Calendario del Cibo italiano
dolci al cucchiaio
dolci e dessert
memorie
Oggi è il giorno che il Calendario del Cibo Italiano dedica alla zucca , un
elemento che ricorre frequentemente oltre che in ambito culinario anche in ambito
letterario, soprattutto quello legato alle fiabe, ai racconti e alla fantasia in generale e per questo troverete sulla pagina del calendario tantissime ricette arricchite da racconti, fiabe e aneddoti. Il mio racconto è una delle mie "memorie con uso di cucina", un pezzetto di vita trascorsa...
Toni Pagnuc non era mai stato un tipo intelligente, nemmeno da bambino. Era spesso bersaglio di scherzi e sfottò da parte dei suoi coetanei appunto per la sua scarsa sagacia. Anche in casa era poco considerato, lui e suo fratello Gigi erano gli unici maschi in una famiglia tutta al femminile e abitavano in una grande casa in cima al paese, sulla strada delle caserme, che confinava con quella dove viveva la famiglia di mio padre, allora ragazzo, in Friuli.
Dal fienile di casa mio padre poteva assistere a tutto quello che succedeva nel cortile dei Pagnucco, alle liti con le sorelle, alle dispute per chi doveva rigovernare le bestie o alle scene tragicomiche di quando venivano rincorsi dalla madre inferocita, armata di zoccolo o di bastone per la polenta.
Fra i due fratelli c'era parecchia rivalità e Gigi, il più grande, si divertiva a fargli dispetti o a fargli fare cose improbabili, come quella volta che gli fece credere che mettendo delle uova dentro un ombrello rovesciato, questo poteva scendere lentamente a mo' di paracadute senza rompere le uova.
Per dimostrarglielo, salirono al primo piano, muniti del necessario. Toni aprì l'ombrello con la punta verso il basso, ci mise una dozzina di uova e lo lasciò andare... potete solo immaginare...uno così, tanto sveglio di certo non può essere. La sera, sua madre, tornando dai campi, strepitò molto a lungo...
Senza andare tanto lontano, so che anche da adulto è sempre stato oggetto di scherzi, a volte anche pesanti, tanto da diventare un po' la macchietta del paese. Quando c'era lui al Caffè in piazza, potevi esser certo che qualcosa sarebbe successo, te lo aspettavi quando lo vedevi arrivare pedalando sulla sua bicicletta sgangherata e lo capivi dagli schiamazzi e dalle risate che, abitando proprio vicino alla piazza, arrivavano fin dentro casa.
Io lo ricordo ormai di mezza età, pingue e con i capelli radi, di un biondo ormai ingrigito, sempre vestito di nero e con un cappellaccio altrettanto nero quasi perennemente calcato sulla testa.
Si era sposato ma era rimasto vedovo presto ed era tornato a vivere in quella vecchia casa in cima al paese, trascurata come lui.
Ci passavo davanti ogni volta che andavo con mia nonna a sciacquare il bucato nella Rupa, il torrente che scorre intorno al paese ancora oggi. Mentre mia nonna scambiava qualche parola con lui, io ero intimorita da quel suo cappellaccio nero e dal suo sguardo sempre torvo sotto la fronte corrugata. Mi faceva pensare a un grosso orco a cui davano fastidio i bambini.
Ogni mia estate scorreva libera e spensierata in quel piccolo borgo affogato fra i campi e le vigne, e scorazzavo spesso per la campagna con Anna Maria, compagna fissa di avventure e di disavventure.
Capitava, nei pomeriggi delle nostre scorribande nel paese addormentato per la siesta, che andassimo a bagnarci i piedi nella Rupa e allora passavamo davanti alla casa di Toni Pagnuc, svoltavamo per un viottolo che girava tutto intorno e costeggiavamo il suo orto.
Un giorno, durante uno di questi giri Anna Maria, dopo aver superato l'alta rete che delimitava la proprietà e l'orto di Toni, si fermò improvvisamente e mi guardò con una luce maliziosa negli occhi. Tornò sui suoi passi e la seguii. Senza parlare mi indicò delle piccole zucche che penzolavano dalla pianta che arrampicava sulla rete. Era fine agosto e le zucche non erano certo pronte, ma erano molto carine così, inizialmente bislunghe e poi panciute, di un verde che quasi si confondeva con il fogliame. Inizialmente non capii le sue intenzioni poi lei iniziò a salire sulla rete cercando di arrivare a tutte quelle che poteva. Sotto il suo peso la rete si inclinò ondeggiando ma lei continuò imperterrita a staccarle una ad una gettandole man mano nell'erba del sentiero, con una espressione che non dimentico ancora oggi. Io volevo scappare per la paura che qualcuno si svegliasse dal sonnellino pomeridiano e ci cogliesse sul fatto, ma lei non scese dalla rete finchè non ebbe finito del tutto. Col cuore in gola, soffocando le risate, raccogliemmo quelle piccole zucche e scappammo correndo a perdifiato fino ad arrivare alla Rupa. Gettammo le zucche nel torrente e ci sedemmo sotto un gelso, con il frinire assordante delle cicale nelle orecchie e il cuore che batteva a mille.
Non so come abbia reagito Toni alla scoperta che le zucche erano sparite, si sarà sicuramente arrabbiato per quel gesto. Una bravata davvero stupida a ripensarci.
So solo che quando andavo con mia nonna alla Rupa e lei si fermava a chiacchierare con Toni, non avevo il coraggio alzare lo sguardo su di lui. Mi sentivo male al pensiero che leggendomi in viso avrebbe capito che avevo contribuito alla sparizione delle sue zucche.
Parecchi anni più tardi, io ormai adulta e Toni molto avanti con gli anni, in occasione di una Pasqua che passai al paese lo incontrai in piazza, lui e uno dei suoi immancabili cappelli neri.
Lo salutai e dopo i convenevoli di rito, parlando parlando arrivai a confessargli la cosa, chiedendogli scusa. Lui socchiuse gli occhi e scoppiò in una fragorosa risata e mi disse che non se lo ricordava nemmeno. Mi salutò concludendo con una frase che era solito usare ogni volta che doveva accomiatarsi: Grande è la potenza dei cieli e della infinita Misericordia! Che cosa intendesse salutando tutti con quella frase, nessuno l'ha mai capito. Io però mi son sentita più leggera.
Ancora oggi, quando sono in Friuli e vado nel piccolo cimitero a far visita ai nonni, mi fermo un attimo davanti alla sua tomba, gli rivolgo un pensiero perchè credo che non sia stato facile passare la vita in quel piccolo paese, fra i lazzi e gli scherzi di tutti.
Questo dolce l'ho preparato pensando a lui, a suo cappellaccio nero, alla sua aria burbera che mi metteva soggezione, a quella risata che ogni tanto mi risuona nelle orecchie...chissà, forse gli sarebbe piaciuto!
Terrina di zucca, datteri e cioccolato
da una ricetta di Ernest Knam liberamente modificata a modo mio
Un dolce importante,
morbido e vellutato, carezzevole e ricco di sfumature, decisamente appagante.
Terrina di zucca e datteri...per una zucca da fiaba
Toni Pagnuc non era mai stato un tipo intelligente, nemmeno da bambino. Era spesso bersaglio di scherzi e sfottò da parte dei suoi coetanei appunto per la sua scarsa sagacia. Anche in casa era poco considerato, lui e suo fratello Gigi erano gli unici maschi in una famiglia tutta al femminile e abitavano in una grande casa in cima al paese, sulla strada delle caserme, che confinava con quella dove viveva la famiglia di mio padre, allora ragazzo, in Friuli.
Dal fienile di casa mio padre poteva assistere a tutto quello che succedeva nel cortile dei Pagnucco, alle liti con le sorelle, alle dispute per chi doveva rigovernare le bestie o alle scene tragicomiche di quando venivano rincorsi dalla madre inferocita, armata di zoccolo o di bastone per la polenta.
Fra i due fratelli c'era parecchia rivalità e Gigi, il più grande, si divertiva a fargli dispetti o a fargli fare cose improbabili, come quella volta che gli fece credere che mettendo delle uova dentro un ombrello rovesciato, questo poteva scendere lentamente a mo' di paracadute senza rompere le uova.
Per dimostrarglielo, salirono al primo piano, muniti del necessario. Toni aprì l'ombrello con la punta verso il basso, ci mise una dozzina di uova e lo lasciò andare... potete solo immaginare...uno così, tanto sveglio di certo non può essere. La sera, sua madre, tornando dai campi, strepitò molto a lungo...
Senza andare tanto lontano, so che anche da adulto è sempre stato oggetto di scherzi, a volte anche pesanti, tanto da diventare un po' la macchietta del paese. Quando c'era lui al Caffè in piazza, potevi esser certo che qualcosa sarebbe successo, te lo aspettavi quando lo vedevi arrivare pedalando sulla sua bicicletta sgangherata e lo capivi dagli schiamazzi e dalle risate che, abitando proprio vicino alla piazza, arrivavano fin dentro casa.
Io lo ricordo ormai di mezza età, pingue e con i capelli radi, di un biondo ormai ingrigito, sempre vestito di nero e con un cappellaccio altrettanto nero quasi perennemente calcato sulla testa.
Si era sposato ma era rimasto vedovo presto ed era tornato a vivere in quella vecchia casa in cima al paese, trascurata come lui.
Ci passavo davanti ogni volta che andavo con mia nonna a sciacquare il bucato nella Rupa, il torrente che scorre intorno al paese ancora oggi. Mentre mia nonna scambiava qualche parola con lui, io ero intimorita da quel suo cappellaccio nero e dal suo sguardo sempre torvo sotto la fronte corrugata. Mi faceva pensare a un grosso orco a cui davano fastidio i bambini.
Ogni mia estate scorreva libera e spensierata in quel piccolo borgo affogato fra i campi e le vigne, e scorazzavo spesso per la campagna con Anna Maria, compagna fissa di avventure e di disavventure.
Capitava, nei pomeriggi delle nostre scorribande nel paese addormentato per la siesta, che andassimo a bagnarci i piedi nella Rupa e allora passavamo davanti alla casa di Toni Pagnuc, svoltavamo per un viottolo che girava tutto intorno e costeggiavamo il suo orto.
Un giorno, durante uno di questi giri Anna Maria, dopo aver superato l'alta rete che delimitava la proprietà e l'orto di Toni, si fermò improvvisamente e mi guardò con una luce maliziosa negli occhi. Tornò sui suoi passi e la seguii. Senza parlare mi indicò delle piccole zucche che penzolavano dalla pianta che arrampicava sulla rete. Era fine agosto e le zucche non erano certo pronte, ma erano molto carine così, inizialmente bislunghe e poi panciute, di un verde che quasi si confondeva con il fogliame. Inizialmente non capii le sue intenzioni poi lei iniziò a salire sulla rete cercando di arrivare a tutte quelle che poteva. Sotto il suo peso la rete si inclinò ondeggiando ma lei continuò imperterrita a staccarle una ad una gettandole man mano nell'erba del sentiero, con una espressione che non dimentico ancora oggi. Io volevo scappare per la paura che qualcuno si svegliasse dal sonnellino pomeridiano e ci cogliesse sul fatto, ma lei non scese dalla rete finchè non ebbe finito del tutto. Col cuore in gola, soffocando le risate, raccogliemmo quelle piccole zucche e scappammo correndo a perdifiato fino ad arrivare alla Rupa. Gettammo le zucche nel torrente e ci sedemmo sotto un gelso, con il frinire assordante delle cicale nelle orecchie e il cuore che batteva a mille.
Non so come abbia reagito Toni alla scoperta che le zucche erano sparite, si sarà sicuramente arrabbiato per quel gesto. Una bravata davvero stupida a ripensarci.
So solo che quando andavo con mia nonna alla Rupa e lei si fermava a chiacchierare con Toni, non avevo il coraggio alzare lo sguardo su di lui. Mi sentivo male al pensiero che leggendomi in viso avrebbe capito che avevo contribuito alla sparizione delle sue zucche.
Parecchi anni più tardi, io ormai adulta e Toni molto avanti con gli anni, in occasione di una Pasqua che passai al paese lo incontrai in piazza, lui e uno dei suoi immancabili cappelli neri.
Lo salutai e dopo i convenevoli di rito, parlando parlando arrivai a confessargli la cosa, chiedendogli scusa. Lui socchiuse gli occhi e scoppiò in una fragorosa risata e mi disse che non se lo ricordava nemmeno. Mi salutò concludendo con una frase che era solito usare ogni volta che doveva accomiatarsi: Grande è la potenza dei cieli e della infinita Misericordia! Che cosa intendesse salutando tutti con quella frase, nessuno l'ha mai capito. Io però mi son sentita più leggera.
Ancora oggi, quando sono in Friuli e vado nel piccolo cimitero a far visita ai nonni, mi fermo un attimo davanti alla sua tomba, gli rivolgo un pensiero perchè credo che non sia stato facile passare la vita in quel piccolo paese, fra i lazzi e gli scherzi di tutti.
Questo dolce l'ho preparato pensando a lui, a suo cappellaccio nero, alla sua aria burbera che mi metteva soggezione, a quella risata che ogni tanto mi risuona nelle orecchie...chissà, forse gli sarebbe piaciuto!
Terrina di zucca, datteri e cioccolato
da una ricetta di Ernest Knam liberamente modificata a modo mio
1, 5 kg. di zucca (peso con la buccia)
4 uova
4 uova
1 tuorlo
100 g zucchero di canna
20/25 grossi datteri interi, naturali
100 g panna liquida
150 g cioccolato fondente di buona qualità
1 cucchiaino di cannella
1 pizzico di sale
100 g zucchero di canna
20/25 grossi datteri interi, naturali
100 g panna liquida
150 g cioccolato fondente di buona qualità
1 cucchiaino di cannella
1 pizzico di sale
mezzo bicchiere di Rum + 2 cucchiai
poco cacao amaro per completare
100 ml panna liquida fresca
poco cacao amaro per completare
100 ml panna liquida fresca
Tagliate i datteri in due metà, eliminate il nocciolo e raccoglieteli in una ciotola, unite il Rum, mescolateli e lasciateli macerare coperti.
Tagliate la zucca in 4 fette, avvolgete ognuna nella stagnola e mettetele in una teglia in forno a 200° finchè saranno morbide al
tatto.
Una volta pronte, a caldo elininate la scorza, raccogliete la polpa in un tegame antiaderente e continuate a farla cuocere mescolando continuamente finchè non rilascerà più liquido. Schiacciatela con una forchetta fino ad avere una crema grossolana. Fate raffreddare completamente.
Una volta fredda, aggiungete le uova una alla volta, mettendo il successivo solo quando il precedente è stato perfettamente incorporato. A questo punto dovrete avere circa 800 g di composto.
Una volta pronte, a caldo elininate la scorza, raccogliete la polpa in un tegame antiaderente e continuate a farla cuocere mescolando continuamente finchè non rilascerà più liquido. Schiacciatela con una forchetta fino ad avere una crema grossolana. Fate raffreddare completamente.
Una volta fredda, aggiungete le uova una alla volta, mettendo il successivo solo quando il precedente è stato perfettamente incorporato. A questo punto dovrete avere circa 800 g di composto.
Dividetelo a metà in due terrine diverse.
A parte bollite la panna e versatela caldissima sul cioccolato spezzettato. Lasciate riposare poi aggiungete i due cucchiai di Rum e mescolate la ganache ottenuta fin quando è perfettamente liscia e omogenea, quindi aggiungetela a una delle due parti di zucca. Un'altra mescolata ed è pronta.
A parte bollite la panna e versatela caldissima sul cioccolato spezzettato. Lasciate riposare poi aggiungete i due cucchiai di Rum e mescolate la ganache ottenuta fin quando è perfettamente liscia e omogenea, quindi aggiungetela a una delle due parti di zucca. Un'altra mescolata ed è pronta.
In uno
stampo da terrina o da plumcake generosamente imburrato partite con uno strato di datteri il più unito possibile, cercate di lasciare pochissimi spazi fra uno e l'altro. Dovranno avere la parte tagliata rivolta verso l'alto, verso di voi. Versate il composto di zucca giallo sui datteri, livellatelo e premetelo leggermente per evitare vuoti, continuate con un altro strato di datteri posati allo stesso modo e terminate con la parte al cioccolato, livellate e premete di nuovo, date una leggera sbattuta alla terrina in modo che si assesti e non ci siano vuoti.
Cuocete a bagnomaria in forno già caldo a 180° per
circa 35/40 minuti. Lasciate raffreddare completamente nel suo bagno, poi copritelo e conservatelo in frigorifero. Per sformare il dolce, immergete lo stampo per un paio di minuti in acqua calda in modo che il burro con cui avete unto le pareti si ammorbidisca e il dolce possa scivolare fuori, poi toglietelo dal bagno, asciugate lo stampo, date dei leggeri colpetti in modo che si stacchi dalle pareti e capovolgetelo sul piatto di servizio. Spolverate leggermente con il cacao amaro e servite accompagnato con della semplice panna montata.
Il Club del 27
lieviti
ricette dal mondo
Katmer Pogaça per il Club del 27
eh gà, e siamo ancora qua cantava Vasco.
E il 27 è ancora qua, puntualissimo anche ad Ottobre e noi del Club del 27 lo celebriamo rendendo omaggio a tutto quello che è sfogliato e lo facciamo collegandoci alla gara MTC di questo mese, tutta sui cannoncini di pasta sfoglia.
Rifacendomi al Tema del Mese, sfogliando l'atlante ho scelto un pane che dovrebbe essere sia balcanico che turco, il katmer poğaça, un pane che si crede un croissant, sfogliato e altrettanto delizioso, un impasto neutro molto versatile e divertente da preparare. Ne avevo sentito parlare ma non l'avevo mai fatto ed è stata una bella scoperta, credo che sarà divertente trasformarlo in panbrioche aumentando di poco lo zucchero, oppure in una specie di brioche salata ripiena, o ancora in bocconcini da farcire per un buffet. Si capisce che mi è piaciuto molto?
Katmer poğaça
per 16 paninetti
Irresistibili! Me ne sono divorati due subito, ancora caldi e fragranti e mi hanno decisamente conquistato, e ci ho pure fatto colazione stamattina, spalmandoli di burro e marmellata, cosa che normalmente non faccio mai perchè solitamente la mia colazione consiste in un caffè macchiato con un biscotto quando va bene.
Fateli perchè sono davvero facili da fare, e poi questo impasto così versatile si può utilizzare in tantissimi modi. Liberate la fantasia!
E il 27 è ancora qua, puntualissimo anche ad Ottobre e noi del Club del 27 lo celebriamo rendendo omaggio a tutto quello che è sfogliato e lo facciamo collegandoci alla gara MTC di questo mese, tutta sui cannoncini di pasta sfoglia.
Rifacendomi al Tema del Mese, sfogliando l'atlante ho scelto un pane che dovrebbe essere sia balcanico che turco, il katmer poğaça, un pane che si crede un croissant, sfogliato e altrettanto delizioso, un impasto neutro molto versatile e divertente da preparare. Ne avevo sentito parlare ma non l'avevo mai fatto ed è stata una bella scoperta, credo che sarà divertente trasformarlo in panbrioche aumentando di poco lo zucchero, oppure in una specie di brioche salata ripiena, o ancora in bocconcini da farcire per un buffet. Si capisce che mi è piaciuto molto?
Katmer poğaça
per 16 paninetti
500 g di farina 00
200 ml di latte
100 ml di olio riso
15 gr di lievito di birra
1 albume
2 cucchiaini di sale
2 cucchiaini di zucchero
tuorlo e latte per spennellare
80 gr di burro fuso per spennellare i dischi
Prelevate 50 /60 gr di latte dalla dose e fatelo intiepidire, aggiungete il lievito di birra sbriciolato e fatelo sciogliere.
Nell'impastatrice mettete tutti gli ingredienti, la farina, il latte, il lievito sciolto nel latte,
l' albume, l'olio, lo zucchero e il sale. Tenete invece da parte gli 80 grammi di burro fuso che servirà in seguito.
l' albume, l'olio, lo zucchero e il sale. Tenete invece da parte gli 80 grammi di burro fuso che servirà in seguito.
Lasciate lavorare la macchina a velocità media fino a quando l'impasto si raccoglie bene, dopodiche trasferitelo sulla spianatoia e lavoratelo ancora per qualche minuto.
Ora dividetelo in 8 palline del peso, all'incirca, di 110 grammi.
Lasciatele riposare 15/20 minuti poi stendete ognuna separatamente cercando di farle tutte di misura più o meno uguale.
Una volta tirate, spennellate ogni disco di pasta con il burro fuso e sovrapponete tutti gli 8 dischi, formando una "pila".
Girate questa pila e iniziate a stendere col mattarello, spianate e tirate col mattarello fino ad avere un disco del diametro di circa 25 cm.
Giratelo nuovamente e continuate a stendere la pasta arrivando ad un diametro di circa 50 cm.
Non occorre fare troppa pressione, si stende senza fatica. Lasciate che si scorgano ancora, sul margine, i singoli dischi.
A questo punto tagliate la pasta in 16 triangoli più o meno uguali.
Io ho diviso in quattro quarti con un taglio a croce, e ogni quarto in altri quattro spicchi ognuno.
Prendete ogni triangolo e tiratelo ancora un poco col mattarello fino ad allungarlo leggermente.
Una volta fatto, arrotolate la pasta come si fa per i croissants, partendo dal lato più largo e arrivando fino alla punta. Io ho ripiegato leggermente verso l'interno i due capi della parte più larga e ho rotolato fino alla punta ottenendo dei bellissimi paninetti.
Ora allineateli un po' distanziati fra loro su una teglia foderata di carta forno.
Spennellateli con il tuorlo mescolato in un poco di latte e lasciateli lievitare fino al loro raddoppio.
Mettete in forno già caldo a 200° (io ho scelto la funzione statica) e cuoceteli per circa 15 minuti, dipende dal forno. Per me ce ne sono voluti un po' più di 20, ma col forno statico ci sta.
Irresistibili! Me ne sono divorati due subito, ancora caldi e fragranti e mi hanno decisamente conquistato, e ci ho pure fatto colazione stamattina, spalmandoli di burro e marmellata, cosa che normalmente non faccio mai perchè solitamente la mia colazione consiste in un caffè macchiato con un biscotto quando va bene.
Fateli perchè sono davvero facili da fare, e poi questo impasto così versatile si può utilizzare in tantissimi modi. Liberate la fantasia!
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