martedì 16 luglio 2013

quando mi parte, mi parte...

In quegli anni a metà del 1960 mio padre lavorava alla costruzione della linea rossa della Metro milanese, la prima linea che fu costruita.

Il suo cantiere era poco lontano dalla casa di ringhiera di Via Correggio. Costruivano la fermata di Piazza Amendola.

Ancora oggi, ogni volta che ci passo e vedo le cupole di plexiglas plissettate, oramai annerite dallo smog e dalle intemperie, mi viene un groppo in gola e penso a lui, a tutte le volte che la sera con mia madre sono andata là sotto, in quel buco che sembrava l'imbocco dell'inferno tanto era brulicante di macchinari e di uomini...

andavamo dopo le 22, una volta chiusa la portineria, a portargli la “schiscetta” con qualcosa di caldo, perchè lavorava fin quasi a mezzanotte....

La stazione Amendola è stata una delle stazioni più all'avanguardia per quel tempo, con le sue cupole azzurre, così avveniristiche per quell'epoca...

Costruendo la metropolitana mio padre conobbe tante persone, muratori, idraulici, elettricisti, carpentieri come lui.

Con una di queste persone strinse una amicizia molto più stretta, che durò molto a lungo, e coinvolse entrambe famiglie, cosicchè,  una volta lasciata la portineria per trasferirci a vivere in un appartamento finalmente decente, ci si scambiava inviti a pranzo nei giorni di festa, ma la maggior parte delle volte si andava noi a trovarli la domenica pomeriggio, oppure la sera...soprattutto d'estate.

Questo amico e compagno di lavoro di mio padre si chiamava Rocco Casalanguida, era abruzzese, alto e dinoccolato con un gran ciuffo alla Little Tony, sempre impomatato di brillantina, come andava di moda in quegli anni. Talmente brillantinato che nonostante il lavoro così pesante, non gli si spostava mai nemmeno un capello...

Aveva tre figlie femmine, Maria, Giuseppina e Assuntina con le quali andavo d'accordissimo.

Eravamo tutte molto vicine d'età, e ci divertivamo moltissimo insieme. Quando ci riunivamo ci si scatenava sempre...

Mi piaceva molto andare a casa loro....almeno lì non ci si doveva confinare dentro ad un cortile.

La moglie di Rocco era una donnina minuta, di bassa statura, che ricordo mi colpì molto per il timbro di voce, basso e profondo. Strano in una donna...

aveva i capelli corti, pepe e sale, e mi sembrava già vecchia a neanche 40 anni... badava alle figlie e alla casa. A volte lavava e stirava la biancheria a un signore anziano che viveva solo poco lontano, e andava a ore due volte la settimana da una famiglia...

Abitavano in fondo alla Via Novara, dove la città si diluisce in una grande periferia e in un tempo in cui fuori porta non era ancora tutto costruito, dove c'erano molti campi e molti prati, dove il boom economico stava per arrivare ma dove ancora si viveva come in un piccolo paese, con le persone che si conoscevano tutte fra loro.....
la loro casa era molto modesta, al primo piano di una specie di cascina di campagna in mattoni rossi, , abbastanza malmessa...

Poco lontano scorreva l'Olona, e intorno c'erano molti canali ad essa collegati.

Il nostro divertimento era andare a camminare dentro quei piccoli corsi d'acqua, a caccia di girini,  rane e piccoli rospi, ogni tanto incontravamo qualche topolino di campagna, dal musetto simpatico e curioso.... Non c'erano grossi pericoli, ma bisognava comunque stare attenti a non scivolare.

Durante le scorribande lungo i canali arrivavamo a volte fino all'Olona vera e propria, e allora toccava stare molto attente. Lungo la strada ci si incontrava spesso con gruppi di ragazzini e ragazzine che le mie amiche conoscevano bene e con cui ci si fermava a chiacchierare per qualche istante, immancabilmente lo smargiasso del gruppo si esibiva nel suo repertorio di lazzi e frizzi e allora erano risate a non finire....

a volte mi presentavano, a volte no, ma a me non importava. In fondo ero lì di passaggio e non so se li avrei incontrati di nuovo la volta dopo....

Eravamo libere, si stava per strada senza nessun pericolo, ed era una sensazione bellissima, soprattutto per me che di solito ero chiusa in quel cortile di sassi, in assoluta solitudine...

Eravamo libere sì, ma avevamo l'orario di rientro che era tassativo. Se eravamo da loro per il pranzo dovevamo essere a casa entro mezzogiorno. Così stavamo attente ai rintocchi delle campane dell'unica chiesa esistente.... Non la potevamo vedere se non arrampicandoci sugli alberi, ma potevamo sentire le campane scandire le ore.......

a volte facevamo a turno. Si faceva la conta con la solita filastrocca “ambarabà ciccì coccò” ...toccava tenere l'orecchio teso a chi la conta faceva finire con l'ultima sillaba della filstrocca....



Allo scoccare del mezzogiorno dovevamo tornare di corsa a casa. I nostri genitori e il pranzo ci aspettavano..

Ci ripulivamo ben bene e ci mettevamo a tavola...

Ricordo certi piatti di pasta al ragù talmente pieni che quasi non riuscivano a contenerla...

E poi arrivavano sempre,  ogni volta, in un grande tegame che si piazzava in mezzo alla tavola, le braciolette al sugo di pomodoro e prezzemolo. Una sorta di involtino con il formaggio pecorino all'interno, che non ho mai capito se fossero di carne di manzo o maiale. Allora la carne era praticamente un lusso che non ci si poteva permettere spesso. Propendo quindi per la carne di maiale, molto meno costosa. Se non addirittura di cavallo, ma credo che se fosse stata equina me ne sarei accorta, la odiavo! Mia madre me la propinava perchè ero un po' anemica, obbligandomi a mangiarla tutta ogni volta. Un vero incubo per me, che la trovavo, come oggi la trovo, disgustosa. E poi non si mangiano i cavalli!!!



la carne, per quelle famiglie di operai era qualcosa che ci si poteva permettere quasi solamente per le grandi occasioni, o qualche volta la domenica, magari quando si era appena riscosso il salario, davvero magro in verità.



Ricordo la stanza, con l'arredamento scarno e consumato, la stufa a legna in un angolo, l'ottomana quasi sfondata rivestita di vellutino bluette liso a tal punto che si potevano intravvedere le molle sottostanti, le sedie scompagnate, alcune impagliate, altre tutte di legno, come nelle osterie....

il pavimento di mattoni in cotto che aveva dei solchi più chiari dove era consumato dal calpestio, colorato con la cera rossa...

il lavandino di pietra grigia e il fornello in un angolo della parete di fronte, che poi venivano coperti da una tenda con grandi fiori blu. La tovaglia a quadri bianchi e blu, i piatti sbeccati, uno diverso dall'altro, e i bicchieri di vetro da osteria....il filone di pane che troneggiava in mezzo alla tavola...

Non avevamo nulla, eravamo poveri in canna, ma la sensazione di calore che provavo quando eravamo tutti seduti a quella tavola me la ricordo ancora distintamente. Rivedo i miei genitori nel pieno della loro giovinezza, risento le loro voci, le risate, e ricordo che vederli sereni e felici mi tranquillizzava...



Rocco e la sua famiglia poi si trasferirono in Viale Ungheria, in una vera casa, un appartamento di cooperativa.

Mio padre cambiò lavoro, così non vide Rocco mentre in un pomeriggio invernale cadeva da una impalcatura di una casa in costruzione. Morì dopo un mese di calvario, in ospedale. Le sue donne lasciarono la casa di cooperativa per prendere una portineria in Piazzale Cuoco, in modo da non pagare affitti... il tempo passò e pian piano ci perdemmo di vista, ricordo che un giorno che passavamo di lì ci fermammo per salutarle ma non le trovammo più, ci dissero che erano partite ma non per dove, non lo sapevano.

Non ne abbiamo più saputo nulla....chissà se sono tornate in Abruzzo, se hanno cambiato città, paese, o solamente strada....



Ripensando a quelle domeniche intorno a quella tavola, a quella grande pentola con le braciolette che annegavano nel sugo rosso, mi è venuta voglia di carne alla tartara, che non c'entra nulla con le braciole, ma mi è partita così, e qundo mi parte, mi parte...







Battuta di Fassona piemontese, uova di quaglia, salsa di senape e miele



per due persone


400 gr filetto di Fassona piemontese (o altra parte, purchè sia morbidissima)
2 uova di quaglia
sale, pepe
sale nero delle Hawai.
olio e.v. oliva
poco burro

per la salsa:
3 cucchiai senape
1 cucchiaio  colmo di  miele

In una scodella, o in una ciotola, miscelare la senape con il miele in modo da avere una salsa abbastanza fluida e omogenea.
Parare il filetto, eliminando tutte le parti grasse o eventuali nervature.
Tagliare la carne a pezzettoni e col coltello tagliuzzarla fino a ridurla in dadolata sottile, quindi batterla, sempre con lo stesso coltello in modo da farla diventare tipo carne trita, attenzione però a non farne poltiglia..
Condirla con un pizzico di sale, uno di pepe, un cucchiaio di salsa  e un goccio d'olio e.v. di ottima qualità.
Tenere da parte.


 Con un pennello, spennellare il piatto di servizio con un poco di salsa,  appoggiare un coppapasta nel centro del piatto, mettere la battuta dentro al coppapasta premendo delicatamente per riempirlo, livellare bene e sfilare il coppapasta.

Per ultima cosa friggere l'uovo di quaglia all'occhio di bue. 
In un padellino antiaderente messo su fuoco dolce, appoggiare un coppapasta di diametro inferiore a quello usato per la carne, aggiungere, dentro al coppapasta un pezzetto di burro, e non appena spumeggia rompere l'uovo di quaglia in modo che resti all'interno. Cuocerlo all'occhio di bue  e una volta pronto, prelevarlo con una spatola  e posarlo sulla carne,
Decorare con un pizzico di sale nero delle Hawai. 

E il piatto è pronto.






8 commenti:

  1. Presentazione impeccabile!!! Bravissima Giuli

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  2. Sempre dei racconti di vita da leggere tutti d'un fiato. E con che gusto, mi par d'averli vissuti tanto li racconti bene. Ho le immagini di fronte agli occhi. Magari Maria, Giuseppina o Assuntina ti leggono e così ti contattano e ti raccontano la loro vita da quando vi siete perse di vista. Sarebbe bello no? E mi piacerebbe assaggiare questa tua bella tartare, fa una gola... Un saluto cara Giuliana e a presto

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  3. Che bella presentazione sia come ricordi che come piatto invitante e ben allestito!
    Grazie Giuli!
    Bacione

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  4. Cara Giuliana, hai un tale talento nel descrivere i tuoi ricordi che, per un attimo, mi è sembrato di far parte di questo grande affresco di vita comunitaria. Se penso a certi bambini del giorno d'oggi, cresciuti tra le pareti di una cameretta e avendo come compagno di giochi un computer, mi viene il magone.

    Ottima ricetta, come sempre!
    Bacioni

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  5. Gentile Giuliana,
    il tuo bel racconto mi ha velato gli occhi di lacrime e nostalgia soprattutto leggendo questa frase: "Rivedo i miei genitori nel pieno della loro giovinezza" e mi sono immaginata tuo padre, che avendo avuto in tavola questo tuo meraviglioso piatto, ci faceva la scarpetta a dimostrazione dell'infinita bontà.
    Tu sei veramente una bella persona e speciale è la tua capacità di condividere con tutti noi il tuo indubbio gusto culinario. Con affetto, anna giordani

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    1. Anna, grazie, davvero di cuore per le tue parole.
      Sono contenta di aver incrociato il tuo cammino...

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  6. grazie per aver condiviso i tuoi ricordi cara Giuli, tartara (che amo molto)compresa!Un abbraccio affettuoso...

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