ieri era il mio compleanno, nessuno mi ha fatto gli auguri come un tempo.
Ma non ha più importanza,  ho 61 anni e non invecchierò più.  Me ne sto seduta qui fuori, il cielo è bellissimo, terso e azzurro come non ho visto mai, le nuvole mi fanno da cuscino, bianche e morbide che sembrano bambagia, sto qui e penso.  Ogni tanto guardo di sotto, e osservo il panorama, guardo dentro le finestre di una casa mentre un sospiro mi sfugge,   sorrido....
Mi chiamo Antitza,  Antitza Kraljev, ma in Italia mi hanno sempre chiamata Antonietta, e a me stava bene, mi piaceva il mio nome tradotto in italiano.
Sono nata in una  città di mare della Dalmazia, quando ancora era in terra italiana, Zara. Eravamo in 5 in famiglia, i miei genitori, io e le mie due sorelle. Barbara e Ljuba.
La vita a Zara non era per niente facile, e la città era molto povera, divisa fra la zona del porto e la città vecchia.
Le strade bianche di polvere  e le case vicine una all'altra avrebbero avuto bisogno di qualche sistemazione,  soprattutto verso il porto dove vivevo con la mia famiglia. Siamo cresciute così, io e le mie sorelle,  in mezzo a quella polvere bianca, con le nonne del quartiere che ogni sera, verso il tramonto, sedute davanti all'uscio di casa,  ci raccontavano vecchie favole e storie di mare, siamo cresciute con i nostri giorni scanditi dalle stagioni che si alternavano,  caldissime estati e inverni spazzati da venti gelidi...e con noi che vivevamo praticamente per strada, o sulla spiaggia di sassi non molto lontano. Il mare era l'unica consolazione. 
Mi piaceva fare i bagni d'estate in una piccola caletta che raggiungevamo a piedi...
Mi piaceva cammminare cercando e raccogliendo i piccoli regali che il mare portava, conchiglie, sassi strani, legni, qualche stella marina portata dal mare grosso,  e ossi di seppia.
Con le mie sorelle  perdevamo la nozione del tempo a volte, camminando in su e in giù con le onde che ci lambivano le caviglie, e tornavamo a casa che era quasi notte...
Mia madre era una donna gracile, ha sempre avuto poca salute e non sempre  la forza per crescere tre  bambine vivaci come noi...ma in qualche modo siamo arrivate all'età dell'adolescenza. Preferisco non ricordare quel periodo, è stato uno dei più difficili della mia vita. Mio padre, pescatore, faceva fatica a mettere insieme il pranzo con la cena..
Quando mia madre morì, avevo quasi 18 anni. E a quell'età si scalpita, e io scalpitavo davvero. Volevo fuggire da quel posto, anche se sapevo che mi sarebbe mancato il mare. Volevo andare via con tutte le mie forze e aspettavo soltanto una occasione. 
Ma in cuor mio sentivo di dover aiutare mio padre, e non volevo lasciare sole le mie sorelle. Così, restai a Zara, restai a quella vita di stenti, conservando nel cuore la segreta speranza che un giorno sarei finalmente partita.
Ma l'occasione  non arrivò che molti anni più avanti, quando ero  ormai donna fatta.
Barbara e Ljuba  si erano  sposate  nel frattempo, e io ero rimasta in casa con mio padre,  ma fu per poco, anche lui se ne andò, un giorno uscì  in barca a pescare e non tornò più, disperso  mi dissero. Lo cercarono per qualche giorno, e poi smisero...fu un dolore che si aggiungeva a dolore, non riuscimmo a superare questa cosa per molti,  molti anni.
Pian piano, arrivò il momento in cui non mi sentivo più i pesi da portare sulle spalle...
Un giorno di maggio arrivò una lettera......una lontana cugina che era partita molti anni addietro e aveva trovato lavoro presso una famiglia benestante sul lago di Como, mi scrisse che  ci sarebbe stato bisogno di braccia in  più, e che aveva pensato a me, se mi poteva interessare questo lavoro mi avrebbe mandato lei i soldi per il viaggio........era arrivata  quella occasione che tanto avevo aspettato.
Così, misi in una valigia le poche cose che avevo, presi una corriera e dopo un viaggio abbastanza lungo e difficile, arrivai fino a Trieste. Lì  ad attendermi trovai il marito di questa cugina, che mi scortò fino  a Cernobbio, dove arrivai con un po' di inquietudine ma  piena di speranze,  non immaginando nemmeno lontanamente che non sarei più ripartita.
Si può dire che  la mia nuova vita  è incominciata in quel momento.
Certo non fu un periodo facile, la guerra ci lambiva, avevamo la fortuna di essere città di confine con la Svizzera e non ci furono bombardamenti, se non a Como città o verso Varese,  ma la vita era comunque complicata.  Il cibo scarseggiava, toccava comprare tutto a borsa nera, e in pochi se lo potevano permettere, come la famiglia per cui lavoravo,  così finchè ho lavorato lì  il cibo non è mai mancato a nessuno, magari a razioni ridotte, ma non posso dire di aver fatto la fame qui, come è stato a Zara.
Cernobbio è stato per me il luogo dove mi sono sentita finalmente libera e anche se l'impegno del lavoro era gravoso io mi sentivo leggera, per la prima volta. Una sensazione che non posso scordare.
Un giorno, passeggiando in Riva, conobbi Ambrogio, quello che sarebbe diventato mio marito. Eravamo entrambi maturi, e il nostro è stato un amore quieto, ma profondo.  Ambrogio faceva il sarto da uomo, lavorava in casa e ad aiutarlo aveva me e  la fida Olga. Non che fosse un mestiere da arricchirsi, ma era sufficiente a mantenere la nostra famiglia, i nostri due figli.  Facendo economie, certo. Non nuotavamo nell'abbondanza, e i tempi erano sempre difficili. Stavo attenta a quello che spendevo in posteria, tenevo strettamente sotto controllo  il libretto dove il negoziante scriveva tutto quello che compravo e che avrei pagato alla fine del mese.... si usava così una volta, si faceva la spesa a credito...
Ambrogio non era  molto alto, io lo sopravvanzavo un pochino, ma non ci facevamo caso. Lui mi sapeva capire, ed era un uomo buono, capace di una dolcezza e di una tenerezza infinite. Era quasi  sordo,colpa della meningite  che lo aveva colpito da piccolo, ma sapeva leggere sulle labbra, e non ci sono mai stati problemi di nessun titpo, ci siamo intesi sempre in tutto.
Ci sposammo e andammo a vivere con  sua madre e due delle sue  sorelle. Non è stata una convivenza facile, lo so bene io quello che ho passato, ma per noi  non c'erano alternative a quel tempo. Poi le cognate si sono sposate e sono andate via da Cernobbio e con noi è rimasta la nonna. Una donna d'altri tempi, temprata con l'acciaio. L'ho sempre rispettata, ma finchè è vissuta non ha perso occasione per farmi sentire solo un'ospite...
Gli anni sono passati, tanto velocemente che è meglio che non ci penso...ci siamo ritrovati alla mezza età in un attimo... i figli fuori casa, il più grande già padre di due maschietti.
Un giorno viene a trovarci e mi dice:
- Venite a vivere da me? Ho bisogno che mi teniate i bambini.
Come dire di no a un figlio? Ci trasferimmo nell'appartamento sotto il suo, in una casa a due piani con un piccolo giardino, in un paesotto fra Como e Varese. Niente più passeggiate in riva al  lago quindi, ma avevo i due piccoli di mio figlio da crescere, non mi pesava più di tanto, averli ogni  giorno con me mi ripagava di tutto.... Quanto ho desiderato dei nipoti!!
Per me non fu difficile abituarmi alla vita in quel paese, ma per Ambrogio significò un vero e proprio tracollo. Fu lì che cominciò a manifestarsi l'alzheimer,  era stato sradicato dal posto dove aveva vissuto tutta la vita, senza i suoi amici, senza i suoi riti, le strade conosciute, il lago tanto amato.......successe poi che un giorno, senza che io lo sapessi,   prese la corriera per andare a Como, e poi non seppe più tornare,  ce lo riportò a casa l'autista, impietosito da questo omettino sperduto...  da lì cominciò un periodo davvero doloroso e difficile, finchè non potemmo più assisterlo in casa e lo dovemmo ricoverare.
E così inziai a fare la pendolare. Ogni giorno lo andavo a trovare a Como,  prendevo il bus alla fermata poco lontano da casa, andavo e gli portavo da mangiare le cose che cucinavo apposta per lui, perchè il cibo di quell'ospedale non è che fosse dei migliori....  passavo con lui tutti i pomeriggi. Fino a quella maledetta domenica  5 luglio 1970.
Me lo sentivo che doveva succedere qualcosa, stavo  bene in quel periodo.  Mio figlio più piccolo si era finalmente sistemato, si  era sposato da poco, e già pensavo che sarebbero presto arrivati altri nipoti, magari una femminuccia stavolta, la vita era avviata verso la vecchiai, con i suoi ritmi regolari, se così si può dire, l'unico neo era che Ambrogio non mi riconosceva quasi più ormai. A dire il vero non riconosceva più nessuno di noi, era perso nel suo mondo di ricordi passati, e  vederlo in quello stato era una ferita che ogni giorno scavava un po' di più...ma la rassegnazione cominciava a farsi lentamente  strada dentro di me...

E' domenica, ho fatto tardi, mio figlio è venuto da Milano con la sua mogliettina,  sono stata felice di abbracciarli,  era dal giorno del matrimonio che non ci vedevamo. Ci siamo dilungati in chiacchiere  e io non ho fatto in tempo a prendere la corriera delle 14, e se non mi sbrigo perderò anche quella delle 15, così  corro. 
Sto attraversando le strisce pedonali per arrivare alla fermata,  d'improvviso un colpo fortissimo nella schiena, un dolore lancinante, mi sento sbalzare in aria.  Ricado un po' più lontano, non riesco a muovermi, però non sento più male, non sento più nulla. Chiudo gli occhi per un attimo, la luce mi dà molto fastidio, ma è una luce molto bella, calda e dorata.
Mentre riprendo fiato, riapro gli occhi, oh bella, sono in piedi accanto al  mio corpo steso a terra, la borsa con il cibo per Ambrogio è  molto più in là, ho perso una scarpa, la mia bella giacca blu  è a brandelli,  mi guardo intorno e vedo molte auto  ferme,  anche  due ambulanze, e tanta gente che gesticola e corre. Abramo, il cognato di mio figlio, mi sta tenendo la ma mano e mi sta chiamando a bassa voce. Passava di lì  per caso e mi ha riconosciuto...Io non sento nulla, sto bene, cerco di rassicurarlo ma la voce non mi esce. Poi finalmente capisco.. Non vedrò crescere i miei nipoti, non ne vedrò nascere altri. 
E ora, ad Ambrogio, chi ci pensa?


Antonietta, hai visto, ci abbiamo pensato noi, fino all'ultimo. Non te l'ha detto quando l'hai rivisto?
Hai avuto anche due belle nipoti, e ora saresti bisnonna. 
Ma sono sicura che lo sai, che le guardi ogni tanto, le  tieni d'occhio mentre  da lassù sbirci dentro le nostre finestre.
Non abbiamo avuto molto tempo per conoscerci a fondo, ma ti ho voluto bene sin dal primo momento, e so che anche tu me ne hai voluto, da subito..L'ho capito dai gesti teneri che hai sempre avuto per me,  dalle tue premure, dagli sguardi affettuosi che coglievo, dalle parole non dette.
Ricordi quella volta che veniste a casa dei miei? Eravamo ancora fidanzati allora...Era Natale, il primo Natale che passavamo insieme, le famiglie riunite.  Mio padre non finiva più di raccontare delle nostre tradizioni friulane e di farti domande sulla Dalmazia e sulla tua famiglia, e a fine pasto chiedesti timidamente se ci fosse anche un pezzetto di formaggio...  A te piaceva molto il formaggio.
E allora per il tuo compleanno, invece della solita torta,  ti dedico questa ricetta, sono sicura che l'avresti preferita.




Bavarese di caprino e porri con pane all'uvetta e olio di noci



2 grossi porri, 3 se fossero piccoli
4 formaggini caprini di latte vaccino (tipo Petit Suisse per intenderci)
100 gr panna liquida fresca
6 gr di gelatina in fogli
poco burro
sale, pepe

per accompagnare:

fette di pane con l'uvetta tostate
olio di noci

Mondare i porri,  tenendo da parte le foglie esterne più verdi e più dure. Ridurre il resto a rondelle.
In una pentola sbollentare le foglie di porro per un paio di minuti, quindi passarle subito sotto l'acqua fredda in modo da fissare il colore. Stenderle su un canovaccio pulito e asciugarle tamponando. Tenere da parte.
Fondere il burro, aggiungere i porri e lasciarli stufare finché sono completamente cotti e sfatti. Eventualmente dare un colpo di minipimer per frullarli grossolanamente. Lasciar raffreddare.
In una terrina montare a crema i caprini, aggiungere i porri frullati.
Mettere ad ammollare la gelatina, una volta pronta, scaldare un goccio della panna prevista dalla ricetta, e lasciarla fondere. Versarla a filo, sempre mescolando con le fruste elettriche, dentro il composto di caprino e porri, regolare di sale e di pepe. Montare ben densa la restante panna e incorporarla pazientemente al composto.
 Foderare uno stampo a piacere con le foglie di porro sbollentate, in modo che lo stampo sia completamente ricoperto, lasciandole sbordare un poco.
Io ho usato uno stampo da zuccotto, ma non c'è stato tutto il composto, per cui ne ho foderato di porri anche  uno monoporzione dentro un domopack.
Versare il composto di caprino e porri dentro allo stampo foderato, sbattere bene per far uscire eventuale aria, premere leggermente per compattare il tutto e riversare verso l'intenro la parte di foglie di porro debordante, in modo da chiudere perfettamente il tutto. Fare la stessa cosa con eventuali stampi individuali.
Sigillare bene con la pellicola e conservare in frigorifero fino al momento di servire.
Tostare il pane con l'uvetta in forno, sformare la bavarese, e portare in tavola accompagnata da dell'olio di noci.






Antitza era mia suocera. Venne investita da un'auto  mentre attraversava la strada,  una domenica di luglio. Le sue ultime parole furono per suo marito..

Ciao Antonietta, sei qui con noi ogni giorno.