1° ottobre 1955 il mio primo giorno
di scuola. .
La mattina mia madre mi svegliò
presto, mi aiutò a vestirmi e mi infilò il mio grembiulino bianco,
fresco di stiratura, chiese a una inquilina di quella casa di
ringhiera di badare alla portineria e mi accompagnò a scuola.
L'unico, solo giorno della mia vita in cui andai a scuola
accompagnata.
Per arrivare alla scuola di Piazza
Sicilia il percorso era abbastanza lungo, tutta la via S. Siro,
Piazza Wagner, Piazza Piemonte, e alla fine la scuola e Via
Sardegna.. Un edificio grigio a due piani, con grandi finestroni,
un po' triste e austero, come tanti edifici costruiti ai primi del
'900.
Quando arrivammo in vista della scuola,
mi prese un po' di paura, non avevo idea di quello che mi aspettava,
di chi sarebbero state le mie compagne, e soprattutto non sapevo come
fosse la maestra.
Perché la maestra, nell'immaginario di
un bambino, è una figura importante.
Io avevo un poco di timore...dai
racconti dei miei genitori, la maestra era descritta come un cerbero
munito di una lunga bacchetta con la quale ti pestava le mani o le
gambe alla prima parola, o al primo errore.
Ricordo quella piccola scalinata con le
ringhiere, affollatissima di mamme e bambini in grembiule bianco. E
un vociare continuo che si acquietò non appena comparve la
direttrice per fare l'appello delle classi. Non dovetti aspettare
molto perché finii per essere chiamata quasi subito.
Dunque ero in Prima A. E le classi, a
quel tempo, erano tutte o femminili o maschili. Niente classi miste.
Mia madre mi accompagnò in classe
insieme alle altre bambine e alle loro mamme. E lì conobbi quella
che sarebbe stata la mia maestra. Si chiamava Zina Tresoldi.
Pochi minuti per presentarsi e le mamme
vennero congedate. E mentre pian piano le mamme uscivano dalla
classe, io osservavo la maestra...
Una donna di mezza età, con i capelli
di lunghezza media, tinti di quel grigio argento con quello che un tempo chiamavano cachet, ondulati e con una
pettinatura anni '20... un viso largo, e un sorriso accogliente, così
mi parve all'inizio.
Ricordo che mi colpirono i suoi occhi,
ne aveva uno mobilissimo, il sinistro, che sembrava andare per fatti
suoi.
Negli anni, ogni volta che facevamo un
compito in classe, quell'occhio era sempre rivolto verso di noi,
mentre l'altro era abbassato sul registro, come se leggesse, e noi
non sapevamo mai se ci stesse guardando oppure no. Non l'ho mai
capito.
Quel giorno conobbi tutte le mie
compagne, fra cui anche la figlia di un noto primo violino della
Scala, Cesare Ferraresi. Musicista molto conosciuto che fondò poi,
nel 1968, il Trio di Milano complesso che conquistò un posto di
primo piano nel concertismo internazionale.
Fu lì, in prima elementare che scoprii
che il mondo non era quel posto facile e bello in cui avevo vissuto
fino a quel momento.
Poco alla volta vennero a galla i
favoritismi, gli aiuti indebiti, le preferenze, a scapito di quelli
che non avevano un censo o non appartenevano alla stessa classe
sociale della Ferraresi, o della maestra stessa.
Quante volte chiamava me e un'altra mia
compagna alla cattedra e ci ispezionava davanti a tutti, capelli,
collo e orecchie, e poi scendeva e esaminava minuziosamente il
grembiule bianco. Non ci doveva essere nessuna macchia, nemmeno la
più piccola. E a quel tempo si scriveva con l'inchiostro e il
pennino.
Se ne trovava anche solo una
microscopica erano note sul quaderno e lavate di capo. Eppure mia
madre mi mandava a scuola pulitissima, grembiule immacolato tutte le
mattine.
Chissà cosa credeva la Zina Tresoldi? Pensava forse che non abitando in case signorili come la sua o
quella della Ferraresi non avessimo un posto dove lavarci? Nel mio
caso era anche vero, il bagno lo facevo dentro a un grande mastello,
con l'acqua scaldata sul fornello a gas, ma la pulizia e l'igiene
personale sono sempre state massime in casa mia, mia madre ci teneva
troppo a mandarci in giro come si deve, me e mia sorella.
Queste ispezioni erano umilianti,
perché gira e rigira, le faceva quasi sempre a quelle bambine che
non rientravano fra le sue preferite.
Comunque fui sempre promossa, e arrivò
anche la fine delle elementari.
La Zina Tresoldi aveva 5 anni di più e
probabile che con noi chiudesse la sua attività di insegnamento.
Così alla fine della quinta, appena concluso l'anno scolastico,
invitò tutte le alunne a casa sua, per una merenda di commiato.
Lei e sua sorella Maria Rosa, ci
accolsero in un elegantissimo appartamento in Via Verga 15,
all'ultimo piano, dove avevano un grande terrazzo fiorito. Il tavolo, sul terrazzo,
era apparecchiato per il the, e un sacco di pasticcini e altre cose
buone facevano bella mostra nel vassoi. Ad un certo punto suona il
campanello e arriva il ragazzo del bar con del sorbetto per tutti.
Sorbetto all'arancia.
Me lo ricordo ancora come fosse adesso
il sapore di quel sorbetto. Era forse la prima volta che ne sentivo
parlare e la prima volta che ne assaggiavo. Mi rimase impresso per
giorni.
Ci salutammo e da quel momento passarono
moltissimi anni prima che la rivedessi. La salutai che ero bambina e
la rividi che ero donna e madre.
Capitò nel 1979, aspettavo la mia
seconda figlia ed ero quasi alla fine del tempo. Andammo a
trascorrere una breve vacanza alle cinque terre, a Monterosso, in
occasione del ponte del 25 aprile.
Ricordo che il tempo non era clemente
e un pomeriggio che mio marito volle rimanere in albergo, io e mia
figlia Serena uscimmo per una passeggiata, nonostante minacciasse di
piovere.
Camminando lungo il mare, prima di
arrivare alla galleria, lo sguardo si posa sul citofono di una bella
casa, richiamato dal nome scritto: Zina Tresoldi. Un tuffo al cuore
perchè di colpo ricordo che lei parlava sempre della sua casa di
Monterosso. Senza starci a pensare, incoscientemente suono.
Mi risponde lei direttamente e ne
riconosco subito la voce. Ci fa entrare, commossa. Mi abbraccia e
accarezza mia figlia.
Parliamo per un'ora e più, e lei si
ricorda perfettamente di me, perfettamente. Mi rammenta un paio di
episodi che me lo confermano. Questa cosa mi destabilizza un poco
perché la mia opinione di lei e dei suoi favoritismi non era granché
positiva, però dopo tanti anni, tutto è stemperato nella nebbia dei
ricordi, ed averla davanti in quel momento, dopo tutta una vita mi
fa molto molto piacere.
La saluto a malincuore con la promessa
che sarei tornata a salutarla con mio marito, che aveva chiesto di
conoscere.
Purtroppo non fu possibile tornare a
trovarla, dovemmo rientrare urgentemente a Milano per motivi di
lavoro.
Molti anni dopo, cercando dei documenti
storici per una ricerca, mi imbattei in un libro,
Volontarie della Libertà, che parlava
fra le altre donne, di lei e di sua sorella. Scoprii che durante la
guerra avevano aiutato per anni molte persone, ebrei e
antifascisti soprattutto, a nascondersi, andando anche in carcere
prima a Como e poi a S. Vittore e una volta libere per una amnistia,
avevano contribuito ad organizzare la fuga rocambolesca dal carcere,
di Franco Momigliano, il grande economista.
Non ho più avuto modo di vederla, di
parlarle, di raccontarle quello che avevo letto su di lei, di dirle
che la sua figura è stata comunque importante nel mio percorso.
Me la ricorderò per sempre, seduta su
una vecchia poltrona a fiori, con un grande scialle di lana sulle
spalle, la sua testa argentata, e il suo occhio ballerino che mi
guarda amorevolmente mentre chiudo dolcemente la porta della stanza.
Oggi, domenica, ho preparato un dessert
come tutte le domeniche, un dolce che prevede anche un sorbetto
all'arancia.
Lo dedico a lei, in ricordo di quel lontano giorno a casa sua.
Ciao Zina.
Crema di mandorle, sorbetto di arance rosse e streusel alla fava Tonka
per 6 persone
per la crema alle mandorle
400 ml panna liquida fresca
100 gr mandorle pelate
225 gr latte di mandorla
8 tuorli
140 gr zucchero
per il sorbetto di arance rosse
400 gr succo d'arancia
1 limone, il succo
2 albumi
150 gr zucchero
2 cucchiai Cointreau, o altro liquore all'arancia
per lo streusel alla fava Tonka
50 gr farina di mandorle
50 gr burro
50 gr farina
2 cucchiai zucchero di canna
1 fava tonka
qualche fogliolina di menta per colorare
Questo dolce va preparato con un po' di anticipo rispetto al momento di servire.
Se non trovate le arance rosse, non ha importanza, sarà più giallo il sorbetto, ne risentirà solo l'estetica.
Per prima cosa preparate il sorbetto, se avete una gelatiera è una cosa veloce, altrimenti sarà un po' più laborioso ma ci si riesce ugualmente.
Spremete le arance, filtratene il succo arrivando alla dose di 400 gr.
spremete anche il limone e aggiungetelo al succo d'arancia.
Unite lo zucchero e mescolate il tutto finché è completamente sciolto.
Unite anche il liquore.
Montate a neve i due albumi e cercate di incorporarli al composto, non è facile unire una massa montata con un liquido, ma man mano che congela ce la si fa.
Se avete la gelatiera, basta versare il composto e azionare la macchina con la funzione sorbetto, altrimenti mettete il composto in una vaschetta bassa, meglio se di acciaio, o altro metallo, in modo che in freezer conduca meglio il freddo.
Mettete la vaschetta in freezer, e ogni 30/40 minuti, estraetela e mescolate il composto.
Operazione da ripetere finché tutto è completamente congelato e amalgamato. Ci vorrà un po' evidentemente, ma alla fine il risultato sarà uguale.
Una volta pronto il sorbetto, dimenticatevelo in freezer.
Il giorno prima, tritate le mandorle, intiepidite la panna liquida, versatela in una ciotola e aggiungete le mandorle tritate. Coprite e tenete in frigorifero fino al momento dell'uso.
Al momento di preparare il dolce, filtrate la panna dalle mandorle con un colino cinese, premendole bene per estrarre tutto il liquido. Le mandorle che resteranno non buttatele, potranno essere usate per un dolce o per un crema frangipane.
In un pentolino scaldare la panna filtrata insieme al latte di mandorla.
Mescolate le uova con lo zucchero con un cucchaio di legno, in modo da non fare schiuma.
Versate la panna calda sulle uova, a filo, mescolando fino ad amalagamare bene tutto.
Preparate degli stampi da forno, delle cocottes, degli stampi da crème brulée, quello che preferite, dentro a una teglia che possa contenerli agevolmente.
Versate delicatamente la crema negli stampi in modo che siano più o meno tutti pari.
Mettete la teglia nel forno già caldo a 180°, versate con attenzione dell'acqua bollente nella teglia in modo che arrivi a metà degli stampi e infornate per 50 minuti, forse meno.
La crema è cotta quando al tatto è resistente. Nel caso dovesse iniziare a scurirsi, copritela con dell'alluminio.
Togliete dal forno, lasciate raffreddare la crema nel suo bagnomaria, poi coprite uno per uno gli stampi con la pellicola e tenete in frigorifero fino al momento di portare a tavola.
Ora tocca allo streusel.
In una ciotola mescolate la farina di mandorle con la farina bianca, aggiungete lo zucchero di canna, la fava Tonka grattugiata e il burro a pezzetti, freddissimo.
Con le mani mescolate tutto in modo che il burro si incorpori e il composto sia una specie di briciolame.
Foderate di carta forno una teglia bassa, sbriciolatevi sopra il composto e cuocete in forno a 180° per circa 10/15 minuti, dipende dal forno.
Se si allarga e tende ad unirsi non ha importanza, tanto poi va sbriciolato comunque con le mani, per decorare il dolce.
Al momento di portare a tavola montare il dolce.
Riprendete la crema dal frigo, sbriciolatevi in mezzo un poco di streusel, prendete anche il sorbetto dal freezer, lasciatelo qualche attimo ad ammorbidirsi quindi fatene delle quenelles e appoggiatele sopra lo streusel. Guarnite con una fogliolina di menta.
Un dolce ottimo, una vera armonia di sapori fra arancia e mandorle.
Un racconto stupendo, grazie.
RispondiEliminaè tanto piacevole passare a trovarti cara Giuli, c'è una prelibatezza da gustare e un bel racconto da leggere , condividi con noi i tuoi ricordi che sembra averli vissuti insieme a te, buona settimana ti abbraccio
RispondiEliminaBellissimo il tuo racconto che rappresenta un pezzo della tua vita e tutto sommato anche un pezzo della nostra.La tua maestra doveva essere proprio una gran donna.
RispondiEliminaChe dire del tuo dessert,una vera delizia da provare!
come racconti tu… Grazie!
RispondiEliminaIo rimango sempre "basita" leggendoi tuoi racconti...
RispondiEliminaSei fantastica .baci
Franci54
Ecco, mi sono commosa. Mi accade spesso quando ti leggo sola soletta e al riparo dalle corse frenetiche.
RispondiEliminaUna storia stupenda.
Scrivi in modo meraviglioso
Buonissimo il tuo sorbetto!!! Giuliana, se vuoi, lasciami pure un tuo commento nella mia cucina...e spero che le mie ricette ti piacciano cara! ;)
RispondiEliminaUn bacio
Mi hai fatto venire il magone. Mi sono vista con un grembiulino bianco, mia madre al fianco salire una scalinata di pietra bianca di un imponente edificio, entrare in una classe con banchi di legno e li vicino alla cattedra lei, la maestra e mia madre che si allontanava. Che nodo in gola, così grosso che facevo fatica a respirare. Cosa mi hai fatto tornare in mente :-) . Credo proprio che il tuo sorbetto lo proverò. Ciao Stefania
RispondiEliminaTra monti, mari e gravine
grazie Stefania!
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