorrideva. Quel sorriso le illuminava il volto e lo
sguardo si riempiva di tenerezza. Allora mi faceva cenno di andare
vicino a lei e quando lo facevo mi avvolgeva in un abbraccio e mi
accarezzava i capelli, le guance, e si sforzava di dire qualcosa
senza riuscirci ovviamente, emetteva solo suoni incomprensibili. Ma
la capivo lo stesso, e mi abbandonavo alla tenerezza del suo
abbraccio affondando il viso sulla sua spalla . Respiravo il suo
profumo di pulito, di borotalco.
Andava pazza per il baccalà.
Quello che in Friuli si chiama baccalà
è invece lo stoccafisso, che va battuto e ammorbidito, messo a
bagno per giorni. Il rito del baccalà ora, nella mia famiglia, si
compie solamente la vigilia di Natale, ma un tempo compariva molto
più spesso sulla tavola. Costava molto anche allora, ma rendeva
parecchio, e con la polenta poteva sfamare parecchie persone per un
paio di giorni.
Così ogni tanto mia nonna lo preparava in umido alla sua maniera, e quando lo faceva era naturale che Marianna sedesse a tavola con
noi.
Era felice come una bimba, guardava mia
nonna versarlo a mestolate nei piatti, aspettando il suo turno con
evidente bramosia. Una bella fetta di polenta bianca e lei non alzava
più la testa dal piatto finché non era vuoto.
Io invece non l'ho mai amato
tantissimo e regolarmente ne avanzavo un poco. Lei mi guardava e mi
interrogava con gli occhi.....allora le passavo il mio piatto da
finire cercando di non farmi vedere da nonna. Che invece
regolarmente si accorgeva, ma faceva finta di non vedere quello scambio di piatti.
Dopo cena si fermava un poco vicino al
fuoco con mia nonna. Percepivo la loro complicità, pur nel silenzio
rotto dal crepitìo della legna che bruciava. Un silenzio diverso
dalla quiete, un silenzio che comunque riempiva la stanza del
palpabile affetto che le legava.
L'ho capito molto dopo, da adulta, quando Marianna
se ne andò. La trovarono in casa, esanime, una mattina di dicembre
di molti anni fa.
La ricordo con quel suo profumo di
borotalco, con quelle sue mani gentili, con quei suoi abbracci colmi
di tenerezza, con quei suoi occhi da cerbiatta che riuscivano a darle
le parole che non ha mai avuto.
Quando torno in Friuli, ogni volta che
passo davanti a quella che era la sua casa, mi sembra di vederla lì,
seduta sulla panchina di pietra davanti alla porta, il grembiule di
cotonina a fiori ripiegato ad angolo sul vestito e il cerchietto di
grosgrain nero. E' solo un attimo, ma è sufficiente a farmi venire
un nodo in gola. Marianna era una di quelle persone che hanno
accompagnato la mia infanzia, lasciando ricordi indelebili.
Cucino poco il baccalà, o lo stocco,
ma quando lo faccio fatico a non pensare a lei, al suo sguardo
mentre osserva mia nonna fare le porzioni, aspettando con desiderio
di affondare la polenta nell'intingolo.
Temo che la ricetta che ho
fatto io non sarebbe stata tanto di suo gusto , ma gliela dedico
lo stesso. Chissà..
Bignole di baccalà e marmellata di cipolle rosse
2 tranci di baccalà già ammollato, circa 400 gr
mezzo bicchiere di vino bianco
200 gr farina
200 gr acqua
8/10 gr lievito di birra
poco sale
olio per friggere
io ho usato olio di arachidi.
Sono già ammollati, ma meglio non fidarsi del tutto ed eliminare il rischio che non siano stati dissalati a sufficienza.
Quando sono pronti, eliminate la pelle ed eventuali spine, scottateli qualche minuto in acqua bollente profumata col mezzo bicchiere di vino bianco. Scolate e lasciate raffreddare. Dopodichè sminuzzate grossolanamente il baccalà e tenete da parte.
In una ciotola mettete i 200 gr di acqua tiepida, scioglieteci il lievito di birra, quindi unite la farina mescolando con la frusta per non fare grumi. Dovrete ottenere una pastella densa ma fluida.
Salate leggermente e aggiungete il baccalà sminuzzato. Mescolate di nuovo in modo che il tutto sia perfettamente omogeneo, quindi coprite la ciotola con la pellicola e mettete in frigorifero per 3 o 4 ore a lievitare.
Trascorso il tempo, scadate l'olio in una padella non troppo grande, in modo che l'olio sia profondo.
Prelevate il baccalà a cucchiaiate e friggetelo da tutti i lati fino a che è dorato e croccante.
Scolate man mano che friggete le bignole su carta da cucina o carta paglia in modo da eliminare il più possibile eventuale olio in eccesso.
Servite caldissimo accompagnato dalla marmellata di cipolle rosse.
Una cosa, questa, che ho imparato dallo chef della Cuccagna, il mio ristorante preferito. Ci sta benissimo col baccalò cotto in questo modo.
Ovviamente la marmellata di cipolle rosse è una conserva che faccio d'estate quando è piena stagione di cipolle di Tropea. La ricetta è questa:
1 kg cipolle rosse di Tropea
600 gr zucchero
1 bicchiere d'aceto rosso
2o 3 foglie di alloro
1 cucchiaino di bacche di ginepro
1 cucchiaino di grani di pepe nero
sale
in una capace pentola affettate sottilmente le cipolle mondate, lavate e asciugate, con la mandolina in modo che lo spessore sia uniforme. Aggiungete lo zucchero, l'aceto, le bacche e le foglie di alloro, il sale.
Mescolate tutto e lasciate macerare il tutto per 3 o 4 ore, coperto.
Portate sul fuoco e fate cuocere la marmellata per 20/25 minuti. Lasciatela un po' liquida, col tempo le cipolle riassorbiranno parte del liquido addensando la marmellata che comunque si manterrà sempre morbida.
Invasate a caldo in vasetti sterilizzati.
Io, visto che ne regalo molta, preferisco sterilizzare tutto a caldo. Non ce ne sarebbe bisogno, visto la presenza dell'aceto e la dose dello zucchero, ma mi fa stare più tranquilla. Quindi metto i barattoli in una capace pentola, li copro completamente, li sommergo di acqua tiepida e porto a bollore, lascio bollire circa 25 minuti, poi spengo il fuoco e lascio il tutto a raffreddare nella pentola. Di solito è un lavoro che faccio la sera, quindi la mattina riprendo i vasetti, controllo nuovamente i coperchi dei barattoli, asciugo bene tutto e ripongo in cantina al fresco. Un mesetto di riposo ed è più buona. Perfetta per i formaggi, per certe terrine, con la cacciagione e con il maiale.
"piccolo paese dove ci si conosceva tutti e ci si aiutava, dove solidarietà ed empatia non erano solo parole"
RispondiEliminaQuanto è vera questa frase, l'ho rivissuto anche io nei racconti dei nonni e dei genitori..altri tempi, altra attenzione alle persone...
Anche a casa mia il baccalà è servito classico, in umido con polenta, ma questa versione mi piace molto.
Ciao Giuli leggere dei tuoi ricordi è sempre veramente bello provo sempre grandi emozioni mi sembra mentre ti leggo di viverle di sentire i profumi racconti di queste persone con tanta dolcezza il modo migliore per ricordarle e farle vivere sempre nel tuo cuore. Grazie di condividere queste emozioni e ricordi con noi un abbraccio Giuliana da Bologna
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