memorie
dentro a un piatto di riso
Giuli, ho voglia di un risotto....
così mia madre al telefono, me lo fai?
Potevo dirle di no?
Così, pensando a cosa cucinare per il
pranzo della domenica, apro il frigorifero....
toh! La salsiccia che giace da qualche
giorno mi fa l'occhiolino da sotto una confezione di
burro.........ok, ok, ti faccio fare una degna fine.... Vada per il
risotto alla monzese...
Arriva la domenica, preparo il risotto,
e andiamo a tavola.
Mio marito, appena infilata in bocca la
prima forchettata di riso, mi dice: - ti ricordi di quello che ci
faceva la zia Libera?
Come non ricordarlo! E' legato ai
nostri inizi, posso dimenticarlo??
E' vero che sono passati
quarant'anni e più, ma la memoria storica ce l'ho ancora, è quella
breve che fa i capricci!
E allora ricordiamo davvero.....
Si chiamava Liberata ma la chiamavano
Libera, non ho mai saputo il perché di questo nome così
significativo, nel tempo e fra i suoi documenti non ho trovato nulla che dicesse da che parte era
arrivato, se c'era un bisnonno o qualcun'altro di cui continuare il
nome. Ricordo che glielo avevo anche chiesto, ma lei si era stretta
nelle spalle e, scrollando la testa, mi aveva risposto che sua madre
non glielo aveva mai spiegato.......strana la famiglia Corti!
Libera era la quinta dei sei fratelli
Corti, nata sul finire del gennaio 1904, quando sua madre pensava di
aver smesso di scodellare figli al ritmo di uno ogni due anni, e
invece l’ultima davvero fu, cinque anni più avanti, la zia
Letizia, di cui ho già parlato ampiamente.
qui in una foto di gioventù, penso sul finire degli anni '20, a giudicare dalla pettinatura a onde, dalle scarpe alla bebé e dal vestito....
Quando l’ho conosciuta era già
nella mezza età, vedova da poco. Suo marito era mancato,
nell’Ottobre del 1966 e io avevo da poco incontrato quello che
sarebbe poi diventato mio marito, stavamo insieme da pochi giorni,
per cui non ho avuto proprio modo di conoscerlo...
Lei era una donna alta, rotonda ma non
grassa, con dei capelli castano/biondo raccolti sulla sommità della
testa a piccoli boccoli, tenuti insieme dalle forcine..
Io non me la
ricordo riccia come nelle foto da giovane, ma sempre con quei suoi
capelli tirati in su, e quei boccoli arrotolati fra le dita e fissati
con le forcine sulla sommità della testa..
Da che ho memoria di lei, non ha mai
cambiato pettinatura, non come me che ho sempre cambiato testa, ogni
volta che mi prendeva lo schizzo di arricciare, tagliare,
colorare......solo ora, che sono anch'io nella mezza età, ho più o
meno la stessa pettinatura da qualche anno....
Stranamente la sua statura sovrastava
quella di tutti i fratelli, non molto alti in verità. Nelle vecchie
foto, o è seduta oppure, quando è in piedi, svetta su tutti.
lei è la prima a sinistra, poi la zia Stella e poi mio suocero, una amica storica delle sorelle, la Ines, e quindi la zia Letizia
qui in gita con gli amici.. e lei è quella seduta a destra....
Non ho molte foto sue, quelle che ho sono quasi tutte formato tessera, fatte in varie epoche...
questa penso sia degli anni '20/30....non ne sono sicura, ma la pettinatura è quella di quegli anni...
anno 1959, c'è scritto dietro stavolta...
e questa è come l'ho conosciuta io
Delle sorelle Corti era la più
frivola, un po' leggera probabilmente, sempre pronta più a divertirsi
che a lavorare, a pensare a comprarsi cappelli nuovi, scarpe, guanti
di ogni tipo, borse e vestiti, spendacciona oltre ogni dire....le
altre sorelle mugugnavano, e lo hanno fatto tutta la vita....
Lei però era l'unica delle sorelle
Corti che volesse veramente bene a mia suocera, sua cognata, una
volta che entrò a far parte della famiglia, l'unica che instaurò
con lei un rapporto profondo, di amicizia e sorellanza
affettuosa.....e di questo le sarò sempre grata.
Mia suocera era nata a Zara, quando
ancora era italiana, ed era venuta a lavorare a Cernobbio, come cameriera per la famiglia Mandelli, una delle famiglie più benestanti di allora a Cernobbio.... ...qui aveva
conosciuto mio suocero....ma la loro storia merita un capitolo a
parte...
Si era sposata molto tardi la zia
Libera, nel 1941, mentre si avvicinava alla quarantina, dopo aver,
come si dice, corso parecchio la cavallina, d'altra parte con quel
nome.......nomen omen...
Si era praticamente accontentata per
potersi accasare e per sfuggire alla maldicenza e alle dinamiche di
un piccolo paese qual’era Cernobbio fino agli anni della guerra...
Suo marito, lo zio Danilo, classe 1900,
originario del Monferrato, si era trasferito in città da bambino, e lo aveva conosciuto per caso. Le era stato presentato da una amica
comune che era venuta da Milano e che lui aveva accompagnato. Ed era
arrivato proprio nel momento in cui si era quasi rassegnata a
rimanere zitella..
Un uomo niente affatto bello, nemmeno
carino a giudicare dalle foto, anzi, piuttosto basso e con un naso un
po' camuso....Insieme non erano certo quel che si dice una bella
coppia....
questa è una delle poche foto sue, e fatta quando era già sulla cinquantina
Lui era appena tornato dalla Spagna,
dove era andato volontario, per combattere dalla parte dei fascisti
di Franco, poi sul finire della guerra era stato ferito leggermente
e quindi, nel 1939 era rientrato.
Trovammo, una volta mancata la zia,
mentre provvedevamo a disfare la sua casa, una lettera della
sezione del Fascio della zona che intimava alla vecchia ditta dove
era impiegato di reintegrarlo in organico e di pagargli tutti gli
stipendi arretrati per il periodo di assenza, pena la chiusura
forzata e il sequestro dell’attività e la minaccia dell’impiego
di altri mezzi se non ottemperavano....
Ricordo perfettamente che c’era una
data, l’anno XXII dell’era fascista, che sinceramente non so a
che anno reale si riferisse, credo fosse il 1943/44, ma posso
sbagliare...
Un documento che a tenerlo fra le mani
mi ha fatto una certa impressione, è stato come tenere fra le mani
un pezzo della nostra storia, terribilmente tragica, e scoprire poi
che è stata anche vissuta e partecipata in quel modo da questo zio
acquisito non è stato affatto piacevole.
Si conobbero dicevo, in una giornata di
sole e nella cornice magica e romantica del lago di Como, almeno
così raccontava zia Libera...
Non fu un amore travolgente, anzi,
credo proprio che lei non fosse assolutamente innamorata. E’ che
si rendeva conto che lui significava l’ultima opportunità di fare
un buon matrimonio, di lasciare Cernobbio, un paese che, lago a
parte, le stava stretto più che mai.
Si fidanzarono e il fidanzamento durò
quasi due anni, poi si sposarono senza troppo clamore, e vennero a
vivere a Milano, in una piccola casa di ringhiera a due piani in via
Porro Lambertenghi,in fondo alla via Farini, dove lo zio aveva
comprato due stanze.
Erano proprio due stanze. E neanche tanto
grandi. Una era quella che fungeva da ingresso, soggiorno e cucina,
mentre, all'interno, una porta la divideva dalla camera da letto
che affacciava invece dall'altro lato della casa, sulla via
Lambertenghi....il bagno, se così si può chiamare, era in fondo
alla ringhiera, in comune con le altre due famiglie che vivevano su
quel lato.
Consisteva in una turca e stop. Come ho
già avuto modo di raccontare, ci si lavava nella tinozza, scaldando
l'acqua sul fornello a gas...oppure si andava alle docce pubbliche,
ce n'erano e ce ne sono molte tuttora sparse in tutta la città...
Ci ha vissuto praticamente quasi tutta
la sua vita in quelle due stanze senza servizi......
zio Danilo era un tornitore
specializzato, e per quel tempo era una qualifica che garantiva una
paga abbastanza alta. Ma non tanto alta da permettere alla zia di
fare solo la casalinga.
Così lei mise a frutto quello che
aveva imparato quando da ragazzina aiutava la madre a lavorare le
spolette di seta. Era occhiellaia, faceva asole in seta a giacche e
pantaloni, lavorava per i sarti che a quel tempo erano molto
numerosi perché gli abiti venivano fatti fare dalle sartorie, non
esistevano ancora le confezioni in serie, vennero molto dopo.
Un mestiere parecchio ricercato il suo,
non erano molti a saperlo fare bene, e lei invece era anche molto
richiesta, aveva parecchio lavoro e un giro numeroso di sarti che le
affidavano le loro creazioni da rifinire... c'era sempre un via vai
frenetico su per quelle scale!
Occhiellaia.....a dirlo oggi credo che
pochi sappiano cosa significhi....già quando l'ho conosciuta io il
lavoro era molto calato, non c'era più tanto bisogno di occhielli
fatti a mano, costavano troppo rispetto a quelli fatti a macchina,
quelli fatti a mano erano più per l'alta sartoria che altro...
Ma lei continuò a cucire le asole
delle giacche finché ci fu un sarto a chiederglielo...ricordo di
averla vista curva su una giacca che era già molto avanti con gli
anni, poi smise anche perché non ci vedeva più tanto bene...
Come sua sorella Letizia, anche a lei
piaceva cucinare, e lo faceva davvero bene.
Lo zio Danilo, così racconta mio
marito, era un tipo abbastanza strano e anche un po' burlone...
Pretendeva che lei apparecchiasse tutti
i giorni la tavola come per le grandi occasioni..tovaglia di fiandra
rigorosamente bianca, tre o quattro bicchieri, posate che
servissero dall'antipasto al dessert, tovaglioli piegati con molta
cura, l'acqua e il vino nelle bottiglie di cristallo, poi arrivava,
perennemente in ritardo, si sedeva a tavola e il più delle volte
non toccava cibo...
lei che magari aveva cucinato tutta la
mattina, andava su tutte le furie e lo mandava a quel paese e lui,
serafico:
- Libera, t'el set? (sai?)
- t'u cumprà el teren ( ti ho comprato
il terreno)
- Oh che bel, ma n'doué?? - (ma dove) rispondeva
lei
- a Musocc ( a Musocco, il cimitero più
grande di Milano)...
al che lei faceva volare i piatte e non
gli parlava fino al giorno dopo, quando la sceneggiata della tavola
apparecchiata in grande stile si ripeteva....
Quando finalmente, passati un po' di
mesi, la conobbi, invitò me e suo nipote a pranzo, era di
sabato, lo ricordo come fosse oggi.
Ricordo quella casa, dove ordine era
una parola priva di significato....piena di ninnoli, di
soprammobili, di fotografie appese al muro e di quadri fatti con i
coperchi delle scatole di cioccolatini.
Sì perchè un tempo sulle scatole di
cioccolatini, fatte di un cartone molto rigido, un poco imbottito a
volte, c'erano sempre delle stampe di fiori, o di panorami
bellissimi..ci voleva niente a metterle in cornice!
Ricordo la ghiacciaia, e mi colpì
parecchio il fatto che la usasse ancora, nonostante un frigorifero a
tavolino facesse bella mostra di se lì a fianco....mi domandai dove
trovasse il ghiaccio...i carbonai, non esistevano quasi più e i
pochi rimasti si erano convertiti alle taniche di gasolio e alle
stufe elettriche, niente più carbone d'inverno e ghiaccio
d'estate.......non lo seppi mai...
Per me che avevo 17 anni,
e vivevo in un presente in evoluzione continua, confrontarmi con la
sua realtà e il suo modo di vivere un po' rivolto al passato è
stato incredibile e
mi ha permesso di intravvedere
un'epoca e un mondo completamente sconosciuto, difficile da
immaginare.
Quando cominciò ad avere problemi di
salute, soprattutto di artrite deformante talmente devastante che a un certo punto arrivò
ad impedirle di camminare, si trasferì a casa della sorella minore,
la zia Letizia appunto.
Litigavano come cane e gatto, e ogni
volta che andavamo a trovarle, sentivamo le litanie di una e
dell'altra e cercavamo di calmarle........ma poi tutto si quietava e
l'affetto fra loro prevaleva...
la zia Letizia la accudiva in tutto e
per tutto, e lei un po' ne approfittava. Ma tutto questo ebbe poca
durata, la zia Letizia si ammalò e nel giro di poco tempo morì, e
la zia Libera restò sola.
Era molto benvoluta anche dai parenti
dello zio, soprattutto da una sua nipote, Ester, ballerina della
Scala, che ho conosciuto anch'io e che non ha mai smesso restarle
vicino anche dopo, quando morì lo zio...
![]() |
eccola qui in una foto del 1933 |
Fortunosamente si riuscì a trovarle
un posto al Palazzolo, storica casa di riposo di Milano, nel
reparto dei non autosufficienti. Lei lo era parzialmente, era
lucidissima, ma si muoveva solo con la sua sedia a rotelle.
Ricordo con profonda tristezza quel
periodo. Per andare al reparto dove era lei, dovevo percorrere
tutto il lunghissimo corridoio del primo piano dove erano ricoverate
donne molto anziane che non ci stavano più con la testa, e ogni
volta, fra le altre, passavo davanti a una stanza che aveva sempre
l'uscio aperto e dove c'era fissa una nonnina su una sedia a dondolo
che cullava una bambola. La cosa mi sconvolgeva....quando uscivo,
dopo la visita alla zia, mi ci voleva almeno un'ora prima cdi tornare
alla normalità....le mie figlie erano ancora piccole, a volte le
portavo perché lei giustamente le voleva vedere, e mi stringevano
le mani forte forte, mentre percorrevamo quei lunghissimi metri,
come a dire che no, non mi avrebbero mai lasciato lì....
Lo ricordo anche come un periodo
difficile quello...dover vuotare la sua casa, ma conservando
comunque tutto il suo guardaroba e la sua biancheria, che serviva di
ricambio in casa di riposo, e che io provvedevo a portarle tutte le
settimane..dover conciliare il
lavoro, la casa, la famiglia, le bimbe da seguire a scuola, le
visite due volte la settimana che le facevo...è stato veramente
faticoso........D'altra parte ci teneva tantissimo ai suoi vestiti,
alle sue scarpe, alle sue borsette, e non poteva tenerle tutte nel
piccolo guardaroba della sua camera alla casa di riposo, come non
accontentarla? Era stata vanitosa in tutta la sua vita, e lo era
ancor di più ora che stava in quel posto, le piaceva essere
elegante, sempre. Era il suo modo di rimanere legata alla vita
normale, quella di quando stava bene e poteva muoversi come voleva,
un modo per non sentire la mancanza della sua casa e dei suoi
oggetti, e di conservare la sua dignità anche dentro a un posto
come quello, che anche se era molto pulito, organizzato, con
animatori e volontari che tutti i giorni organizzavano cose, era pur
sempre una casa di riposo, una specie di cronicario dove sapeva che
sarebbero finiti i suoi giorni...
Rimase un paio d'anni al Palazzolo, ma
sono stati comunque anni sereni. Era entrata a far parte di un
gruppo di anziane che sotto la guida della responsabile del reparto
avevano messo in piedi tutta una attività di beneficienza.
Cucivano, ricamavano, facevano lavori a maglia, chi dipingeva su
vetro, chi su tela, chi faceva lavoretti di ceramica, tutte cose che
poi vendevano ai parenti o nelle feste che organizzavano aperte anche
agli esterni, e quello che raccoglievano lo destinavano ogni anno ad
un ente diverso....
Una giorno mi chiese di portarle della
carta crespa rossa. Non le feci domande, andai in cartoleria e la
comprai, chiedendomi a cosa le servisse.....lo scoprii appena gliela
portai. Strappò un pezzetto dal rotolo, lo appallottolò, mi chiese
lo specchio e cominciò a strofinare quella carta rossa sugli
zigomi......rimasi di stucco, avevo appena capito cosa usavano le
donne dell'altro secolo come fard....
Ora quel gesto è legato al suo
ricordo, e me la vedo ogni tanto, con quelle guance appena appena
rosse, che contrastano con la pelle diafana del viso. Quando mi
torna questa immagine, non posso fare a meno di pensare a lei con
tenerezza, e risento la sua voce che mi chiede se voglio ancora
una cucchiaiata di risotto...uno dei suoi piatti
preferiti....quando andavamo da lei sapevamo già qual'era il
menu.....risotto alla monzese e arrosto di maiale al latte....
Ogni tanto mi capita di passare da Via
Porro Lambertenghi e di guardare su, verso la finestra di quella che
è stata la sua camera da letto.....chissà chi ci abita ora in
quelle due stanze
chissà....
eccolo il suo risotto.....domenica nel piatto non c'era solo quello, c'era anche un pezzo della nostra vita...
Risotto alla monzese
300 gr luganega (salsiccia dolce)
1 piccola cipolla
riso q.b. (io calcolo 2 pugni a testa più 2 per la pentola)
1 bicchiere di vino bianco
una noce di burro
poco olio
parmigiano grattugiato
1 bustina di zafferano
brodo
sale
Scaldare il brodo. Spellare la salsiccia e ridurla a piccoli bocconcini.
In un goccio d'olio far appassire la cipolla affettata finemente, unire la salsiccia e lasciar cuocere mescolando ogni tanto finché la salsiccia si sarà colorita.
A questo punto versare il riso e lasciar tostare finchè è un poco translucido, mescolando sempre.
Sfumare con il vino bianco, poi procedere come per un normale risotto, mescolando e aggiungendo poco brodo alla volta, man mano che il riso lo assorbe.
A metà cottura aggiungere anche la bustina di zafferano. Un paio di minuti prima di spegnere, aggiungere una generosa noce di burro e un paio di cucchiai colmi di parmigiano grattugiato. Mescolare energicamente e spegnere il fuoco. Lasciar riposare qualche secondo e servire.
La zia Libera diceva sempre che il riso nasce nell'acqua e va annaffiato col vino...
per cui un buon bicchiere di rosso giovane, magari una Barbera dell'Oltrepo pavese, di quella che "buscia", ci sta benissimo, sgrassa la bocca e ti fa digerire.....
dolci al cucchiaio
dolci e dessert
a lezione da Gianluca Fusto
chi è Gianluca Fusto?
E' un giovane pasticcere, pieno di talento, passione e amore per il suo lavoro. Passione e amore che si percepiscono molto bene assistendo alle sue lezioni.
Guardando le sue mani, i suoi gesti, e come si muove fra creme e streusel, fra mousse e frolle
e ascoltandolo mentre spiega come si tempera il cioccolato, o come si fa una marmellata molto particolare, o un dolce da colazione,
osservandolo mentre decora una panna cotta, concentrato come fosse un momento mistico, o usa la sac à poche per un goloso dessert al limonte
e poi guardando i suoi occhi mentre divertito e curioso ti mette alla prova degli aromi, capisci non solo che hai davanti una persona di grande esperienza pur essendo così giovane, (ha l'età di mia figlia) ma anche la sua genialità, la sua capacità di "sentire" gli accostamenti, anche i più azzardati e di tradurli in sapori che di primo acchito ti lasciano sbalordita, senza una parola, ma che pian piano ti conquistano inesorabilmente.
Così come ti conquistano a prima vista, la sua affabilità, la sua semplicità nel farti sentire come se lo avessi sempre conosciuto.
E non puoi fare altro che stare ad ascoltarlo con attenzione, tanta è la sua capacità di trasmettere quelle che sono le sue sensazioni, le sue emozioni e la sua esperienza.
per cui, grazie Gianluca, mi sono piaciute molto le ore passate insieme a te e agli altri..
Un grazie anche a Francesca e Alessandro, di Incontri con lo Chef, per la grande simpatia, disponibilità e gentilezza...
Peccato per me che la prima parte del programma me lo sono perso a causa di una improvvisa emergenza...
Intanto sono passate circa due settimane dal corso di Gianluca, ma ho ancora negli occhi e in testa i profumi e i sapori di quella giornata...
E' stata davvero una bella esperienza, e in più ho conosciuto persone molto simpatiche, appassionate come me di cucina e di pasticceria.
E così, comincio a produrre anch'io, seguendo gli insegnamenti di Gianluca.
Parto dalla cosa più facile ma dal sapore più inusuale e inaspettato.

ho rimodulato le dosi perchè nella ricetta Gianluca mette il quantitativo a cui è abituato, vale a dire per un reggimento di fanteria....
quello che ne è uscito mi è piaciuto e pur non avendo potuto assaggiare l'originale, penso di aver ottenuto il risultato giusto, devo solo armonizzare meglio il rapporto rosmarino/arancia.
La ricetta che vi metto ne tiene già conto...
Crème brulée all'arancia e rosmarino
330 gr panna liquida fresca (la sua ricetta prevede panna 35% di grassi e UHT ma io preferisco quella fresca, perchè la crema mi piace bella densa, pazienza per il mio colesterolo)
170 gr latte (idem, lui va di latte UHT, io invece latte fresco )
70 gr tuorlo d'uovo
70 gr zucchero
6 gr rosmarino
8 gr zeste di arancia non trattata, biologica
1 gr di sale di Piran (oppure un sale dolce)
1 cucchiaino di estratto di vaniglia,
oppure meno di mezza bacca.
Unire i tuorli allo zucchero e al sale, mescolando bene. Lasciar riposare il tutto per almeno 15 minuti.
Scaldare il latte insieme alla panna a 80°, quindi unire il rosmarino tagliato a pezzetti, le zeste di arancia e la vaniglia.
Lasciare tutto in infusione almeno 30 minuti. Quindi riportare a bollore e poi unire in tre o quattro volte ai tuorli, mescolando delicatamente finché il tutto è completamente amalgamato.
A questo punto, filtrare la crema e vesarla nelle cocottine da crème brulée.
Eliminare delicatamente eventuali bolle d'aria che si sono formate in superficie ed infornare.
Cuocere in forno statico a 130° per circa un'ora, ma la cottura naturalmente varia da forno a forno. E' pronta quando resiste al tatto ma muovendola è ancora un po' tremula.
Si solidificherà del tutto poi in frigorifero, ed è meglio prepararla almeno un giorno prima, così ha il tempo di assestarsi, di rassodare amalgamando i sapori.
Fusto dice di cuocerla a secco, io invece ho messo le cocottine in una teglia rettangolare bassa e ho aggiundo due dita di acqua calda. Ho l'impressione che questa cottura le dia più cremosità, ma magari mi sbaglio, e il risultato sarebbe lo stesso cuocendola a secco.
Non so se lui l'abbia bruciata poi, una volta pronta da servire, io non ero presente a quella prima parte dove è stata preparata questa crema, per cui credo che si possa servire sia brulée che tal quale.
Nel caso che, come me, preferiate avere una crème brulée a tutti gli effetti, basta cospargerla di zucchero di canna chiaro e bruciare con il cannello.
Io non so rinunciare a quella crosticina golosa, e mi piace sentire il rumore del cucchiaino che affonda fra lo zucchero caramellato e la morbida e voluttuosa crema......
sì, lo so, sono rovinata coi dolci al cucchiaio.....
E' un giovane pasticcere, pieno di talento, passione e amore per il suo lavoro. Passione e amore che si percepiscono molto bene assistendo alle sue lezioni.
Guardando le sue mani, i suoi gesti, e come si muove fra creme e streusel, fra mousse e frolle
e ascoltandolo mentre spiega come si tempera il cioccolato, o come si fa una marmellata molto particolare, o un dolce da colazione,
e poi guardando i suoi occhi mentre divertito e curioso ti mette alla prova degli aromi, capisci non solo che hai davanti una persona di grande esperienza pur essendo così giovane, (ha l'età di mia figlia) ma anche la sua genialità, la sua capacità di "sentire" gli accostamenti, anche i più azzardati e di tradurli in sapori che di primo acchito ti lasciano sbalordita, senza una parola, ma che pian piano ti conquistano inesorabilmente.
Così come ti conquistano a prima vista, la sua affabilità, la sua semplicità nel farti sentire come se lo avessi sempre conosciuto.
E non puoi fare altro che stare ad ascoltarlo con attenzione, tanta è la sua capacità di trasmettere quelle che sono le sue sensazioni, le sue emozioni e la sua esperienza.
per cui, grazie Gianluca, mi sono piaciute molto le ore passate insieme a te e agli altri..
Un grazie anche a Francesca e Alessandro, di Incontri con lo Chef, per la grande simpatia, disponibilità e gentilezza...
Peccato per me che la prima parte del programma me lo sono perso a causa di una improvvisa emergenza...
Intanto sono passate circa due settimane dal corso di Gianluca, ma ho ancora negli occhi e in testa i profumi e i sapori di quella giornata...
E' stata davvero una bella esperienza, e in più ho conosciuto persone molto simpatiche, appassionate come me di cucina e di pasticceria.
E così, comincio a produrre anch'io, seguendo gli insegnamenti di Gianluca.
Parto dalla cosa più facile ma dal sapore più inusuale e inaspettato.

ho rimodulato le dosi perchè nella ricetta Gianluca mette il quantitativo a cui è abituato, vale a dire per un reggimento di fanteria....
quello che ne è uscito mi è piaciuto e pur non avendo potuto assaggiare l'originale, penso di aver ottenuto il risultato giusto, devo solo armonizzare meglio il rapporto rosmarino/arancia.
La ricetta che vi metto ne tiene già conto...
Crème brulée all'arancia e rosmarino
330 gr panna liquida fresca (la sua ricetta prevede panna 35% di grassi e UHT ma io preferisco quella fresca, perchè la crema mi piace bella densa, pazienza per il mio colesterolo)
170 gr latte (idem, lui va di latte UHT, io invece latte fresco )
70 gr tuorlo d'uovo
70 gr zucchero
6 gr rosmarino
8 gr zeste di arancia non trattata, biologica
1 gr di sale di Piran (oppure un sale dolce)
1 cucchiaino di estratto di vaniglia,
oppure meno di mezza bacca.
Unire i tuorli allo zucchero e al sale, mescolando bene. Lasciar riposare il tutto per almeno 15 minuti.
Scaldare il latte insieme alla panna a 80°, quindi unire il rosmarino tagliato a pezzetti, le zeste di arancia e la vaniglia.
Lasciare tutto in infusione almeno 30 minuti. Quindi riportare a bollore e poi unire in tre o quattro volte ai tuorli, mescolando delicatamente finché il tutto è completamente amalgamato.
A questo punto, filtrare la crema e vesarla nelle cocottine da crème brulée.
Eliminare delicatamente eventuali bolle d'aria che si sono formate in superficie ed infornare.
Cuocere in forno statico a 130° per circa un'ora, ma la cottura naturalmente varia da forno a forno. E' pronta quando resiste al tatto ma muovendola è ancora un po' tremula.
Si solidificherà del tutto poi in frigorifero, ed è meglio prepararla almeno un giorno prima, così ha il tempo di assestarsi, di rassodare amalgamando i sapori.
Fusto dice di cuocerla a secco, io invece ho messo le cocottine in una teglia rettangolare bassa e ho aggiundo due dita di acqua calda. Ho l'impressione che questa cottura le dia più cremosità, ma magari mi sbaglio, e il risultato sarebbe lo stesso cuocendola a secco.
Non so se lui l'abbia bruciata poi, una volta pronta da servire, io non ero presente a quella prima parte dove è stata preparata questa crema, per cui credo che si possa servire sia brulée che tal quale.
Nel caso che, come me, preferiate avere una crème brulée a tutti gli effetti, basta cospargerla di zucchero di canna chiaro e bruciare con il cannello.
Io non so rinunciare a quella crosticina golosa, e mi piace sentire il rumore del cucchiaino che affonda fra lo zucchero caramellato e la morbida e voluttuosa crema......
sì, lo so, sono rovinata coi dolci al cucchiaio.....
dolci e dessert
memorie
torte da credenza
Torta di mandorle e arancia
il dolce della domenica
La domenica è il giorno in cui posso andare con lentezza, soprattutto d'inverno, che gli impegni si diradano un po'..... è il giorno in cui resto a ciabattare per casa,
spostandomi fra divano e poltrone, fra un libro e il computer, fra un
sospiro e uno sbadiglio.... la TV no, ho smesso da tempo di guardarla...
così la mattina la passo in cucina, la faccio diventare un momento tutto mio, un tempo che mi serve per provare ricette più laboriose e che hanno bisogno di essere coccolate con pazienza, un momento anche per lasciare spazio alla fantasia, che durante la settimana è compressa fra le mille urgenze, il tempo sempre contato , le ore che volano a rotta di collo e non ti bastano mai...
Accosto la porta della cucina per non disturbare chi dorme, mi faccio un buon caffè, metto in sottofondo Rai News per le notizie e la giornata si avvia..... i gatti mi fanno compagnia, seguendo ogni mio più piccolo movimento, presenze costanti e silenziose, condividono tutto, sempre, come fossero la mia ombra...uno si pazza sulla sedia di cucina, l'altra si acciambella sul calorifero...ormai sanno come prendermi...
Da quando mi sono sposata, una vita fa, non è domenica senza un dolce, anche il più semplice, non fossero altro che frittelle di mele in mancanza d'altro...tutto per sottolineare il giorno di festa.
Ci son cresciuta con questa cosa "della festa".....le scarpe della festa, gli abiti della festa, il pranzo della festa...retaggio di tempi difficili dove l'unico vestito buono mia madre me lo teneva per la domenica, per le feste comandate, per i matrimoni e, se non era troppo chiassoso, per i funerali, ....
Fa niente se tu crescevi e il vestito non ti andava più bene nonostante fosse ancora quasi nuovo.... così funzionava. Si tenevano con talmente tanta cura le cose che alla fine non le usavi e non ne godevi quasi mai....
Mia madre ha ancora adesso cassetti dove conserva camicie da notte nuove di zecca - per quando andrò in ospedale - mi dice.....le è capitato tre o quattro volte in 83 anni, e alcune fanno ormai parte della storia dell'intimo...
La domenica dicevo, è il giorno in cui la famiglia originaria torna a ricomporsi, completata dai generi e dai nipoti...e fin da quando le mie figlie erano piccole, il dolce non poteva mancare. Magari erano solo i pasticcini o una torta di pasticceria, o, come dicevo, delle semplici frittele di mele di cui le bambine andavano matte e non ne avevano mai abbastanza....
poi ho imparato a cucinare un po' meglio, e il dolce continua ad essere d'obbligo.....
questo è quello di oggi, ed è una vecchissima ricetta di Maurizio, lo chef del Ristorante al Mulino, lo stesso della crema rovesciata alle mandorle..
Torta di mandorle e arancia
Il succo
di 2 arance non trattate, non troppo grandi
la buccia grattugiata di una delle arance
La buccia di 1 limone grattugiata
3 tuorli
3 albumi montati a neve
150 gr zucchero
150 gr mandorle pelate tritate finissime (o nocciole)
50 gr mandorle con la buccia
50 gr biscotti secchi tritati
per guarnire:
poca marmellata d'arancia
mandorle a filetti
poco zucchero a velo
tostare le mandorle pelate in forno. Lasciarle raffreddare poi tritarle nel tritatutto con i biscotti secchi. Tostare anche le mandorle a lamelle e tenere da parte.Tritare anche le mandorle con la buccia, finemente ma non troppo.
Grattugiare la buccia di una arancia.
Spremere entrambe le arance filtrandone il succo.
Montare i tuorli con parte dello zucchero, unire la buccia del limone e il succo e la scorza d’arancia, aggiungere quindi il trito di mandorle e biscotti secchi, infine montare a neve densissima gli albumi con il restante zucchero e unirli delicatamente all'impasto.
La pastella che ne risulterà sarà abbastanza liquida, è normale.
Imburrare e infarinare uno stampo possibilmente a cerniera piccolo, da 22 cm. è perfetto.
Cuocere in forno a 180° per circa 40 minuti, controllando, prima di toglierla dal forno, con lo stecchino. Ogni forno è una cosa a sè, per cui la cottura può variare, l'importante comunque è la prova stecchino. La torta all'interno dovrà essere un po' umidiccia e morbida, ma cotta. Lo stecchino dovrà comunque uscire pulito.
Farla raffreddare qualche minuto nello stampo, poi sformare e appoggiare la torta su una gratella e al momento di servire stendere un leggerissimo velo di marmellata di arance sulla torta e su parte del bordo, servirà solo a tenere ferme le mandorle a lamelle.
Cospargere la torta di mandorle a lamelle tostate, facendole cadere anche sui bordi e spolverare di zucchero a velo.
la buccia grattugiata di una delle arance
La buccia di 1 limone grattugiata
3 tuorli
3 albumi montati a neve
150 gr zucchero
150 gr mandorle pelate tritate finissime (o nocciole)
50 gr mandorle con la buccia
50 gr biscotti secchi tritati
per guarnire:
poca marmellata d'arancia
mandorle a filetti
poco zucchero a velo
tostare le mandorle pelate in forno. Lasciarle raffreddare poi tritarle nel tritatutto con i biscotti secchi. Tostare anche le mandorle a lamelle e tenere da parte.Tritare anche le mandorle con la buccia, finemente ma non troppo.
Grattugiare la buccia di una arancia.
Spremere entrambe le arance filtrandone il succo.
Montare i tuorli con parte dello zucchero, unire la buccia del limone e il succo e la scorza d’arancia, aggiungere quindi il trito di mandorle e biscotti secchi, infine montare a neve densissima gli albumi con il restante zucchero e unirli delicatamente all'impasto.
La pastella che ne risulterà sarà abbastanza liquida, è normale.
Imburrare e infarinare uno stampo possibilmente a cerniera piccolo, da 22 cm. è perfetto.
Cuocere in forno a 180° per circa 40 minuti, controllando, prima di toglierla dal forno, con lo stecchino. Ogni forno è una cosa a sè, per cui la cottura può variare, l'importante comunque è la prova stecchino. La torta all'interno dovrà essere un po' umidiccia e morbida, ma cotta. Lo stecchino dovrà comunque uscire pulito.
Farla raffreddare qualche minuto nello stampo, poi sformare e appoggiare la torta su una gratella e al momento di servire stendere un leggerissimo velo di marmellata di arance sulla torta e su parte del bordo, servirà solo a tenere ferme le mandorle a lamelle.
Cospargere la torta di mandorle a lamelle tostate, facendole cadere anche sui bordi e spolverare di zucchero a velo.
l'interno, morbido e fondente...è una torta leggera, senza grassi, e senza lievito, molto piacevole che si può fare anche sostituendo le mandorle con le nocciole, ma con queste non ci ho ancora provato, da tanto che ci piace così....
spero che piaccia anche a voi...
appunti di viaggio
In Madagascar lo zebù è molto più di un semplice animale, è un
simbolo di ricchezza, di vita e di morte. Simbolo di ricchezza,
perché questa è comunemente misurata da quanti omby (zebù)
possiede una famiglia, è simbolo di vita perché di questo animale
si sfrutta tutto, lavoro nei campi, animale da trasporto, latte,
carne, pelle e corna, ed è anche simbolo di morte perché viene
sacrificato e offerto in banchetto a tutti i partecipanti ad un
funerale e le corna serviranno ad abbellire le tombe dei defunti, o
gli alberi intorno alla capanna dove vive la famiglia che lo
possedeva.
Accanto ai mercati di carne e di verdura ci sono sempre angoli di
erbe medicinali e spezie, una sorta di farmacia tribale che una
specie di stregone espone per la strada, per chi non vuole affidarsi
alla medicina come la conosciamo noi...
Le cortecce intrecciate odorano di alberi antichi e saggi, ceppi di aloe vengono ordinatamente accatastati. Le loro foglie sembra che servano per curare i gonfiori dovuti alle slogature e per disinfettare le ferite.
infatti, un pezzetto del mio cuore è là, a Nosy Be, con i bimbi della Missione di Santa Teresa del Bambin Gesù, a Hell Ville, capoluogo dell'isola, oltre 600 bambini di ogni età affidati a una dozzina di giovani suore, che garantiscono almeno un pasto quotidiano e una istruzione minima, e ora anche un ambulatorio medico e oftalmico, grazie allo sforzo di tante persone che si sono riunite nell'Associazione Bambini del Madagascar, costituitasi in Italia per mettere in pratica un percorso di solidarietà atto ad aiutare la Missione.
Hanno bisogno di tutto, ma proprio di tutto. Oltre all'adozione a distanza, anche di indumenti, di materiale didattico per la scuola, e soprattutto di medicine...
L'anno scorso abbiamo scelto di fare le vacanze a Nosy Be, per unire la vacanza alla visita ai bimbi adottivi, con le mie amiche Silvana e Manuela, e con parte delle persone che si occupano dell'associazione, e i bimbi ci hanno regalato una giornata davvero speciale, una giornata in cui hanno fatto il saggio di fine anno alla nostra presenza.
E' stata una cosa indimenticabile, emozionante, commovente..le parole non bastano a descrivere l'emozione e la gioia che ho provato ..una esperienza vissuta con leggerezza e familiarità con loro, che ci hanno accolti con la nostra stessa gioia.
Ho rivisto così Justine, la mia bimba adottiva, un adorabile faccino da monella, che sta crescendo a vista d'occhio e che è molto brava a scuola....
E' stato difficilissimo tornare a casa, il cuore era pesante, a volte lo è tuttora, per la lontananza, per la nostalgia di quei volti e di quei sorrisi, di quegli occhi così pieni di curiosità e di gioia.
Mi mancano quei bambini....
Ma il seme è gettato, e un seme cresce, germoglia, e poi si moltiplica....
il seme della solidarietà, dell'amore per il prossimo, e dell'accettazione dell'altro, perchè aiutare gli altri, aiuta noi stessi.
un pezzetto del mio cuore
E' a Nosy Be, a poche miglia dalla
Grande Terre, il Madagascar, un'isola che definire paradiso non
rende veramente l'idea.
Il Madagascar, che si affaccia sul
canale di Mozambico e dalla parte opposta sull'Oceano Indiano, è
chiamato l'Isola Rossa perchè il suo terreno è costituito per la
maggior parte di Laterite, una roccia sedimentaria ricca di ferro e
alluminio, che viene trasportata al mare dai numerosi fiumi.
E' la quarta isola al mondo, con il più
ricco patrimonio naturale del pianeta.
E' una terra dai molti colori, che
variano dal rosso del terreno al verde delle foreste, al blu e al
turchese dell'Oceano che la circonda.
Una terra magica, dove si ritrova il
ritmo con la natura, lussureggiante e rigogliosa, dove ci si sente
in armonia con se stessi e il creato...lo sguardo passa incredulo
da una specia ell'altra, dalle palme al frangipane, dal rosso sangue
degli ibisco del Gabon all'albero del caffè, dal profumo dell'ylang
ylang alla bellezza del fiore di corallo...
la fauna è qualcosa che non ti aspetti,
qualcosa che difficilmente potrai vedere altrove, tantissime specie
di camaleonti, piccoli gechi verdissimi, cicale enormi che
stordiscono e ti impediscono persino di sentire la voce umana,
lucertole grandi come iguane, ragni enormi, stelle marine di ogni tipo, aironi blu, il temerario Martin Pescatore e i lemuri, creature deliziosamente
miti, morbidissimi e socievoli, giocosi e affettuosissimi...
Le isole disseminate intorno sono
piccoli paradisi terrestri, con sabbie bianche e spiagge
incontaminate, popolate solo da sporadici villaggi costruiti vicino a
un corso d'acqua...alcune ti sembra persino impossibile che possano
esistere con tanta bellezza, il cielo sembra così vicino da poterlo
toccare, e il mare è talmente cristallino e ricco di sfumature di
blu che ti immagini di essere dentro a un dipinto di Chagall...
Ma quello che colpisce di più è la
gente.
Gli abitanti di questa meravigliosa
isola sono un popolo unico e allo stesso tempo una mescolanza di
razze, di Africa, India e Polinesia. Sono belli, eleganti, sinuosi,
vivono con ritmi lenti e tranquilli, e quando sei con loro ti immergi
completamente nella loro cultura e nelle loro antiche tradizioni.
Sono tutti cordiali e bendisposti,
sempre con il sorriso sulle labbra, nonostante abbiano una vita
assolutamente difficile, fra mille problemi e una miseria cronica,
endemica, rassegnata, quasi fatalista.
Le loro case sono poverissime baracche
di legno e palme, una povertà che ti lascia senza fiato, che ti
colpisce come un pugno a tutta forza nello stomaco, che ti fa
riconsiderare tutta la tua vita, che ti spinge a fare qualcosa ,
qualsiasi cosa, per portare aiuto, non ne puoi fare a meno,
sentendoti anche colpevole per quello che sprechi senza remore.
Le poche auto che girano, perlopiù di
provenienza francese, tipo R4 e altre vecchie Renault, sono tenute in
vita da meccanici di tutto rispetto, appaiono morte, ma risorgono
sempre, hanno molte vite, come i gatti.
Le donne, anche qui, reggono il peso di
tutto, sono loro che accudiscono i bambini, che fanno il bucato nel
rigagnolo che scorre poco lontano dalla capanna, che preparano quel
poco cibo, cucinandolo su bracieri improbabili fuori delle capanne,
che vanno fin da bambine a prendere l'acqua facendo chilometri e tornano camminando
leggere con quella straordinaria abilità di tenere qualsiasi cosa in
equilibrio sulla testa, sempre le donne intrecciano con grande
abilità stuoie morbide in fibra di cocco, o ricamano e intagliano
tovaglie da vendere ai turisti per pochi euro, contribuendo al magro
bilancio familiare, donne che si dipingono il viso di fiori...
Gli uomini che vivono sulle coste
vanno a pesca per la maggior parte del tempo, su piroghe scavate nel
legno o su barche malmesse dalle vele malamente rattoppate, e
affrontano l'oceano, lo conoscono, lo praticano tutti i giorni, e
quando tornano, frotte di bambini aiutano a lavare e pulire il pesce
per la famiglia, pensando anche alla sua conservazione, per quando il
mare darà pochi frutti, gli altri, quelli che vivono nell'interno,
sono contadini e pastori, e pastori ricchi se hanno uno zebù...
E quanti mercati......
a volte all'aperto, e a volte al
chiuso....sono una esplosione di colori e di odori, nel mezzo di un
caos di gente e la merce esposta su tavoloni di legno...hanno poco i
malgasci ma quel poco è esposto con ordine e cura...i pomodori
impilati con ordine, il pesce secco per grandezza, le ceste di
granchi vivi ricoperti di fango per tenerli idratati, oppure quelle
di riso, rigorosamente allineate, e le bottiglie tutte in ordine di
grandezza,
Ci si fanno incontri incredibili
intorno al mercato....a volte galline e tacchini vengono trasportati
appesi per le zampe, e sembrano borbottare seccati guardandosi
intorno da sotto in su...
Le cortecce intrecciate odorano di alberi antichi e saggi, ceppi di aloe vengono ordinatamente accatastati. Le loro foglie sembra che servano per curare i gonfiori dovuti alle slogature e per disinfettare le ferite.
Dopo le erbe si incontrano le pentole;
dopo le pentole i saponi, e dopo i saponi, le stoffe...
I piccoli paesi sono pressocché delle
bidonville, la vita si svolge tranquillamente per le strade
polverose, la corrente elettrica fornita da un unico generatore per
tutta l'isola, e soprattutto per chi può comprarsi un trasformatore,
altrimenti resta solo la luce delle candele.
La notte cade prestissimo lì, alle 17
è già buio pesto, e passando per quelle strade, le puoi trovare
disseminate di piccolissime luci tremule, che ti fanno pensare a
presepi sparsi e mollemente allungati
mentre il tramonto incendia il cielo,
lungo la linea dell'orizzonte sul mare...
Passi per le strade e guardando ai lati
vedi le persone sedute fuori dalle capanne, rischiarate dalla flebile
luce delle candele e del braciere dove cuoce la cena...
il pasto è sempre molto povero, anche
se la loro cucina, pur essendo scarna, è comunque ricca di profumi e
sapori,..il riso al cocco per esempio, è di una bontà incredibile,
così' come il pesce alla vaniglia, che mai ti aspetteresti così
particolarmente buono., per non parlare del cocco caramellato...
I bambini....
sono quelli che ti catturano, ti conquistano per sempre, con quei
sorrisi, con quegli occhi profondi e scuri. E scatti foto, maree di
foto, per poterli portare a casa con te per sempre quegli occhi e
quei sorrisi, perchè lo sai che non ti abbandoneranno mai quegli
occhi e quei sorrisi....infatti, un pezzetto del mio cuore è là, a Nosy Be, con i bimbi della Missione di Santa Teresa del Bambin Gesù, a Hell Ville, capoluogo dell'isola, oltre 600 bambini di ogni età affidati a una dozzina di giovani suore, che garantiscono almeno un pasto quotidiano e una istruzione minima, e ora anche un ambulatorio medico e oftalmico, grazie allo sforzo di tante persone che si sono riunite nell'Associazione Bambini del Madagascar, costituitasi in Italia per mettere in pratica un percorso di solidarietà atto ad aiutare la Missione.
Hanno bisogno di tutto, ma proprio di tutto. Oltre all'adozione a distanza, anche di indumenti, di materiale didattico per la scuola, e soprattutto di medicine...
L'anno scorso abbiamo scelto di fare le vacanze a Nosy Be, per unire la vacanza alla visita ai bimbi adottivi, con le mie amiche Silvana e Manuela, e con parte delle persone che si occupano dell'associazione, e i bimbi ci hanno regalato una giornata davvero speciale, una giornata in cui hanno fatto il saggio di fine anno alla nostra presenza.
E' stata una cosa indimenticabile, emozionante, commovente..le parole non bastano a descrivere l'emozione e la gioia che ho provato ..una esperienza vissuta con leggerezza e familiarità con loro, che ci hanno accolti con la nostra stessa gioia.
Ho rivisto così Justine, la mia bimba adottiva, un adorabile faccino da monella, che sta crescendo a vista d'occhio e che è molto brava a scuola....
E' stato difficilissimo tornare a casa, il cuore era pesante, a volte lo è tuttora, per la lontananza, per la nostalgia di quei volti e di quei sorrisi, di quegli occhi così pieni di curiosità e di gioia.
Mi mancano quei bambini....
Ma il seme è gettato, e un seme cresce, germoglia, e poi si moltiplica....
il seme della solidarietà, dell'amore per il prossimo, e dell'accettazione dell'altro, perchè aiutare gli altri, aiuta noi stessi.
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