Seduta in auto, guardo fuori dal
finestrino, mentre mio marito guida tranquillo.
Conosce molto bene queste strade di
lago, è nato e cresciuto in questi luoghi, proprio sulle sue sponde.
Oltre i vetri scorre un panorama
familiare, profondamente amato . Il mio lago di Como è lì, coi
suoi toni di blu, il cielo a nuvole che si riflettono nelle sue
acque e il verde delle montagne che gli fanno da corolla. Qualche
barca lascia una scia bianca, e i gabbiani volano bassi..
Capita ogni tanto che venga la voglia
di rivedere i luoghi dell'infanzia e allora si sale in macchina e si parte ...di solito la prima tappa è a
Cernobbio, il paese di mio marito, e dopo una breve sosta in Riva, percorriamo la vecchia costiera
fino ad Argegno e poi saliamo su per la strada tortuosa della valle, fino a Lanzo d'Intelvi, il paese dove
ho passato la prima parte della mia vita, e dove ho lasciato un
pezzetto delle mie radici....
passiamo lungo una vecchia cancellata di legno,
appena prima di Villa Pizzo. Mi rendo conto che è così da quando mi
ricordo....nulla è cambiato, chiudo gli occhi per un momento, e mi
rivedo, seduta con mia madre sulla corriera mentre lasciavamo
definitivamente Lanzo per trasferirci a Milano.
Ne ho già parlato, ricordo quel viaggio, come fosse oggi.
Mia madre triste, io quasi sei anni, inconsapevole e allo stesso
tempo inquieta per quel distacco da un posto che fino al giorno
prima era la mia casa, dove ero arrivata piccolissima, a un anno di
vita.
E allora, mentre il paesaggio continua
a scorrere fuori dal finestrino dell'auto, mi tornano in mente
persone, luoghi e accadimenti legati a quel periodo...
I miei, per sfuggire alla miseria, poco più che ventenni si trasferirono a Lanzo d'Intelvi a fare i custodi nella residenza estiva degli
Herbatschek, antiquari in Milano, chiamati da una cugina che già lavorava per loro, in una grande villa
al Caslé, una zona un poco fuori dal paese, verso il Belvedere, una
terrazza panoramica che si affaccia sul lago di Lugano..
Mio
padre si occupava del giardino e mia madre pensava alla villa e alla
cucina,
...ci sono rimasti per un paio d'anni, e non furono anni facili, perchè il proprietario, il "tedesco" come lo chiamavano i lanzesi, li sottoponeva ad ogni sorta di vessazione, proibiva loro persino di scendere in paese per la spesa, gliela faceva mandare, così loro non potevano nemmeno telefonare a casa, ai loro genitori, col telefono pubblico, e pur non vivendo a Lanzo, lui sapeva comunque tutto di quello che succedeva alla villa, aveva persone che gli riferivano tutti i movimenti dei miei..
finché mio padre, esasperato, trovò a Lugano un
posto migliore di giardiniere, lavoro che amava tantissimo...così
dopo una breve parentesi alla Pietrafessa, altra piccola località al margine di un bosco, trovarono una casa in
affitto e ci spostammo in paese. Mio padre, sprovvisto del permesso di lavoro che a quel tempo occorreva per lavorare in Svizzera, passava il confine di
notte camminando per ore nei boschi che scendevano a Campione,
rimaneva fuori qualche giorno, e poi tornava su a piedi, ancora di
notte...
La
casa dei Marenghi non era messa bene. A noi avevano affittato
un'unica grande stanza al piano terra, con un gabinetto fuori nel
cortile. Lì si dormiva e si mangiava. Ricordo perfettamente la
disposizione della stanza....a destra entrando, lungo la parete con
la finestra d'angolo, l'acquaio in pietra serena, il fornello a gas, tutto bianco con due fuochi, unito alla bombola da un lungo tubo di gomma azzurro,
di fronte un vecchio tavolo sgangherato e 3 sedie impagliate che
avevano visto tempi migliori, e dirimpetto alla porta d'entrata, in
fondo alla stanza, l'unico letto matrimoniale dove si dormiva in tre, nascosto da una tenda
a fiori...
Erano gli anni '50, e non si poteva guardare troppo per il
sottile....Non avevamo niente, eppure io ricordo quelli come anni
difficilissimi ma felici.
E poi c'era la figlia più piccola dei
Marenghi, Lucia, con cui avevo fatto amicizia...quante scorribande
con lei! Dopo l'asilo si andava in Pianca, verso il bosco, a fare
castagne quando era stagione, a
cercare salamandre appena piovuto, incontrando invece grossi rospi,
oppure al piccolo parco su, verso la
Sighignola. A giocare alla guerra con i maschi......un tempo i
bambini crescevano per strada, non c'erano i timori e i pericoli di
oggi, men che meno in un paese come era Lanzo in quegli anni..
Mentre
sono assorta nei miei pensieri, arriviamo a Lanzo e andiamo direttamente al
Belvedere passando davanti all'incrocio con la strada che sale
al Caslé, tenendoci alla destra una grande pineta.....
L'ha
piantata mio padre quella pineta, da solo.
Ora è una
foresta di abeti bellissimi, e ogni volta che ci passo davanti il
cuore sembra fermarsi per un attimo, poi il battito accelera e il
cuore si gonfia, ricordando quanta fatica e quanto lavoro è costata.
L'ho
fatta tutta a rotoloni quella pineta.
Sfuggendo al controllo dei miei che ci stavano lavorando, sono scivolata non so come, e cadendo sono arrivata fino a valle sulla strada, schivando le piante, rotolando giù giù per molti metri, senza farmi nulla. Solo un piccolo sassolino è rimasto conficcato a lato della fronte. Avevo due anni o poco più... mia madre ancora oggi mi racconta che non sa come ha fatto ad arrivare a valle, correndo a rotta di collo giù per il pendio temendo il peggio... spaventati, i miei scesero di corsa in paese per portarmi dal medico condotto, ma era domenica e lui non era in casa, era all'osteria.
Sfuggendo al controllo dei miei che ci stavano lavorando, sono scivolata non so come, e cadendo sono arrivata fino a valle sulla strada, schivando le piante, rotolando giù giù per molti metri, senza farmi nulla. Solo un piccolo sassolino è rimasto conficcato a lato della fronte. Avevo due anni o poco più... mia madre ancora oggi mi racconta che non sa come ha fatto ad arrivare a valle, correndo a rotta di collo giù per il pendio temendo il peggio... spaventati, i miei scesero di corsa in paese per portarmi dal medico condotto, ma era domenica e lui non era in casa, era all'osteria.
Ho
vivo il ricordo di quel bancone scuro da osteria di paese, su, in
cima alla piazza, vicino alla macelleria Cirla, dove mi issarono a
sedere e dove il dottore mi disinfettò con dell'acquavite e mi tolse
il sassolino, lì, mentre tutti i presenti bevevano allegramente e ridevano mentre io piangevo a dirotto...
Di quell'episodio mi resta ancora oggi un leggero, quasi impercettibile avallamento sulla fronte, poco sopra il sopracciglio,
verso la tempia destra...
dal
Belvedere ci spostiamo su alla Sighignola.
E'
il mio posto dell'anima, è dove torno quando ho bisogno di
ritrovarmi, di rivivere sensazioni ed emozioni, di respirare libera
senza costrizioni, e di ricordare momenti bellissimi vissuti con mio
padre e mia madre, quando andavamo a funghi in quei boschi che mio
padre conosceva palmo a palmo.. ogni
volta che mi siedo su quella panchina, mi ci rivedo con i miei
genitori, loro erano belli e giovani, si amavano molto ed erano
pieni di speranze per il futuro, nonostante la vita dura e i
sacrifici che facevano..
Là è il posto dove ritrovo l'armonia di
un tempo lento, ed è guardando l'infinita bellezza davanti a me
che mi rendo conto che il lago e le sue montagne sono una parte
importante della mia vita, e lo saranno sempre.
Tornando
a casa mi è venuta voglia di un risotto ai funghi, ma non avevo
certo i porcini profumati che trovavamo sotto i castagni di Lanzo,
solo pochi funghi surgelati avanzati da un'altra preparazione e
qualche porcino secco. L'ho preparato in silenzio, strano per me,
perché il risotto di solito è un rito da consumare con un bicchiere di
vino bianco ben freddo vicino, da sorseggiare man mano che il riso cuoce e un poco di
musica in sottofondo...le mani quella sera andavano veloci, sicure, in una serie di gesti consueti da sempre, come fossero parte del mio DNA...ma niente musica, niente vino bianco...
Abbiamo
cenato altrettanto in silenzio quella sera io e mio marito, un
silenzio complice, fatto di sguardi e di sentimento, come se entrambi
volessimo ricordare profumi e sapori di un tempo vissuto,
indelebilmente impresso nella memoria..
è un normale risotto ai funghi, non credo serva la ricetta....
...del risotto no, ma potrei mettere nel cassetto quella di certe cene silenziose, complici, fatte di sguardi e di sentimento... :*
RispondiEliminagrazie bella ragazza, per quelle ci vogliono parecchi anni sai? Noi aiamo a 42..
Eliminasiiiiiii, ragazza!!! ho festeggiato gli anta diventando mamma e moglie... dunque anch'io piuttosto vintage!!! quel 42 è un bel numero, di cui mi colpisce soprattutto la leggerezza, la serenità e la gioia con cui lo indossi. Un piatto davvero raro, con una di quelle ricette che vorresti davvero saper copiare...
EliminaConosco quei silenzi. E sono sempre i migliori. Ti ridanno voglia di vivere e speranza che dopotutto si è costruito qualcosa, lungo il corso degli anni.
RispondiEliminaSi, su quel risotto, stavolta, non serve ricetta. Ci sono ingredienti che conosci solo tu.
a vedervi, sono certa che le conosci anche tu..
EliminaHo di Argegno un ricordo bellissimo. un giorno o l'altro te lo racconterò
RispondiEliminapresto presto però, che sono curiosa come una scimmia..
EliminaCon il sottofondo msicale leggere queste parole fa ancora di più riflettere sul difficile mondo dei nostri genitori, no dobbiamo tornare indietro ma se se siamo quelli che siamo è perchè loro hanno affrontato questo con speranza.
RispondiEliminaparole verissime Anna...
Eliminabellissime le foto di questi luoghi che descrivi. pensa che io non li conosco nemmeno. Che darei per quel risotto
RispondiEliminavieni fin qui, e ti porto in posti del lago di una bellezza struggente...
Eliminaci verrò stanne certa, grazie!
EliminaGiuli, quando scrivi crei dei mondi :-*
RispondiEliminagrazie Ritina...
EliminaSono venuto a curiosare il tuo blog cara Giuliana, e fra la musica, il racconto sapientemente esposto, mi sono abbandonato ai profumi ed ho visto come quando si legge un libro, le facce dei personaggi, i suoni e i profumi....
RispondiEliminaComplimenti e grazie per essere passata.
A presto.
Paolo
che BELLE fotografie!!!!!!
RispondiEliminasono stata da quelle parti tempo fa, era un'altra vita...ne ho un ricordo contrastante forse da rinverdire, magari ci torno..Grazie per questo racconto Giuliana,un abbraccio
RispondiEliminase decidi di tornare, ci andiamo insieme, conosco angoli talmente belli da commuovere...
Eliminasono capitato sul blog per caso, in quanto cercavo tutt'altro, ed ho letto fino in fondo il racconto per capire quale fosse il nesso con quello che era il motivo della mia ricerca (sedie): naturalmente non c'era. ma, conoscendo i posti, mi sono subito immedesimato e ho rivissute certe buone sensazioni. tre/quattro volte l'anno salgo a sighignola da milano: quando ho bisogno di fare pace con me stesso e col mondo. quasi sempre ci riesco. un saluto e un ringraziamento. aldo
RispondiEliminagrazie a te Aldo.
EliminaAnche tu, come me, sperimenti la magia di quella solitaria e unica bellezza. Anche per me è un angolo dove far pace con me stessa e col mondo.
Spero di ritrovarti.
Giuli
Ti abbraccio
RispondiElimina