martedì 31 ottobre 2017

Terrina di zucca e datteri...per una zucca da fiaba

Oggi è il giorno  che il  Calendario del Cibo Italiano dedica alla zucca , un elemento che ricorre frequentemente oltre che in ambito culinario anche  in ambito letterario,  soprattutto quello legato alle fiabe, ai racconti e alla fantasia in generale e per questo troverete sulla pagina del calendario tantissime ricette arricchite da racconti, fiabe e aneddoti. Il mio racconto è una delle mie "memorie con uso di cucina", un pezzetto di vita trascorsa...


Toni Pagnuc  non era mai stato un tipo intelligente, nemmeno da bambino. Era spesso bersaglio di scherzi e sfottò  da parte dei suoi coetanei appunto per la sua  scarsa sagacia. Anche in casa era poco considerato, lui  e suo fratello Gigi erano gli unici maschi in una famiglia tutta al femminile e abitavano in una grande casa in cima al paese, sulla strada delle caserme, che confinava con quella dove viveva la famiglia di mio padre, allora ragazzo, in Friuli.
Dal fienile di casa mio padre poteva assistere a tutto quello che succedeva nel cortile dei Pagnucco, alle liti con le sorelle,  alle dispute per chi doveva rigovernare le bestie o alle scene tragicomiche di quando  venivano rincorsi dalla  madre inferocita, armata di zoccolo o di bastone  per la polenta.
Fra i  due fratelli  c'era parecchia  rivalità e Gigi, il più grande,  si divertiva a  fargli dispetti o a  fargli  fare cose improbabili, come quella volta che  gli fece credere che  mettendo delle  uova dentro un ombrello rovesciato, questo poteva scendere  lentamente   a mo' di paracadute senza rompere le uova.
Per dimostrarglielo, salirono al primo piano, muniti del necessario.  Toni  aprì l'ombrello con la punta verso il basso, ci mise una dozzina di uova e lo lasciò andare... potete solo immaginare...uno così,  tanto sveglio di certo  non può essere. La sera, sua madre, tornando dai campi, strepitò molto a lungo...
Senza andare tanto lontano,  so che anche da adulto è sempre stato oggetto di scherzi, a volte anche pesanti, tanto da diventare un po' la macchietta del paese. Quando c'era lui al Caffè in piazza, potevi esser certo che qualcosa sarebbe successo,  te lo aspettavi quando lo vedevi arrivare pedalando sulla sua bicicletta sgangherata  e  lo capivi dagli schiamazzi e dalle risate che, abitando proprio vicino alla piazza,  arrivavano fin dentro casa.
Io lo ricordo ormai  di mezza età, pingue e con i capelli radi, di un biondo ormai ingrigito, sempre vestito di nero e con un cappellaccio altrettanto nero quasi  perennemente  calcato sulla testa.
Si era sposato ma era rimasto vedovo presto  ed era tornato a vivere in quella  vecchia casa in cima al paese,  trascurata come lui.
Ci passavo davanti ogni volta che andavo con mia nonna a sciacquare il bucato  nella Rupa,  il torrente  che scorre intorno al paese ancora oggi. Mentre mia nonna scambiava qualche parola con lui, io ero  intimorita  da quel suo cappellaccio nero e dal suo sguardo  sempre  torvo  sotto la fronte  corrugata. Mi faceva pensare a un grosso orco a cui davano fastidio i bambini.
Ogni mia estate scorreva libera e spensierata in quel piccolo borgo affogato fra i campi e le vigne, e    scorazzavo  spesso per la campagna con Anna Maria, compagna fissa  di avventure e di disavventure.
Capitava,  nei pomeriggi delle nostre scorribande nel paese addormentato per la siesta, che andassimo a bagnarci i piedi nella Rupa e allora  passavamo davanti alla casa di Toni Pagnuc, svoltavamo per un viottolo che girava tutto intorno  e costeggiavamo il suo orto.
Un giorno, durante uno di questi giri  Anna Maria, dopo aver superato l'alta rete che delimitava la proprietà e l'orto di Toni, si fermò improvvisamente e  mi guardò con una luce maliziosa  negli occhi. Tornò sui suoi passi e la seguii. Senza parlare mi indicò  delle piccole zucche che penzolavano dalla pianta che  arrampicava sulla rete. Era fine agosto e le zucche non erano certo pronte, ma erano molto carine così, inizialmente  bislunghe e poi  panciute, di un verde che quasi si confondeva con il fogliame. Inizialmente non capii le sue intenzioni poi lei iniziò a salire sulla rete  cercando di arrivare a tutte quelle che poteva. Sotto il suo peso la rete si inclinò ondeggiando ma lei continuò imperterrita a staccarle  una ad una gettandole man mano  nell'erba del sentiero,  con una espressione  che non dimentico ancora oggi. Io volevo scappare per la paura che qualcuno si svegliasse dal sonnellino pomeridiano e ci cogliesse sul fatto, ma lei non scese dalla rete finchè non ebbe finito del tutto. Col cuore in gola,  soffocando le risate, raccogliemmo quelle  piccole zucche e scappammo correndo a perdifiato fino ad arrivare alla Rupa. Gettammo le zucche nel torrente e  ci sedemmo sotto un gelso, con  il frinire assordante delle cicale nelle orecchie  e il cuore che batteva a mille.
Non so come abbia reagito Toni alla scoperta che le zucche erano sparite, si sarà sicuramente arrabbiato per  quel gesto.  Una bravata  davvero stupida  a ripensarci.
So solo che quando andavo con mia nonna alla Rupa e lei si fermava a chiacchierare con Toni, non  avevo  il coraggio alzare lo sguardo su di lui. Mi sentivo male al pensiero che leggendomi in viso  avrebbe capito che  avevo  contribuito alla sparizione delle sue zucche. 
Parecchi anni più tardi, io ormai adulta e Toni molto avanti con gli anni,  in occasione di una Pasqua che passai al paese lo incontrai in piazza, lui e uno dei suoi immancabili cappelli neri.
Lo salutai e dopo i convenevoli di rito, parlando parlando  arrivai a  confessargli  la cosa, chiedendogli  scusa. Lui socchiuse gli occhi e scoppiò in una  fragorosa risata e mi disse che non se lo ricordava nemmeno. Mi salutò concludendo con una frase che era solito usare ogni volta che doveva accomiatarsi: Grande è la potenza dei cieli e della infinita  Misericordia! Che cosa intendesse  salutando tutti con quella frase, nessuno l'ha mai capito.  Io però mi son sentita più leggera.
Ancora oggi, quando sono in Friuli e vado nel piccolo cimitero a far visita ai nonni, mi fermo un attimo davanti alla sua tomba, gli rivolgo un pensiero perchè credo che non sia  stato facile passare la vita in quel piccolo paese, fra i lazzi e gli scherzi di tutti.

Questo dolce l'ho preparato pensando a lui, a suo cappellaccio nero, alla sua aria burbera che mi  metteva soggezione,  a quella risata che ogni tanto mi risuona nelle orecchie...chissà, forse  gli sarebbe piaciuto!











Terrina di zucca, datteri e cioccolato

da una ricetta  di Ernest Knam  liberamente modificata a modo mio
 
1, 5  kg. di zucca (peso con la buccia)
4 uova 
1 tuorlo
100 g zucchero di canna
20/25 grossi datteri interi, naturali
100 g panna liquida
150 g cioccolato fondente di buona qualità
1 cucchiaino   di cannella
1 pizzico di sale
mezzo bicchiere di  Rum + 2 cucchiai

 
poco cacao amaro per completare
100 ml panna liquida fresca


 
Tagliate i datteri in due  metà, eliminate il nocciolo e raccoglieteli in una ciotola, unite il Rum, mescolateli e lasciateli macerare coperti. 
Tagliate  la zucca in 4 fette, avvolgete ognuna nella stagnola e mettetele in una teglia in forno a 200° finchè saranno morbide al tatto.
Una volta pronte,  a caldo elininate la scorza,  raccogliete la polpa in un  tegame antiaderente  e continuate a farla cuocere  mescolando continuamente  finchè  non rilascerà più liquido. Schiacciatela con una forchetta fino ad avere una crema grossolana.  Fate raffreddare completamente.
Una volta fredda, aggiungete le uova una alla volta, mettendo il successivo solo  quando  il precedente è stato  perfettamente incorporato. A questo punto dovrete avere circa 800 g di composto. 
Dividetelo  a metà in due terrine diverse.
A parte bollite la panna e versatela caldissima sul cioccolato spezzettato. Lasciate  riposare  poi  aggiungete i due cucchiai di Rum e mescolate la ganache ottenuta fin quando è perfettamente liscia e omogenea,  quindi aggiungetela a una delle due parti di zucca. Un'altra mescolata ed è pronta.
In uno stampo da terrina o da plumcake  generosamente imburrato partite con uno strato di datteri  il più unito possibile, cercate di lasciare pochissimi spazi fra uno e l'altro. Dovranno avere la parte tagliata  rivolta verso l'alto, verso di voi.  Versate il composto di zucca giallo sui datteri,   livellatelo e premetelo leggermente per evitare vuoti,  continuate  con un altro strato di datteri  posati allo  stesso modo  e terminate con la parte al cioccolato, livellate e premete di nuovo,  date una leggera sbattuta alla terrina in modo che si assesti e non ci siano vuoti.
Cuocete a bagnomaria in forno già caldo a 180° per circa 35/40  minuti. Lasciate raffreddare completamente nel suo bagno, poi copritelo e conservatelo in frigorifero.  Per sformare il dolce,   immergete lo stampo per  un paio di minuti in acqua calda in modo che il burro con cui avete unto   le pareti si ammorbidisca e il dolce possa scivolare fuori,  poi toglietelo dal bagno, asciugate lo stampo, date dei leggeri colpetti  in modo che si stacchi dalle pareti e  capovolgetelo sul piatto di servizio. Spolverate leggermente con il cacao amaro e servite accompagnato con della semplice  panna montata.




Un dolce importante,   morbido  e vellutato, carezzevole e ricco di sfumature, decisamente appagante.













venerdì 27 ottobre 2017

Katmer Pogaça per il Club del 27

eh gà, e siamo ancora qua  cantava Vasco.
E il 27 è ancora qua,  puntualissimo anche ad Ottobre e noi del Club del 27 lo celebriamo rendendo omaggio a tutto quello che è sfogliato  e lo facciamo collegandoci alla gara MTC di questo mese, tutta sui cannoncini di  pasta sfoglia.




Rifacendomi al Tema del Mese, sfogliando l'atlante  ho scelto un pane  che dovrebbe essere  sia balcanico che  turco,  il katmer poğaça, un pane che si crede un croissant, sfogliato e altrettanto delizioso, un impasto neutro molto versatile e divertente da preparare. Ne avevo sentito parlare ma non l'avevo mai fatto  ed è stata una bella scoperta, credo che sarà divertente trasformarlo in panbrioche aumentando di poco lo zucchero, oppure in una specie di brioche salata ripiena, o ancora in bocconcini da farcire per un buffet. Si capisce che mi è piaciuto molto?





Katmer poğaça

per 16 paninetti



500 g di farina 00
200 ml di latte
100 ml di olio riso
15 gr di lievito di birra
1 albume
2 cucchiaini di sale
2 cucchiaini di zucchero
tuorlo e latte per spennellare

80 gr di burro fuso per spennellare i dischi

Prelevate 50 /60 gr di latte dalla dose e fatelo intiepidire, aggiungete il lievito di birra sbriciolato e fatelo sciogliere.
Nell'impastatrice mettete tutti gli ingredienti, la farina, il latte, il  lievito sciolto nel latte, 
 l' albume, l'olio, lo  zucchero e  il sale. Tenete invece  da parte gli 80 grammi di burro fuso che servirà in seguito.
Lasciate lavorare la macchina a velocità media fino a quando l'impasto si raccoglie bene, dopodiche trasferitelo sulla spianatoia e lavoratelo ancora per qualche minuto.
Ora dividetelo in 8 palline del peso, all'incirca, di 110 grammi.
Lasciatele riposare 15/20 minuti  poi stendete ognuna separatamente cercando di farle tutte di misura più o meno uguale.
Una volta  tirate, spennellate ogni disco di pasta con il burro fuso e sovrapponete tutti gli 8 dischi, formando una "pila".
Girate  questa pila e iniziate a stendere col mattarello, spianate e tirate col mattarello fino ad avere un disco del diametro di circa 25 cm.
Giratelo nuovamente  e continuate  a stendere la pasta arrivando ad un diametro di circa 50 cm.
Non occorre fare troppa pressione, si stende senza fatica. Lasciate che si scorgano ancora, sul margine, i singoli dischi.
A questo punto tagliate la pasta in 16 triangoli più o meno uguali.
Io ho diviso in quattro quarti con un taglio a croce, e ogni quarto in altri quattro spicchi ognuno.
Prendete ogni triangolo e tiratelo ancora un poco col mattarello fino ad allungarlo leggermente.
Una volta fatto, arrotolate la pasta come si fa per i croissants, partendo dal lato più largo e arrivando fino alla punta. Io ho ripiegato leggermente  verso l'interno i due capi  della parte più larga e ho rotolato fino alla punta ottenendo dei bellissimi paninetti.
Ora allineateli un po' distanziati fra loro su una teglia foderata di carta forno.


Spennellateli  con il tuorlo mescolato in un poco di latte e lasciateli lievitare fino al loro raddoppio.
Mettete in forno già caldo a 200°  (io ho scelto la funzione statica) e cuoceteli per circa 15 minuti, dipende dal forno. Per me ce ne sono voluti un po' più di 20, ma col forno statico ci sta.




Irresistibili! Me ne sono divorati due subito, ancora caldi e fragranti e mi hanno decisamente conquistato, e ci ho pure fatto colazione stamattina, spalmandoli di burro e marmellata, cosa che normalmente non faccio mai perchè solitamente la mia colazione consiste in  un caffè macchiato con un biscotto  quando va bene.

Fateli perchè sono davvero facili da fare,  e poi questo impasto così versatile si può utilizzare in tantissimi modi. Liberate la fantasia!