dolci al cucchiaio
dolci e dessert
Il Club del 27
E sono due! Buon compleanno Club del 27!
Due anni di ricette, di sperimentazioni, di condivisione e di apprendimento.
Sì perchè in questi due anni ho imparato tantissime cose , soprattutto ad aprire la mente e ad uscire dalla routine e dagli schemi abituali della solita cucina, ho imparato ad usare ingredienti e tecniche e a destreggiarmi con la scelta dei sapori. Due anni che mi hanno arricchito ancora di più, in molti sensi.
Quindi sono felice di festeggiare questo compleanno e lo faccio con un tipo di dolce, il trifle, che mi era piaciuto molto la volta che l'abbiamo avuto come tema. Allora mi ero ripromessa di farli tutti col tempo ma, come sempre succede, gli impegni si accavallano e i buoni propositi vanno nel dimenticatoio.
E allora quale migliore occasione di questa per un dolce ricco e cremoso?
Sherry Trifle Wally Ladd
per 2 persone
4 cucchiai di marmellata di ciliegie
50 ml di Sherry
5 o 6 savoiardi
per la crema pasticcera:
200 ml di latte
2 tiorli di uova grandi
30 g di farina
70 g di zucchero
1 cucchiaino scarso di essenza di vaniglia
per completare il dolce:
150 g di panna liquida fresca
15 g di zucchero a velo
20 g di mandorle a lamelle
poca granella di pistacchi
Tostate le mandorle in un padellino e tenetele da parte.
Preparate la crema pasticcera. Scaldate il latte, montate i tuorli con lo zucchero fino a che sono gonfi e spumosi, aggiungete la farina, incorporate tutto con le fruste elettriche, poi unite il latte a filo, mescolando con una spatola o un cucchiaio di legno. Rimettete sul fuoco, unite la vaniglia e cuocete la crema fino a quando è densa. Copritela subito con la pellicola direttamente a contatto.
In un altro pentolino mettete la marmellata di ciliegie e metà dello Sherry, scaldate tutto a fuoco dolce, mescolando per qualche minuto. Lasciate raffreddare.
Montate la panna a neve ferma insieme allo zucchero a velo e trasferitela in una sac à poche munita di bocchetta liscia. Tagliate a metà i savoiardi e passateli velocissimamente nel resto dello Sherry.
Ora potete preparare i bicchieri o le coppe, o anche una sola grande coppa da Trifle. Iniziate partendo col fare uno strato di marmellata sul fondo, posateci i savoiardi, poi la crema pasticcera, ancora marmellata e savoiardi e finite con la crema pasticcera.
Completate la superficie con la panna montata. Distribuite su ciascun bicchiere, o coppa, la granella di pistacchi e le mandorle tostate.
Tanti auguri Club del 27, e lunga vita!
Buon Compleanno Club del 27! Il mio Sherry Trifle Wally Ladd
Due anni di ricette, di sperimentazioni, di condivisione e di apprendimento.
Sì perchè in questi due anni ho imparato tantissime cose , soprattutto ad aprire la mente e ad uscire dalla routine e dagli schemi abituali della solita cucina, ho imparato ad usare ingredienti e tecniche e a destreggiarmi con la scelta dei sapori. Due anni che mi hanno arricchito ancora di più, in molti sensi.
Quindi sono felice di festeggiare questo compleanno e lo faccio con un tipo di dolce, il trifle, che mi era piaciuto molto la volta che l'abbiamo avuto come tema. Allora mi ero ripromessa di farli tutti col tempo ma, come sempre succede, gli impegni si accavallano e i buoni propositi vanno nel dimenticatoio.
E allora quale migliore occasione di questa per un dolce ricco e cremoso?
Sherry Trifle Wally Ladd
per 2 persone
4 cucchiai di marmellata di ciliegie
50 ml di Sherry
5 o 6 savoiardi
per la crema pasticcera:
200 ml di latte
2 tiorli di uova grandi
30 g di farina
70 g di zucchero
1 cucchiaino scarso di essenza di vaniglia
per completare il dolce:
150 g di panna liquida fresca
15 g di zucchero a velo
20 g di mandorle a lamelle
poca granella di pistacchi
Tostate le mandorle in un padellino e tenetele da parte.
Preparate la crema pasticcera. Scaldate il latte, montate i tuorli con lo zucchero fino a che sono gonfi e spumosi, aggiungete la farina, incorporate tutto con le fruste elettriche, poi unite il latte a filo, mescolando con una spatola o un cucchiaio di legno. Rimettete sul fuoco, unite la vaniglia e cuocete la crema fino a quando è densa. Copritela subito con la pellicola direttamente a contatto.
In un altro pentolino mettete la marmellata di ciliegie e metà dello Sherry, scaldate tutto a fuoco dolce, mescolando per qualche minuto. Lasciate raffreddare.
Montate la panna a neve ferma insieme allo zucchero a velo e trasferitela in una sac à poche munita di bocchetta liscia. Tagliate a metà i savoiardi e passateli velocissimamente nel resto dello Sherry.
Ora potete preparare i bicchieri o le coppe, o anche una sola grande coppa da Trifle. Iniziate partendo col fare uno strato di marmellata sul fondo, posateci i savoiardi, poi la crema pasticcera, ancora marmellata e savoiardi e finite con la crema pasticcera.
Completate la superficie con la panna montata. Distribuite su ciascun bicchiere, o coppa, la granella di pistacchi e le mandorle tostate.
Tanti auguri Club del 27, e lunga vita!
eventi
recensioni
Un baccalà d'autore
Giovedì scorso ho avuto il piacere di partecipare all’evento
promosso dal Ristorante la Kuccagna di
Dovera (fraz. Barbuzzera) dei fratelli
Magnani sul baccalà, e quando si tratta de la Kuccagna, niente è lasciato al
caso e un baccalà d’autore è stato
il protagonista della serata.
Cinque portate declinate con grande originalità per
valorizzare e promuovere un prodotto di grande qualità.
Infatti il baccalà
che abbiamo degustato è il prodotto, totalmente
artigianale, di Martxel di San Sebastian, famosa località dei
Paesi Baschi. La pesca del merluzzo
Marxtel è tuttora effettuata all’amo lungo le coste delle Isole
Faroe, la lavorazione iniziale e la salatura avvengono quando il pesce è ancora fresco e solo successivamente portato in Spagna. Il risultato alla fine è un prodotto di altissima
qualità, e i nostri due protagonisti de la Kuccagna, con i loro piatti, ne hanno sottolineato magistralmente le caratteristiche.
Cinque portate dicevo. Siamo partiti alla grande con un crudo, morbido e succulento, accompagnato
da un piccolo prato germogliato, senza substatro, che all’assaggio è stata una
vera scoperta. Un accostamento insolito che
ha stupito e deliziato tutti i commensali seduti a tavola.
Poi una piccola
tempura di moros di punta, accompagnata
da una crema di peperone alla brace e crauto fermentato che ne ha esaltato il sapore.
Si è passati poi a un piatto che è stato molto apprezzato, la
gola di baccalà con crema di zucca e ristretto di Martini rosso. Un piatto di altissimo livello perché non è consueto trovare questi tagli del
pesce, quindi doppiamente gradito.
Una portata che mi ha sorpreso e favorevolmente stupito è stata la trippa di baccalà
con fagioli zolfini. Non l’avevo mai mangiata, lo confesso, per una mia remora
sulla consistenza delle interiora. Mi sono ampiamente ricreduta al primo
assaggio. Era deliziosa! Purtroppo dovrete credermi sulla parola perchè la foto che ho fatto non è pubblicabile, troppo sfocata per poter rendere omaggio come si deve a questo piatto.
E infine il piatto più rappresentativo, la suprème di baccalà
con patate mantecate e pomodorino gold
di Ciro Flagella. Carne saporita e soda,
consistente al taglio, come deve essere
un prodotto artigianale. La morbidezza
della patata e la dolcezza del pomodorino hanno fatto da perfetto contraltare
alla sapidità pesce.
Per finire fragole Candonga al Moscato e drops di cioccolato bianco, un dessert semplice e fresco, perfetto per chiudere una cena come questa.
Una menzione speciale la meritano i vini proposti che bene hanno esaltato ogni portata:
- Cremant d'Alsace domaine Saint Remy
- From Black to White di Zymè ( un uvaggio composto dai vitigni Rondinella Bianca Gold Traminer, Kerner, Incrocio Manzoni)
- Pinot Grigio domaine Saint Remy
Che dire? Che i fratelli Magnani sono sempre una garanzia di qualità e di saper fare e il
loro Kaos meravigliosamente organizzato ha su di me una presa e una attrattiva
irresistibile da molti anni ormai.
Complimenti dunque, e un grazie sentito, per la vostra instancabile ricerca della materia prima, del meglio e del bello,
per la vostra conoscenza e la vostra capacità di stupire sempre. Non è da
tutti.
dolci e dessert
torte da credenza
Torta semplice di ricotta, amaretti e mandorle
Ultimamente desidero dolci semplici, che ti gratifichino senza farti perdere mezza giornata per finire di prepararli, stramazzando per la stanchezza e senza nemmeno più la voglia di assaggiare. Mi sono stancata di tutti questi dolci da competizione, da esibire a dimostrazione delle proprie capacità. Sono arrivata da tempo alla consapevolezza che non devo dimostrare niente. So quello che valgo, quello che sono capace di fare, anche con soddisfazione, perdipiù non mi sento in competizione con nessuno. Non so, forse è un bisogno di semplicità, di eliminare ingredienti, di sottrarre anzichè aggiungere. Forse è un tornare alle origini ogni tanto, sta di fatto che per ora va così...
Questa la semplicissima similcrostata, molto facile da realizzare e tanto buona da essere stata il dolce di domenica scorsa.
Torta semplice di ricotta, amaretti e mandorle
per l'impasto:
100 g di burro
150 g di zucchero di canna
1 uovo
300 g di farina
1 bustina di lievito
un pizzico di sale
per il ripieno:
300 g di ricotta fresca
100 g di zucchero di canna
60 g di mandorle con la buccia
100 g di amaretti morbidi
1 uovo
2 cucchiai di Rum
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
1 cucchiaino di scorza di limone grattugiata
1 pizzico di sale
Fondete il burro e lasciatelo intiepidire.
Mettete la ricotta a scolare in un colino. Tritate le mandorle, non troppo grossolane ma nemmeno troppo fini.
In una terrina montate l'uovo intero con lo zucchero fino a farlo diventare gonfio e spumoso, unite il burro fuso sempre montando con le fruste elettriche, poi incorporare la farina setacciata con il lievito, quindi il pizzico di sale.
Togliete l'impasto dalla terrina e lavoratelo velocemente con le mani per compattarlo meglio, poi dividetelo in due parti di cui una un po' più grande.
Imburrate e infarinate una teglia apribile da 24 cm.
Rivestitene il fondo con la metà più grande della pasta, compattando bene il tutto con le mani e facendola risalire appena lungo i bordi.
Ora trasferite la ricotta in una ciotola, aggiungete lo zucchero di canna, l'uovo intero, gli amaretti sbriciolati, le mandorle tritate, la vaniglia, il liquore, la scorza di limone e il pizzico di sale e mescolate bene il tutto fino a renderlo omogeneo.
Con un cucchiaio distribuitelo sull'impasto che avete steso nella teglia, avendo cura di non farlo arrivare ai bordi.
Con il mattarello stendete il resto dell'impasto e appoggiatelo sopra il composto di ricotta, premete leggermente perchè aderisca bene e poi sigillatene i bordi con le mani unendoli all'impasto sottostante.
Cuocete il dolce nel ripiano a metà del forno, già caldo e statico, a 180° per circa 50 minuti.
Sarà pronto quando uno stecchino infilato nel centro, uscirà perfettamente asciutto.
Lasciate raffreddare il dolce, poi sganciate la tortiera e fatelo scivolare sul piatto di servizio. Spolveratelo con abbondante zucchero a velo.
Questa la semplicissima similcrostata, molto facile da realizzare e tanto buona da essere stata il dolce di domenica scorsa.
Torta semplice di ricotta, amaretti e mandorle
per l'impasto:
100 g di burro
150 g di zucchero di canna
1 uovo
300 g di farina
1 bustina di lievito
un pizzico di sale
per il ripieno:
300 g di ricotta fresca
100 g di zucchero di canna
60 g di mandorle con la buccia
100 g di amaretti morbidi
1 uovo
2 cucchiai di Rum
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
1 cucchiaino di scorza di limone grattugiata
1 pizzico di sale
Fondete il burro e lasciatelo intiepidire.
Mettete la ricotta a scolare in un colino. Tritate le mandorle, non troppo grossolane ma nemmeno troppo fini.
In una terrina montate l'uovo intero con lo zucchero fino a farlo diventare gonfio e spumoso, unite il burro fuso sempre montando con le fruste elettriche, poi incorporare la farina setacciata con il lievito, quindi il pizzico di sale.
Togliete l'impasto dalla terrina e lavoratelo velocemente con le mani per compattarlo meglio, poi dividetelo in due parti di cui una un po' più grande.
Imburrate e infarinate una teglia apribile da 24 cm.
Rivestitene il fondo con la metà più grande della pasta, compattando bene il tutto con le mani e facendola risalire appena lungo i bordi.
Ora trasferite la ricotta in una ciotola, aggiungete lo zucchero di canna, l'uovo intero, gli amaretti sbriciolati, le mandorle tritate, la vaniglia, il liquore, la scorza di limone e il pizzico di sale e mescolate bene il tutto fino a renderlo omogeneo.
Con un cucchiaio distribuitelo sull'impasto che avete steso nella teglia, avendo cura di non farlo arrivare ai bordi.
Con il mattarello stendete il resto dell'impasto e appoggiatelo sopra il composto di ricotta, premete leggermente perchè aderisca bene e poi sigillatene i bordi con le mani unendoli all'impasto sottostante.
Cuocete il dolce nel ripiano a metà del forno, già caldo e statico, a 180° per circa 50 minuti.
Sarà pronto quando uno stecchino infilato nel centro, uscirà perfettamente asciutto.
Lasciate raffreddare il dolce, poi sganciate la tortiera e fatelo scivolare sul piatto di servizio. Spolveratelo con abbondante zucchero a velo.
memorie
pollame
secondi
Sono stata per un po' innamorata di Giovanni, ma avevo quasi 13 anni e lui quasi 15. Senza speranza perchè non mi si filava per niente. Sarà che i maschi a quella età di tutto si accorgono tranne che del turbamento che suscitano in una ragazzina.
Abitava in una casa sulla piazza principale, ma la stalla e l'orto guardavano nella via di casa mia, proprio dirimpetto, e ogni estate che passavo da mia nonna in Friuli, coglievo segnali inequivocabili che mi facevano capire quanto mi piacesse.
Ma io ero praticamente tagliata fuori, ero "la milanesa", considerata un po' quella che se la tirava, anche se non era affatto così. Probabilmente scambiavano la mia timidezza per altezzosità, il fatto è che mi sentivo un pesce fuor d'acqua infatti, a parte Anna Maria, parente alla lontana e compagna di scorribande, i suoi amici e mia cugina Olivia, non frequentavo altri della mia età in paese. A quel tempo non avevo la faccia tosta per rompere il ghiaccio per prima, prevaleva la paura di non essere accettata.
Così ci guardavamo a distanza.
Passavo certi pomeriggi seduta sulla panchina di pietra appena fuori casa con un libro, ogni tanto osservavo il guizzare delle sanguisughe e dei girini nell'acqua della roggia, o il volo degli uccelli. Aspettavo di vederlo comparire sull'uscio dell'orto quando andava a dar da mangiare alle bestie. O quando aiutava il padre, in tempo di fienagione, a spostare il fieno dal carro al fienile.
Quando capitava il cuore si metteva a battere all'impazzata per cui abbassavo il viso per paura che lo capisse, e allo stesso tempo lo guardavo di sottecchi sperando che non se ne accorgesse.
A volte coglievo il suo sguardo indugiare su di me, e anche il sorriso appena accennato che faceva capolino. Il che mi riempiva di mille dubbi. Chissà cosa pensava in quel momento, chissà se aveva capito..
La domenica mattina era scandita dal richiamo delle campane per la messa, e alla fine ci si ritrovava in piazza, davanti alla fontana. Era uno dei pochi momenti in cui anche lui rimaneva per qualche minuto con me, mia cugina ed altri ragazzi a chiacchierare.
Aveva una erre arrotata alla francese, che mi piaceva tantissimo. Non ricordo più i discorsi, sono passati quasi sessant'anni. Ricordo però i suoi occhi azzurrissimi e l'emozione se per sbaglio mi sfiorava...
Uno di quei pomeriggi lenti di agosto in cui ero seduta sulla panca di pietra con il solito libro, la mia attesa fu premiata. A un certo punto lui attraversò l'orto per andare a rigovernare galline e conigli quando improvvisamente quattro o cinque anatre infilarono il cancello dell'orto lasciato sbadatamente socchiuso.
Fermale! Prendile! Aiutami! Mi gridò mentre rincorreva le povere anatre sulla strada.
Io mollai il libro e corsi in aiuto, cercando di spingerle nella direzione giusta. Le povere anitre impaurite e starnazzanti zampettavano di qua e di là completamente disorientate. Giovanni imprecava e urlava contro le povere malcapitate minacciando di tirare loro il collo, una scena comica degna di Hucklebrry Finn e Tom Sawyer .
Alla fine riuscimmo, a fatica, a farle tornare al loro posto.
Accaldati, ci rinfrescammo nell'acqua della roggia e alla fine ci mettemmo a ridere di gusto come solo i ragazzini di quella età sanno fare. Fu un momento magico che non si ripetè mai più.
La vita poi scorre come un fiume, a volte tranquillo, a volte tumultuoso.
Io smisi di passare l'estate in Friuli, nel frattempo arrivò l'età per lavorare, a 16 anni conobbi quello che sarebbe poi diventato mio marito, e con Giovanni ci perdemmo di vista. Avevo comunque, sporadicamente, sue notize grazie a mia nonna o mia cugina.
Venni a sapere che aveva avuto una grossa delusione d'amore e che per questo si era buttato dal fienile, fratturandosi il bacino e gli arti inferiori. Dopo mesi di ospedale era sprofondato in una brutta depressione e ne era uscito a fatica.
Molti, molti anni dopo, quando ero già nonna, mentre ero per qualche giorno in Friuli, ci siamo reincontrati nella piazza principale, in occasione del piccolo mercato del mercoledì.
I suoi occhi erano ancora azzurrissimi, illuminati dal sorriso mentre mi stringeva la mano, un po' curvo e claudicante per via di quel suo gesto assurdo, ma sempre con quella sua aria un po' scanzonata e ironica e la sua erre arrotata alla francese.
Mi disse che lui era solo e da poco in pensione, che passava il tempo accudendo sua madre, di oltre 100 anni, Me la ricordavo come un vero cerbero, scostante e autoritaria, indurita e sfiancata dal lavoro in campagna, come tutte le donne friulane di quella generazione. Mi son sentita un nodo in gola, allora gli ho ricordato l'episodio delle anatre. Se lo ricordava anche lui e ci siamo messi a ridere come facemmo quella volta, da ragazzini. E' stato in quel momento che, ridendo, gli ho confessato che a 13 anni ero stata segretamente innamorata di lui. Lui mi ha guardato in silenzio, ha annuito appena e un sorriso triste gli è comparso in viso velandogli lo sguardo. Si è avvicinato e mi ha baciato delicatamente sulla guancia, e in quel gesto di tenerezza ho avvertito una muta malinconia.
Sono tornata in Friuli diverse volte da quel giorno, il suo orto ormai diventato un semplice terreno verde, è ancora affacciato sulla strada di casa mia ma non ci sono più galline e conigli e tantomeno anatre, non ci sono nemmeno più la panchina di pietra e la roggia dove guizzavano girini e sanguisughe, il mondo va avanti, progredisce, la roggia ha lasciato il posto ai parcheggi per le auto, ma io non posso fare a meno di ricordare quei giorni lontani ogni volta che guardo verso la sua casa.
Ricordo che salutandolo quella volta, gli avevo promesso che per ricordare i vecchi tempi gli avrei cucinato l'anatra quando sarei tornata al paese, ma non sono ancora riuscita a mantenere la promessa...

Petto d'anatra speziato e chutney di kumquat affumicati
per 2 persone
per l'anatra:
1 petto d'anatra di circa 250/300 g
1 spicchio d'aglio
5 g di cannella
5 g di pepe nero macinato al momento
1 g di noce moscata
2 g di cardamomo
2 g di coriandolo
2 g di peperoncino
30 ml di succo d'ananas
10 ml di olio e.v. d'oliva
poca scorza d'arancia
per il fondo:
1 piccola carota
1 cipolla
1 costa di sedano
5 g di concentrato di pomodoro
100 ml di Madeira (o Marsala)
poco olio
una noce di burro
sale
per il chutney:
200 g di kumquat
80 g di zucchero semolato
2 g di peperoncino
sale
per l'affumicatura:
100 g di riso
150 g di trucioli di legno d'arancio da affumicatura
1 rametto di rosmarino
2 foglie di alloro
1 cucchiaio di pepe rosa
Affumicate i kumquat.
Foderate molto bene il fondo di una pentola alta con due o tre strati di alluminio, facendolo risalire per un poco lungo i bordi. Sul fondo mettete il riso, i trucioli di legno, il rosmarino, l'alloro e il pepe rosa. Posate sopra a tutto una piccola griglia, qualcosa che tenga poi sollevato il contenitore che conterrà i kumquat. Tagliate a metà i mandarini cinesi ed eliminate i semi interni. Disponeteli dentro a uno di quei cestini di bambù per la cottura a vapore. Mettete la pentola ben coperta sul fuoco, e quando l'interno inizia a fare fumo inserite il cestello con i kumquat, posizionandolo sulla griglia. Coprite di nuovo la pentola e lasciate così per un paio di minuti, poi spegnete il fuoco e lasciate raffreddare così com'è.
Una volta freddi, togliete i kumquat dalla pentola metteteli in un pentolino con lo zucchero, il peperoncino e un pizzico di sale. Portate sul fuoco e fate cuocere fino ad avere un composto sciropposo. Tenete in frigorifero fino al momento di usarlo.
Preparate il petto d'anatra. Se avete modo di usare il sottovuoto inserite il petto e tutti gli ingredienti della marinatura in un sacchetto da sottovuoto e sigillate, altrimenti mettete tutto in una piccola pirofila che contenga il petto di misura, unite tutti gli altri ingredienti, girate e rigirate il petto in modo che si impregni bene poi coprite con la pellicola e tenete in frigo per almeno 12 ore.
Trascorso il tempo liberate il petto, dategli una pulita sommaria con un poco di carta da cucina. In un pentolino fate spumeggiare il burro, unite il petto dalla parte della pelle e lasciate che diventi dorato e croccante a fuoco medio. Ci vorranno circa 5 o 6 minuti, poi ripetete l'operazione girandolo dall'altra parte per 3 o 4 minuti.
Infine mettete in forno caldo a 120° per altri 10 minuti, con la pelle rivolta verso l'alto. Toglietelo dal forno, avvolgetelo nell'alluminio in modo che i succhi ritornino all'interno e mettetelo nel forno con lo sportello aperto.
Nel frattempo preparate il fondo. Eliminate il grosso del condimento dal pentolino di cottura del petto, poi deglassate il fondo con il Madeira (o il Marsala) aggiungete la carota, e la costa di sedano lavate e tagliate in 3 o 4 pezzi, la cipolla tritata grossolanamente, un filo d'olio, il concentrato di pomodoro e un bicchiere abbondante d'acqua. Lasciate cuocere pian piano, aggiungendo dell'altra acqua o un goccio ancora di Madeira. Filtrate tutto e rimettete sul fuoco in un piccolo pentolino, riportate a ebollizione poi togliete dal fuoco e unite una noce di burro, fate roteare il pentolino in modo che il burro freddo, sciogliendosi, addensi la salsa. Tenete in caldo.
Intiepidite leggermente il chutney di kumquat affumicati. Ricavate con la mandolina un pezzetto di scorza d'arancia, tagliatela a striscioline sottili e sbollentatela.
Riprendete il petto d'anatra, scaloppatelo e servitelo nappato con la salsa al Madeira e con i kumquat. Completate con qualche strisciolina di scorza d'arancia.
Ho cotto al rosa, non ho lasciato il petto più crudo per una questione di gusti ma era tenerissimo e succoso comunque.
Non so se Giovanni lo gradirebbe cucinato così, però a noi è piaciuta molto e l'accostamento con il kumquat affumicato ha esaltato moltissimo i sapori. Un bel matrimonio davvero.
Petto d'anatra speziato con chutney di kumquat affumicati
Sono stata per un po' innamorata di Giovanni, ma avevo quasi 13 anni e lui quasi 15. Senza speranza perchè non mi si filava per niente. Sarà che i maschi a quella età di tutto si accorgono tranne che del turbamento che suscitano in una ragazzina.
Abitava in una casa sulla piazza principale, ma la stalla e l'orto guardavano nella via di casa mia, proprio dirimpetto, e ogni estate che passavo da mia nonna in Friuli, coglievo segnali inequivocabili che mi facevano capire quanto mi piacesse.
Ma io ero praticamente tagliata fuori, ero "la milanesa", considerata un po' quella che se la tirava, anche se non era affatto così. Probabilmente scambiavano la mia timidezza per altezzosità, il fatto è che mi sentivo un pesce fuor d'acqua infatti, a parte Anna Maria, parente alla lontana e compagna di scorribande, i suoi amici e mia cugina Olivia, non frequentavo altri della mia età in paese. A quel tempo non avevo la faccia tosta per rompere il ghiaccio per prima, prevaleva la paura di non essere accettata.
Così ci guardavamo a distanza.
Passavo certi pomeriggi seduta sulla panchina di pietra appena fuori casa con un libro, ogni tanto osservavo il guizzare delle sanguisughe e dei girini nell'acqua della roggia, o il volo degli uccelli. Aspettavo di vederlo comparire sull'uscio dell'orto quando andava a dar da mangiare alle bestie. O quando aiutava il padre, in tempo di fienagione, a spostare il fieno dal carro al fienile.
Quando capitava il cuore si metteva a battere all'impazzata per cui abbassavo il viso per paura che lo capisse, e allo stesso tempo lo guardavo di sottecchi sperando che non se ne accorgesse.
A volte coglievo il suo sguardo indugiare su di me, e anche il sorriso appena accennato che faceva capolino. Il che mi riempiva di mille dubbi. Chissà cosa pensava in quel momento, chissà se aveva capito..
La domenica mattina era scandita dal richiamo delle campane per la messa, e alla fine ci si ritrovava in piazza, davanti alla fontana. Era uno dei pochi momenti in cui anche lui rimaneva per qualche minuto con me, mia cugina ed altri ragazzi a chiacchierare.
Aveva una erre arrotata alla francese, che mi piaceva tantissimo. Non ricordo più i discorsi, sono passati quasi sessant'anni. Ricordo però i suoi occhi azzurrissimi e l'emozione se per sbaglio mi sfiorava...
Uno di quei pomeriggi lenti di agosto in cui ero seduta sulla panca di pietra con il solito libro, la mia attesa fu premiata. A un certo punto lui attraversò l'orto per andare a rigovernare galline e conigli quando improvvisamente quattro o cinque anatre infilarono il cancello dell'orto lasciato sbadatamente socchiuso.
Fermale! Prendile! Aiutami! Mi gridò mentre rincorreva le povere anatre sulla strada.
Io mollai il libro e corsi in aiuto, cercando di spingerle nella direzione giusta. Le povere anitre impaurite e starnazzanti zampettavano di qua e di là completamente disorientate. Giovanni imprecava e urlava contro le povere malcapitate minacciando di tirare loro il collo, una scena comica degna di Hucklebrry Finn e Tom Sawyer .
Alla fine riuscimmo, a fatica, a farle tornare al loro posto.
Accaldati, ci rinfrescammo nell'acqua della roggia e alla fine ci mettemmo a ridere di gusto come solo i ragazzini di quella età sanno fare. Fu un momento magico che non si ripetè mai più.
La vita poi scorre come un fiume, a volte tranquillo, a volte tumultuoso.
Io smisi di passare l'estate in Friuli, nel frattempo arrivò l'età per lavorare, a 16 anni conobbi quello che sarebbe poi diventato mio marito, e con Giovanni ci perdemmo di vista. Avevo comunque, sporadicamente, sue notize grazie a mia nonna o mia cugina.
Venni a sapere che aveva avuto una grossa delusione d'amore e che per questo si era buttato dal fienile, fratturandosi il bacino e gli arti inferiori. Dopo mesi di ospedale era sprofondato in una brutta depressione e ne era uscito a fatica.
Molti, molti anni dopo, quando ero già nonna, mentre ero per qualche giorno in Friuli, ci siamo reincontrati nella piazza principale, in occasione del piccolo mercato del mercoledì.
I suoi occhi erano ancora azzurrissimi, illuminati dal sorriso mentre mi stringeva la mano, un po' curvo e claudicante per via di quel suo gesto assurdo, ma sempre con quella sua aria un po' scanzonata e ironica e la sua erre arrotata alla francese.
Mi disse che lui era solo e da poco in pensione, che passava il tempo accudendo sua madre, di oltre 100 anni, Me la ricordavo come un vero cerbero, scostante e autoritaria, indurita e sfiancata dal lavoro in campagna, come tutte le donne friulane di quella generazione. Mi son sentita un nodo in gola, allora gli ho ricordato l'episodio delle anatre. Se lo ricordava anche lui e ci siamo messi a ridere come facemmo quella volta, da ragazzini. E' stato in quel momento che, ridendo, gli ho confessato che a 13 anni ero stata segretamente innamorata di lui. Lui mi ha guardato in silenzio, ha annuito appena e un sorriso triste gli è comparso in viso velandogli lo sguardo. Si è avvicinato e mi ha baciato delicatamente sulla guancia, e in quel gesto di tenerezza ho avvertito una muta malinconia.
Sono tornata in Friuli diverse volte da quel giorno, il suo orto ormai diventato un semplice terreno verde, è ancora affacciato sulla strada di casa mia ma non ci sono più galline e conigli e tantomeno anatre, non ci sono nemmeno più la panchina di pietra e la roggia dove guizzavano girini e sanguisughe, il mondo va avanti, progredisce, la roggia ha lasciato il posto ai parcheggi per le auto, ma io non posso fare a meno di ricordare quei giorni lontani ogni volta che guardo verso la sua casa.
Ricordo che salutandolo quella volta, gli avevo promesso che per ricordare i vecchi tempi gli avrei cucinato l'anatra quando sarei tornata al paese, ma non sono ancora riuscita a mantenere la promessa...

Petto d'anatra speziato e chutney di kumquat affumicati
per 2 persone
per l'anatra:
1 petto d'anatra di circa 250/300 g
1 spicchio d'aglio
5 g di cannella
5 g di pepe nero macinato al momento
1 g di noce moscata
2 g di cardamomo
2 g di coriandolo
2 g di peperoncino
30 ml di succo d'ananas
10 ml di olio e.v. d'oliva
poca scorza d'arancia
per il fondo:
1 piccola carota
1 cipolla
1 costa di sedano
5 g di concentrato di pomodoro
100 ml di Madeira (o Marsala)
poco olio
una noce di burro
sale
per il chutney:
200 g di kumquat
80 g di zucchero semolato
2 g di peperoncino
sale
per l'affumicatura:
100 g di riso
150 g di trucioli di legno d'arancio da affumicatura
1 rametto di rosmarino
2 foglie di alloro
1 cucchiaio di pepe rosa
Affumicate i kumquat.
Foderate molto bene il fondo di una pentola alta con due o tre strati di alluminio, facendolo risalire per un poco lungo i bordi. Sul fondo mettete il riso, i trucioli di legno, il rosmarino, l'alloro e il pepe rosa. Posate sopra a tutto una piccola griglia, qualcosa che tenga poi sollevato il contenitore che conterrà i kumquat. Tagliate a metà i mandarini cinesi ed eliminate i semi interni. Disponeteli dentro a uno di quei cestini di bambù per la cottura a vapore. Mettete la pentola ben coperta sul fuoco, e quando l'interno inizia a fare fumo inserite il cestello con i kumquat, posizionandolo sulla griglia. Coprite di nuovo la pentola e lasciate così per un paio di minuti, poi spegnete il fuoco e lasciate raffreddare così com'è.
Una volta freddi, togliete i kumquat dalla pentola metteteli in un pentolino con lo zucchero, il peperoncino e un pizzico di sale. Portate sul fuoco e fate cuocere fino ad avere un composto sciropposo. Tenete in frigorifero fino al momento di usarlo.
Preparate il petto d'anatra. Se avete modo di usare il sottovuoto inserite il petto e tutti gli ingredienti della marinatura in un sacchetto da sottovuoto e sigillate, altrimenti mettete tutto in una piccola pirofila che contenga il petto di misura, unite tutti gli altri ingredienti, girate e rigirate il petto in modo che si impregni bene poi coprite con la pellicola e tenete in frigo per almeno 12 ore.
Trascorso il tempo liberate il petto, dategli una pulita sommaria con un poco di carta da cucina. In un pentolino fate spumeggiare il burro, unite il petto dalla parte della pelle e lasciate che diventi dorato e croccante a fuoco medio. Ci vorranno circa 5 o 6 minuti, poi ripetete l'operazione girandolo dall'altra parte per 3 o 4 minuti.
Infine mettete in forno caldo a 120° per altri 10 minuti, con la pelle rivolta verso l'alto. Toglietelo dal forno, avvolgetelo nell'alluminio in modo che i succhi ritornino all'interno e mettetelo nel forno con lo sportello aperto.
Nel frattempo preparate il fondo. Eliminate il grosso del condimento dal pentolino di cottura del petto, poi deglassate il fondo con il Madeira (o il Marsala) aggiungete la carota, e la costa di sedano lavate e tagliate in 3 o 4 pezzi, la cipolla tritata grossolanamente, un filo d'olio, il concentrato di pomodoro e un bicchiere abbondante d'acqua. Lasciate cuocere pian piano, aggiungendo dell'altra acqua o un goccio ancora di Madeira. Filtrate tutto e rimettete sul fuoco in un piccolo pentolino, riportate a ebollizione poi togliete dal fuoco e unite una noce di burro, fate roteare il pentolino in modo che il burro freddo, sciogliendosi, addensi la salsa. Tenete in caldo.
Intiepidite leggermente il chutney di kumquat affumicati. Ricavate con la mandolina un pezzetto di scorza d'arancia, tagliatela a striscioline sottili e sbollentatela.
Riprendete il petto d'anatra, scaloppatelo e servitelo nappato con la salsa al Madeira e con i kumquat. Completate con qualche strisciolina di scorza d'arancia.
Ho cotto al rosa, non ho lasciato il petto più crudo per una questione di gusti ma era tenerissimo e succoso comunque.
Non so se Giovanni lo gradirebbe cucinato così, però a noi è piaciuta molto e l'accostamento con il kumquat affumicato ha esaltato moltissimo i sapori. Un bel matrimonio davvero.
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