La signorina Begotti era zitella.
Di quelle ormai parecchio avanti con
gli anni, con le spalle curve e l'aria rassegnata.  Un viso piatto, solcato da innumerevoli rughe,    sciatta e trascurata,   con un abbondante
centimetro di crescita  bianca alla radice dei   capelli  scuri  
arricciati dalla permanente,  una permanente riuscita male però,
tanto che erano  attorcigliati  tipo fusilli lunghi... li teneva
sciolti  sulle spalle, nonostante non fossero così folti, anzi. Quei
capelli sottolineavano ancora di più la sua immagine trascurata.. 
Si chiamava Elettra, Begotti Elettra. 
E i suoi capelli rispecchiavano quel
nome così strano per me. Non l'avevo mai sentito e  nella mia mente 
di bambina  pensavo che l'avessero chiamata  in quel modo per 
qualche motivo legato  all'elettricità.... probabilmente  sua madre
aveva voluto emulare Marconi.  Ma questo l'ho capito molto dopo... 
L'unico vezzo della signorina Begotti
era quel rossetto di un rosso molto acceso  sulle labbra, sempre sbavato, che 
stonava tantissimo sul suo  viso così sciupato  e  la faceva sembrare
una maschera della Commedia dell'Arte.
La signorina Begotti faceva la
segretaria. Al padrone di casa, di tutta la casa di ringhiera di Via
Correggio al numero 6, dove mia madre era custode. Il Dottor
Colombo....
Un uomo basso,  quasi calvo, molto
tarchiato, d'inverno  sempre infagottato in un  cappotto di cammello
che lo arrotondava ancora di più,  col cappello di feltro
perennemente  calcato  sulla testa, a volte un po' spostato
all'indietro. In primavera invece aveva un panama beige  con la
fascia nera, portato allo stesso modo, e una giacca blu di fresco di
lana sui pantaloni grigi, in piena estate invece una camiciola a
casacca portata fuori dai pantaloni,   il panama beige era lo stesso,
anche se cominciava a cambiare colore....
Voleva essere elegante, rimarcava in
questo modo  il suo diverso ceto. Era come se  dicesse  -Guardatemi,
io sono il padrone -
Lui veniva a casa  nostra tutti i fine
mese. Passava a riscuotere l'affitto.
Si sedeva in portineria la mattina sul
presto  e a turno tutti  gli affittuari  scendevano a pagare, chi non
poteva essere presente di solito lasciava una busta con i soldi  a
mia madre  e lei, diligentemente, raccoglieva  le ricevute che a
sera poi, al ritorno degli inquilini, consegnava..
La signorina Begotti gli faceva da
assistente anche in queste occasioni.
 Arrivavano insieme, a piedi, lui col
suo cappello buttato all'indietro sulla calvizie incipiente, il
cappotto appoggiato sulle spalle, mani dietro la schiena, camminando
due passi avanti, e lei  con la sua cartelletta  di marocchino
appoggiata al braccio che gli saltellava dietro cinguettando su
improbabili tacchi di altrettanto improbabili scarpe  alla bebé,
stile anni '20..
Entravano senza chiedere permesso, lui 
si sedeva ad un capo del tavolo, ingombrando parecchio quel buco di
guardiola, e lei gli stava a fianco, in piedi,  spuntando dall'elenco
quelli che venivano  a pagare passandogli le ricevute, già pronte,
da firmare. Lui firmava, prendeva i soldi e li infilava in una specie
di borsello ante litteram,  una specie di tascapane  piatto di pelle
nera scamosciata.
Capitava, soprattutto d'estate, che 
fossi presente anch'io, non c'era scuola, e allora me ne stavo
defilata, mia madre temeva che disturbassi, perciò  mi mettevo
seduta dall'altro capo della  piccola stanza,  un libro aperto in
grembo,  zitta zitta, fingevo di leggere mentre  invece  osservavo di
sottecchi tutto l'andirivieni.
Il dottor Colombo mi sembrava un grosso
rospo, appoggiato  su una  delle nostre sedie di legno,  troppo
piccola per il suo fondoschiena  strabordante, la testa incassata
nelle spalle, lo sguardo torvo e le labbra sempre strette a fessura. 
Nessuna gentilezza o bonomia in lui...  Un rospo in agguato, in
attesa delle sue prede...
Poche parole fra lui e gli inquilini,
asciutte e secche. Il tutto, per ognuno, durava pochi minuti, si
cavavano il dente alla veloce, e poi via, ritornavano alle loro
attività, alle loro incombenze. Raramente qualcuno avanzava qualche
lamentela, che lui liquidava sempre con due parole “ci penseremo”.
Ma non ci pensava mai..
La signorina Begotti allora raccoglieva
tutte le loro carte, chiudeva la stilografica,   ammucchiava in
bell'ordine  sul tavolo le ricevute di quelli che avevano lasciato i
soldi e, sempre cinguettante,  aiutava il dottor Colombo a infilarsi 
il cappotto o la giacchetta, restavano qualche minuto a impartire
ordini e regole sulla gestione  del condominio a mia madre,  e se ne
andavano  senza salutare. 
Non  prima però  di avermi 
raccomandato di portare la posta nelle ore giuste.
Sì perché,  e non  ne ho mai saputo 
il motivo, lui la sua posta la faceva arrivare presso la portineria 
di via Correggio e non direttamente a casa sua in via Guido d'Arezzo.
Così, la figlia della portiera, cioè
io, a 8 anni doveva farsi  più di 3 km al giorno, andata e ritorno, 
per recapitargli tutta la corrispondenza che arrivava da noi.  La
pretendeva  quotidianamente e lo riteneva dovuto, mai neanche un
grazie mi ha detto in tutti quegli anni.....
.... io pregavo in cuor mio che gli
arrivasse  almeno a giorni alterni, e invece nisba,  tutti i giorni
ce n'era sempre a pacchi  indirizzata a lui e ai suoi figli medici...
Così tutti i  pomeriggi, dopo i compiti, che piovesse, nevicasse o
che ci fossero 40° all'ombra, prendevo la strada che andava a casa
sua....quanta strada nei miei sandali, quante suole consumate!
Odiavo quelle camminate obbligatorie. 
Odiavo andare a casa sua perchè  per arrivarci
dovevo passare vicino al Distretto Militare e non mi piaceva per 
nulla.
Odiavo suonare il campanello,
incorniciato in stile Liberty,  ed aspettare che aprissero, ogni
volta ci voleva parecchio, vai a sapere perché.
Odiavo le  buie scale di pietra serena
che salivo fino al secondo  piano.
Odiavo lo scricchiolio del parquet
sotto le mie scarpe.
Odiavo aspettare  nell'anticamera dello
studio,  con l'odore di cera per il legno che stagnava ovunque..
Odiavo la signorina Begotti e quel suo
grembiule  nero di raso lucido, con le mezze maniche, altrettanto
nere,  infilate sopra le maniche vere.
Odiavo la signorina Begotti, per quelle
dieci lire di mancia che mi infilava in mano, che  mi bruciavano, mi
irritavano anche di più di quanto già non fossi..
Odiavo la signorina Begotti che con
quel suo fare da vecchia prozia inacidita, si chinava a farmi una
carezza. 
Odiavo il suo odore, che
inevitabilmente mi colpiva quando  mi  si avvicinava.
Era odore di cipolla.
La signorina Begotti puzzava  sempre di
cipolla..
Strani i percorsi della mente, strano
come un odore  mentre cucini, di colpo, inaspettatamente,  riporti a
galla qualcosa che è profondamente sepolto dal tempo....
Per questo la signorina Begotti  si è materializzata nella mia cucina, perchè  affettavo i cipollotti per questa vecchia ricetta di Aimo Moroni..
 Spaghetti ai cipollotti
per 2/3 persone
20 cipollotti freschi
1 noce abbondante di burro
poco brodo vegetale
poco peperoncino
spaghetti q.b.
parmigiano grattugiato
parmigiano grattugiato
basilico per decorare
Affettare sottilmente i cipollotti, utilizzando anche la parte verde più interna e morbida.
In una capace pentola  fondere il burro, unire i cipollotti affettati e lasciar insaporire bene, aggiungere poco brodo vegetale, regolare di sale e lasciar cuocere a fuoco basso fino a quando i cipollotti saranno completamente sfatti  e il risultato sarà una specie di crema. Aggiungere del peperoncino a piacere.
Cuocere gli spaghetti, scolarli e saltarli direttamente nella pentola dei cipollotti.
Impiattare, aggiungere una leggera spolverata di parmigiano e guarnire con del basilico.
Signorina Begotti, mi perdoni se a
volte sono scappata via  a tutta velocità bofonchiando una specie di
saluto....
so   che lei cercava di essere
gentile....mi creda, non era maleducazione  solo non volevo che
vedesse, che capisse il mio disagio..
Sa, quelle dieci lire  poi andavano
quasi  tutte in gelati, mi piaceva  molto quello fatto a  banana, e
costava proprio dieci lire, lo vendeva il bar,  quello all'angolo
della casa....era facile entrarci e comprarlo.....tutte quelle dieci
lire lei  praticamente le ha date al Bar Mauro...

ma che meraviglia questa pasta!
RispondiEliminagrazie Fran!
EliminaNoi abitavamo sulla riva del lago di Avigliana e andavamo al ristorante di Papà Italo quasi solo per mangiare la pasta alle cipolle che preparava suo figlio. la ricetta sembra proprio questa e anche io ho provato a ripeterla molte volte, ma quel sapore non l'ho mai più ritrovato
RispondiEliminachissà perchè i sapori legati all'infanzia non li ritroviamo più....siamo cambiati noi, o è cambiato tutto intorno a noi? Forse tutte e due le cose...
Eliminasta di fatto che restano irripetibili ma profondamente dentro di noi..
sono d'accordo, anch'io ogni tanto ho provato e provo tuttora a ripetere delle ricette cercando il sapore di un tempo o di un momento preciso, ma non ci riesco mai e devo accontentarmi di riviverli nella memoria... cercando di non dimenticarli... :*
Eliminaroberta
non so se mi ha stregato di più il racconto o la ricetta, credo entrambi.....buon weekend, un abbraccio...
RispondiEliminaGiuliana, Giuliana, nel suo angolo, sulla sua sediolina...ogni ricciolo storto per sempre ricordato.
RispondiEliminaSembrano personaggi di un film quelli che ci hai descritto, così chiari nella tua memoria li hai resi odiosamente vivi anche per noi.
RispondiEliminaRacconto stupendo, soprattutto perché scritto in maniera davvero coinvolgente...
RispondiEliminaLa ricetta... anche se ho già pranzato mi ha fatto tornar la fame :)Ciao Giuliana, sono arrivata qui grazie Chiara( http://chiara-lavogliamatta.blogspot.it/ )e di sicuro non me ne andrò più :) Complimenti!
Giuliana che bello il tuo racconto. Mi ha fatto pioacere leggerlo!
RispondiEliminaUn bacio
ciao Giuliana...il tuo racconto ha il sapore di un'epoca oramai lontana e mi ha ricordato quando io bambina andavo alla sera a piedi a prendere il latte dalla vicina di casa che aveva le mucche...non facevo 3 km, ma poche centinaia di metri ma per me, bimbetta ultratimida, era un'impresa titanica dovermi presentare alla stalla con la mia bottiglia vuota ed i soldini per pagare...altre epoche davvero...
RispondiEliminaBello il tuo modo di raccontarti e bello il tuo blog...arrivo da Chiara La voglia matta http://chiara-lavogliamatta.blogspot.com/ e volentieri mi aggiungo a chi ti segue anche se difficilmente troverò il tempo per lasciare dei commenti...è più facile che io passi da te con occhi silenziosi...Ciao, Mila
Mi sa che assieme alle albicocche sarà una delle ricette scelte per il Contest!
RispondiEliminaSei brava... e anche molto!!!
grazie Gabriele!
RispondiEliminaSecondo me voleva far pesare il suo essere padrone. Sarebbe stato più comodo mandare la posta a casa, se aveva un portiere anche lì.
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