sono entrata a far parte della famiglia Corti, la famiglia
di mio marito, a 16 anni, in punta di piedi.
I primi tempi la frequentavo marginalmente, ero stata
presentata semplicemente come “amica”
sia a mia suocera che alle tante
zie, ma loro ben conoscendo il loro
rispettivo figlio e nipote, avevano già capito tutto...e pure io, visto il
commento della mia allora futura suocera, riferito a me, subito
dopo le presentazioni di rito.
Frase che resta nella storia della famiglia, su cui ancora ridiamo....
testuale: ma questa non è quella
dell’altra volta!
Però questa è tutta un’altra storia...
la famiglia Corti era originariamente vissuta e prosperata
nell’alta Brianza, a Rogolea, una
piccolissima frazione di Costa Masnaga, vicino ad Inverigo, dove era anche nato
mio suocero e tutti i suoi avi prima di lui. Nell’800 suo nonno gestiva l’unico mulino ad acqua sul Lambro che forniva energia
alla omonima valle, una zona a
prevalenza agricola e con una economia fondata sulla lavorazione della seta, dall’allevamento
del baco fino alla filatura...
Ma ad un certo punto
arrivò la corrente elettrica e la cosa finì molto male per loro, niente più
diritti d’acqua, niente più soldi e un sacco di problemi economici..
Il padre di mio suocero invece, Giovanni, era mediatore, e per il lavoro che faceva era
spesso in giro nella zona a vendere capi di bestiame nei mercati, usanza
abbastanza normale in una Italia contadina come era allora, solo che aveva il
vizio di alzare un po’ il gomito e il più delle volte tornava ubriaco, e a
volte pure senza tutti i soldi....
Sua moglie, Santina, la nonna di mio marito, non ne poteva più. Un
bel giorno, ed eravamo intorno al 1910, prese
su i sei figli e se ne andò di casa.
Trasferendosi a Cernobbio da sola, in una vecchia casa di cortile.
Si tirò su le maniche e, visto che aveva avuto un passato di lavoro in
filanda, (come dicevo la zona di Como è famosa per la qualità della sua seta fin
dal 1400) mise in piedi una
attività in proprio di avvolgimento
delle spolette di seta, avviandola talmente bene che alla fine lavorò anche e
soprattutto per la Cucirini Cantoni Coats , leader tuttora nella produzione di spolette e di filati.
E così crebbe i suoi
figli. Nel frattempo il marito fu trovato annegato dentro il Lambro, e non si è mai saputo se ci fosse caduto dentro per il suo stato alterato
dall’alcool o se qualcuno l’avesse
spinto conoscendo questa sua debolezza,
pare infatti che quel giorno
avesse fatto grossi affari e fosse pieno di soldi, ma non si è mai potuto acclarare nulla e non sapremo mai come è realmente andata..
I fratelli Corti erano 6,
quattro sorelle e due fratelli... Ambrogio, mio suocero, poi Elia il
secondo, e poi la zia Adele, la zia Stella, la zia Libera ed infine la più
giovane, la zia Letizia, nata nel 1909..
da sinistra, zia Libera, zia Stella, zia Adele, zia Letizia, e zio Carlo marito di zia Stella, una foto fine anni '20 inizio '30
qui a sinistra nonna Santina, zia Adele, zia Letizia e zia Libera con Eliano, figlio della zia Adele
Io l’ho conosciuta poco
meno di sessant’anni dopo, già curva e stanca. Era una donna
abbastanza robusta, dai forti fianchi, capelli
neri e occhi castani che guizzavano allegri, curiosi, avevano sempre un lampo,
un sorriso, una domanda, occhi che notavano tutto, registravano tutto, sono
stati la cosa che mi ha sempre molto
colpito in lei, soprattutto quando, poco
prima della fine, sul suo volto magro e
pallido, trasfigurato dalla sofferenza, i suoi occhi dicevano che non voleva
lasciare la vita.......non li posso dimenticare.
Dopo sposata, intorno agli anni ’30, era venuta a vivere a Milano, dato che il
marito era milanese, e abitava poco
distante da casa mia, in Via Imbonati.
Chissà quante volte ci saremo sfiorate senza nemmeno
conoscerci! Ce lo siamo detto un sacco
di volte, ricordando le frequentazioni di entrambe nella zona!
Nel 1966 era già vedova, suo marito, lo zio Rodolfo....il
Mambretti come lo chiamavano tutti in famiglia, era morto nel 1964, a 56 anni, io non l’ho mai conosciuto se non attraverso
le foto.
eccolo qui, a cavallo della sua moto sidecar...
con quella moto andavano a fare raduni di motociclisti, con l'inseparabile cane Alì...
Faceva la sarta, e penso che fosse un po' la prerogativa di famiglia, infatti anche mio suocero lo era e zia Libera invece era occhiellaia...una professione ormai sparita ma che un tempo era molto ricercata.
Lei, Letizia,
cuciva quasi sempre di notte, mentre tutti dormivano e la casa non aveva rumori,
niente macchina da cucire per lei, tutto a mano..... come una volta. Diceva che
la notte riusciva a concentrarsi meglio, e il tempo le rendeva molto di
più....dormiva pochissimo in ogni caso, le bastavano 3 o 4 ore a notte...
Non aveva avuto figli, e ad un certo punto della sua vita
aveva voluto che mio marito, allora adolescente, stante anche la situazione di
poca salute di mia suocera, andasse a
vivere con lei a Milano. Voleva che avesse più
opportunità di lavoro rispetto a Cernobbio.....e così fu, mio marito andò a vivere con lei e lo zio Rodolfo fin dai primi anni '60.
Così pian piano, nel tempo, imparammo a conoscerci e si
affezionò anche a me, e io a lei, anche
se mi metteva un poco di soggezione a volte...mi chiamava Giulia, le piaceva
così e in fondo a me non importava...
Il suo appartamento era al terzo piano di un palazzo dignitoso, non proprio moderno, ma neanche di ringhiera, che affacciava sulla via Imbonati e, nel retro, sul cortile della Zaini, la
dolciaria, una azienda che esiste tuttora, e da cui saliva sempre un gran
profumo di cioccolato....casa sua ne era impregnata...tutte le volte che ci
andavo, era il profumo del cioccolato
che mi accoglieva....
Aveva una casa molto grande,
i mobili retrò, molto belli, che le aveva fatto lo zio Carlo, suo
cognato falegname, quando si era sposata. Mobili
scuri, forti e massicci, la sua camera
da letto è la mia ora, nella casa in Friuli, ed è tuttora perfetta, segno dello
scrupolo, della qualità del legno e del
lavoro dello zio Carlo.
Le piaceva cucirmi i vestiti, a volte però non incontravano
il mio gusto, aveva modelli un po’ datati, ma non gliel’ho mai detto, mi sembrava di
darle un dispiacere....
Quante gonnelline a pieghe scozzesi e con le bretelle ha fatto per le mie figlie!
Ne devo avere ancora qualcuna conservata in qualche scatolone dei loro vestiti
che ho tenuto....
Era sarta, ma anche una gran cuoca, e non era infrequente
che ci invitasse a casa sua per un pranzo o una ricorrenza, sempre grandi pranzi
con tutti i cugini, i bambini, e le
altre zie...
a volte, riguardando quel film di Ettore Scola, La Famiglia, rivivo quelle atmosfere così ben descritte nel film...le tre
sorelle, i nipoti, i cognati.....mi sembra di rivedere zia Letizia in cucina che rigoverna e brontola
insieme a zia Stella contro l’altra sorella,
zia Libera, che non alza un piatto,
tutta presa da frivolezze e da poca voglia di fare....tutto così simile, le discussioni, i fraintendimenti, i mugugni......
era bello però, in quel grande salone così austero,
risentire le risate dei bambini, e le voci allegre degli adulti...lei ne era
felice, la casa prendeva vita per un momento e lei non si sentiva più tanto
sola.
Quando è scomparsa, abbiamo dovuto liberare quella casa, ed
è stato veramente difficile entrarvi, toccare le sue cose senza di lei,
decidere cosa tenere e dove, e cosa scartare.
D’accordo con gli altri cugini, ho chiesto le sue
fotografie, che altrimenti sarebbero state gettate. Mi addolorava il
solo pensiero...
Le ho tutte io,
ancora come le ho portate a casa, appiccicate su pagine scure di
vecchissimi album.
Alcune sono talmente piccole che mi ci vuole la lente di
ingrandimento per vederle bene. Dietro altre ci sono scritte, con calligrafia minuta, frasi d'amore dello zio, dediche tenerissime che mi hanno fatto venire i lucciconi. Rileggere la loro storia d'amore dopo quasi ottant'anni mi ha emozionato tantissimo...purtroppo nessuna ha una data certa, non c'era l'abitudine di scriverne la data di scatto...
Ne ho scannerizzata qualcuna, ma è un lavoro immane, sono
tantissime..... Ho iniziato ieri, ed è stato un viaggio nella memoria, nella storia della mia famiglia d’adozione, fra foto di persone sconosciute e di persone molto care, fra foto seppia e in bianco e
nero che mi ha fatto molto pensare.
In fondo, della vita di queste persone restano solo vecchie
fotografie, e, soprattutto il nostro
ricordo. L’affetto per loro è sempre vivo dentro
il cuore.
Così, con negli occhi le immagini di zia Letizia, ho preparato uno dei suoi più grandi cavalli di battaglia:
Ossobuco in gremolada
per due persone:
4 ossibuchi non troppo grossi
1 carota
2 costole di sedano
1 cipolla
1 bicchiere di vino bianco
pochissimo pomodoro (pelati o polpa pronta)
sale, pepe, olio e poco burro
poca farina
per la gremolada:
1 ciuffo di prezzemolo
2 o 3 pezzetti di scorza di limone senza parte bianca possibilmente
1 spicchio d'aglio piccolo, oppure mezzo
1 filetto d'acciuga
lavare gli ossibuchi e asciugarli benissimo, con la forbice incidere la pelle del bordo in due o tre punti, in modo che non si arriccino in cottura e infarinarli bene, scuotendoli alla fine per eliminare la farina in eccesso.
Tritare le verdure non troppo fini.
In una larga padella mettere un goccio d'olio e una noce di burro, unire le verdure e lasciar stufare qualche minuto, nel frattempo, in un'altra padella, scaldare un goccio d'olio e quando è caldo rosolarci gli ossibuchi da entrambi i lati, una volta rosolati, toglierli, lasciarli sgocciolare un attimo dal condimento e trasferirli nella padella delle verdure.
Lasciare insaporire un momento, quindi sfumare con il vino bianco.
Aggiungere due cucchiai di polpa di pomodoro, o di pelati debitamente ridotti a pezzetti, regolare di sale e pepe e coprire di brodo o di acqua calda.
Portare a cottura pian piano rigirando gli ossibuchi ogni tanto perchè non attacchino, e cuocere finché la carne è morbida e il sugo ristretto.
Tritare il prezzemolo insieme alla scorza di limone, l'aglio e il filetto d'acciuga.
Cinque minuti prima di spegnere il fuoco, aggiungere la gremolada agli ossibuchi, lasciar cuocere per quel tempo e spegnere. Servire caldissimi.
La tradizione li vedrebbe accompagnati dal risotto allo zafferano, ma io ieri li ho serviti con del puré di patate.
Penso che zia Letizia sarebbe stata contenta comunque.
Ho imparato bene zia?
un bacio, ovunque tu sia.
E così, conosco ancora meglio il Corti. Ciao Giuli e grazie per i tuoi racconti.
RispondiEliminaGran bel racconto e gran bel piatto!!! Bru
RispondiEliminaSei bravissima a scrivere Giuli, rimango incantato
RispondiElimina"inciuscida" come si dice in friulano e mi pare di trattenere il respiro sino alla fine.
Grazie per le belle e gradevoli letture.
Buina not
Mandi
Bellissimo il tuo racconto!!Il piatto lo adoro:-)
RispondiEliminaGrazie!!!
Sandra
Che splendido post. Che straordinarie fotografie. E che ricordi.
RispondiEliminaC'e' tutto questo dentro la preparazione che hai fatto. Ma cos'è questa magia che da un po' sei nella mia cucina? Trippa, lasagne, e adesso che voglia di questo piatto. Grazie Giuli
PS Magari, dimmi quanto burro ci metti nel puré che sbaglio sempre.....
Pinella
Grazie per questo racconto e per le stupende foto, ma anche per la ricetta!
RispondiEliminaCiao
racconto meraviglioso e foto poetiche.
RispondiEliminaIl piatto? .. succulento!
che foto meravigliose. Grazie Giuli...le tue storie sono sempre appassionanti....Grazie!
RispondiEliminal'affettuosa impagabile arte del narrare e ricordare.
RispondiEliminache piacere approfondire la tua conoscenza, a presto
RispondiEliminagrazie a tutte ragazze!
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