minestre
primi
Io e la zucca
da quando ho scoperto che la zucca Butternut è molto meno dolce, ho cominciato un avvicinamento a questo ortaggio che ho sempre evitato accuratamente di cucinare. Qualche volta, mossa a pietà, ho ceduto alle suppliche familiari di chi invece apprezza il suo sapore, ma si possono contare sulle dita delle mani. Non amo il dolciastro di zucca, barbabietole, carote, che preferisco crude, a differenza del signore che abita con me, che invece adora tutti e tre.
Ora, con la Butternut così poco stucchevole sto sperimentando, e devo dire che i risultati mi soddisfano abbastanza.
Sarà che si cambiano i gusti nel corso della vita, e lo so ben io che non volevo nemmeno sentire l'odore del brodo quando ero ragazza mentre ora, con un po' di disappunto, mi scopro a fare più o meno come mia madre che lo cucinava tutte le sante domeniche, insieme al ragù di carne, sarà che si cresce e si impara sempre, sarà che vedo in giro piatti bellissimi , colorati di arancione ed è un colore che mi mette allegria, soprattutto quando fuori è grigio, piove e nevica insieme, come in questo momento....insomma per tutti questi motivi la zucca, solo questo tipo di zucca, potrà essere ammessa nella mia cucina.
Quella che vi propongo oggi è una ricetta che avevo fatto più di un mese fa, e quasi non mi ricordavo nemmeno più come l'avevo preparata. Perchè naturalmente, nonostante mi riprometta di farlo ogni volta, mi dimentico di prendere appunti sulle dosi e sui procedimenti, così quando voglio condividere una ricetta che mi è oltremodo piaciuta, sono sempre grandi sforzi mnemonici e con la gioventù che avanza potete immaginare.... Chissà se e quando imparerò...
In ogni caso, questa ricetta mi è piaciuta tantissimo, eccovela qui
Vellutata di zucca e porri, gnudi di ricotta e amaretti
per due/tre persone
per la vellutata:
300 g zucca, pesata pulita
2 piccoli porri, la parte bianca (uno solo se è grosso)
brodo vegetale q.b.
poco olio, una noce di burro
sale, pepe
per gli gnudi di ricotta:
250 g ricotta freschissima
1 uovo
1 cucchiaio colmo di farina
2 amaretti morbidi sbriciolati finemente
1 cucchiaio di parmigiano grattugiato
sale, pepe bianco
per completare:
2 amaretti morbidi sbriciolati
poco burro
rametti di aneto o altra erba aromatica a decorazione
Per prima cosa mettete la ricotta in un colino, in questo modo perderà il suo latte e sarà più asciutta.
Lasciatecela per un quarto d'ora più o meno.
Prendete due amaretti morbidi, sbriciolateli e fateli dorare in un pentolino antiaderente con una noce di burro, mescolandoli continuamente, prelevate la granella ottenuta e posateli su della carta da cucina in modo che perdano eventuale unto in eccesso.
Mondate, lavate e asciugate sia la zucca che il porro, di cui userete solo la parte bianca. Riducete la zucca a pezzetti e il porro a rondelle.
In una larga padella scaldate l'olio insieme al burro, unite il porro e lasciatelo insaporire, quindi aggiungete i pezzetti di zucca e mescolate per amalgamare il tutto, coprite tutto con del brodo vegetale, salate e pepate e portate a cottura coprendo il tegame e controllando che non asciughi troppo, rabboccate con dell'altro brodo se vedete che si consuma troppo. Considerate che a fine cottura dovrete avere abbastanza liquido per la vellutata. Lasciate bollire a parte il brodo vegetale, un po' abbondante, vi servirà anche per la cottura degli gnudi.
Mentre la zucca cuoce, preparate gli gnudi. In una ciotola setacciate la ricotta per eliminare grumi, aggiungete l'uovo intero, il parmigiano, la farina e gli amaretti sbriciolati finemente, salate e pepate. Mescolate bene il tutto fino ad avere un composto omogeneo, abbastanza sodo e maneggiabile senza problemi.
Con le mani inumidite formate gli gnudi come piccole polpettine.
Una volta cotta la zucca, passate tutto al minipimer fino a quando avrete una crema vellutata e lenta. Tenetela in caldo.
Abbassate il fuoco sotto il brodo vegetale in modo che ci sia solo un fremito, appoggiate due o tre gnudi per volta sulla schiumarola a ragno, (quella da gnocchi per intenderci) e tuffatela così nel brodo per qualche attimo, poi lasciate scendere delicatamente gli gnudi liberi. Saranno pronti quando torneranno a galla.
Mettete la vellutata nei piatti, aggiungete gli gnudi cotti, decorate con la granella di amaretti e con dell'aneto fresco o con dell'erba cipollina, o altra erba aromatica.
Se amate la zucca, provate.
Io, giustappunto per sottolineare come si cambia nella vita, ci ho infilato pure gli amaretti!
Ora, con la Butternut così poco stucchevole sto sperimentando, e devo dire che i risultati mi soddisfano abbastanza.
Sarà che si cambiano i gusti nel corso della vita, e lo so ben io che non volevo nemmeno sentire l'odore del brodo quando ero ragazza mentre ora, con un po' di disappunto, mi scopro a fare più o meno come mia madre che lo cucinava tutte le sante domeniche, insieme al ragù di carne, sarà che si cresce e si impara sempre, sarà che vedo in giro piatti bellissimi , colorati di arancione ed è un colore che mi mette allegria, soprattutto quando fuori è grigio, piove e nevica insieme, come in questo momento....insomma per tutti questi motivi la zucca, solo questo tipo di zucca, potrà essere ammessa nella mia cucina.
Quella che vi propongo oggi è una ricetta che avevo fatto più di un mese fa, e quasi non mi ricordavo nemmeno più come l'avevo preparata. Perchè naturalmente, nonostante mi riprometta di farlo ogni volta, mi dimentico di prendere appunti sulle dosi e sui procedimenti, così quando voglio condividere una ricetta che mi è oltremodo piaciuta, sono sempre grandi sforzi mnemonici e con la gioventù che avanza potete immaginare.... Chissà se e quando imparerò...
In ogni caso, questa ricetta mi è piaciuta tantissimo, eccovela qui
Vellutata di zucca e porri, gnudi di ricotta e amaretti
per due/tre persone
per la vellutata:
300 g zucca, pesata pulita
2 piccoli porri, la parte bianca (uno solo se è grosso)
brodo vegetale q.b.
poco olio, una noce di burro
sale, pepe
per gli gnudi di ricotta:
250 g ricotta freschissima
1 uovo
1 cucchiaio colmo di farina
2 amaretti morbidi sbriciolati finemente
1 cucchiaio di parmigiano grattugiato
sale, pepe bianco
per completare:
2 amaretti morbidi sbriciolati
poco burro
rametti di aneto o altra erba aromatica a decorazione
Per prima cosa mettete la ricotta in un colino, in questo modo perderà il suo latte e sarà più asciutta.
Lasciatecela per un quarto d'ora più o meno.
Prendete due amaretti morbidi, sbriciolateli e fateli dorare in un pentolino antiaderente con una noce di burro, mescolandoli continuamente, prelevate la granella ottenuta e posateli su della carta da cucina in modo che perdano eventuale unto in eccesso.
Mondate, lavate e asciugate sia la zucca che il porro, di cui userete solo la parte bianca. Riducete la zucca a pezzetti e il porro a rondelle.
In una larga padella scaldate l'olio insieme al burro, unite il porro e lasciatelo insaporire, quindi aggiungete i pezzetti di zucca e mescolate per amalgamare il tutto, coprite tutto con del brodo vegetale, salate e pepate e portate a cottura coprendo il tegame e controllando che non asciughi troppo, rabboccate con dell'altro brodo se vedete che si consuma troppo. Considerate che a fine cottura dovrete avere abbastanza liquido per la vellutata. Lasciate bollire a parte il brodo vegetale, un po' abbondante, vi servirà anche per la cottura degli gnudi.
Mentre la zucca cuoce, preparate gli gnudi. In una ciotola setacciate la ricotta per eliminare grumi, aggiungete l'uovo intero, il parmigiano, la farina e gli amaretti sbriciolati finemente, salate e pepate. Mescolate bene il tutto fino ad avere un composto omogeneo, abbastanza sodo e maneggiabile senza problemi.
Con le mani inumidite formate gli gnudi come piccole polpettine.
Una volta cotta la zucca, passate tutto al minipimer fino a quando avrete una crema vellutata e lenta. Tenetela in caldo.
Abbassate il fuoco sotto il brodo vegetale in modo che ci sia solo un fremito, appoggiate due o tre gnudi per volta sulla schiumarola a ragno, (quella da gnocchi per intenderci) e tuffatela così nel brodo per qualche attimo, poi lasciate scendere delicatamente gli gnudi liberi. Saranno pronti quando torneranno a galla.
Mettete la vellutata nei piatti, aggiungete gli gnudi cotti, decorate con la granella di amaretti e con dell'aneto fresco o con dell'erba cipollina, o altra erba aromatica.
Se amate la zucca, provate.
Io, giustappunto per sottolineare come si cambia nella vita, ci ho infilato pure gli amaretti!
coniglio
cucina regionale
Recipe-tionist
secondi
Un coniglio, la Patty e The Recipe-tionist
va bene che mi sono sempre tenuta un po' defilata, fuori dai giri e da gruppi, va bene anche che non vado curiosando molto per blog, ammettiamo pure che invecchiando sono diventata anche un po' pigra (sshh non dite a mio marito che l'ho ammesso)...ma come ho fatto a non scoprire prima questa bellissima cosa? Parlo di The Recipe-tionist una iniziativa di Flavia del blog Cuocicucidici.
Dal blog di Flavia copio la spiegazione che ha dato Alessandra sulle le finalità di questo gioco, perfette per capirne motivazioni e meccanismo:
In quanto a me , ci voleva MTC per tirarmi fuori dal mio abituale tran tran e farmi conoscere tantissime persone interessanti con cui condividere la passione per la cucina, con cui fare un pezzo di strada e continuare a nutrire la mia curiosità, la mia voglia di sapere, di imparare.
Al raduno di Napoli ho incontrato "la Patty". Due occhi chiari che arrivano per primi, seguiti dal suo bel portamento e da una forza che si riesce a intuire anche dalla soavità del suo sorriso. Due bellissimi occhi chiari e un blog, Andante con gusto.
Bene, il Recipe-tionist di Gennaio/Febbraio è dedicato a lei. La regola è che si dovranno condividere, facendole, una o più ricette scelte fra quelle del vincitore del mese, e Patrizia è la vincitrice in carica.
Dunque, per farla breve, ci ho messo un pomeriggio a scegliere una sua ricetta. Sono tutte fantastiche, originali, tutte mi hanno attratto e davanti ad ognuna mi son detta: faccio questa! Poi passavo ad una categoria diversa e di nuovo: no, faccio quest'altra....mi son persa fra i vari argomenti, poi ho visto Ricette toscane. Ecco, lì il cuore ha avuto un mancamento. Toscana mon amour, da sempre, e la Maremma particolarmente nel cuore. Ci ho pure un genero toscano! Decisamente quello era il mio posto, e che potevo scegliere, dato che qui piace sempre molto? Il Coniglio all'Etrusca, e non poteva essere diversamente, la terra Etrusca mi rigenera, ogni volta che ci vado. Via, deciso.
Apro il post, e mi trovo a leggere un delicato racconto su diari ritrovati. E l'anima si rivela, nella sua dolcezza. Quell'anima rimasta ragazza, che prova empatia e tenerezza e lo racconta con delicata poesia e ha uno sguardo sulla vita che è rimasto fondamentalmente quello di un tempo, nonostante la stessa vita ci cambi inesorabilmente.
Sono rimasta lì, con un po' di commozione, la gola chiusa, ma anche con la calda sensazione che si prova quando ci si rende conto di aver incontrato una persona sensibile e profonda.
Ecco la sua ricetta, che ho cucinato con il cuore, pensando a quella ragazza che teneva diari...
Coniglio all'Etrusca
Ingredienti per 4 persone
1 coniglio di 1 kg tagliato i 12 pezzi incluso il suo fegatino
80 g di pancetta o rigatino
200 g di olive nere
1 cipolla bianca
1 carota
1 gambo di sedano
2 spicchi d'aglio
3/4 foglie di salvia
1 rametto di rosmarino
1 bicchiere di vino bianco secco
3 cucchiai di olio extravergine d'oliva
sale - pepe (io l'ho sostituito con 2 cucchiaini di Salsa del diavolo de La Gallinara)
Brodo vegetale qb
In una larga casseruola a fondo spesso, mettete gli odori tritati (cipolla, carota e sedano), la pancetta tagliata sottile, gli spicchi d'aglio e l'olio extravergine e fate passire a fiamma dolce.
Quando le verdure saranno morbide e la pancetta ben rosolata, alzate la fiamma, aggiungete il coniglio con il trito delle erbe aromatiche ed il fegatino tritato, e fate rosolare a fuoco vivace una decina di minuti su tutti i lati.
Quando sarà ben rosolato, bagnate con il vino e fate sfumare quindi abbassate la fiamma, aggiustate di sale e continuate la cottura per c.ca 1 ora bagnando via via con brodo vegetale caldo.
Cuocete coperto lasciando un piccolo spiraglio aperto con un cucchiaio di legno.
Quando il coniglio sarà quasi cotto, aggiungete le olive e la salsa piccante e fate ben insaporire per altri 10 minuti sulla fiamma.
Servite ben caldo accompagnandolo con il vostro contorno preferito.
N.B. - L'unica mia modifica è stata omettere la Salsa del diavolo, l'uomo di casa non ama mangiare piccante, Patty, pardon..
Dal blog di Flavia copio la spiegazione che ha dato Alessandra sulle le finalità di questo gioco, perfette per capirne motivazioni e meccanismo:
“L'idea di fondo è
proprio quella di fissare il flous of recipeness della blogsfera e proporre a
chi partecipa di soffermarsi sugli archivi del blog del mese: rifare una
ricetta, quindi, non diventa semplicemente "copiare", ma
"celebrare" il lavoro di un altro food blogger, soffermandosi con
quell'attenzione che in altre situazioni avrebbe meritato sui contenuti che ci
ha proposto, negli anni.”.
In quanto a me , ci voleva MTC per tirarmi fuori dal mio abituale tran tran e farmi conoscere tantissime persone interessanti con cui condividere la passione per la cucina, con cui fare un pezzo di strada e continuare a nutrire la mia curiosità, la mia voglia di sapere, di imparare.
Al raduno di Napoli ho incontrato "la Patty". Due occhi chiari che arrivano per primi, seguiti dal suo bel portamento e da una forza che si riesce a intuire anche dalla soavità del suo sorriso. Due bellissimi occhi chiari e un blog, Andante con gusto.
Bene, il Recipe-tionist di Gennaio/Febbraio è dedicato a lei. La regola è che si dovranno condividere, facendole, una o più ricette scelte fra quelle del vincitore del mese, e Patrizia è la vincitrice in carica.
Dunque, per farla breve, ci ho messo un pomeriggio a scegliere una sua ricetta. Sono tutte fantastiche, originali, tutte mi hanno attratto e davanti ad ognuna mi son detta: faccio questa! Poi passavo ad una categoria diversa e di nuovo: no, faccio quest'altra....mi son persa fra i vari argomenti, poi ho visto Ricette toscane. Ecco, lì il cuore ha avuto un mancamento. Toscana mon amour, da sempre, e la Maremma particolarmente nel cuore. Ci ho pure un genero toscano! Decisamente quello era il mio posto, e che potevo scegliere, dato che qui piace sempre molto? Il Coniglio all'Etrusca, e non poteva essere diversamente, la terra Etrusca mi rigenera, ogni volta che ci vado. Via, deciso.
Apro il post, e mi trovo a leggere un delicato racconto su diari ritrovati. E l'anima si rivela, nella sua dolcezza. Quell'anima rimasta ragazza, che prova empatia e tenerezza e lo racconta con delicata poesia e ha uno sguardo sulla vita che è rimasto fondamentalmente quello di un tempo, nonostante la stessa vita ci cambi inesorabilmente.
Sono rimasta lì, con un po' di commozione, la gola chiusa, ma anche con la calda sensazione che si prova quando ci si rende conto di aver incontrato una persona sensibile e profonda.
Ecco la sua ricetta, che ho cucinato con il cuore, pensando a quella ragazza che teneva diari...
Coniglio all'Etrusca
Ingredienti per 4 persone
1 coniglio di 1 kg tagliato i 12 pezzi incluso il suo fegatino
80 g di pancetta o rigatino
200 g di olive nere
1 cipolla bianca
1 carota
1 gambo di sedano
2 spicchi d'aglio
3/4 foglie di salvia
1 rametto di rosmarino
1 bicchiere di vino bianco secco
3 cucchiai di olio extravergine d'oliva
sale - pepe (io l'ho sostituito con 2 cucchiaini di Salsa del diavolo de La Gallinara)
Brodo vegetale qb
In una larga casseruola a fondo spesso, mettete gli odori tritati (cipolla, carota e sedano), la pancetta tagliata sottile, gli spicchi d'aglio e l'olio extravergine e fate passire a fiamma dolce.
Quando le verdure saranno morbide e la pancetta ben rosolata, alzate la fiamma, aggiungete il coniglio con il trito delle erbe aromatiche ed il fegatino tritato, e fate rosolare a fuoco vivace una decina di minuti su tutti i lati.
Quando sarà ben rosolato, bagnate con il vino e fate sfumare quindi abbassate la fiamma, aggiustate di sale e continuate la cottura per c.ca 1 ora bagnando via via con brodo vegetale caldo.
Cuocete coperto lasciando un piccolo spiraglio aperto con un cucchiaio di legno.
Quando il coniglio sarà quasi cotto, aggiungete le olive e la salsa piccante e fate ben insaporire per altri 10 minuti sulla fiamma.
Servite ben caldo accompagnandolo con il vostro contorno preferito.
N.B. - L'unica mia modifica è stata omettere la Salsa del diavolo, l'uomo di casa non ama mangiare piccante, Patty, pardon..
MTC
pasta
primi
Napoli, ragione e sentimento.
E' da quando son tornata dal raduno MTChallenge di Napoli che voglio parlare di questo, ma fra la sfida a colpi di macarons, mia madre (che a volte è fonte di ansia più di tutte le sfide MTC messe insieme) e tutte le cose in arretrato, ci riesco solo adesso. Meglio tardi che mai.
E niente, ho partecipato al mio primo raduno Mtc.
Un turbinio di volti conosciuti e sconosciuti, abbracci, baci, sorrisi e risate, e cibo, quel cibo che conosci, che cucini a volte, ma che mangiato lì ha un altro sapore, pizze da sogno, babà, fiocchi di neve, arancini, cuoppi di terra, cuoppi di mare, taralli 'nzogna e pepe, mozzarelle, sfogliatelle ricce e frolle, e l'aria del mare che è lì, sotto le finestre, friccicosa e stuzzicante, un tramonto che tinge di rosa una piccola Versailles, una coppia impagabile e pure un po' incosciente,sapendo quello che li aspettava, Anna Luisa e Fabio che, detto fra noi, ha sicuramente del sangue tedesco che scorre nelle vene per la precisione e l'organizzazione impeccabile che hanno messo in campo. E ancora, perentorie banditrici d'asta che restano senza voce ma che danno una carica che ti fa restare di buonumore per giorni, innumerevoli mani alzate a rilanciare offerte per aggiudicarsi un paio di caccavelle accompagnate da un vasetto di pere volpine al vino rosso, combattendo fino all'ultimo, generosamente, perchè lo scopo vero è aiutare, un babà enorme, bellissimo, preparato nella notte solo per te, che ti commuove e ti fa capire quanto sia grande il cuore delle persone, e la magia di una città che ti entra sotto la pelle, si insinua in tutte le fibre del tuo corpo e piano piano arriva fino al cuore, azzeccosa e dolce, e allora capisci che sei fregata! Non se ne andrà più, garantito. Napoli ti resta dentro, e quando torni a casa non desideri altro che ritornarci.
Sono stati giorni pienissimi ma spensierati, vissuti in ogni momento con la voglia di stare insieme, di imparare allo stesso tempo, con lo stesso sentire. Posso solo dire grazie a tutti quelli con cui ho condiviso questi momenti, grazie per i loro sorrisi, i loro abbracci, le parole e le risate, le promesse, i pipponi, i racconti, , per la bellezza della loro anima, perchè ho potuto vederla, sentirla, calda e avvolgente, per la tenerezza di una piccola cucciola bionda, dolcissima, con i suoi occhi ridenti e curiosi.
Sono passati più di 15 giorni dal raduno, e i miei pensieri ogni tanto vanno a quella terrazza, a quel raggio di sole che bucando le nuvole illuminava il mare la mattina, regalandoci momenti di vera poesia, allora per scacciare la pecundria..mi riguardo le foto e poi a pranzo mi cucino un bel piatto di pasta Gentile. Un dono dell'omonimo pastificio che Fabio e Annalu ci hanno fatto trovare al commiato, insieme ai taralli sugna e pepe Leopoldo e al Vesuvio di cioccolato di Gay-Odin. I taralli sono spariti in un paio di giorni, idem il Vesuvio, la pasta....chevelodicoaffà... nel mio sacchetto blu c'erano le eliche, un formato che mi piace moltissimo perchè il condimento si raccoglie perfettamenre fra le sue ali ritorte. Una pasta ottima la Gentile, davvero ottima.
L'ho cucinata pensando che potrei chiamare questo piatto Sud chiama Nord, o viceversa, perchè dentro c'è tutto il sapere antico di questa generazione di pastai napoletani che ho volutamente sposato con ingredienti tipicamente padani, ne è uscito un connubio perfetto per me, sicuramente padana ma anche un poco "terrona" nell'anima. Se la proverete so che vi piacerà, perchè la qualità di questa pasta, insieme a questi ingredienti, fa la differenza.
Eliche Gentile, verze, pancetta e Salva cremasco
per due persone
Metà di una piccola verza, circa 500 g
120 g pancetta liscia, dolce, a cubetti
150 g formaggio Salva
1 cucchiaio di Parmigiano
poco latte
200 g Eliche Gentile
poco olio e.v. d'oliva
1 rametto di rosmarino
1 scalogno
sale, pepe
Mondate la verza, eliminando il torsolo e le foglie esterne più dure, sfogliatela, lavatela e riducetela a pezzi nè troppo grossi nè troppo piccoli. Lasciatela scolare in un colapasta per qualche minuto.
In una larga casseruola, scaldate un goccio d'olio, unite lo scalogno tritato e lasciatelo insaporire, quindi aggiungete la verza e a fuoco vivace fare insaporire il tutto, regolate di sale e di pepe, aggiungete il rametto di rosmarino (che con tutte le crucifere ci sta benissimo, provare per credere), abbassate il fuoco, coprite il tegame e lasciate cuocere lentamente finchè la verza si ammorbidisce e avrà assorbito tutti i suoi liquidi, lasciatela comunque un po' lenta, non troppo asciutta. Se vedete che in cottura asciuga troppo aggiungete un mestolino di brodo vegetale o di acqua calda.
Nel frattempo, in una padella fate rosolare la pancetta con pochissimo olio e quando la verza è cotta, versatela nella stessa casseruola, eliminate il rametto di rosmarino e i suoi aghi eventualmente sparsi, e mescolate il tutto..
In un piccolo pentolino mettete il Salva, privato della crosta, a pezzetti e copritelo di latte, scaldate il tutto mescolando in modo da far sciogliere completamente il formaggio, avendo cura che alla fine la salsa sia abbastanza densa, aggiungete una macinata di pepe e il cucchiaio di parmigiano. Tenete in caldo.
Cuocete la pasta, scolatela e versatela direttamente nella casseruola delle verze, fatela saltare qualche attimo per amalgamare i sapori e il condimento, poi mettete un poco di crema di Salva sul fondo del piatto e completate con la pasta saltata con le verze e la pancetta.
Un piatto che si cucina abbastanza velocemente, il tempo di cottura della verza. Un piatto saporito, per appetiti robusti. Qui da me non mancano di sicuro..
E niente, ho partecipato al mio primo raduno Mtc.
Un turbinio di volti conosciuti e sconosciuti, abbracci, baci, sorrisi e risate, e cibo, quel cibo che conosci, che cucini a volte, ma che mangiato lì ha un altro sapore, pizze da sogno, babà, fiocchi di neve, arancini, cuoppi di terra, cuoppi di mare, taralli 'nzogna e pepe, mozzarelle, sfogliatelle ricce e frolle, e l'aria del mare che è lì, sotto le finestre, friccicosa e stuzzicante, un tramonto che tinge di rosa una piccola Versailles, una coppia impagabile e pure un po' incosciente,sapendo quello che li aspettava, Anna Luisa e Fabio che, detto fra noi, ha sicuramente del sangue tedesco che scorre nelle vene per la precisione e l'organizzazione impeccabile che hanno messo in campo. E ancora, perentorie banditrici d'asta che restano senza voce ma che danno una carica che ti fa restare di buonumore per giorni, innumerevoli mani alzate a rilanciare offerte per aggiudicarsi un paio di caccavelle accompagnate da un vasetto di pere volpine al vino rosso, combattendo fino all'ultimo, generosamente, perchè lo scopo vero è aiutare, un babà enorme, bellissimo, preparato nella notte solo per te, che ti commuove e ti fa capire quanto sia grande il cuore delle persone, e la magia di una città che ti entra sotto la pelle, si insinua in tutte le fibre del tuo corpo e piano piano arriva fino al cuore, azzeccosa e dolce, e allora capisci che sei fregata! Non se ne andrà più, garantito. Napoli ti resta dentro, e quando torni a casa non desideri altro che ritornarci.
Sono stati giorni pienissimi ma spensierati, vissuti in ogni momento con la voglia di stare insieme, di imparare allo stesso tempo, con lo stesso sentire. Posso solo dire grazie a tutti quelli con cui ho condiviso questi momenti, grazie per i loro sorrisi, i loro abbracci, le parole e le risate, le promesse, i pipponi, i racconti, , per la bellezza della loro anima, perchè ho potuto vederla, sentirla, calda e avvolgente, per la tenerezza di una piccola cucciola bionda, dolcissima, con i suoi occhi ridenti e curiosi.
Sono passati più di 15 giorni dal raduno, e i miei pensieri ogni tanto vanno a quella terrazza, a quel raggio di sole che bucando le nuvole illuminava il mare la mattina, regalandoci momenti di vera poesia, allora per scacciare la pecundria..mi riguardo le foto e poi a pranzo mi cucino un bel piatto di pasta Gentile. Un dono dell'omonimo pastificio che Fabio e Annalu ci hanno fatto trovare al commiato, insieme ai taralli sugna e pepe Leopoldo e al Vesuvio di cioccolato di Gay-Odin. I taralli sono spariti in un paio di giorni, idem il Vesuvio, la pasta....chevelodicoaffà... nel mio sacchetto blu c'erano le eliche, un formato che mi piace moltissimo perchè il condimento si raccoglie perfettamenre fra le sue ali ritorte. Una pasta ottima la Gentile, davvero ottima.
L'ho cucinata pensando che potrei chiamare questo piatto Sud chiama Nord, o viceversa, perchè dentro c'è tutto il sapere antico di questa generazione di pastai napoletani che ho volutamente sposato con ingredienti tipicamente padani, ne è uscito un connubio perfetto per me, sicuramente padana ma anche un poco "terrona" nell'anima. Se la proverete so che vi piacerà, perchè la qualità di questa pasta, insieme a questi ingredienti, fa la differenza.
Eliche Gentile, verze, pancetta e Salva cremasco
per due persone
Metà di una piccola verza, circa 500 g
120 g pancetta liscia, dolce, a cubetti
150 g formaggio Salva
1 cucchiaio di Parmigiano
poco latte
200 g Eliche Gentile
poco olio e.v. d'oliva
1 rametto di rosmarino
1 scalogno
sale, pepe
Mondate la verza, eliminando il torsolo e le foglie esterne più dure, sfogliatela, lavatela e riducetela a pezzi nè troppo grossi nè troppo piccoli. Lasciatela scolare in un colapasta per qualche minuto.
In una larga casseruola, scaldate un goccio d'olio, unite lo scalogno tritato e lasciatelo insaporire, quindi aggiungete la verza e a fuoco vivace fare insaporire il tutto, regolate di sale e di pepe, aggiungete il rametto di rosmarino (che con tutte le crucifere ci sta benissimo, provare per credere), abbassate il fuoco, coprite il tegame e lasciate cuocere lentamente finchè la verza si ammorbidisce e avrà assorbito tutti i suoi liquidi, lasciatela comunque un po' lenta, non troppo asciutta. Se vedete che in cottura asciuga troppo aggiungete un mestolino di brodo vegetale o di acqua calda.
Nel frattempo, in una padella fate rosolare la pancetta con pochissimo olio e quando la verza è cotta, versatela nella stessa casseruola, eliminate il rametto di rosmarino e i suoi aghi eventualmente sparsi, e mescolate il tutto..
In un piccolo pentolino mettete il Salva, privato della crosta, a pezzetti e copritelo di latte, scaldate il tutto mescolando in modo da far sciogliere completamente il formaggio, avendo cura che alla fine la salsa sia abbastanza densa, aggiungete una macinata di pepe e il cucchiaio di parmigiano. Tenete in caldo.
Cuocete la pasta, scolatela e versatela direttamente nella casseruola delle verze, fatela saltare qualche attimo per amalgamare i sapori e il condimento, poi mettete un poco di crema di Salva sul fondo del piatto e completate con la pasta saltata con le verze e la pancetta.
Un piatto che si cucina abbastanza velocemente, il tempo di cottura della verza. Un piatto saporito, per appetiti robusti. Qui da me non mancano di sicuro..
antipasti
aperitivi
buffet
MTC
ricette per le feste
Anno nuovo, sfida nuova per MTChallenge , la n. 62
Dopo la pausa delle feste riparte la tenzone, e stavolta è durissima.
Ilaria, Sua Serenissima Soavità del blog Soffici insignita dell'ambito titolo di winter culattacchion
avendo vinto la sfida n. 61 sul Tiramisù, ha decretato che fosse l'ora di cimentarsi con i Macarons, sì proprio quelli, i dolcetti colorati di orgine franzosa.
Dicesi Macaron un dolcetto di fine pasticceria, secco, ovale o rotondo, a base di mandorle, zucchero e albume d'uovo e la Francia coniuga i suoi macarons fra passato e presente. Certe città francesi sono famose appunto per la loro tradizione macaronesca che risale addirittura a secoli fa. Da Saint-Jean-de-Luz a Reims, passando per Pau, Montmorillon, Boulay, Saint -Emilion, Nancy, Amiens fino ad arrivare a Parigi, ognuna col suo Macaron originale. Sapevate che ci sono diversi tipi di Macarons? C'è quello piatto e screpolato di Nancy e c'è pure il paffutello di Montmorillon, nascono singoli e solo a Parigi vengono accoppiati, ma si sa, Parigi è Parigi.... in ogni caso gli ingredienti sono gli stessi, cosa li distingue quindi? Una cosa sola, il saperli fare.
I Macarons hanno una genealogia, sono una famiglia venuta da lontano che ha viaggiato, si è perduta e ritrovata, qui e là si è radicata in Francia, nel corso del tempo ha conosciuto vite difficili e contaminazioni, ma qualcosa li ha uniti alla fine, un tratto discreto, una eco che li ha portati fino a noi.
Certo che Marguerite e Marie Elisabeth, suore del monastero delle Dames du Saint-Sacrement di Nancy, nel 1792 mica se lo potevano immaginare che i loro dolcetti sarebbero arrivati fino ai giorni nostri! Per loro era un modo di aggirare i divieti alimentari imposti dall'ordine Benedettino di cui facevano parte, per noi invece sono una gratificazione, una golosità da assaporare ad occhi chiusi.
La loro forma rotonda, i loro colori fanno bella mostra nelle vetrine dei migliori pasticceri, ormai in tutto il mondo o quasi, come non esserne attratti? A me piacciono, ma non mi ero mai cimentata nell'impresa, dato il sacro timore che la loro preparazione, assai delicata, comporta. Amo la pasticceria ma non ho la manualità e la pulizia di esecuzione che servono per ottenere risultati degni delle mie aspettative, più che altro diciamo che conosco i miei limiti e questa sfida MTC è stata soprattutto una sfida con me stessa. Le variabili che decretano il successo o il fallimento nella preparazione dei macarons, sono tante. Il macaronage, la cottura nel forno, l'umidità della cucina per il croutage, o il suo contrario, la qualità della farina di mandorle, il meringaggio, tappetino o carta forno....insomma, tante. Quindi ci ho provato, ma non sono per niente soddisfatta, ma proprio per niente. La prima infornata è stata un delirio, mea culpa in questo caso, l'impasto era troppo fluido e quelli pochati sulla carta forno si sono spatasciati immediatamente, per la seconda infornata ho usato il tappetino pensando che almeno non sarei andata fuori dai contorni, è andata meglio ma non mi è piaciuta la cottura e il risultato non è quello che dovrebbe essere. Per non parlare dei coloranti, che non uso, che non amo. Trovati solo liquidi, e in polvere solo il colore giallo, dover capire come usarli e che valenza hanno sugli impasti, la mia prima volta anche in questo....Poi devo capire se è questione di forno o di silicone, di temperature, di forno ventilato o no.. insomma troppe sono le cose che dovranno essere messe e a punto e lo farò sicuramente ma in un altro momento, senza scadenze e senza ansia da prestazione.
Per quel che mi riguarda, l'intenzione era di farli sia dolci che salati, ma dopo il raduno di Napoli il tempo è corso peggio del vento, e sono arrivata agli sgoccioli. I postumi della mia rovinosa caduta fantozziana da smaltire mi hanno fatto perdere giorni, per cui ho dovuto giocoforza pensare solo a una versione. Ho scelto quella salata perchè avevo in mente molti più accostamenti per le farciture rispetto a quelli dolci, va a capire perchè, forse in questo momento desidero di più le cose salate...
Intanto lasciatemi dire che il lavoro fatto da S.S.S. Ilaria per spiegare ricetta e procedimenti e rendere le cose facili, è stato immenso, ha scritto un vero e proprio trattato, talmente dettagliato e completo che se Hermé lo leggesse, le spiccerebbe la cucina per un mese o quantomeno la assumerebbe per fargli la P.R.
per cui, grande stima, ammirazione totale, e un grazie grande come un grattacielo.
E ora, direttamente dal blog di S.S.S. Ilaria, ecco ricetta e metodo:
Ricetta di Pierre Hermé (per circa 32-35 macaron)
150g zucchero al velo
150g farina di mandorle
110g albumi vecchi (almeno 3 giorni) – divisi in due ciotole da 55g l’una
Per lo sciroppo
150g zucchero semolato
50ml di acqua
TPT
Tostate leggermente la farina di mandorle in forno a 150° per circa 10minuti. Lasciate raffreddare completamente.
Passate al mixer la farina insieme allo zucchero al velo per ottenere una miscela aerea e impalpabile e passate successivamente al setaccio.
Incorporate i primi 55g di albume crudo al TPT servendovi di una spatola in silicone. E’ necessario amalgamare bene in modo da ottenere una pasta morbida, omogenea e densa.
Se volete aggiungere del colorante, versatelo sugli albumi e mescolate. Poi uniteli al TPT.
MERINGA ITALIANA
Versate lo zucchero semolato e l’acqua in un tegame dal fondo spesso. Inserite un termometro e cuocete a fuoco medio. Quando la temperatura arriva a 115° simultaneamente cominciate a montare i rimanenti 55g di albume ad alta velocità. Se, una volta che lo zucchero comincia a bollire, tendesse ad attaccarsi utilizzate un pennello bagnato in acqua fredda e passatelo sui lati (come per il caramello).
Quando il termometro raggiunge i 118° versate lo sciroppo a filo sulla meringa (non ancora completamente montata) avendo cura di farlo scivolare sul lato della ciotola. Continuate a montare per un altro minuto. Poi diminuite la velocità e montate ancora per circa 2-3 minuti o comunque fino a quando il composto risulterà bello gonfio, lucido e bianchissimo. E la temperatura sarà scesa a 40°C. solo a questo punto la meringa potrà essere aggiunta alla pasta di mandorle.
Volendo aggiungere del colore può essere fatto in questa fase ricordandosi di usare solo coloranti idrosolubili che non smontano gli albumi.
MACARONAGE
Incorporate inizialmente una piccola quantità di meringa alla pasta di mandorle e mescolate in modo da rendere l’impasto più fluido. Aggiungete la restante meringa usando una spatola in silicone, mescolando dal centro verso i lati esterni e raccogliendo continuamente l’impasto. Quando il composto comincia a diventare lucido fate la prova del MACARONNER, ovvero l’impasto è pronto quando sollevando la spatola ricadrà sulla ciotola formando un “nastro pesante” che ricade con una certa difficoltà.
Prendete il sac-a-poche con bocchetta liscia da 8-10mm, versate una quantità di composto riempendola fino a metà circa. Spremete bene il composto fino alla fine della tasca, questa operazione è molto importante (in generale, non solo per i macaron) perché eviterà la formazione di bolle d’aria. Chiudete con due o tre giri la tasca e fermatela con una molletta.
POCHAGE
Fissate con un pochino di impasto i 4 lati del foglio di carta da forno alla teglia. Tenendo la tasca verticale posizionatevi a circa 2cm sopra la teglia. Iniziate a formare dei bottoncini di impasto seguendo lo stampo in silicone oppure il vostro template. Spingete la pasta torcendo ogni volta la tasca di un quarto di giro. Continuate sulle altre teglie fino all’esaurimento dell’impasto. Picchiettate delicatamente con la mano il fondo delle teglie in modo da uniformare i macaron ed eliminare eventuali bolle d’aria.
CROUTAGE
Lasciate riposare i gusci a temperatura ambiente, da almeno 30 minuti a 2-3hs. Questa operazione è molto importante in quanto serve a creare una pellicola fine, secca e resistente sui gusci, e che diventa poi croccante in fase di cottura. L’umidità solleva il guscio senza screpolarlo e alla base si forma il collarino.
Poiché i tempi di croutage possono variare a seconda della temperatura esterna, per verificare che i gusci siano pronti per essere infornati, sfiorate delicatamente la superficie di un guscio; la pasta non deve incollarsi al dito.
COTTURA
Infornate a 180° per i primi 2-3 minuti fino a che si forma il collarino e il macaron si solleva leggermente. Dopodiché abbassate la temperatura a 140-150° e cuocete per ulteriori 10-12 minuti.
Le temperature e i tempi di cottura sono assolutamente indicativi e dipendono dal proprio forno.
Sia Hermé che Felder suggeriscono la cottura ventilata, ma a mio parere i macaron colorano troppo facilmente e asciugano in modo eccessivo
Una volta cotti, togliete la teglia dal forno e fate scivolare il foglio dei macaron su un ripiano fino al completo raffreddamento. E’ importante NON LASCIARE il foglio sulla teglia altrimenti continuerà la cottura.
Staccate i macaron lentamente dal foglio di carta forno e con l’indice create un piccolo avvallamento che permetterà una farcitura più abbondante. Lasciate i gusci con la parte “piatta” rivolta verso l’alto.
I vostri macaron sono pronti per essere farciti. Oppure potete conservarli in frigorifero fino a 48hs o congelarli.
FARCITURA
Per la farcitura potete, anzi dovete sbizzarrire la vostra fantasia. Che scegliate una ganache, una crema, una confettura, un curd, una mousse, un paté, i sapori dovranno essere armonici. Potete inserire una doppia farcitura o un elemento, per esempio una gelatina o un pezzetto intero di ingrediente.
Preparate la farcia, inseritela in un sac à poche e spremetela fino al beccuccio (potete utilizzare sempre lo stesso da 8-10mm oppure uno leggermente più grande 11-12mm), in modo da non creare bolle d’aria. Date un doppio giro e chiudete la tasca.
Tenendo la tasca verticale posizionatevi a circa 2cm sopra la teglia. Delicatamente guarnite con una generosa porzione di farcia la metà di gusci, avendo cura di lasciare un bordo di circa 3mm. Assemblate i macaron con i gusci restanti sovrapponendoli a quelli farciti, e premendo molto delicatamente fino a che la farcia non sia ben evidente tra i gusci.
Nel caso in cui decidiate di inserire un elemento o una doppia farcitura, dressate una po’ meno farcia e inserite la seconda o l’elemento al centro di essa. Ricoprite ancora con una goccia della prima farcia, coprite con il secondo guscio e premete gentilmente.
Trasferite i macaron adagiati su un vassoio (possibilmente ricoperto di carta da forno) in frigorifero per circa 24hs. Prima di servire, lasciateli 2hs a temperatura ambiente.
Ho seguito pedissequamente le istruzioni di S.S.S. Ilaria per i gusci, quindi la ricetta la trovate qui sopra, poi, dopo il macaronage, ho diviso in due l'impasto e a una parte ho aggiunto un cucchiaino colmo di colorante giallo in polvere, all'altra un cucchiaio di polvere di barbabietola. Le mie farce sono queste:
Macaron al foie gras e composta di fichi secchi al Sauternes
per una ventina di macarons
200 g scarsi di foie gras
3 cucchiai panna semimontata
200 g fichi secchi
mezzo bicchiere Sauternes
ho tagliato a pezzetti i fichi secchi, messi in casseruola con il Sauternes, lasciati cuocere fino a una consistrenza marmellatosa, aggiungendo dell'altro vino quando tendevano ad asciugare troppo. Frullati a crema.
Ho lasciato a temperatura ambiente il foie gras, con la forchetta l'ho ridotto a crema, semimontato la panna e aggiunta al foie gras, frullato il tutto di nuovo a crema con la frusta elettrica.
Ho farcito i macaron prima con un leggero strato di composta di fichi, poi con la sac à poche ho aggiunto la spuma di foie gras.
Macarons al petto d'oca affumicato e gelatina di pesche al rosmarino
per una ventina di Macarons
200 g petto d'oca affumicato
per la gelatina di pesche, in stagione meglio usare quelle fresche, ora vanno bene anche quelle sciroppate.
quindi:
250 g pesche sciroppate
rosmarino q.b.
4 g gelatina in fogli
Per prima cosa ho preparato la gelatina. Ho lasciato scolare le pesche dal loro sciroppo per una decina di minuti, le ho tagliate a pezzetti e messe in una piccola casseruola a cuocere, mescolando sempre per non farle attaccare. Quando hanno iniziato a disfarsi, le ho frullate col minipimer. Ho messo a bagno la gelatina, rimesso sul fuoco la crema di pesche e unito la gelatina ammollata, mescolato un attimo per farla sciogliere bene poi, a cucchiaiate, ho trasferito la crema negli stessi stampi di silicone dove avevo cotto i Macarons, per avere poi delle gelatine della stessa misura. Ho spolverato con degli aghi di rosmarino tagliuzzandoli direttamente da un rametto precedentemente lavato e asciugato. Messo il tutto a rassodare.
Ho affettato un po' più spesso del petto d'oca affumicato poi, con un coppapasta a misura, ho ricavato dei tondi.
Ho farcito i Macaron con la gelatina, appoggiato sopra un tondo di petto d'oca affumicato.
Chiedendo la clemenza della corte, ecco i miei passaggi:
pochage
croutage
non ho la foto dopo il croutage di quelli rosa, quando mi sono ricordata erano già in forno, spero basti questa dei Macarons gialli. Erano due impasti in contemporanea.
il sotto
(già passato il mio dito)
Ecco, è tutto. Grazie a S.S.S. Ilaria, senza la spinta sua e di MTC non credo ci avrei provato. Dopo questi giorni di arrabbiature, di sedute davanti al forno per veder nascere la collerette, dopo ripuliture della cucina a ripetizione, la prossima volta che ci provo mi DEVONO riuscire perfetti...
Macaron, non finisce qui...
Macarons, croce e delizia
Anno nuovo, sfida nuova per MTChallenge , la n. 62
Ilaria, Sua Serenissima Soavità del blog Soffici insignita dell'ambito titolo di winter culattacchion
avendo vinto la sfida n. 61 sul Tiramisù, ha decretato che fosse l'ora di cimentarsi con i Macarons, sì proprio quelli, i dolcetti colorati di orgine franzosa.
Dicesi Macaron un dolcetto di fine pasticceria, secco, ovale o rotondo, a base di mandorle, zucchero e albume d'uovo e la Francia coniuga i suoi macarons fra passato e presente. Certe città francesi sono famose appunto per la loro tradizione macaronesca che risale addirittura a secoli fa. Da Saint-Jean-de-Luz a Reims, passando per Pau, Montmorillon, Boulay, Saint -Emilion, Nancy, Amiens fino ad arrivare a Parigi, ognuna col suo Macaron originale. Sapevate che ci sono diversi tipi di Macarons? C'è quello piatto e screpolato di Nancy e c'è pure il paffutello di Montmorillon, nascono singoli e solo a Parigi vengono accoppiati, ma si sa, Parigi è Parigi.... in ogni caso gli ingredienti sono gli stessi, cosa li distingue quindi? Una cosa sola, il saperli fare.
I Macarons hanno una genealogia, sono una famiglia venuta da lontano che ha viaggiato, si è perduta e ritrovata, qui e là si è radicata in Francia, nel corso del tempo ha conosciuto vite difficili e contaminazioni, ma qualcosa li ha uniti alla fine, un tratto discreto, una eco che li ha portati fino a noi.
Certo che Marguerite e Marie Elisabeth, suore del monastero delle Dames du Saint-Sacrement di Nancy, nel 1792 mica se lo potevano immaginare che i loro dolcetti sarebbero arrivati fino ai giorni nostri! Per loro era un modo di aggirare i divieti alimentari imposti dall'ordine Benedettino di cui facevano parte, per noi invece sono una gratificazione, una golosità da assaporare ad occhi chiusi.
La loro forma rotonda, i loro colori fanno bella mostra nelle vetrine dei migliori pasticceri, ormai in tutto il mondo o quasi, come non esserne attratti? A me piacciono, ma non mi ero mai cimentata nell'impresa, dato il sacro timore che la loro preparazione, assai delicata, comporta. Amo la pasticceria ma non ho la manualità e la pulizia di esecuzione che servono per ottenere risultati degni delle mie aspettative, più che altro diciamo che conosco i miei limiti e questa sfida MTC è stata soprattutto una sfida con me stessa. Le variabili che decretano il successo o il fallimento nella preparazione dei macarons, sono tante. Il macaronage, la cottura nel forno, l'umidità della cucina per il croutage, o il suo contrario, la qualità della farina di mandorle, il meringaggio, tappetino o carta forno....insomma, tante. Quindi ci ho provato, ma non sono per niente soddisfatta, ma proprio per niente. La prima infornata è stata un delirio, mea culpa in questo caso, l'impasto era troppo fluido e quelli pochati sulla carta forno si sono spatasciati immediatamente, per la seconda infornata ho usato il tappetino pensando che almeno non sarei andata fuori dai contorni, è andata meglio ma non mi è piaciuta la cottura e il risultato non è quello che dovrebbe essere. Per non parlare dei coloranti, che non uso, che non amo. Trovati solo liquidi, e in polvere solo il colore giallo, dover capire come usarli e che valenza hanno sugli impasti, la mia prima volta anche in questo....Poi devo capire se è questione di forno o di silicone, di temperature, di forno ventilato o no.. insomma troppe sono le cose che dovranno essere messe e a punto e lo farò sicuramente ma in un altro momento, senza scadenze e senza ansia da prestazione.
Per quel che mi riguarda, l'intenzione era di farli sia dolci che salati, ma dopo il raduno di Napoli il tempo è corso peggio del vento, e sono arrivata agli sgoccioli. I postumi della mia rovinosa caduta fantozziana da smaltire mi hanno fatto perdere giorni, per cui ho dovuto giocoforza pensare solo a una versione. Ho scelto quella salata perchè avevo in mente molti più accostamenti per le farciture rispetto a quelli dolci, va a capire perchè, forse in questo momento desidero di più le cose salate...
Intanto lasciatemi dire che il lavoro fatto da S.S.S. Ilaria per spiegare ricetta e procedimenti e rendere le cose facili, è stato immenso, ha scritto un vero e proprio trattato, talmente dettagliato e completo che se Hermé lo leggesse, le spiccerebbe la cucina per un mese o quantomeno la assumerebbe per fargli la P.R.
per cui, grande stima, ammirazione totale, e un grazie grande come un grattacielo.
E ora, direttamente dal blog di S.S.S. Ilaria, ecco ricetta e metodo:
Ricetta di Pierre Hermé (per circa 32-35 macaron)
150g zucchero al velo
150g farina di mandorle
110g albumi vecchi (almeno 3 giorni) – divisi in due ciotole da 55g l’una
Per lo sciroppo
150g zucchero semolato
50ml di acqua
TPT
Tostate leggermente la farina di mandorle in forno a 150° per circa 10minuti. Lasciate raffreddare completamente.
Passate al mixer la farina insieme allo zucchero al velo per ottenere una miscela aerea e impalpabile e passate successivamente al setaccio.
Incorporate i primi 55g di albume crudo al TPT servendovi di una spatola in silicone. E’ necessario amalgamare bene in modo da ottenere una pasta morbida, omogenea e densa.
Se volete aggiungere del colorante, versatelo sugli albumi e mescolate. Poi uniteli al TPT.
MERINGA ITALIANA
Versate lo zucchero semolato e l’acqua in un tegame dal fondo spesso. Inserite un termometro e cuocete a fuoco medio. Quando la temperatura arriva a 115° simultaneamente cominciate a montare i rimanenti 55g di albume ad alta velocità. Se, una volta che lo zucchero comincia a bollire, tendesse ad attaccarsi utilizzate un pennello bagnato in acqua fredda e passatelo sui lati (come per il caramello).
Quando il termometro raggiunge i 118° versate lo sciroppo a filo sulla meringa (non ancora completamente montata) avendo cura di farlo scivolare sul lato della ciotola. Continuate a montare per un altro minuto. Poi diminuite la velocità e montate ancora per circa 2-3 minuti o comunque fino a quando il composto risulterà bello gonfio, lucido e bianchissimo. E la temperatura sarà scesa a 40°C. solo a questo punto la meringa potrà essere aggiunta alla pasta di mandorle.
Volendo aggiungere del colore può essere fatto in questa fase ricordandosi di usare solo coloranti idrosolubili che non smontano gli albumi.
MACARONAGE
Incorporate inizialmente una piccola quantità di meringa alla pasta di mandorle e mescolate in modo da rendere l’impasto più fluido. Aggiungete la restante meringa usando una spatola in silicone, mescolando dal centro verso i lati esterni e raccogliendo continuamente l’impasto. Quando il composto comincia a diventare lucido fate la prova del MACARONNER, ovvero l’impasto è pronto quando sollevando la spatola ricadrà sulla ciotola formando un “nastro pesante” che ricade con una certa difficoltà.
Prendete il sac-a-poche con bocchetta liscia da 8-10mm, versate una quantità di composto riempendola fino a metà circa. Spremete bene il composto fino alla fine della tasca, questa operazione è molto importante (in generale, non solo per i macaron) perché eviterà la formazione di bolle d’aria. Chiudete con due o tre giri la tasca e fermatela con una molletta.
POCHAGE
Fissate con un pochino di impasto i 4 lati del foglio di carta da forno alla teglia. Tenendo la tasca verticale posizionatevi a circa 2cm sopra la teglia. Iniziate a formare dei bottoncini di impasto seguendo lo stampo in silicone oppure il vostro template. Spingete la pasta torcendo ogni volta la tasca di un quarto di giro. Continuate sulle altre teglie fino all’esaurimento dell’impasto. Picchiettate delicatamente con la mano il fondo delle teglie in modo da uniformare i macaron ed eliminare eventuali bolle d’aria.
CROUTAGE
Lasciate riposare i gusci a temperatura ambiente, da almeno 30 minuti a 2-3hs. Questa operazione è molto importante in quanto serve a creare una pellicola fine, secca e resistente sui gusci, e che diventa poi croccante in fase di cottura. L’umidità solleva il guscio senza screpolarlo e alla base si forma il collarino.
Poiché i tempi di croutage possono variare a seconda della temperatura esterna, per verificare che i gusci siano pronti per essere infornati, sfiorate delicatamente la superficie di un guscio; la pasta non deve incollarsi al dito.
COTTURA
Infornate a 180° per i primi 2-3 minuti fino a che si forma il collarino e il macaron si solleva leggermente. Dopodiché abbassate la temperatura a 140-150° e cuocete per ulteriori 10-12 minuti.
Le temperature e i tempi di cottura sono assolutamente indicativi e dipendono dal proprio forno.
Sia Hermé che Felder suggeriscono la cottura ventilata, ma a mio parere i macaron colorano troppo facilmente e asciugano in modo eccessivo
Una volta cotti, togliete la teglia dal forno e fate scivolare il foglio dei macaron su un ripiano fino al completo raffreddamento. E’ importante NON LASCIARE il foglio sulla teglia altrimenti continuerà la cottura.
Staccate i macaron lentamente dal foglio di carta forno e con l’indice create un piccolo avvallamento che permetterà una farcitura più abbondante. Lasciate i gusci con la parte “piatta” rivolta verso l’alto.
I vostri macaron sono pronti per essere farciti. Oppure potete conservarli in frigorifero fino a 48hs o congelarli.
FARCITURA
Per la farcitura potete, anzi dovete sbizzarrire la vostra fantasia. Che scegliate una ganache, una crema, una confettura, un curd, una mousse, un paté, i sapori dovranno essere armonici. Potete inserire una doppia farcitura o un elemento, per esempio una gelatina o un pezzetto intero di ingrediente.
Preparate la farcia, inseritela in un sac à poche e spremetela fino al beccuccio (potete utilizzare sempre lo stesso da 8-10mm oppure uno leggermente più grande 11-12mm), in modo da non creare bolle d’aria. Date un doppio giro e chiudete la tasca.
Tenendo la tasca verticale posizionatevi a circa 2cm sopra la teglia. Delicatamente guarnite con una generosa porzione di farcia la metà di gusci, avendo cura di lasciare un bordo di circa 3mm. Assemblate i macaron con i gusci restanti sovrapponendoli a quelli farciti, e premendo molto delicatamente fino a che la farcia non sia ben evidente tra i gusci.
Nel caso in cui decidiate di inserire un elemento o una doppia farcitura, dressate una po’ meno farcia e inserite la seconda o l’elemento al centro di essa. Ricoprite ancora con una goccia della prima farcia, coprite con il secondo guscio e premete gentilmente.
Trasferite i macaron adagiati su un vassoio (possibilmente ricoperto di carta da forno) in frigorifero per circa 24hs. Prima di servire, lasciateli 2hs a temperatura ambiente.
Ho seguito pedissequamente le istruzioni di S.S.S. Ilaria per i gusci, quindi la ricetta la trovate qui sopra, poi, dopo il macaronage, ho diviso in due l'impasto e a una parte ho aggiunto un cucchiaino colmo di colorante giallo in polvere, all'altra un cucchiaio di polvere di barbabietola. Le mie farce sono queste:
Macaron al foie gras e composta di fichi secchi al Sauternes
per una ventina di macarons
200 g scarsi di foie gras
3 cucchiai panna semimontata
200 g fichi secchi
mezzo bicchiere Sauternes
ho tagliato a pezzetti i fichi secchi, messi in casseruola con il Sauternes, lasciati cuocere fino a una consistrenza marmellatosa, aggiungendo dell'altro vino quando tendevano ad asciugare troppo. Frullati a crema.
Ho lasciato a temperatura ambiente il foie gras, con la forchetta l'ho ridotto a crema, semimontato la panna e aggiunta al foie gras, frullato il tutto di nuovo a crema con la frusta elettrica.
Ho farcito i macaron prima con un leggero strato di composta di fichi, poi con la sac à poche ho aggiunto la spuma di foie gras.
Macarons al petto d'oca affumicato e gelatina di pesche al rosmarino
per una ventina di Macarons
200 g petto d'oca affumicato
per la gelatina di pesche, in stagione meglio usare quelle fresche, ora vanno bene anche quelle sciroppate.
quindi:
250 g pesche sciroppate
rosmarino q.b.
4 g gelatina in fogli
Per prima cosa ho preparato la gelatina. Ho lasciato scolare le pesche dal loro sciroppo per una decina di minuti, le ho tagliate a pezzetti e messe in una piccola casseruola a cuocere, mescolando sempre per non farle attaccare. Quando hanno iniziato a disfarsi, le ho frullate col minipimer. Ho messo a bagno la gelatina, rimesso sul fuoco la crema di pesche e unito la gelatina ammollata, mescolato un attimo per farla sciogliere bene poi, a cucchiaiate, ho trasferito la crema negli stessi stampi di silicone dove avevo cotto i Macarons, per avere poi delle gelatine della stessa misura. Ho spolverato con degli aghi di rosmarino tagliuzzandoli direttamente da un rametto precedentemente lavato e asciugato. Messo il tutto a rassodare.
Ho affettato un po' più spesso del petto d'oca affumicato poi, con un coppapasta a misura, ho ricavato dei tondi.
Ho farcito i Macaron con la gelatina, appoggiato sopra un tondo di petto d'oca affumicato.
Chiedendo la clemenza della corte, ecco i miei passaggi:
pochage
croutage
non ho la foto dopo il croutage di quelli rosa, quando mi sono ricordata erano già in forno, spero basti questa dei Macarons gialli. Erano due impasti in contemporanea.
il sotto
(già passato il mio dito)
Ecco, è tutto. Grazie a S.S.S. Ilaria, senza la spinta sua e di MTC non credo ci avrei provato. Dopo questi giorni di arrabbiature, di sedute davanti al forno per veder nascere la collerette, dopo ripuliture della cucina a ripetizione, la prossima volta che ci provo mi DEVONO riuscire perfetti...
Macaron, non finisce qui...
antipasti
Natale
ricette per le feste
secondi
terrine
Terrina di piccione
le feste sono ormai un ricordo ma prima che me la dimentichi è bene che scriva la ricetta di questa terrina
che secondo me merita una mezione speciale, come avevo detto nel post precedente.
Che io ami le terrine è risaputo e lo si può vedere anche da quante ne sperimento, trovo che sia sempre un piatto elegante e d'effetto, oltre che semplice da fare. Il solito mantra, massimo risultato con minimo sforzo.
Qui magari ci va un po' più di lavoro, ma è sicuramente ripagato alla fine, dal sapore e dal sicuro apprezzamento dei commensali. Natale viene una volta sola e i piatti sono sempre un po' più ricercati e particolari e questa terrina rientra perfettamente nella categoria delle ricette per le occasioni speciali.
Terrina di piccione
3 piccoli piccioni per un peso totale di circa 700 g
200 g burro
1 tuorlo d'uovo
2 scalogni
1 carota
1 piccola cipolla bionda
1 costa di sedano
1 spicchio d'aglio
5 o 6 foglie di salvia
1 cucchiaino di bacche di ginepro
2 rametti di timo
1 foglia di alloro
1 piccolo porro, la parte bianca
200 g pancetta liscia, tesa, a fette
1/2 bicchiere scarso di Cognac
sale, pepe
Per accompagnare:
crème fraîche
frutti rossi
Per prima cosa fiammeggiate i piccioni per eliminare eventuale peluria e piume rimaste.
Con un coltellino affilato asportate i petti e teneteli da parte, interi. Eviscerate i piccioni conservando il fegatino di ognuno, poi lavateli bene ed asciugateli.
Preparate un trito abbastanza fine con le verdure (sedano, carota, cipolla, scalogno e porro) e mettetele a stufare con metà del burro. Unite anche le erbe aromatiche e il ginepro. Quando le verdure iniziano ad appassire, mettete nel tegame anche i piccioni e i loro fegatini. Fateli insaporire nel trito di verdure a fuoco vivace, regolate di sale e di pepe, quindi sfumate il tutto con il Cognac e abbassate il fuoco. Una volta evaporato l'alcool, fate cuocere il tutto, coperto, per circa mezz'ora, poco più. Controllate comunque la cottura, se dopo il tempo non sono pronti, continuate ancora per qualche minuto.
Una volta cotti, spegnete, eliminate le bacche di ginepro, quel che resta dei rametti di timo, la salvia e l'alloro e lasciateli raffreddare ben coperti nel loro fondo.
A questo punto spolpate i piccioni, eliminate le pelli e raccogliete la carne in una terrina, poi passatela al mixer con i fegatini, tre o quattro cucchiai del loro fondo di cottura con le verdure, il tuorlo d'uovo e metà del burro rimasto.
Frullate tutto fino ad avere un composto molto amalgamato e liscio. Assagiate e se è il caso, salate e pepate di nuovo.
In un tegamino a parte, fate spumeggiare il burro rimasto insieme allo spicchio d'aglio e rosolate velocissimamente i petti tenuti da parte, da ambo i lati e poi toglieteli dal tegamino in modo che non continuino a cuocere.
Prendete una piccola terrina, o un piccolo stampo da plumcake, foderatela con le fette di pancetta lasciandole debordare un poco.
Prendete la farcia di piccione ottenuta, fatene un primo strato sul fondo e premete bene per evitare che restino vuoti, appoggiatevi sopra i petti rosolati allineandoli e coprite con la restante farcia di piccione.
Premete sempre per assestare tutto e ricoprite la carne con la parte di pancetta debordante. Premete ancora con le mani poi coprite la terrina o lo stampo che avete scelto, e cuocete in forno a bagnomaria a 160° per circa 40 minuti.
A cottura ultimata, prelevate la terrina dal bagnomaria, con attenzione togliete il coperchio ed eliminate eventuale liquido che può essersi formato in cottura, appoggiate sulla carne un peso e lasciatela riposare per una ventina di minuti quindi, una volta intiepidita,controllate sempre che non ristagni del liquido e mettetela in frigorifero per almeno 12 ore.
Due ora prima di servirla, toglietela da frigorifero e affettatela. Si può mangiare sia fredda che tiepida.
Nel caso, scaldatela un attimo nel microonde, già affettata.
Servitela con una quenelle di crème fraîche e con dei frutti rossi, o con quello che vi suggerisce la fantasia.
Può essere sia un antipasto che un secondo. Per noi è stata uno degli antipasti di Natale.
Ecco, qui è piaciuta moltissimo, tanto da meritare una menzione speciale rispetto a tutte le cose che ho preparato in quei giorni.
La rifarò certamente, appena trovo dei piccioni di sicura provenienza.
che secondo me merita una mezione speciale, come avevo detto nel post precedente.
Che io ami le terrine è risaputo e lo si può vedere anche da quante ne sperimento, trovo che sia sempre un piatto elegante e d'effetto, oltre che semplice da fare. Il solito mantra, massimo risultato con minimo sforzo.
Qui magari ci va un po' più di lavoro, ma è sicuramente ripagato alla fine, dal sapore e dal sicuro apprezzamento dei commensali. Natale viene una volta sola e i piatti sono sempre un po' più ricercati e particolari e questa terrina rientra perfettamente nella categoria delle ricette per le occasioni speciali.
Terrina di piccione
3 piccoli piccioni per un peso totale di circa 700 g
200 g burro
1 tuorlo d'uovo
2 scalogni
1 carota
1 piccola cipolla bionda
1 costa di sedano
1 spicchio d'aglio
5 o 6 foglie di salvia
1 cucchiaino di bacche di ginepro
2 rametti di timo
1 foglia di alloro
1 piccolo porro, la parte bianca
200 g pancetta liscia, tesa, a fette
1/2 bicchiere scarso di Cognac
sale, pepe
Per accompagnare:
crème fraîche
frutti rossi
Per prima cosa fiammeggiate i piccioni per eliminare eventuale peluria e piume rimaste.
Con un coltellino affilato asportate i petti e teneteli da parte, interi. Eviscerate i piccioni conservando il fegatino di ognuno, poi lavateli bene ed asciugateli.
Preparate un trito abbastanza fine con le verdure (sedano, carota, cipolla, scalogno e porro) e mettetele a stufare con metà del burro. Unite anche le erbe aromatiche e il ginepro. Quando le verdure iniziano ad appassire, mettete nel tegame anche i piccioni e i loro fegatini. Fateli insaporire nel trito di verdure a fuoco vivace, regolate di sale e di pepe, quindi sfumate il tutto con il Cognac e abbassate il fuoco. Una volta evaporato l'alcool, fate cuocere il tutto, coperto, per circa mezz'ora, poco più. Controllate comunque la cottura, se dopo il tempo non sono pronti, continuate ancora per qualche minuto.
Una volta cotti, spegnete, eliminate le bacche di ginepro, quel che resta dei rametti di timo, la salvia e l'alloro e lasciateli raffreddare ben coperti nel loro fondo.
A questo punto spolpate i piccioni, eliminate le pelli e raccogliete la carne in una terrina, poi passatela al mixer con i fegatini, tre o quattro cucchiai del loro fondo di cottura con le verdure, il tuorlo d'uovo e metà del burro rimasto.
Frullate tutto fino ad avere un composto molto amalgamato e liscio. Assagiate e se è il caso, salate e pepate di nuovo.
In un tegamino a parte, fate spumeggiare il burro rimasto insieme allo spicchio d'aglio e rosolate velocissimamente i petti tenuti da parte, da ambo i lati e poi toglieteli dal tegamino in modo che non continuino a cuocere.
Prendete una piccola terrina, o un piccolo stampo da plumcake, foderatela con le fette di pancetta lasciandole debordare un poco.
Prendete la farcia di piccione ottenuta, fatene un primo strato sul fondo e premete bene per evitare che restino vuoti, appoggiatevi sopra i petti rosolati allineandoli e coprite con la restante farcia di piccione.
Premete sempre per assestare tutto e ricoprite la carne con la parte di pancetta debordante. Premete ancora con le mani poi coprite la terrina o lo stampo che avete scelto, e cuocete in forno a bagnomaria a 160° per circa 40 minuti.
A cottura ultimata, prelevate la terrina dal bagnomaria, con attenzione togliete il coperchio ed eliminate eventuale liquido che può essersi formato in cottura, appoggiate sulla carne un peso e lasciatela riposare per una ventina di minuti quindi, una volta intiepidita,controllate sempre che non ristagni del liquido e mettetela in frigorifero per almeno 12 ore.
Due ora prima di servirla, toglietela da frigorifero e affettatela. Si può mangiare sia fredda che tiepida.
Nel caso, scaldatela un attimo nel microonde, già affettata.
Servitela con una quenelle di crème fraîche e con dei frutti rossi, o con quello che vi suggerisce la fantasia.
Può essere sia un antipasto che un secondo. Per noi è stata uno degli antipasti di Natale.
Ecco, qui è piaciuta moltissimo, tanto da meritare una menzione speciale rispetto a tutte le cose che ho preparato in quei giorni.
La rifarò certamente, appena trovo dei piccioni di sicura provenienza.
antipasti
classici di casa mia
Natale
ricette per le feste
Ricominciare
Rieccomi qui, dopo l'ubriacatura delle feste, finalmente archiviate. Riposte nella loro scatola le decorazioni natalizie, sistemato l'albero (minuscolo in verità), ripreso la solita corsa quotidiana dopo aver chiuso un anno difficile che ha portato pochi momenti di serenità e parecchie preoccupazioni. Un anno che lascerà il segno nella nostra vita. Si dice anno bisesto, anno funesto...stavolta ha rispettato il detto. Credo comunque che sia stato un anno difficile per tutti, chi più chi meno, e ora tocca voltare pagina e affrontare le conseguenze che ha disseminato sul campo. Ci vorrà impegno e parecchia forza d'animo, coltivando la speranza che questo sia un anno che porta con sé un rinnovamento, un nuovo inizio. Si è comunque aperto con un doloroso distacco, quindi le premesse non sono rosee...
Giorni pesanti e festività decisamente sottotono dunque..
Ho cucinato come il mio solito tutto il mondo e quell'altro e mai come stavolta il rifugiarmi in cucina mi è stato d'aiuto, nonostante un piccolo infortunio. Ma non vi annoierò perchè a Natale la tradizione è praticamente un obbligo a casa mia e ve l'ho raccontata in tutte le salse, gli anni addietro.... il baccalà della vigilia, i carpacci di pesce, i ravioli in brodo a Natale, l'aperitivo col Vin d'orange, il panbrioche per i vari paté, l'insalata russa e la crema di mascarpone per il panettone.
Tutto uguale, tutto come ogni Natale.Tutto o quasi.
I paté di quest'anno:
Paté di pesce spada all'arancia e composta di arance candite.
La ricetta la trovate QUI
l'aringa è sempre stata di casa da queste parti, e mio genero toscano la apprezza molto, quindi è qualche anno che la inserisco fra gli antipasti delle feste, cercndo di cambiare ricetta ogni volta. Questo Natale è stata una mousse, delicata nonostante il sapore deciso di questo nordico pesce affumicato.
Spuma di aringa affumicata e pistacchi
350 g filetti di aringa affumicata
180 g mele Granny Smith
90 g burro morbido
1 cipollotto fresco
1 cucchiaio scarso di aceto bianco
60 g pistacchi tritati
1 foglia di alloro
latte q.b.
Tostate i pistacchi tritati in un padellino caldo, sul fuoco, mescolando sempre, fino a che vi sembrano dorati e croccanti. Ricordate che quando togliete il padellino dal fuoco, il calore continua ancora a lungo quindi non lasciateci i pistacchi o rischiate di bruciarli. O li togliete prima dalla fiamma, o li trasferite subito su un piattino.
Tagliate i filetti di aringa a pezzettoni dopo averli puliti da eventuali interiora e lische, metteli in una ciotola e copriteli di latte. Lasciateli così, a bagno nel latte per una notte. La mattina dopo eliminate il latte dove hanno riposato e sostituitelo con dell'altro latte fresco, unite una foglia di alloro e lasciatele così ancora per almeno altre 4 o 5 ore, dopodichè scolateli e senza asciugarli metteteli nel tritatutto insieme alle mele, sbucciate, e alla parte bianca del cipollotto debitamente lavato, asciugato e ridotto a rondelle. Operazione che è meglio fare in due riprese, in modo che il frullatore possa lavorare senza fatica, la spuma verrà molto meglio, amalgamata e omogeneizzata. Trasferite tutto in una ciotola, unite il cucchiaio scarso di aceto, date una mescolata e iniziate a montare il composto con le fruste elettriche, aggiungendo il burro morbido poco per volta. Quando la spuma è perfettamente omogenea, mettetela in un contenitore che possa andare in tavola.
Al momento di servire, cospargetela con i pistacchi tostati. Perfetta col panbrioche.
Poi una delle mie ricette storiche, uno dei miei classici potrei dire, che non facevo da un bel po'
Terrina delicata di pollo al Grand Marnier
Però una menzione speciale la merita un altro antipasto.....
ma ve ne parlerò prossimamente. Stay tuned...
Giorni pesanti e festività decisamente sottotono dunque..
Ho cucinato come il mio solito tutto il mondo e quell'altro e mai come stavolta il rifugiarmi in cucina mi è stato d'aiuto, nonostante un piccolo infortunio. Ma non vi annoierò perchè a Natale la tradizione è praticamente un obbligo a casa mia e ve l'ho raccontata in tutte le salse, gli anni addietro.... il baccalà della vigilia, i carpacci di pesce, i ravioli in brodo a Natale, l'aperitivo col Vin d'orange, il panbrioche per i vari paté, l'insalata russa e la crema di mascarpone per il panettone.
Tutto uguale, tutto come ogni Natale.Tutto o quasi.
I paté di quest'anno:

Paté di pesce spada all'arancia e composta di arance candite.
La ricetta la trovate QUI
l'aringa è sempre stata di casa da queste parti, e mio genero toscano la apprezza molto, quindi è qualche anno che la inserisco fra gli antipasti delle feste, cercndo di cambiare ricetta ogni volta. Questo Natale è stata una mousse, delicata nonostante il sapore deciso di questo nordico pesce affumicato.
Spuma di aringa affumicata e pistacchi
350 g filetti di aringa affumicata
180 g mele Granny Smith
90 g burro morbido
1 cipollotto fresco
1 cucchiaio scarso di aceto bianco
60 g pistacchi tritati
1 foglia di alloro
latte q.b.
Tostate i pistacchi tritati in un padellino caldo, sul fuoco, mescolando sempre, fino a che vi sembrano dorati e croccanti. Ricordate che quando togliete il padellino dal fuoco, il calore continua ancora a lungo quindi non lasciateci i pistacchi o rischiate di bruciarli. O li togliete prima dalla fiamma, o li trasferite subito su un piattino.
Tagliate i filetti di aringa a pezzettoni dopo averli puliti da eventuali interiora e lische, metteli in una ciotola e copriteli di latte. Lasciateli così, a bagno nel latte per una notte. La mattina dopo eliminate il latte dove hanno riposato e sostituitelo con dell'altro latte fresco, unite una foglia di alloro e lasciatele così ancora per almeno altre 4 o 5 ore, dopodichè scolateli e senza asciugarli metteteli nel tritatutto insieme alle mele, sbucciate, e alla parte bianca del cipollotto debitamente lavato, asciugato e ridotto a rondelle. Operazione che è meglio fare in due riprese, in modo che il frullatore possa lavorare senza fatica, la spuma verrà molto meglio, amalgamata e omogeneizzata. Trasferite tutto in una ciotola, unite il cucchiaio scarso di aceto, date una mescolata e iniziate a montare il composto con le fruste elettriche, aggiungendo il burro morbido poco per volta. Quando la spuma è perfettamente omogenea, mettetela in un contenitore che possa andare in tavola.
Al momento di servire, cospargetela con i pistacchi tostati. Perfetta col panbrioche.
Poi una delle mie ricette storiche, uno dei miei classici potrei dire, che non facevo da un bel po'
Terrina delicata di pollo al Grand Marnier
500 gr
petto di pollo
250 gr fegatini di pollo
3 cipollotti freschi tritati
1 costa di sedano
1 carota
1 cipolla
3 foglie di alloro
1 rametto di timo
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
2 foglie di salvia
1 arancia (il succo)
3 cucchiai abbondanti di Grand Marnier
50 gr burro
1 bicchiere di latte
15 gr di gelatina
250 gr fegatini di pollo
3 cipollotti freschi tritati
1 costa di sedano
1 carota
1 cipolla
3 foglie di alloro
1 rametto di timo
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
2 foglie di salvia
1 arancia (il succo)
3 cucchiai abbondanti di Grand Marnier
50 gr burro
1 bicchiere di latte
15 gr di gelatina
1 cucchiaio scarso di Grand Marnier
sale e pepe
Pulite i fegatini, eliminate eventuali nervi e macchie di fiele, lavateli bene e metteteli in una ciotola con il latte per aun'ora, poi toglieteli e asciugateli bene.
Mentre i fegatini stanno a bagno nel latte, pulite il sedano, la carota, la cipolla e mettete il tutto in una pentola con un litro e mezzo d'acqua. Quando arriva a ebollizione, aggiungete il petto di pollo, salate e cuocete per un'ora circa a fuoco moderato.
Scolate il pollo una volta cotto, e tritatelo finemente, filtrate il brodo rimasto.
Scaldate il burro in una larga padella , unite i cipollotti tritati e liasciateli stufare, poi aggiungete i fegatini, le erbe e lasciate rosolare per 15 minuti più o meno, mescolando spesso.
Aggiungete il pollo tritato, salate e pepate, bagnate con il succo d'arancia e il Grand Marnier e fate insaporire qualche minuto.
Eliminate salvia e alloro e versate tutto nel mixer frullando salendo per gradi alla massima velocità fino ad avere un composto del tutto omogeneo e liscio aiutandovi, se è troppo asciutto, con del succo d'arancia.
sale e pepe
Pulite i fegatini, eliminate eventuali nervi e macchie di fiele, lavateli bene e metteteli in una ciotola con il latte per aun'ora, poi toglieteli e asciugateli bene.
Mentre i fegatini stanno a bagno nel latte, pulite il sedano, la carota, la cipolla e mettete il tutto in una pentola con un litro e mezzo d'acqua. Quando arriva a ebollizione, aggiungete il petto di pollo, salate e cuocete per un'ora circa a fuoco moderato.
Scolate il pollo una volta cotto, e tritatelo finemente, filtrate il brodo rimasto.
Scaldate il burro in una larga padella , unite i cipollotti tritati e liasciateli stufare, poi aggiungete i fegatini, le erbe e lasciate rosolare per 15 minuti più o meno, mescolando spesso.
Aggiungete il pollo tritato, salate e pepate, bagnate con il succo d'arancia e il Grand Marnier e fate insaporire qualche minuto.
Eliminate salvia e alloro e versate tutto nel mixer frullando salendo per gradi alla massima velocità fino ad avere un composto del tutto omogeneo e liscio aiutandovi, se è troppo asciutto, con del succo d'arancia.
Una operazione che io faccio nel Bimby, che mi permette di avere una consistenza molto liscia e vellutata, ma credo che un buon mixer faccia lo stesso servizio, al limite, se il composto non vi sembra come dovrebbe, dovrete avere la pazienza di passarlo al setaccio. Trasferite il tutto in una ciotola o in una piccola terrina che possa
essere portata direttamente in tavola, lisciate bene la superficie con
una spatola e mettetela a raffreddare in frigorifero per una mezz'ora.
Scaldate 1 dl. del brodo di pollo filtrato molto bene, magari anche un paio di volte attraverso una garza, e quando è bollente scioglietevi la gelatina precedentemente ammollata in acqua fredda.. Lasciate intiepidire, e profumatela con il cucchiaio scarso di Grand Marnier.
Scaldate 1 dl. del brodo di pollo filtrato molto bene, magari anche un paio di volte attraverso una garza, e quando è bollente scioglietevi la gelatina precedentemente ammollata in acqua fredda.. Lasciate intiepidire, e profumatela con il cucchiaio scarso di Grand Marnier.
Quando il paté è freddo, decorate con dei pezzetti di arancia o come più vi piace, completate versando uno strato di gelatina fredda ma
fluida.
Rimettere in frigorifero per almeno 3 ore.
Rimettere in frigorifero per almeno 3 ore.
L'immancabile paté di tonno, un must ormai, richiestissimo in ogni occasione di festa
Paté di tonno
400 g tonno sott'olio
180 g burro
il succo di un limone, filtrato.
2 o 3 filetti di acciuga sott'olio
1 cucchiaio di piccoli capperi sotto sale
Dissalate i capperi, scolate il tonno dall'olio.
Nel mixer mettete i filetti di acciuga, qualche cappero, il tonno sminuzzato , burro a pezzetti e metà del succo del limone filtrato. Azionate il tritatutto fino a che avrete un composto liscissimo e cremoso.
Al limite dividete gli ingredienti e tritate tutto in due volte, in modo che il mixer non sia colmo e possa lavorare bene senza sforzo. Trasferite poi i composti in una ciotola e mescolate bene per amalgamarli insieme, aggiungendo e aggiustando col resto del limone. Assaggiate man mano, per non rischiare che il limone risulti troppo aggressivo alla fine.
Foderate con la pellicola uno stampo a piacere (qui ho usato uno da plumcake non troppo grande) e versate il composto di tonno, sbattete leggermente in modo che si assesti senza lasciare vuoti, coprite e trasferite in frigorifero fino al momento di servire.
Decorate a piacere con fette di limone, capperi, e tutto quello che vi suggerisce la fantasia.
ma ve ne parlerò prossimamente. Stay tuned...
memorie
questi giorni a ridosso del Natale, sono sempre particolarmente convulsi. Quest'anno per me ancora di più, per diverse ragioni sto arrivando a Natale con il morale sotto ai piedi e la stanchezza ormai cronica, per cui mi sono resa conto molto in ritado che eravamo a ridosso del Natale, e io non ero pronta, organizzata come il mio solito.
Milano impazzisce di traffico, sembra che le persone si sveglino all'ultimo minuto, tanto che si riversano come un fiume impetuoso lungo tutte le vie del centro e delle zone adiacenti, ma io in giro vedo un'aria triste e spenta, i negozi hanno vetrine sfavillanti però dentro ci vedo poca gente, anche la Rinascente, che di solito in questo periodo è molto frequentata, risente di quest'aria appannata nonostante le sue luminarie a cascata siano molto belle e si facciano piacevolmente ammirare, e anche le altre luminarie, a parte le zone centrali, sono molte meno. La crisi morde forse più di prima e non se ne vede la fine, anzi. La rassegnazione quasi la si tocca tanto è palpabile.
Anche il caldarrostaro fa magri affari e per lo stesso prezzo dello scorso anno te ne dà di meno...
Mi fermo, attratta dal profumo delle castagne abbrustolite, resto lì un attimo assorta nei pensieri mentre qualcuno mi urta e mi spinge. Rinuncio e riprendo a camminare ma quel profumo di caldarroste ce l'ho nelle narici e mi porta immediatamente indietro a una piccola stanza dal pavimento a lunghe travi di legno grezzo, un poco sconnesse e consumate, la tenda a di cotonina a fiori a nascondere l'acquaio e il fornello a gas, una grande finestra con una griglia panciuta e un ampio davanzale interno dove stavo comodamente seduta a guardare fuori.
Una vita in comunità dunque , gomito a gomito divisi da una tramezza, Si sapeva tutto di tutti, ci si aiutava, ci si sosteneva, si era solidali. Certo non era tutto rose e fiori, i litigi avvenivano ogni tanto, alcuni non si parlavano più, altri si guardavano con sospetto, ma nell’insieme c’era un forte senso di solidarietà e nel momento del bisogno sapevi che potevi contare sull’aiuto di tutti.
Ma il momento più bello arrivava a Natale.
Non ricordo se ci fosse già la tredicesima, non lo so, ma credo di sì, anche se non nella forma che conosciamo ora. Ricordo che mia madre, sotto Natale, parlava di gratifica. Certo non si spendevano soldi in regali inutili né ci si faceva prendere dal consumismo, i bisogni erano altri. Anche il clima era diverso, faceva molto più freddo, la neve arrivava presto e rimaneva per giorni e giorni ed era l’unico momento in cui ai bambini del palazzo era consentito scendere a fare il pupazzo poi si finiva sempre col fare a palle di neve fino a ridurci bagnati fino all’osso.
Il Natale dicevo…nei negozi comparivano cose tipicamente natalizie e stagionali, niente pomodori o fragole in inverno, si seguivano le stagioni e quando arrivava il momento gustavi tutto molto di più, perché finalmente si soddisfaceva la lunga attesa...
La festa era completa quando arrivavano gli zampognari. Ogni Natale li aspettavamo chiedendoci quando sarebbero arrivati.
Il regalo invece che ricordo con un sentimento misto di tenerezza e malinconia, erano i mandarini che mia madre nascondeva nei calzettoni per farmeli trovare. Un frutto che compravamo abbastanza di rado allora, perlomeno noi che avevamo ben poco, in effetti si mangiavano solo nei giorni di festa. Mio padre li legava e li appendevamo al piccolo albero di Natale che stava nell'angolo opposto alla vetrata. Pian piano naturalmente sparivano.....poi mettevamo le bucce sulla stufa, per profumare la casa.
Non esistevano ancora i mandaranci, e ai semi eravamo abituati, era normale trovarceli.
I mandarini di Natale
questi giorni a ridosso del Natale, sono sempre particolarmente convulsi. Quest'anno per me ancora di più, per diverse ragioni sto arrivando a Natale con il morale sotto ai piedi e la stanchezza ormai cronica, per cui mi sono resa conto molto in ritado che eravamo a ridosso del Natale, e io non ero pronta, organizzata come il mio solito.
Milano impazzisce di traffico, sembra che le persone si sveglino all'ultimo minuto, tanto che si riversano come un fiume impetuoso lungo tutte le vie del centro e delle zone adiacenti, ma io in giro vedo un'aria triste e spenta, i negozi hanno vetrine sfavillanti però dentro ci vedo poca gente, anche la Rinascente, che di solito in questo periodo è molto frequentata, risente di quest'aria appannata nonostante le sue luminarie a cascata siano molto belle e si facciano piacevolmente ammirare, e anche le altre luminarie, a parte le zone centrali, sono molte meno. La crisi morde forse più di prima e non se ne vede la fine, anzi. La rassegnazione quasi la si tocca tanto è palpabile.
Anche il caldarrostaro fa magri affari e per lo stesso prezzo dello scorso anno te ne dà di meno...
Mi fermo, attratta dal profumo delle castagne abbrustolite, resto lì un attimo assorta nei pensieri mentre qualcuno mi urta e mi spinge. Rinuncio e riprendo a camminare ma quel profumo di caldarroste ce l'ho nelle narici e mi porta immediatamente indietro a una piccola stanza dal pavimento a lunghe travi di legno grezzo, un poco sconnesse e consumate, la tenda a di cotonina a fiori a nascondere l'acquaio e il fornello a gas, una grande finestra con una griglia panciuta e un ampio davanzale interno dove stavo comodamente seduta a guardare fuori.
Mi piaceva stare in
contemplazione, lo sguardo spaziava dal cielo alle case sulle
ringhiere, al cortile interno, percorreva il muro di cinta che faceva
da confine con quella che era chiamata la Valsolda, una piccola,
vecchissima corte abitata da persone ormai molto anziane, sfiorava
il tetto di una vecchia rimessa affittata al fruttivendolo ambulante
del mercato di Piazza Wagner e si soffermava sulla cima del ciliegio
spoglio i cui rami contorti sembravano sofferenti.
Quel piccolo cortile era come un posto
magico, solo mio. Da sola in quella grande casa piena di bambini. Che
non potevano scendere a giocare in cortile, non era permesso.
Solo io avevo il pieno possesso di
quell’angolino, solo io e la mia solitudine.
Dal mio punto di osservazione potevo vedere quasi tutti i piccoli appartamenti sull’ala destra delle ringhiere, cinque piani sempre animati da un movimento e da una vita che oggi sembra lontanissima.
Normalmente erano solo due stanze che si aprivano sulla ringhiera, all'interno uno stanzino con un piccolo lavabo fungeva da servizio, la turca fuori, alla fine della ringhiera, in comune.
Dal mio punto di osservazione potevo vedere quasi tutti i piccoli appartamenti sull’ala destra delle ringhiere, cinque piani sempre animati da un movimento e da una vita che oggi sembra lontanissima.
Normalmente erano solo due stanze che si aprivano sulla ringhiera, all'interno uno stanzino con un piccolo lavabo fungeva da servizio, la turca fuori, alla fine della ringhiera, in comune.
I veri e propri bagni sarebbero
venuti più tardi.
Era gente semplice quella che ci
abitava, e negli anni '50 le case di ringhiera erano tantissime,
retaggio di fine '800, quando sorsero, alle porte della città,
ricalcando il modello rurale delle cascine. Erano praticamente
l'equivalente delle case popolari...
il riscaldamento non esisteva come lo
conosciamo noi, ci si scaldava con la stufa a carbone o a legna. Questa realtà di ringhiera,
comprendeva anche una serie di botteghe artigiane, negozi il cui retro dava su questo piccolo cortile...
Conoscevo tutti, visto che ero la
figlia della portiera, e vivevo immersa un piccolo universo variegato
e rumoroso che riempiva le giornate con voci gridate, canzoni cantate
a squarciagola, ritmiche battiture di materassi la mattina,
apparecchi radio a tutto volume il pomeriggio, e, nel corso della
giornata, un continuo spandersi di profumi di cucina….…
scendendo le scale sentivi il profumo del ragù al quarto piano, a
casa Tolusso oggi pastasciutta…….e quello di fritto al piano
sotto, la signora Pilone è stranamente in cucina, al secondo piano
il minestrone copriva tutti gli altri odori, era la signora
Bellenghi, una nonnina molto anziana che viveva sola, da lei sentivi
sempre e solo odore di minestra…..
Ogni tanto il grammofono del
signor Giussani, capo contabile alla Voce del padrone, spandeva
nell’aria romanze d’opera…. Era un fortunato lui, possedeva
quel bellissimo grammofono a tromba ed è stato per tanto tempo il
primo ed il solo in tutto il caseggiato a potersi permettere un
televisore.
Quanti pomeriggi ho passato in casa
sua! Ogni giorno, alle 17,30 mi pare, cominciavano i programmi, e i
primi erano sempre quelli per i ragazzi. Lui allora permetteva a me e
agli altri bambini di stare a casa sua a guardare la
televisione.....metteva tutte le sedie disponibili disposte su più
file, come al cinema, e alla fine c'era sempre una caramella per
ognuno di noi....
Una vita in comunità dunque , gomito a gomito divisi da una tramezza, Si sapeva tutto di tutti, ci si aiutava, ci si sosteneva, si era solidali. Certo non era tutto rose e fiori, i litigi avvenivano ogni tanto, alcuni non si parlavano più, altri si guardavano con sospetto, ma nell’insieme c’era un forte senso di solidarietà e nel momento del bisogno sapevi che potevi contare sull’aiuto di tutti.
Ma il momento più bello arrivava a Natale.
Non c’era usanza di fare alberi di
Natale nei giardini, né di mettere luminarie. Erano Natali un po’
in sordina, i momenti non erano dei migliori e la gente non aveva
soldi, proprio come nel momento attuale,....no adesso è anche
peggio...in quegli anni le speranze di una vita migliore avevano un
fondamento, eravamo agli inizi degli anni del boom economico, mentre
ora il futuro è buio e senza certezze.
Non ricordo se ci fosse già la tredicesima, non lo so, ma credo di sì, anche se non nella forma che conosciamo ora. Ricordo che mia madre, sotto Natale, parlava di gratifica. Certo non si spendevano soldi in regali inutili né ci si faceva prendere dal consumismo, i bisogni erano altri. Anche il clima era diverso, faceva molto più freddo, la neve arrivava presto e rimaneva per giorni e giorni ed era l’unico momento in cui ai bambini del palazzo era consentito scendere a fare il pupazzo poi si finiva sempre col fare a palle di neve fino a ridurci bagnati fino all’osso.
Il Natale dicevo…nei negozi comparivano cose tipicamente natalizie e stagionali, niente pomodori o fragole in inverno, si seguivano le stagioni e quando arrivava il momento gustavi tutto molto di più, perché finalmente si soddisfaceva la lunga attesa...
zampone, cotechini e salsicce facevano
bella mostra di sé su tutti i banchi delle salumerie e delle
macellerie...
il mascarpone che di solito veniva
venduto sfuso, tal quale, a Natale era montato come una mousse,
sembrava spremuto con la sac à poche in enormi volute, una montagna
di mascarpone bianchissimo e sofficissimo che ti faceva venire voglia
di infilarci prima un dito e poi tutta la faccia.
La ricotta piemontese, esposta in
enormi coni rovesciati, lisci lisci.... La mostarda di frutta, tipica
lombarda, non mancava mai, dentro a piccole tinozze di legno chiaro
spiccava coi suoi colori fra i formaggi delle Fattorie Prealpine,
dove improvvisamente comparivano numerose anitre, oche e faraone,
le prime esposte come fossero
accovacciate, con le ali divaricate le penne della coda messe a
ventaglio, oche e faraone invece con ancora tutto il piumaggio
intatto
galli e capponi penzolavano appesi
alla rastrelliera dietro il banco. Il tacchino no, ancora la moda
americana non aveva preso piede...
Grandi vassoi di insalata russa in forma e gelatina, tranci di paté in bellavista e formaggi strani tipo il Panerone e la forma grande di grana lodigiano, quello con la crosta nera, troneggiavano in tutti i negozi di alimentari...
La decorazione del bancone era sempre fatta con rami di alloro, intrecciati con carta stagnola o carta crespa rossa, alle volte con agrifoglio, ma più di rado.
Grandi vassoi di insalata russa in forma e gelatina, tranci di paté in bellavista e formaggi strani tipo il Panerone e la forma grande di grana lodigiano, quello con la crosta nera, troneggiavano in tutti i negozi di alimentari...
La decorazione del bancone era sempre fatta con rami di alloro, intrecciati con carta stagnola o carta crespa rossa, alle volte con agrifoglio, ma più di rado.
Il panettone si comprava direttamente
allo stabilimento dell’Alemagna, che era poco distante.
Naturalmente quello uscito storto, con qualche pecca. Lo spaccio li
vendeva per poche lire. Ricordo il profumo di burro e canditi che
aleggiavano dentro a quella stanza, ne uscivi inebriato con i vestiti
impregnati di quel profumo, e io continuavo ad annusarli anche dopo
giorni per ritrovare quel profumo...
La produzione era quasi sempre in
vicinanze del Natale, non da mesi prima.. Era fragrante e burroso,
mi pareva molto più buono che adesso....ma magari è solo una mia
impressione, perché è uno di quei sapori legati all'infanzia...
La festa era completa quando arrivavano gli zampognari. Ogni Natale li aspettavamo chiedendoci quando sarebbero arrivati.
Normalmente arrivavano per
Sant'Ambroeus, infatti alla fiera degli oh bej oh bej, c'erano
sempre...da lì iniziavano a fare il giro della città casa per
casa....
A pensarci ora erano povera gente che approfittava delle feste per guadagnare qualcosa, arrivavano dal Lazio, battevano la città palmo a palmo entrando in tutti portoni e mettendosi a suonare nel mezzo dei cortili.
A pensarci ora erano povera gente che approfittava delle feste per guadagnare qualcosa, arrivavano dal Lazio, battevano la città palmo a palmo entrando in tutti portoni e mettendosi a suonare nel mezzo dei cortili.
La gente si affacciava e lanciava delle
monete dalle ringhiere e io, a riparo del mio osservatorio, stavo a
guardarli un po’ affascinata ma anche un po’ intimorita dal loro
vestiario. Erano figure alle quali non ero abituata, gente che veniva
da una realtà completamente diversa dalla nostra.
Avevano le cioce, il gilet di vello di pecora, cappellacci a tesa larga, e a coprire tutto un grande tabarro,un mantello a ruota di colore indefinito. Sembravano i briganti di Musolino...
Finito di suonare, uno di loro raccoglieva il magro incasso e se ne andavano.
Quel canto dolce e malinconico di zampogne sottolineava l’atmosfera natalizia ed era magica davvero....poi pian piano anche questa tradizione si è persa, i bisogni cominciavano a non essere più così impellenti e alla fine non vennero più e Natale non fu più la stessa cosa...
Lo stesso rito, ma il Primo dell'anno, lo compiva la banda....
Avevano le cioce, il gilet di vello di pecora, cappellacci a tesa larga, e a coprire tutto un grande tabarro,un mantello a ruota di colore indefinito. Sembravano i briganti di Musolino...
Finito di suonare, uno di loro raccoglieva il magro incasso e se ne andavano.
Quel canto dolce e malinconico di zampogne sottolineava l’atmosfera natalizia ed era magica davvero....poi pian piano anche questa tradizione si è persa, i bisogni cominciavano a non essere più così impellenti e alla fine non vennero più e Natale non fu più la stessa cosa...
Lo stesso rito, ma il Primo dell'anno, lo compiva la banda....
arrivavano, entravano in cortile,
suonavano romanze d'opera e altre canzoni natalizie, una sorta di
mini concerto di Capodanno, e la gente ugualmente si affacciava e
lanciava monete e dolciumi. Era il concerto d'auguri per il nuovo
anno, fatto casa per casa.
A volte era la banda dei Martinitt,
gli orfani....mi intristiva vederli, sapevo che vivevano nell'orfanotrofio che anticamente era situato nell'oratorio di S.
Martino, di qui, il nome Martinitt....
arrivavano, bambini poco più grandi
di me, nella loro divisa di panno grigio, con una banda rossa sul
lato dei pantaloni, una piccola mantellina altrettanto grigia bordata
di rosso, e il berretto rigido con la visiera, sulla testa.... Tutti
compìti coi loro strumenti, tutti in fila ordinatamente, ai comandi
del maestro che li dirigeva nella musica.....
a volte invece arrivava la banda dei
Combattenti e Reduci, a volte di altre istituzioni... ma era un
appuntamento immancabile, che tutti aspettavamo e seguivamo con
gioia.
I regali….praticamente erano fatti di piccole cose, un libro, un paio di guanti, un paio di calzettoni…. A casa mia soldi pochi e mia madre faceva quello che poteva per farmi trovare un pacchetto la mattina di Natale.
La signorina Barbolini, di cui ho già ampiamente raccontato, mi regalava sempre libri, Aspettavo il suo regalo sicura che fosse un libro e ne pregustavo la lettura, anche senza sapere che tipo di libro sarebbe arrivato.
I regali….praticamente erano fatti di piccole cose, un libro, un paio di guanti, un paio di calzettoni…. A casa mia soldi pochi e mia madre faceva quello che poteva per farmi trovare un pacchetto la mattina di Natale.
La signorina Barbolini, di cui ho già ampiamente raccontato, mi regalava sempre libri, Aspettavo il suo regalo sicura che fosse un libro e ne pregustavo la lettura, anche senza sapere che tipo di libro sarebbe arrivato.
Erano sempre bellissimi libri di
avventure tipo 20.000 leghe sotto i mari, oppure La storia di Cosa
Cosetta, L'Isola del Tesoro…. E la mia fantasia volava ogni
volta...
Il regalo invece che ricordo con un sentimento misto di tenerezza e malinconia, erano i mandarini che mia madre nascondeva nei calzettoni per farmeli trovare. Un frutto che compravamo abbastanza di rado allora, perlomeno noi che avevamo ben poco, in effetti si mangiavano solo nei giorni di festa. Mio padre li legava e li appendevamo al piccolo albero di Natale che stava nell'angolo opposto alla vetrata. Pian piano naturalmente sparivano.....poi mettevamo le bucce sulla stufa, per profumare la casa.
Non esistevano ancora i mandaranci, e ai semi eravamo abituati, era normale trovarceli.
I mandarini volevano dire Natale, odore
di inverno, di nebbia, di neve, di carbone, di panni bagnati messi ad
asciugare sui raggi di ferro avvitati intorno al tubo della stufa,
luci e ombre di un tempo che non tornerà più, profumi, colori e
visi di persone che non ci sono più ma che per un attimo lungo 10
anni hanno condiviso la mia vita e che hanno tutti un loro piccolo
cassetto nel mio cuore...
Quei frutti me li ricordo sempre, col loro colore acceso e il loro profumo e a pensarci bene, ancora oggi, per me, non è Natale senza mandarini.
Quei frutti me li ricordo sempre, col loro colore acceso e il loro profumo e a pensarci bene, ancora oggi, per me, non è Natale senza mandarini.
Buon Natale a tutti, che sia migliore di quello che immaginate.
pesce
primi
ricette per le feste
risotti
aspettando Natale
un bel risotto ci sta, ma che non sia il solito risotto di pesce.
Per me è sicuramente da inserire sotto la voce "piatti delle feste" per via di quel suo profumo così particolare, e per la semplicità e la facilità di esecuzione. Come il mio solito, massima resa con il minimo sforzo, e non è poco, soprattutto nei giorni che precedono il Natale, dove le corse sono frenetiche e si arriva alla fine con la lingua di fuori, stremate.
Dunque prendete nota, e procuratevi il bergamotto per tempo.
Risotto gamberi e bergamotto
per 2 persone:
250 g riso Carnaroli
6 gamberoni
1 bergamotto maturo, il succo
poco olio
1 piccolo scalogno
una noce di burro
fumetto di gamberi
per il fumetto:
1 carota
1 costa di sedano
1 scalogno
qualche gambo di prezzemolo
1 foglia di alloro
vino bianco
sale, pepe in grani
le teste e i carapaci dei gamberoni
poco olio
per completare il piatto:
due o tre spicchi di bergamotto pelati a vivo
qualche foglia di acetosella
Pulite i gamberoni, togliete la testa e il carapace, eliminate il budelletto, lavateli e asciugateli. Eventualmente divideteli in due metà se fossero troppo grossi. Tenete da parte.
Preparate il fumetto. Preparate un trito grossolano con la carota, il sedano, lo scalogno. Fatelo rosolare in una larga padella con un goccio d'olio, aggiungete le teste e il carapace dei gamberoni, fateli tostare bene insieme alle verdure, salate, aggiungete i grani di pepe, poi sfumateli con il vino bianco, una volta evaporato, unite i gambi di prezzemolo e l'alloro e coprite tutto con dell'acqua calda e portate a ebollizione. Cuocete per una mezz'ora dopodichè spegnete e filtrate il tutto attraverso un colino cinese, premendo bene le teste per estrarre tutto il loro succo. Con metà di questo fumetto farete il risotto, l'altra metà mettetela in congelatore dentro a quei sacchetti per i cubetti di ghiaccio. Lo avrete sempre pronto per insaporire qualsiasi piatto di pesce.
Allungate leggermente con poca acqua la metà del fumetto che è rimasta e rimettete sul fuoco in modo che sia sempre molto caldo. In questo modo il fumetto sarà delicato e non prevarrà sul profumo del bergamotto, pur conferendo carattere al piatto.
Ora è la volta del risotto, in una casseruola scaldate un poco di olio extra vergine d'oliva, aggiungete lo scalogno tritato finemente e lasciatelo appassire qualche istante, quindi aggiungete il riso, mescolate affinchè assorba il condimento e quando diventa traslucido bagnate con un mestolino del fumetto ai gamberi.
Continuate così, tirando il risotto con il fumetto versato poco per volta, mescolando. Verso fine cottura unite i gamberi e il succo del bergamotto filtrato, qualche minuto ancora di cottura e mantecate il tutto con una noce di burro. Fate in modo che il riso resti all'onda, cremoso e morbido.
Lasciatelo riposare qualche secondo poi mettete nei piatti completandoli con uno o due spicchi di bergamotto pelati a vivo e un paio di foglie di acetosella che darà colore al piatto.
Sì, decisamente un piatto che "fa festa"
Per me è sicuramente da inserire sotto la voce "piatti delle feste" per via di quel suo profumo così particolare, e per la semplicità e la facilità di esecuzione. Come il mio solito, massima resa con il minimo sforzo, e non è poco, soprattutto nei giorni che precedono il Natale, dove le corse sono frenetiche e si arriva alla fine con la lingua di fuori, stremate.
Dunque prendete nota, e procuratevi il bergamotto per tempo.
Risotto gamberi e bergamotto
per 2 persone:
250 g riso Carnaroli
6 gamberoni
1 bergamotto maturo, il succo
poco olio
1 piccolo scalogno
una noce di burro
fumetto di gamberi
per il fumetto:
1 carota
1 costa di sedano
1 scalogno
qualche gambo di prezzemolo
1 foglia di alloro
vino bianco
sale, pepe in grani
le teste e i carapaci dei gamberoni
poco olio
per completare il piatto:
due o tre spicchi di bergamotto pelati a vivo
qualche foglia di acetosella
Pulite i gamberoni, togliete la testa e il carapace, eliminate il budelletto, lavateli e asciugateli. Eventualmente divideteli in due metà se fossero troppo grossi. Tenete da parte.
Preparate il fumetto. Preparate un trito grossolano con la carota, il sedano, lo scalogno. Fatelo rosolare in una larga padella con un goccio d'olio, aggiungete le teste e il carapace dei gamberoni, fateli tostare bene insieme alle verdure, salate, aggiungete i grani di pepe, poi sfumateli con il vino bianco, una volta evaporato, unite i gambi di prezzemolo e l'alloro e coprite tutto con dell'acqua calda e portate a ebollizione. Cuocete per una mezz'ora dopodichè spegnete e filtrate il tutto attraverso un colino cinese, premendo bene le teste per estrarre tutto il loro succo. Con metà di questo fumetto farete il risotto, l'altra metà mettetela in congelatore dentro a quei sacchetti per i cubetti di ghiaccio. Lo avrete sempre pronto per insaporire qualsiasi piatto di pesce.
Allungate leggermente con poca acqua la metà del fumetto che è rimasta e rimettete sul fuoco in modo che sia sempre molto caldo. In questo modo il fumetto sarà delicato e non prevarrà sul profumo del bergamotto, pur conferendo carattere al piatto.
Ora è la volta del risotto, in una casseruola scaldate un poco di olio extra vergine d'oliva, aggiungete lo scalogno tritato finemente e lasciatelo appassire qualche istante, quindi aggiungete il riso, mescolate affinchè assorba il condimento e quando diventa traslucido bagnate con un mestolino del fumetto ai gamberi.
Continuate così, tirando il risotto con il fumetto versato poco per volta, mescolando. Verso fine cottura unite i gamberi e il succo del bergamotto filtrato, qualche minuto ancora di cottura e mantecate il tutto con una noce di burro. Fate in modo che il riso resti all'onda, cremoso e morbido.
Lasciatelo riposare qualche secondo poi mettete nei piatti completandoli con uno o due spicchi di bergamotto pelati a vivo e un paio di foglie di acetosella che darà colore al piatto.
Sì, decisamente un piatto che "fa festa"
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