giovedì 29 settembre 2016

Bavarese alle mandorle

un dolce goloso,  per finire in bellezza questa estate strana, faticosa e piena di contrattempi  e imprevisti. Quando si hanno genitori anziani li si devono  mettere nel conto.
Fortunatamente ora posso tirare un respiro di sollievo e mettere tutto alle spalle, anche le mancate vacanze.
Ma poi, se devo dirla tutta,  restare a casa mentre la città si svuota ha  anche i suoi lati positivi.  Mi sono riappropriata del silenzio e della mia città, un posto  in cui il movimento è sempre frenetico a tutte le ore del giorno e della notte.
Milano d'agosto l'ho riscoperta con lentezza, senza tutte quelle situazioni da milanese imbruttito, senza code sulla tangenziale, senza corse, senza ansia. E' una gran bella città  ora, e offre sempre una grande scelta su cosa fare anche nei mesi in cui tutto rallenta.. musei, sale cinema,  locali, parchi e spazi aperti dove ascoltare buona musica,  piscine, ristoranti... insomma non ci si annoia di certo, nemmeno in agosto.  Da qualche anno non si registra più il proverbiale deserto agostano di antica memoria,  negozi e supermercati difficilmente chiudono, per cui nessun problema per la spesa, o per trovare una farmacia aperta. Io ho persino trovato falegnami, fabbri e vetrai che lavorassero  poco prima di ferragosto...

e poi, male che vada, ci sono i laghi vicinissimi, con le loro montagne.... qualche giro si riesce sempre a farlo, meteo permettendo..

Ora capitolo chiuso, si riparte, la fine dell'estate segna   una specie di nuovo inizio...e io riparto così, con un panetto di pasta di mandorle che mi  ha portato  mia figlia Chiara, reduce da una vacanza in Sicilia.




Bavarese alle mandorle


per la bavarese:
400 g latte intero
200 g pasta di mandorle in panetto
3 tuorli
50 g zucchero
8 g gelatina in fogli
200 ml panna liquida fresca


 per completare il dolce: 
1 pesca gialla, o percoca
poco ribes rosso
qualche fiore edule a scelta



Scaldate il latte, grattugiatevi dentro la pasta di mandorle, o fatela a piccoli pezzetti.
Mescolate,  a fuoco molto dolce,  finché  non si é sciolta completamente.
Ammollate i fogli di gelatina in acqua fredda.
Montate i tuorli con lo zucchero fino a che sono gonfi, chiari e spumosi, aggiungete a filo il latte con le mandorle e rimettete su fuoco dolce, mescolando continuamente fino a che la crema comincerà a ispessirsi e velerà il cucchiaio. Se avete un termometro da cucina, controllate che la temperatura arrivi a 85°.
Unite la gelatina ben strizzata e  mescolate bene affinchè si sciolga completamente, togliete dal fuoco e trasferite la crema in una terrina, ponetela a raffreddare in acqua  e ghiaccio, sempre mescolando finché é completamente fredda.
Semimontate la panna e  aggiungetela alla crema inglese alle mandorle  mescolando con pazienza fino a quando si sarà perfettamente amalgamata. Operazione importante questa, perchè se la crema alla fine non sarà omogenea, raffreddando tenderà a dividersi. Quindi nessuna fretta finchè la panna non è perfettamente inglobata nella crema inglese. Essendo semimontata avrete meno difficoltà.
Trasferite nello stampo prescelto,  o in stampi individuali e mettete in frigorifero a  rassodare. Se optate per uno stampo unico  in silicone, mettetelo nel congelatore, quando dovrete sformare non avrete difficoltà.
Io ho usato lo stampo Queen della Pavoni, in silicone.
Questo tipo di stampi li adopero esclusivamente per dolci da congelare. Non li uso per altro.
Basterà togliere lo stampo dal freezer  un paio d'ore prima di servirlo,  sformare il dolce  direttamente  sul piatto da portata  e lasciare che  si scongeli dolcemente in frigorifero. Se avete un abbattitore, usate quello  per scongelare velocemente.

Poco prima di servire, decorate il dolce. Lavate la pesca e tagliatela a fette abbastanza sottili, lasciando la buccia. Usate le fette di pesca come decorazione, insieme a fiori eduli e bacche di ribes rosso.


Un consiglio, se non volete congelarla e optate per il normale raffreddamento in frigorifero, aumentate un poco la quantità di gelatina, direi di portarla a 10 grammi,  altrimenti, ma dipende dal tipo di stampo usato,  non si riuscirà a sformarla, oppure usate le dosi  indicate e  servitela nel bicchiere  decorandola come preferite.


 Delicatissima e, per me, quasi consolatoria.

E ora apprestiamoci ad affrontare l'autunno...

martedì 27 settembre 2016

Arista in cocotte con scalogni e mele


Si fa presto a dire mela, ma lo sapete quante varietà di mele esistono al mondo?  Oltre  settemila e di queste,  mille solo in Italia.  Abbiamo un numero   elevatissimo di specie distribuite tra le regioni del Nord, del Centro e del Sud, isole comprese, anche se quelle coltivate oggi non sono più del  10% di una lunga lista.
E anche se  noi siamo stati  abituati dalla grande distribuzione  a scegliere quasi sempre fra quei sei o sette tipi, ogni regione ne conta a dozzine. Certo, quelle del fruttivendolo o del supermercato  sono belle, grosse dai colori vividi, ma non sempre bello è sinonimo di buono, purtroppo.  Le regole del profitto fanno sì che chi gestisce e decide il mercato quasi sempre preferisca il prodotto accattivante alla vista, facilmente stoccabile e adatto a lunghi spostamenti, magari completamente insapore, a quello più ricco di vitamine e di gusto.
Dovremmo tutti cercare di cambiare i modelli di consumo, dando la priorità alla qualità e alla tutela della salute, rispettando anche la stagionalità,  e anche i coltivatori dovrebbero modificare i  loro modelli di produzione per fornire prodotti sani e ricchi di sapore, senza alterare l'ambiente della campagna, ma temo che non riuscirò mai  a vedere un tale cambiamento.
Ora, un grande patrimonio  resta limitato in ambito regionale,  dimenticato.
Qualche anno fa,  in una fiera autunnale  di  un piccolissimo paese dell'alessandrino, Frascaro,  ho visto  in bella mostra una quantità incredibile di mele, tutte del Piemonte e tutte sconosciute.
Per darvi una idea , solo per questa  specifica regione, cito da un libercolo di Slow Food:
"La Grigia di Torriana è tondeggiante, leggermente schiacciata, gialla, ruvida e rugginosa; la Buras è parente delle grigie, ma più simile alle renette; la Runsè è inconfondibile per il colore rosso vinoso e la buccia lucente; la Gamba Fina ha forma appiattita, colore rosso scuro e polpa bianca; la Magnana è piccola e rossa; la Dominici è grande, un po’ allungata, con la buccia gialla e leggermente ruvida e la polpa color crema; la Carla è piccola, irregolare, giallo-paglierino screziata di rosa; la Calvilla è la più aristocratica: bella, aromatica, profumata, ma molto delicata (delle 50 tipologie di Calville esistenti a fine Ottocento, ne sono sopravvissute sei: le migliori sono la Bianca e la Rossa d’Inverno)"
E questo solo per alcune delle mele piemontesi, immaginatevi lo stesso, se non di più,  per le altre regioni e avrete un panorama infinito di quanta ricchezza di varietà abbiamo e che non coltiviamo perchè poco remunerative,  oltre a non conoscerle neppure.

La mela,  un frutto particolarmente ricco di vitamine e sali minerali, dal potere antiossidante,  fornisce una dose discreta di vitamina C e di potassio, è fonte di fibre, solubili e insolubili, fra esse la pectina, il potente gelatinizzante che ben conosciamo,  usato anche  per le marmellate,  in grado pure di contribuire ad  abbassare il colesterolo.
Insomma il detto una mela al giorno toglie il medico di torno, ha un fondo di verità.

 Da sempre presente nella  narrativa, nella mitologia, la mela  è il simbolo di New York, viene posta sulla testa del figlio di Gugliemo Tell,  Newton intuì la legge di gravitazione universale a causa di una mela che gli cadde sulla testa,  era d'oro la mela che Paride diede in premio ad Afrodite,  e si potrebbe continuare a lungo con gli esempi di quanto  questo frutto  sia presente  da sempre...a partire da Adamo ed Eva...

Tutto questo per dirvi che oggi è la giornata nazionale dedicata a questo benefico frutto dal Calendario del Cibo Italiano  progetto portato avanti dalla AIFB e che Ilaria del blog Soffici sarà l' ambasciatrice della giornata.  Sono sicura che grazie al suo articolo scopriremo tantissime cose sulle mele,  sulle loro proprietà e sul loro utilizzo.

Il mio contributo a questa giornata è un arrosto.
La mela è un frutto molto versatile e,  nella peculiarità delle diverse specie, trovo che  ben si adatti  alla cucina salata e le utilizzo spesso. Come in questa ricetta:


Arista in cocotte con scalogni e mele


1 kg circa  arista di maiale
200 g pancetta  liscia, tesa
3 grosse mele Golden
1 bicchiere di vino bianco
6  grossi  scalogni
2 spicchi d'aglio
1 rametto di rosmarino
2  foglie di alloro
1 cucchiaino  di finocchietto selvatico in polvere (facoltativo)
 olio e.v. d'oliva
una noce di burro
sale, pepe nero di mulinello


Cercate un bel pezzo intero di arista di maiale, lavatelo asciugatelo bene, poi praticate dei tagli trasversali,   intervallati fra loro,  su tutta la superficie , ma senza arrivare  del tutto  al fondo. Create delle specie di tasche.
Lavate e asciugate il rosmarino, tritatelo finemente con l'aglio.
In ognuno dei tagli effettuati inserite una fetta di pancetta e un poco del trito di rosmarino e aglio e un pizzico di finocchietto selvatico.


ricomponete il pezzo di arista  compimendolo il più possibile in modo che le tasche si chiudano bene, quindi bardatelo con la pancetta rimasta e legatelo strettamente in modo da chiudere ulteriormente i tagli.

Ponete sul fuoco l'apposita retina spargifiamma e in  una cocotte, o una pentola per le lunghe cotture, tipo lavecc di pietra ollare, o una  Le Creuset per intenderci, scaldate un goccio d'olio e lasciateci fondere la noce di burro, aggiungete l'alloro e fate rosolare da tutti i lati la carne bardata.


Una volta che è ben rosolata, regolate di sale e di pepe, quindi sfumate con il vino bianco, lasciate evaporare, aggiungete poca acqua calda, abbassate il fuoco e fate cuocere, coperta,  per circa un'ora e mezza rigirandola un paio di volte e controllando spesso che il fondo  non si asciughi troppo, nel qual caso, aggiungete un poco di acqua calda per volta.
Mentre cuoce la carne,  pulite gli scalogni, lasciateli interi. Lavate e asciugate le mele con la buccia, dividetele a metà, da ogni metà ricavate tre spicchi, eliminate i semi.
Trascorso il tempo, controllate la pentola, aggiungete ancora dell'acqua calda, e unite sia gli scalogni che le mele a spicchi. Portate a cottura a fuoco basso, ci vorranno ancora mezz'ora, quaranta mimuti più o meno.  Mele e scalogni dovranno rimanere per la maggior parte interi, anche se qualcuno si disferà un poco.  Provatene la cottura con un forchettone, o ancor meglio, se avete un termometro da arrosti,  infilatelo  nella carne e controllate che la cottura al cuore sia intorno ai 72°.
Spegnete, lasciate riposare l'arista per qualche minuto, quindi affettatela  e servitela accompagnata dalle  mele e dagli scalogni cotti.




Confesso che non cucino spesso l'arista,  è un taglio di carne di maiale che trovo abbastanza asciutta e stopposa, e siccome non posso usare il metodo della cottura a bassa temperatura, cerco di ovviare in questo modo. Infatti, la  pancetta inserita all'interno  e la bardatura la ammorbidiscono piacevolmente.

Ho scelto di usare le mele Golden che non hanno la nota acidula, ma potete usare la qualità che preferite, ovviamente.













domenica 25 settembre 2016

Gnocchi di patate all'erba cipollina e chips di San Daniele

Reduce dalle tre prove  per la sfida di settembre per MTChallenge, sono di nuovo qui a parlare di gnocchi e  a riproporre una ricetta che mi è piaciuta parecchio.  Lo faccio perchè oggi  è la giornata dedicata espressamente agli gnocchi dal Calendario del Cibo a cura della Associazione Italiana Food Blogger e Susanna Canetti del blog Afrodita's Kitchen  ne sarà la valida ambasciatrice.

E' domenica, non giovedì, giorno proverbialmente deputato, ma a un piatto di gnocchi non si dice mai di no. Mai.  In nessun giorno della settimana. Senza contare che  vedere e leggere  tutte quelle bellissime ricette preparate delle blogger per la gara MTC, è semplicemente una istigazione a ripetere..... a me poi erano rimasti in mente certi gnocchi che avevo visto passare tempo fa  nei piatti all'Antico Caffè Toran a San Daniele, e che non avevo più rifatto....
San Daniele  è a pochi chilometri dal mio piccolo paese natale, e quando sono in Friuli non manco mai di farci una capatina per farmi una scorpacciata di prosciutto crudo. Mangiato lì, è tutta un'altra cosa. Ho provato varie volte a farmelo incartare per portarlo a casa e non c'è niente da fare, cambia sapore.  Non mi sono mai spiegata il perchè. Anche abitando a 20 chilomentri, una volta a casa il sapore cambia. Per cui  abbiamo rinunciato all'asporto, preferiamo degustarlo in loco.
Di solito si va ai  Bintars, locale storico, segnalato anche da Slow Food,  ma una sera che  il locale aveva il tutto esaurito  abbiamo ripiegato, per la prima volta,  sull'Antico Caffè...
Normalmente la degustazione consiste in un  enorme vassoio di prosciutto crudo,  di cui puoi fare il bis se ce la fai, solitamente al fiocco, roseo e profumatissimo, accompagnato da sottoli e sottaceti e formaggio friulano semistagionato,  annaffiato o dal Traminer o dal Tocai (Bianco Friulano), che io di solito preferisco,
ma lì, a differenza dei Bintars, era anche ristorante,  non solo  degusteria. Ricordo che mi aveva incuriosito un continuo via vai di piatti colmi di gnocchi verdi, e mi intrigavano parecchio  ma non ero riuscita ad assaggiarli perchè ero talmente  sazia che non mi sarebbe  più entrato nemmeno uno spillo.
Con la mia solita faccia tosta, ho chiesto la ricetta e loro, gentilissimi, me l'hanno raccontata mentre io  la scrivevo  su un pezzetto di carta volante che, come spesso mi capita,  ho dimenticato poi in una delle tante tasche del portafoglio, salvo poi ritrovarla abbastanza  tempo dopo  facendo pulizia di scontrini vari.....e ho pure corso il rischio di buttarla, perchè non mi ricordavo più che era la ricetta degli gnocchi verdi... Tipico per me...

comunque, eccoli,  liscissimi e stavolta con l'uovo, alla maniera friulana. Perchè da noi si mette, patate asciutte o meno.







Gnocchi di patate all'erba cipollina e chips di  San Daniele


1 kg patate possibilmente a pasta bianca, o comunque farinose
200 g  farina
50 g erba cipollina
3 o 4 fette di prosciutto crudo  di San Daniele
1 uovo
burro, una grossa noce
poco sale


Scaldate il forno a 180° ventilato. Su una teglia mettete un foglio di carta forno, stendetevi le fette di San Daniele e infornate. Cuocete nel MicroOnde la patate, preferibilmente di pezzatura il più possibile uguale, con la buccia, lavate e avvolte una per una in carta Scottex bagnata, in modo non si secchino. Lasciatele cuocere alla massima potenza (il mio raggiunge i 750 watt)  rigirandole a metà cottura, finchè  sarann morbide e cedevoli al tatto.
Spellatele e schiacciatele col passapatate direttamente sulla spianatoia leggermente infarinata, allargate un poco l'impasto per lasciarle evaporare un poco. Fate una fontana.
Frullate, o tritate nel tritatutto l'erba cipollina fino ad avere quasi una poltiglia abbastanza fine. Eliminate magari i fili che restano ancora troppo lunghi.
Unite l'erba cipollina frullata, un pizzico di sale   e l'uovo, leggermente sbattuto, nel centro della fontana di  patate e cominciate ad impastare bene perchè il tutto si distribuisca  uniformemente. Pian piano unite  la farina poca alla volta, lavorando con calma il composto anche con le mani, fino a che e la pasta è elastica e si lavora senza difficoltà.
Formate i  soliti rotolini e tagliateli a tocchetti, se volete rigateli son un rigagnocchi.
Fondete il burro
Nel frattempo il prosciutto si sarà trasformato in chips belle croccanti, quindi  togliete dal forno.  Mettete un cucchiaio abbondante di burro fuso sul fondo di ogni piatto.
Cuocete  gli gnocchi come sempre, io lo faccio pochi alla volta, praticamente a porzione,  e quando vengono a galla prelevateli con una  comoda schiumarola, metteteli nel piatto di servizio, aggiungete un altro cucchiaio scarso di burro fuso, mescolate delicatamente per non rompere gli gnocchi  e sbriciolategli sopra una chips o più di San Daniele croccante..


Questi gnocchi li ho adottati da anni,  piacciono sempre molto a tutti.
Magari si può sostituire il burro con una leggera fonduta di parmigiano, o anche di Salva cremasco,  giusto per cambiare un poco, ma già così, semplici semplici, sono deliziosi.








giovedì 22 settembre 2016

Rollé di faraona ai finferli

Oggi è il  giorno degli arrosti arrotolati  per il  Calendario del Cibo Italiano   a cura dellaAssociazione Italiana Food Blogger  e Silvia Leoncini  del blog La masca in cucina ce ne parla ampiamente nel suo articolo dedicato al questo interessante  argomento.

L'arrosto arrotolato era il classico arrosto  di  casa mia,  infatti mia madre  ha scoperto,  appena arrivati a Milano,  che era un buon modo di cucinare la carne senza spendere  molto. E in quegli anni sul finire del 1954  risparmiare era una necessità vitale. Non che lo facesse spesso,  era l' arrosto delle occasioni particolari, quando c'era qualche ricorrenza da festeggiare.  Lo comprava alle Fattorie Prealpine di Via S. Siro, quasi all'angolo di casa nostra,  in zona Fiera,   un negozio vecchio stile, una specie di vecchia  posteria dove vendevano salumi, formaggi e anche la carne.  Ricordo le montagne di mascarpone, messo nel banco a piramide,  tutto rigato con la forchetta come decorazione,   o i mastelli di mostarda,  le grandi scatole di tonno e di sgombri, rosse e blu,  le salsicce appese come collane,  tutto veniva venduto sfuso, tutto. Lo zucchero veniva  avvolto in un pacchetto di carta color avio, carta da zucchero appunto, con un movimento che arricciava il pacchetto a festoni, come fosse un grande raviolo a mezzaluna,  e la pasta, certi bucatini lunghi,  fasciati per metà in carta blu scuro, quasi copiativa,  con l'etichetta che raffigurava il Vesuvio,  il vino veniva misurato con il litro bollato, e travasato nella bottiglia che ti portavi da casa, persino le sigarette venivano vendute a numero....non c'erano tutte le normative asfissianti che ci sono oggi... un vivere completamente diverso...
Lo trovavi già bello arrotolato, legato come si deve e dovevi comprarlo alla cieca, perchè a prima vista non sapevi come sarebbe stato all'interno,  se andava bene ti ritrovavi un pezzo di   Fesa di spalla, e se andava male era Punta di petto, nervosa e grassa. Mia madre, devo ammettere,   aveva imparato a scegliere il pezzo giusto, e quasi sempre ci azzeccava, ma io non ne potevo più di vitello arrotolato. Infatti, da sposata,  ho quasi smesso di cucinarlo. Preferisco un bel pezzo intero, cotto al forno, che abbia una crosticina dorata  e l'interno morbido e succoso,  un piatto che mette d'accordo tutti.
Al contrario non disdegno le altre carni, faccio spesso il coniglio disossato e arrotolato, ripieno, e la faraona, carne molto apprezzata nella mia famiglia. Il mio cavallo di battaglia è un rotolo  con le mele e il curry, ma qui si parla di cibo italiano, e allora ecco il mio contributo, che è pure di stagione...



 Rollé di faraona ai finferli


1 faraona disossata
200 g salsiccia grossa  a nastro
100 g pancetta liscia
500 g finferli
1 spicchio d'aglio
1 rametto di timo
1 bicchiere di vino bianco
sale, pepe
olio e.v. d'oliva
1 noce di burro


Fatevi disossare una faraona dal macellaio, o se preferite, fatelo direttamte voi.  Eliminate eventuali residui di piume fiammeggiandola. Lavatela e asciugatela.
Appoggiatela su un tagliere, rivolta verso di voi dalla parte interna.
Salate, pepate e massaggiate l'interno, quindi ricopritelo con la pancetta liscia. Salvate un paio di fette, le userete poi.
Eliminate la pelle dalla salsiccia, appoggiatela sulla pancetta e con le mani schiacciatela in modo che si appiattisca e aderisca bene. Ora ripiegate  verso l'interno la carne delle due estremità e arrotolate strettamente la faraona dalla parte più lunga. Legate bene il rotolo in modo che il contenuto non fuoriesca.
Scaldate  un goccio d'olio insieme a una noce di burro dentro a una casseruola alta e capiente. Sminuzzte la due fette di pancetta tenute da parte e unitele al condimento, date una mescolata poi mettete a rosolare  nella casseruola anche il rotolo di faraona, salatelo e pepatelo da tutti i lati, aggiungete lo spicchio d'aglio e un rametto di timo, quindi sfumate col vino bianco. Lasciate  evaporare, aggiungete un poco di acqua calda, coprite e lasciate cuocere a fuoco lento per circa un'ora o poco più.
Mentre la faraona cuoce, pulite i funghi, elimnate la base dei gambi con un coltellino, quindi lavateli in acqua corrente per eliminare eventuali tracce di terra. Scolateli in un colapasta.
Dopo l'ora di cottura del rotolo, aggiungete nella pentola anche i funghi lavati e scolati.
Mescolate bene, aggiungete un altro po' di acqua calda se il fondo fosse troppo asciutto, regolate di sale e di pepe e portate a cottura.
 Lasciate intiepidire il rotolo prima di eliminare lo spago e tagliarlo a fette.
Sevitelo sul suo letto di finferli e nappate le fette con  un poco del fondo di cottura.




Bun appetito!







domenica 18 settembre 2016

salutando l'estate

ci risiamo di nuovo, un altro autunno è alle porte e io non ne sono affatto contenta.
Ormai l'ho detto in tutte le salse, è una stagione che non sopporto, prodromo all'inverno che sarà lunghissimo e buio.
Gli ulimi scampoli d'estate sono giornate che alternano sole e nuvole, caldo e umido, freschetto a volte piacevole a volte meno, mentre sui banchi del mercato cominciano a comparire i tipici agrumi di inizio stagione, i mapo. Per me è il segnale che mi devo rassegnare a salutare l'estate. E mi pesa tantissimo.
Allora, per esorcizzare il momento,  compro un altro melone, mi sembra di allontanare il fatto che  il buio, fra poco, cadrà alle cinque di sera.....resto abbarbicata a quel poco di estate che resta e mi faccio un gazpacho.
Freddo? Sì, freddo, finchè si può...




Gazpacho di melone e fragole, con mazzancolle al vapore

da uno speciale della Cucina Italiana, ma a modo mio


per due persone
100 g fragole mature + 2 per la decorazione
100 g polpa di melone + 1 fetta
40/50 g mollica di pane
(ho usato fette di pane pugliese di grano duro)
4 grosse mazzancolle
sale, pepe
50 gr olio e


per il vapore della cottura
1 carota
1 costa di sedano
1 cipollotto fresco
1 pezzetto di zenzero fresco (circa 2 cm)
1 spicchio di limone

per completare:
1 fetta di melone con la scorza
2 fragole
basilici

Preparate il court bouillon che servirà per cuocere a vapore le mazzancolle.
lavate le verdure, sbucciate lo zenzero e tagliatelo a pezzetti, mettete tutto a bollire e lasciate cuocere una decina di minuti, quindi spegnete, lasciate raffreddare e una volta freddo, filtrate il tutto.

Lavate il melone, io lo faccio d'abitudine. Pulitelo dai semi, eliminate la scorza dalle fette che serviranno ad arrivare al peso richiesto, tenete però da  parte  una fettina  con la scorza, servirà da decorazione del piatto.
Ve ne avanzerà ovviamente, ma lo si può consumare come frutta o con altro.

Mondate, lavate e asciugate le fragole, tenendone da parte un paio fra le più grosse  e sane a cui lascerete anche il picciolo verde.
Riducete melone e fragole  a pezzetti e mettete tutto nel bicchiere del frullatore.
Togliete la crosta alle fette di pane, ricavate la mollica e unitela alla frutta,  salate, pepate e iniziate a frullare il tutto a media velocità, versando a filo l'olio  extravergine d'oliva, mentre è in funzione, come si fa per la maionese.
Frullate a lungo, finché avrete un composto molto liscio. Io ho usato il Bimby e non ho avuto grosse difficoltà, ma si riesce ad ottenere lo stesso risultato anche con un buon frullatore o un robot da cucina. Altrimenti frullate e alla fine filtrate il tutto attraverso un colino a maglia fine.

Ora eliminate testa e carapace delle mazzancolle, lasciandone un pezzetto solo  sulla coda, lavatele e infilzatele per tutta la loro lunghezza con uno spiedino. In questo modo non si incurveranno.
Cuocete a vapore le mazzancolle, usando il court bouillon preparato prima. Ci vorrà pochissimo. Toglieteli e teneteli un momento in caldo.

Mettete il gazpacho di melone e fragole in due bei bicchieri capienti,  tagliate le fragole dalla punta, senza arrivare al picciolo e infilatele  ognuna a cavallo dell'orlo del bicchiere, fate lo stesso con la fetta di melone tenuta da parte, dividetela a metà con tutta la buccia, quindi dividete la buccia dalla polpa di ogni metà, senza arrivare a staccarla tutta, il tanto che basta per infilare anche il melone  a cavallo dell' orlo del bicchiere vicino alla fragole, colorate con del basilico tagliato  a striscioline sottili e completate con gli spiedini di mazzancolle tenuti in caldo. 

Un antipasto estivo, facile e veloce, ma molto appagante al gusto. Niente aceto, basta l'acidità delle fragole a richiamare la ricetta classica del gazpacho.
Fresco e delizioso, accompagnato da  mazzancolle croccanti e sode, un vero piacere per il palato.




venerdì 16 settembre 2016

Gnocchi di patate al limone ripieni di faraona al ragù bianco

e ora la  mia terza e ultima preparazione per la sfida n. 59 di MT Challenge
una sfida all'ultimo gnocco!!   Annarita del blog   il Bosco di Alici ha deciso l'argomento, avendo vinto la sfida precedente.


Questa mia terza  prova  vorrebbe essere un grosso gnocco ripieno.

Non è proprio bellissimo, un po' gibboso e  poco fotogenico, colpa delle mie scarse doti di food photographer,  ma garantisco assolutamente  sul sapore. Non ha  la classica forma sferica perchè ho temuto per la cottura..rischiavo che non si cuocesse bene se fosse stato troppo grosso, e comunque  volevo che fosse un'unica porzione.
Confesso che in questi giorni, non appena appreso l'argomento della sfida,   la mia testa si è trasformata in una specie di frullino, pensando a che cosa potevo preparare, quali condimenti, quali ripieni., quali accostamenti, cercando di immaginarmeli, di "sentirli" prima  in testa.  Sono strana, lo so, ma per me funziona così, la lampadina si accende quando i sapori li sento in questo modo...è che poi non sempre il risultato finale coincide con l'idea che visivamente ho in testa, ma pazienza, anche se in casa, quando è così, sanno che mi devono girare al largo...
Comunque, questo ragù bianco era una delle possibilità che avevo preso in considerazione  per gli gnocchi classici, poi ho cambiato ingredienti e ho scelto altro, come avete visto. Però.....però...non volevo abbandonarla questa  idea perchè  con gli gnocchi il ragù bianco, soprattutto di carne, è la morte loro...

E allora perchè non mettere il ragù, dentro  anzìchè fuori?  

Premetto che il vero e proprio ragù bianco, quello di tradizione friulana  che facevano sempre mia nonna  e mia madre,  è molto speziato, infatti  ci andrebbero anche un pezzetto di cannella, la noce moscata e un paio di chiodi di garofano. Io li ho omessi perché la vera protagonista qui è la patata, profumata col limone. Volevo un insieme che fosse armonico, delicato, sapori che si fondessero senza prevalere.



                         
Gnocchi  di patate al limone ripieni di faraona al ragù bianco     


per 2 o 3 persone

500 g patate rosse
100/120 g  di   farina 00
la scorza grattugiata di un piccolo  limone non trattato
(altrimenti mezzo)
sale



per il ragù bianco:

mezza faraona in pezzi
1 carota
1 cipolla
1 costa di sedano
1 piccolo spicchio d'aglio
mezzo bicchiere di vino bianco
1 rametto di rosmarino
sale, pepe
olio e.v d'oliva
poco burro


per completare il piatto:

burro fuso
scorza di limone
un pizzico di rosmarino tritato

il ragù potete prepararlo anche in anticipo.  Fiammeggiate i pezzi di faraona, lavateli e asciugateli accuratamente.
Nel tritatutto tritate insieme sedano, carota, cipolla,  mondati lavati e asciugati,  dovrà risultare  un trito abbastanza fine.
In un tegame scaldate l'olio insieme a una noce di burro, unite i pezzi  di faraona e lasciateli dorare da tutti i lati, quindi unite le verdure tritate e l'aglio,  a cui avrete tolto l'anima.  Mescolate bene perché tutto si insaporisca, quindi sfumate con il vino bianco, lasciate evaporare, aggiungete il rametto di rosmarino e un goccio di acqua calda, meglio ancora  se avete del brodo,  regolate di sale e di pepe, coprite il tegame e portate a cottura.
Una volta cotta la faraona, lasciatela intiepidire, quindi spolpate due o tre pezzi, eliminando la pelle e eventuali parti dure,  raccogliendo la carne su un tagliere e tenendo da parte quello che resta per il consumo normale.  Preferite magari pezzi di petto o di sovracoscia, che sono più chiari e più pieni. Tritate la carne, grossolanamente ma non troppo, insomma, una via di mezzo fra il fine e il grossolano.  Mettete il trito in una ciotola. Dal fondo di cottura eliminate l'aglio e gli aghi di rosmarino, quindi aggiungete un poco del fondo con le verdure alla carne, mescolate in modo che tutto diventi omogeneo e morbido, ma sostenuto. Assaggiate ed eventualmente regolate di sale e pepe.  Tenete da parte.


Cuocete le patate, sempre lavate, forate qua e là con un ago o  uno spillo, avvolte una per una  in carta da cucina bagnata.
Sceglietele sempre della stessa misura in modo che cuociano tutte insieme. Mettetele direttamente sul piatto del MicroOnde e lasciatele cuocere alla massima potenza.  In ogni caso  ogni tanto aprite il forno e tastatele, saranno pronte quando al tatto saranno morbide e cedevoli.
Toglietele dal MO, eliminate la carta e sbucciatele, mettetele man mano nel passapatate e schiacciatele direttamente sulla spianatoia spolverata leggermente di farina, allargate l'impasto e lasciate che evapori il calore, poi prendete il limone, lavato e asciugato, e grattugiate la sua scorza direttamente sopra  alle patate, un pizzico di sale  e iniziate a  impastare aggiungendo la farina poca per volta, finché ne prende la quantità che serve per darvi una massa elastica e lavorabile senza difficoltà, non appiccicosa. Tutto dipende sempre dal tipo di patata, se è ben asciutta ne servirà meno.
Fatto questo, prendete un po' di impasto, in quantità sufficiente a poterlo schiacciare lasciandolo un po' alto di spessore, e sulla spianatoia  formate un disco più o meno tondo. Prendete il ragù messo da parte, appoggiatene una cucchiaiata nel mezzo del disco di patate, e ricoprite con un altro disco di patate un po' più piccolo e meno spesso, sigillate molto bene premendo  i bordi dei due dischi avendo cura che il ripieno sia perfettamente racchiuso.
Portate a bollore  una larga pentola d'acqua, salate. Con l'aiuto di una spatola, prelevate ogni gnocco dalla spianatoia, posatelo dentro la schiumarola da gnocchi, quella più grande,   in filo non a buchi,  e  cuocetelo da solo.
Abbassate il fuoco in modo che il bollore non sia troppo vivace, mettete la schiumarola con lo gnocco in acqua e tenetelo così finché è cotto. Ci vorrà qualche minuto.
 Toglietelo dall'acqua di cottura, lasciatelo scolare un attimo poi appoggiatelo sul piatto di servizio, conditelo con del semplice burro fuso, un poco di scorza di limone ricavata con un rigalimoni e un pizzico di rosmarino fresco tritato.

Ecco come si presenta all'interno.



Ecco,  ho apprezzato tutte e tre le preparazioni, ma questa l'ho gradita in modo particolare. Sarà che il ragù bianco lo amo molto, sarà che mi ha ricordato mia nonna....
Però mi piace molto il limone nelle patate,  metto sempre dei pezzetti di scorza quando le faccio al forno, come lo metto nella faraona quando la faccio arrosto, le toglie quel sapore un po' troppo deciso.
Un connubio delicato, un leggero profumo che ha valorizzato la patata  coniugata  con la faraona.

Le mie figlie hanno visto le foto, e sono precettata.....






                                                                                                                                                 

mercoledì 14 settembre 2016

Gnocchi di patate e nocciole, finferli e mirtilli

ed eccomi qui con la seconda preparazione per la sfida di settembre di  MT Challenge 
sull'argomento scelto da Annarita  del blog Il Bosco di Alici : gli gnocchi.
Da preparare, possibilmente, in tre versioni:  classici, con altre farine, ripieni.

La mia prima versione, classica, di sole patate, l'avete vista.

E ora? Mi son chiesta, cosa mi invento per  fare un piatto degno di una sfida con blogger  bravissime e superpreparate? E qui arriva la memoria, poca, che mi è rimasta. Ho una amica, Barbara, che in cucina ha una classe e un talento fuori dal comune. Ci conosciamo  personalmente da quasi 15 anni, grazie alla comune frequentazione del forum di Coquinaria. Oltre alla cucina,  ha la passione dei funghi e ogni anno ancor prima che inizi l'autunno, lei e il marito fanno lunghe camminate nei boschi per trovarli.
Tempo fa, parlando di funghi,  ha detto che il bosco ha un profumo del tutto particolare. Questa frase è  rimasta lì, sospesa, nascosta in qualche cassetto della memoria nell'attesa che venisse aperto con un clic.

Quello che vedete è il risultato di quel clic, scattato all'improvviso mentre le parole di Barbara mi giravano nella testa...
Ne è uscito un piatto rustico dal carattere montanaro, che profuma di bosco, e assaggiandolo ho capito fino in fondo quello che intendeva..


Gnocchi di patate e nocciole, finferli e mirtilli

per tre o quattro   persone


800 g patate a buccia rossa
30 g  nocciole pelate
20 g nocciole non pelate
50 g scarsi di  farina 00
poco sale


600 g finferli freschi
1 rametto di timo
1 spicchio d'aglio
olio e.v. d'oliva
sale, pepe


per completare
una manciata di mirtilli


Tostate i due tipi di nocciole insieme,  in un padellino antiaderente,  per qualche minuto, mescolando continuamente  fino a che cominciate a sentirne il profumo, toglietele subito dal fuoco e rovesciatele su un piatto in modo che si raffreddino. Qualcuna perderà la buccia, ma pazienza.
Una volta fredde,   mettetele nel tritatutto e  tritatele finissimamente  a farina. Tenete da parte.

Pulite accuratamente i finferli in modo che non resti nessun residuo di terra o altro. Io li lavo  e li asciugo tamponandoli con la carta da cucina, magari è una eresia lavare in acqua  i funghi, soprattutto i porcini, ma  per il fastidio che mi dà sentire "criccare" sotto i denti, che siano spaghetti alle vongole, insalata o funghi, smetterei subito di mangiare, nè vorrei che succedesse ai miei eventuali ospiti. In questo caso, per me  il fine giustifica i mezzi, e li lavo.
Alcuni mettono a bollire dell'acqua in una pentola alta e appena accenna il bollore, li scottano velocemente  e pare che la terra vada a fondo, ma non so se sia vero o se è  una leggenda metropolitana. Non l'ho mai sperimentato, temo che così facendo possano perdere sapore.
Scaldate un goccio d'olio in un tegame, unite l'aglio e i funghi, il timo,  lasciate insaporire qualche minuto mescolando, regolate di sale e di pepe, coprite il tegame  e portate a cottura. Ci vorrà pochissimo. Una volta cotti spegnete e tenete in caldo.

Mentre cuociono i funghi  iniziate a cuocere  in MicroOnde le patate.
Con la buccia, lavate, forate con uno spillo o con un ago,  e avvolte una per una  in carta scottex bagnata, e col forno alla massima potenza. Il mio MO arriva fino a 750. Fatele cuocere finché, controllandole, cedono al tatto, morbide.
Cotte che sono, sbucciatele, passatele direttamente sulla spianatoia spolverata leggermente di farina, allargate il tutto per far evaporare il calore, salate un poco e iniziate ad impastare. Aggiungete la farina poca alla volta, alternando quella 00 a quella di nocciole e impastate fino a quando sentirete che sotto le mani l'impasto è ben amalgamato, morbido ma lavorabile senza problemi. Magari non vi servirà tutta la dose che ho indicato, dipende sempre dalle patate, da quanto sono asciutte, più lo sono, meno farina prendono. Usate comunque  tutta quella di nocciole.
Una volta che l'impasto vi sembra giusto, procedete al solito modo. Fate i rotolini e poi gli gnocchi, rigandoli man mano.
Poco prima di andare in tavola cuocete gli gnocchi, pochi per volta, in acqua bollente salata. Quando inizia il bollore, abbassate leggermente la fiamma in modo che non sia troppo  violento quando mettete gli gnocchi.
Prelevateli con la schiumarola non appena vengono a galla, e metteteli man mano dentro il tegame dei funghi, alla fine fateli saltare velocemente, sempre senza mescolare, in modo che si condiscano bene. Poco prima di impiattare, unite i mirtilli,  non devono cuocere del tutto, soltanto prendere calore,  un'altra "saltata" , una macinata di pepe nero e il gioco è fatto,
Se preferite, colorate con un altro rametto di timo, io li ho messi sopra a un paio di foglie di nocciolo,  prese dall'albero nel  giardino di mia madre, ben lavate e asciugate.





Un piatto decisamente particolare, che mi è piaciuto molto, la nocciola è gentile, la senti alla fine, armonizzata dai finferli, qui perfetti.
 I mirtilli sono la nota dolce, leggermente acidula, che ben contrasta il tutto.

Li rifarò sicuramente, anche il signore che abita con me ha apprezzato molto. E non è cosa da niente..


A presto la terza versione...




Biscottini di Prato ai datteri e cioccolato

eccomi qua, ancora a parlare di Calendario del Cibo Italiano il progetto della Associazione Italiana Food Blogger . Oggi Sara del blog http://www.pixelicious.it/ ci racconta tutto quello che c'è da sapere sui Biscottini di Prato.
E non chiamateli cantucci, per favore,  i pratesi potrebbero aversene a male.  Come il mio amico Gabriele detto il Tosco,  pratese doc, che tutte le volte che si  parlava di cantucci, puntualizzava sempre.
No - o  si chiamano biscottini di Prato! La volete capire una buona volta? E mentre lo diceva arrivava anche il suo sorriso sornione accompagnato spesso da un pacchetto degli ambiti e apprezzatissimi  biscottini del Mattei....grande e generoso Tosco!
Gabriele mi scuserà quindi se la versione che propongo come contributo di oggi, non è proprio  ortodossa,
ma l'ho collaudata fin dal lontano 2006 e pubblicata su Coquinaria.  Questi biscottini sono talmente piaciuti che ormai fanno parte delle mie ricette classiche e si sono sparsi nei mille rivoli  culinari della rete. La ricetta originaria l'avevo presa da uno dei primi libri di Ernst Knam, appunto uscito proprio  in quell'anno.  L'Arte del dolce. Molto prima che diventasse una star tv.  Però,  nonostante la fama,  anche oggi il suo è sempre lo stesso piccolo negozio di tanti anni fa, regno incontrastato  di dolcezze di ogni tipo,  per non parlare della pasticceria salata che lo ha reso famoso in città...
Nel corso degli anni non ho modificato molto, ho solo preferito evitare l'uso della ammoniaca per dolci,  dato che riescono molto bene anche senza, e l'unica variazione è un goccio di essenza di vaniglia che aggiungo, se mi viene in mente mentre preparo l'impasto,  altrimenti nemmeno quella.
Comunque fidatevi, sono davvero ottimi e non si resiste, uno tira l'altro, come le ciliegie...


 Biscottini ai datteri, cioccolato e cannella


2 uova grandi
230 g zucchero semolato
300 g farina 00
100 g datteri denocciolati
70 g cioccolato fondente
1 cucchiaino scarso di cannella
10 g lievito per dolci
30 ml latte
1 cucchiaino estratto di vaniglia
poco zucchero a velo

Scaldate il forno a 170° ventilato.
Riducete il cioccolato in piccoli pezzi e fate lo stesso con i datteri.
Con le fruste elettriche, o con la planetaria, montate lungamenet le uova insieme allo zucchero finchè son belle gonfie e l'impasto, ricadendo  "scrive" e  aggiungete l'estratto di vaniglia
Setacciate insieme la farina, la cannella e il lievito.
Iniziate a incorporarla al composto poca alla volta mescolando con una spatola dall'alto verso il basso per non smontare tutto, aiutandovi con il latte.
Avrete un composto morbido, a questo punto aggiungete sia  i datteri che il cioccolato.
Mescolate ancora per amalgamare tutto.
Foderate una teglia  rettangolare con della carta da forno.
Poichè l'impasto sarà morbido,  per maneggiarlo senza problemi  mettete dello zucchero a velo su un foglio di alluminio, sporcatevi un po' le mani con lo stesso zucchero  e formate dei piccoli salamotti, a me ne vengono sempre quattro, avendo cura che siano più o meno uguali di misura. Fateli rotolare nello zucchero a velo, appoggiateli ben distanziati sulla carta forno, pareggiateli e compattateli un poco  con  le mani affinchè poi al taglio abbiano la forma dei cantucci.
Mi raccomando, distanziateli bene perchè si allargano in cottura, e rischiate che diventino un intero blob.
La cottura. Io non inforno per la seconda volta, perchè a noi piace che restino un po' morbidi. Kanm parlava di cuocerli, lasciarli riposare fuori dal forno e poi abbassare la temperatura  a 150°, tagliarli e rimetterli in forno.
Io, come dicevo, salto il secondo passaggio e li cuocio per circa mezz'ora o poco più, ma regolatevi col vostro forno. Che si sa, ogni forno è a sé.
Una volta sfornati, lasciate che il grosso del calore se ne vada,  ma tagliateli senza indugiare troppo, in obliquo, con un coltello affilato.




Si fanno velocemente e sono davvero molto buoni. Durano parecchi giorni, conservati dentro a una scatola di latta e sono perfetti  anche per la classica produzione di biscotti natalizi.

Provateci!


lunedì 12 settembre 2016

Gnocchi di patate, crema di porri al lemongrass, vongole e salicornia

Oggi è il mio battesimo in  MT Challenge. Per la  prima volta partecipo  alla sfida  più famosa del web.
Grata per essere stata ammessa a questo meraviglioso gruppo, ancora incredula e pure un pochino preoccupata perchè non so ancora bene come muovermi e cosa mi aspetta. Quello che so è che l'aria che si respira in MTC è una ventata di energia, di voglia di condividere e di imparare, e io sono felice e anche un po' intimidita davanti alla bravura di tutti quelli che ne fanno parte. Arrivare da sconosciuta ai più  in un gruppo così unito e affiatato non è facile, ma spero che pian piano, giorno dopo giorno, conoscendoci,   tutte le mie ansie si allenteranno.
Quello che so di sicuro è  che sarà l'occasione per mettermi  in gioco con impegno ed entusiasmo e imparerò molte cose, perchè non si finisce mai di imparare, da tutti, e ancora di più da chi condivide la stessa passione, per cui fatemi gli auguri!

Tornando alle sfide, Annarita, del blog il Bosco di Alici è stata la vincitrice di quella  precedente, sulla Pizza, e  quindi tocca a lei scegliere il tema della sfida di Settembre, la mia prima sfida.
E Annnarita ha scelto un tema davvero intrigante, e anche molto gradito. Gli gnocchi!!  Grazie Annarita!!! Adoro gli gnocchi, di ogni tipo. Fanno parte  del bagaglio di ricordi di tutti credo, sin da bambini.
Da noi era la domenica il giorno degli gnocchi. Mia madre iniziava presto a metter a bollire le patate mentre il ragù pippiava dolcemente e il suo profumo arrivava fino in camera mia. Svegliarsi col profumo del ragù era la conferma che a pranzo avremmo avuto gli gnocchi.
Nella piccola guardiola la spianatoia occupava quasi tutto il tavolo. Due cose facevano in coppia i miei, le chiacchiere e gli gnocchi.... Mio padre  faceva da attendente, mia madre impastava le patate ancora bollenti,  poi tagliava i filoncini; lui raccoglieva gli gnocchi e li sistemava da un lato della spianatoia spolverata di farina. Alle volte mia madre si arrabbiava perche le patate non erano quelle giuste, perchè troppo poco farinose, oppure perchè mio padre non riusciva a starle dietro... E io?  Io osservavo tutto il loro daffare e furtivamente, ogni tanto, quando non guardavano, allungavo la mano e ne rubavo uno  per mangiarlo crudo.  Uno alla volta non so quanti  ne sparivano dalla spianatoia...li adoravo crudi!
Mia mamma non li rigava, capitava di rado che lo facesse, forse quando aveva più tempo, non so. Nemmeno io li ho mai rigati, probabilmente per abitudine. Ora però le regole parlano chiaro, va fatto, e l'ho fatto.

Ecco la mia prima preparazione.



Gnocchi di patate, crema di porri al lemongrass,  vongole e salicornia

per tre o quattro persone

1 kg patate a pasta bianca
100 g farina 00
1 kg lupini (vongole piccoline)
3 porri non troppo grossi
1 bastoncino di lemon grass
poca salicornia
2 spicchi d'aglio
olio extravergine d'oliva di buona qualità
sale, pepe


Mondate il porro, eliminando le foglie esterne, lavatelo e tagliatelo a pezzettoni. Lavate e accorciate il bastoncino di lemongrass.


Tuffateli per due o tre minuti in acqua bollente salata, poi scolateli e passateli  subito sotto l'acqua  freddissima in modo che non perdano il colore. Questo serve a mitigare  il loro sapore  deciso,  coprirebbe troppo e il piatto sarebbe sbilanciato.
Scottate in acqua bollente salata, in un pentolino a parte, anche la salicornia, eliminando i gambi più coriacei. Basteranno un paio di minuti, anche meno. Scolate anch'essa in acqua freddissima, poi prelevatela, asciugatela fra lo Scottex e tenetela da parte.
Una volta scolati e raffreddati i porri  saranno ancora abbastanza croccanti, tagliateli a rondelle.
Tagliate in due, nel senso della lunghezza, il bastoncino di lemongrass ma senza arrivare fino al fondo, in modo che le sue foglie restino unite alla base e  non si perdano nel tegame.
Scaldate un goccio d'olio,  mettete le rondelle di porri a stufare insieme al lemongrass, salate leggermente, pepate e aggiungete poca acqua calda, lasciate andare a fuoco dolce finchè il tutto è perfettamente cotto. Tenete il fondo un po'  lento, servirà alla morbidezza della crema.
Una volta cotti i porri, eliminate il lemongrass e frullate il tutto col minipimer. Tenete da  parte in caldo..
Sciacquate ripetutamente in acqua e sale le vongole, finchè non troverete nessuna traccia di eventuale sabbia.
Mentre le vongole sono a bagno, cuocete le patate. Sceglietele più o meno della stessa misura in modo che cuociano tutte insieme.
Io ho fatto così:  ho lavato le patate lasciando la buccia, le ho forate con uno spillo, le ho avvolte in carta Scottex  bagnata, una per una, e le ho cotte in MicroOnde fimchè  al tatto mi sono sembrate morbide e cotte.  In questo modo mi sono ritrovata con patate asciuttissime.
Pelatele e con lo schiacciapatate passatele direttamente sulla spianatoia leggermente infarinata. Una volta terminato, allargate la massa e lasciate che il calore evapori poi cominciate ad impastare aggiungendo poca farina per volta, fino a quanta ne prendono per avere un impasto elastico ma morbido e formate un panetto allungato.. Per le mie patate,  farinosissime e asciutte non ho usato nemmeno tutta la dose che avevo preparato.
Ora procedete a formare gli gnocchi, al solito modo. Man mano tagliate delle fette dal panetto e arrotolatele  con le mani fino allo spessore e alla misura desiderata. Dal filoncino ricavate gli gnocchi e man mano rigateli con l'attrezzo apposito e allineateli sulla spianatoia infarinata.




Scaldate un goccio d'olio insieme a un paio di spicchi d'aglio, unite le vongole ben scolate, mescolate bene a fiamma allegra, quindi coprite il tegame e lasciate cuocere per qualche minuto fiinchè si apriranno del tutto.
Spegnete, lasciatele riposare un attimo coperte, poi prelevate le vongole dal tegame,  filtrate l'acqua che avranno rilasciato in cotturae passatela  attraveso un colino a maglia fine foderato con una garza o con della carta da cucina. Io ne ho pure sgusciate un po' ma son talmente piccole che  poi alla fine nel piatto si perdono, meglio lasciarle col loro guscio.
A questo punto rimettete le vongole e parte della loro acqua filtrata nel tegame, tenendone un poca da parte. Aggiungete ancora un filo d'olio se vi sembra il caso.

Cuocete gli gnocchi pochi alla volta in acqua bollente salata, quando tornano a galla prelevateli con una schiumarola e metteteli man mano nel tegame delle vongole. Una volta completata la cottura degli gnocchi, fateli saltare delicatamente, senza mescolare,  con le vongole il tempo che prendano il condimento. Eventualmente, aggiungete un poco dell'acqua di cottura delle vongole filtrata e tenuta da parte.

Mettete sul fondo del piatto  un po' di  salsa di porri tenuta in caldo, appoggiatevi gli gnocchi con le vongole e colorate il tutto con la salicornia.






gnocchi per un battesimo.....e questa è la prima delle mie preparazioni.
Prossimamente le altre...










sabato 10 settembre 2016

Pane e melanzane





Oggi per il Calendario del Cibo Italianoprogetto della Associazione Italiana Food Blogger
si celebra la giornata delle verdure ripiene, e ambasciatrice per questo importante argomento è
Maria Grazia Ferrarazzo Maineri  del blog Gli Esperimenti di Mary Grace.


In questa occasione ripropongo uno dei miei classici estivi, le melanzane ripiene di pane.






Questo è un modo di preparare le melanzane che mi ha insegnato la mamma di un mio amico calabrese, in occasione di una vacanza passata, moltissimi anni fa, sul mar Ionio. Non so se sia una ricetta tipica calabrese, oppure una sua ricetta di famiglia, so solo che è buonissima....
Questo amico romano  e la sua famiglia li abbiamo conosciuti proprio in vacanza nel lontano 1975 e tuttoggi siamo in contatto anche se la vita ci ha portato da altre parti e vedersi è un poco più complicato.
E' stata una vacanza che ricordo sempre com molta nostalgia, bellissima e piena. Anche per il fatto di aver incontrato amici  con cui ho un legame che dura da quasi quarant'anni.
Ricordo che una domenica ci portò  a pranzo dai suoi genitori che avevano casa nell'interno...
La sua mamma ci aveva preparato un pranzo fantastico....ziti col sugo di castrato, e melanzane ripiene di pane. Me li ricordo ancora oggi quei sapori...
Chiedere le ricette è stato un attimo..

Il castrato è diventato impossibile da trovare, ma le melanzane  le faccio spesso in questo modo, e ogni volta rivivo quei momenti sereni e bellissimi.





Melanzane ripiene di pane


4 piccole melanzane
6 o 7 fette di pane casereccio (uso il pugliese)
1 uovo
1 spicchio d'aglio
2 cucchiai pecorino grattugiato
2 cucchiai parmigiano grattugiato
basilico
sale, pepe
olio e.v. di buona qualità.



per il sugo di pomodoro:

1 spicchio d'aglio
1 scatola di polpa di pomodoro
basilico
olio e.v. di buona qualità
e se vi piace, un poco di peperoncino.


Per prima cosa  preparare un sugo di pomodoro molto semplice, solo aglio e basilico,  ed eventuale peperoncino,  e tenere in caldo.
  eliminare la crosta dalle fette di pane, passarle al frullatore (io ho usato il Bimby) fino ad avere una consistenza grossolana




 Tagliare a metà le melanzane. Portare a ebollizione una pentola d'acqua, tuffarvi le melanzane e lasciar cuocere per circa 5/6 minuti da quando l'acqua riprende il bollore.
Scolarle e, a caldo, scavarne la polpa mettendola a sgocciolare in un colino.
Tenere da parte le "barchette" di melanzane ottenute.
Una volta scolata e strizzata la polpa delle melanzane, aggiungerla al pane tritato, aggiungere anche un po' di aglio a pezzetti, il parmigiano, il pecorino, il basilico spezzettato con le mani, sale, pepe e l'uovo leggermente sbattuto.
Mescolare bene il tutto con le mani fino ad avere un composto abbastanza omogeneo:


 a questo punto farcire le melanzane, schiacciando bene il ripieno perchè aderisca al meglio alle barchette...

eccole pronte

friggerle in olio profondo, ben caldo finchè sono belle dorate  e metterle su della carta assorbente per eliminare l'olio in eccesso.
Non temete, il ripieno non scapperà....









Una volta intiepidite servirle accompagnate dal sugo di pomodoro tenuto in caldo.






se volete un piatto più dietetico, nulla vieta di cuocerle in forno.
Ci si metterà un po' di più di tempo   e il risultato sarà un po' diverso, ma ugualmente ottimo.




giovedì 8 settembre 2016

Profumo di mosto e di ricordi


 E' iniziata la vendemmia, e Alice Del Re del blog Pane libri e nuvole sarà ambasciatrice nella giornata ad essa dedicata per il Calendario del Cibo Italiano    a cura dell' Associazione Italiana Food Blogger 
non perdetevi il suo articolo, perchè sarà molto interessante e completo,  ed è sempre un piacere leggerla.
Non ho ricette legate a quell'evento o per meglio dire, non ho memoria di ricette specifiche che si facevano in occasione della  vendemmia,  posso solo contribuire a questa giornata condividendo quelli che sono i miei ricordi, il mio vissuto. Per cui vi porto con me, negli anni  a cavallo fra il '50 e il '60, nel mio Friuli e ricordate che la vendemmia era, ed è tuttora,  un rito, una tradizione che regge agli anni, che resiste alla meccanizzazione e che continua a riunire intere comunità. La vendemmia è l’apice di un lavoro durissimo, la sua fase finale, l’ultimo sforzo prima di vedere, di assaggiare il risultato: il vino.




Friuli è un mare chiuso fra passato e futuro, ed è in quel mare di vigneti, perfettamente allineati sugli argini delle strade, sulle colline moreniche, sui contrafforti delle montagne che sono nata, un tardo pomeriggio di dicembre.

Friuli è vino. E la storia del vino in questi territori ha inizio con la fondazione di Aquileia nel 181 a.c. grazie ai Romani, guerrieri, vignaioli e contadini allo stesso tempo.
Da allora e fino ai nostri giorni è stato tutto un susseguirsi di periodi di splendore produttivo
altrernati a periodi bui, ma sempre in evoluzione.




Friuli è la memoria, le mie radici.
Dopo la scuola, a Milano, partivo per passare tutte le mie estati con i nonni in quella grande casa dove ero nata... L'orto, la pompa dell'acqua,  il serraglio delle galline, l'albero di cachi nel mezzo del cortile, quello di fichi neri dietro la vecchia stalla......e la vigna nelle Grave. Mio nonno aveva un rapporto speciale con quella distesa di viti. Ne curava ogni pianta con talmente tanta dedizione che a volte mia nonna gli rimproverava di stare più nella vigna che nella sua casa.
Adoravo mio nonno, era uno di quei saggi che sapevano avvolgerti con i loro racconti incredibili fatti di guerra, di fame, di difficoltà e povertà, di terra. Era bello mio nonno, alto e magro, le mani affusolate ma estremamente callose, irrimediabilmente rovinate dal tanto lavoro e il volto cotto dal sole dove guizzavano due occhi un po' grigi e un po'azzurri, curiosi.
Un contadino friulano che trasmetteva una grande tranquillità interiore, che amava la campagna e il suo lavoro. Quando mi raccontava la grandiosità della natura, il susseguirsi delle stagioni, il significato di certi suoi gesti e il perché delle cose, si infervorava talmente che perdeva la cognizione  del tempo.
Aveva una forza incredibile, chiamavano solo lui a San Daniele, l'unico che  riusciva senza sforzo apparente a  falciare un campo  coltivato con un foraggio particolare,  per i maiali, molto duro da tagliare.  Partiva all'alba con la sua bicicletta, la falce a bandoliera, e una borsa di tela dove teneva il cote per affilare la lama, polenta e formaggio come pranzo e la fiaschetta dell'acqua, tornava al tramonto, in tempo per rigovernare le bestie, mungere le vacche e portare il latte alla latteria sociale....
Dopo la Grande Guerra, sul finire degli anni '20,  la vita contadina in Friuli era molto difficile e per mio nonno lo era anche di più. Nella famiglia patriarcale di allora si viveva tutti sotto lo stesso tetto, figli, nuore, cognati, nipoti, ma i vecchi genitori avevano il comando, sempre, e quando suo padre si ammalò, per potersi curare e per una serie di malaugurate circostanze,  fu costretto a svendere la quasi totalità della loro terra. 
Così mio nonno, sposato  con  figli, si ritrovò praticamente senza più nulla e  per vivere e mantenere la sua famiglia, accettò di  diventare mezzadro dei conti Dulio, di Valvasone, il paese vicino. Dei suoi fratelli, solo uno restò in paese, mezzadro con lui mentre le sorelle con le loro famiglie emigrarono chi in Francia, chi in Argentina.
Abbastanza iniqua la mezzadria, che costringeva il contadino a fare a metà di tutti i guadagni e dei  raccolti con chi, solo per il fatto di possedere la terra, magari semplicemente ereditata,  e senza alzare nemmeno una vanga, godeva i frutti della fatica altrui.  Durò fino al 1982, quando venne tramutata in affitto.

In ogni caso, di fondo c'era sempre il pessimismo dei contadini, sia che producessero vino oppure angurie.
Mio nonno si agitava ad ogni comparsa di nuvole, soprattutto in vista di un raccolto.... speriamo che stanotte non grandini, diceva, cosciente della forza della natura e consapevole di dover affrontare un lavoro enorme, scrupoloso, per arrivare alla qualità finale di quanto coltivato, coccolato, accudito durante il corso della stagione.. mesi duri, caldi, gravosi, e la sempre presente preoccupazione che un qualsiasi evento atmosferico potesse distruggere tutto il lavoro nelle vigne delle Grave. Non lo erano ma le considerava come sue, e in parte lo erano state prima che il padre si ammalasse.
Lui era un tutt'uno con le sue radici, abituato al sacrificio e alle rinunce, ma era sostenuto dalla concretezza delle tradizioni e dal rispetto di tutto quello che lo circondava.
Lui “sapeva” quando era il momento di vendemmiare,  quando l'uva era giunta alla giusta maturazione, e dove, in quale punto della vigna era più matura rispetto ad altri, sapeva quando era meglio aspettare a travasare il vino tenendo sempre sott'occhio la luna. 
L’uva va raccolta in luna calante diceva,  mentre la fermentazione deve essere in luna crescente, solo in questo modo il vino sarà limpido e non farà "fioriture" (quello che si chiama flocculazione)..
Si partiva sempre dal Pinot grigio,  che spesso viene definito  impropriamente come un’uva bianca, ma non lo è, si tratta infatti di una derivazione del Pinot Nero  e i suoi grappoli non sono proprio di colore chiaro

poi si passava al  Merlot e al  Cabernet Franc. Il Refosco dal peduncolo rosso venne dopo...
Le uve uccelline, quelle che stanno ai bordi dei boschi  o al limitare dei confini della vigna, le teneva per ultime, per farle appassire.
E fra quei filari dorati avveniva il miracolo della vendemmia che si ripeteva ogni settembre con colori e note sempre magiche, sempre diverse, a seconda della stagione che l'aveva preceduta.
Prima che cominciasse la magia, c'era un gran lavoro di preparazione da fare,  si dovevano imbiancare le pareti del portico a calce bianca, i tini venivano  lavati con acqua bollente e soda,  sul fondo si lasciava abbondante acqua  in modo che il legno si gonfiasse e rendesse la botte completamente impermeabile.
Se c'era qualche cerchio da sostituire ecco che colpi sapienti con  un martello lo facevano cadere, liberando le doghe che, come un fiore che sboccia, cadevano aperte sul pavimento. Una volta riparate, ecco che la stessa operazione prendeva la via inversa, con mani veloci  mio nonno picchiava sul cerchio fino a posizionarlo al suo posto esatto e io mi chiedevo come potesse sapere sempre quale era il suo posto.... Poi si affilavano le forbici, si preparavano le ceste, e si lavava anche il carro che avrebbe accolto le uve, si infilavano le sponde e lo  si rivestiva  di un vecchio telo impermeabile perchè i succhi dell'uva caricata,  che inevitabilmente si sarebbe schiacciata sotto il peso,  non si perdesse. Mi ricordo che era un telo mimetico, probabilmente militare,  chissà in quale modo arrivato fino a casa nostra.

 




Su dai, alzati, che andiamo.
Mi svegliava così, tutto contento di andare in vigna.
Lui era in piedi da prima che sorgesse il sole e aveva già munto le vacche e rigovernato la stalla.
Ci teneva  che ci fossi anch'io per la vendemmia e voleva che tutti vedessero  che sua  nipote,  "la milanesa" era comunque coinvolta nella vita del paese,  legata alle tradizioni.

Mi vestivo in fretta, scendevo e trovavo il caffelatte fumante sulla tavola. Mia nonna, in silenzio, con rapidi gesti preparava la solita borsa di tela. Polenta bianca, formaggio, a volte un pezzo di frittata, la fiaschetta dell'acqua che mettevamo in fresco nel Gorgaz , un torrente perennemente impetuoso che scorreva ai limiti della vigna, e via, infilavo lis dalminis, tipici zoccoli friulani che mi aveva fatto lui, e subito mi issava sulla canna della bicicletta. Qualche chilometro fuori dal paese, per strade bianche e viottoli fra i campi e arrivavamo...

Era consuetudine, in quella società contadina di allora, aiutarsi. Le braccia erano quelle di amici, di parenti, di conoscenti che venivano a vendemmiare la tua vigna, e in cambio tu andavi ad aiutare a vendemmiare la loro. Un mutuo scambio, senza contropartite che non fossero un fiasco di vino, un pezzo di formaggio, mezzo sacco di patate o, potendo, un salame se ne era rimasti dall'inverno prima.
Così, nelle vigne ci accoglieva un brulicare di gente indaffarata a raccogliere i grappoli, allineata sotto i tralci ancora umidi di rugiada, e mani veloci ed esperte  separavano i grappoli dalla pianta, eliminavano gli acini rovinati,  controllavano che l'uva fosse completamente sana. Un lavoro che richiedeva anche molta attenzione perchè le persone lavoravano opposte  lungo lo stesso filare, e bisognava stare attenti  alle mani del dirimpettaio, nascoste dal fogliame delle viti..
L'uva veniva messa in  grandi ceste che una volta riempite venivano caricate sui carri, e una volta colmi, i buoi si avviavano lentamente verso la cantina, o verso casa.
Un vino è buono se viene  da una buona uva, questa era la regola da seguire  per la  raccolta, perciò  l'uva  doveva arrivare integra nella cantina. Non credo sia cambiata nel corso del tempo.




Ogni tanto qualcuno intonava una vecchia Villotta, e allora tutti si mettevano a cantare e quelle voci, in mezzo alle vigne, le sento ancora.
Risento le risate agli aneddoti, alle barzellette in friulano e rivivo quel clima di allegria contagiosa che prendeva tutti, nonostante le mani sporche, le braccia stanche e il fastidio degli insetti. Rivivo quella  sensazione  di sentirsi parte integrante di  un tutto, di una comunità che condivideva la stessa cultura antica, quasi arcaica, e  ne era custode.
Alla fine, la maggior parte del raccolto finiva alla Cantina sociale, ma la quantità che serviva per il fabbisogno familiare andava negli enormi tini predisposti sull'aia, e allora tutti dentro a pigiare con i piedi.
Era forse il momento clou, il momento più bello, quello che dava un senso alla fatica di tutto un anno di lavoro e che scioglieva definitivamente le ansie e le preoccupazioni.
Finiva la vendemmia e ci si preparava alla festa intanto le fasi del lavoro avanzavano.. 
Le vinacce si filtravano facendole passare  attraverso un grande "setaccio" per schiacciare anche l'ultimo acino, e mio nonno, durante la fermentazione ogni giorno saliva ad affacciarsi sopra i tini con un grande bastone a cui era legata una specie di tavoletta quadrata, con questo attrezzo improvvisato  muoveva la superficie ormai compattata dalla fermentazione e la "spezzava". Tutto così veniva ossigenato in modo uniforme e le bucce degli acini, così facendo, non avevano il tempo di ossidarsi.
Alla fine, dopo qualche giorno di lavoro ininterrotto  si spinava  il mosto,  travasato in altre botti di legno passandolo attraverso un filtro che lo ossigenava e  lo liberava da impurità,  il mosto poi  veniva trasferito in altri grandi tini e messo a riposare in un locale apposito. Il suo profumo quasi ti stordiva, forte, dolce e inebriante.
Le vinacce venivano conservate in piccole botti dove ci si mettevano a marinare le rape per la brovada che sarebbe venuta ad autunno inoltrato...

Anche per i bambini la vendemmia  era un momento di allegria e di gioco. Anche per me quindi, che man mano che si pigiava e le uve si abbassavano, sparivo dentro al tino. Allora mio nonno mi prendeva in braccio e mi metteva fuori, inzaccherata fino all'inverosimile.
Le donne di casa apparecchiavano tavole  lunghissime  sotto le piante, nell'orto. Ed erano cibi semplici, poveri come la cucina friulana, polenta,  rigorosamente bianca,  e frico, salat e savola (salame,  cotto con tante cipolle e aceto) e frittata friulana, minestra di orzo e fagioli, insalata di radicchio, e Merlot, o Cabernet, molto.
E poi compariva quasi sempre una fisarmonica. E allora, complice il vino, balli e canti continuavano fino a notte, finché la stanchezza prendeva il sopravvento, e pian piano iniziavano i saluti perchè il giorno dopo si ricominciava, nella vigna di qualcun'altro.
Io ovviamente non restavo fino a tardi, salivo in camera mia e da sopra ascoltavo e aspettavo, senza dormire. Dopo il commiato dell'ultimo vendemmiante, sapevo che sarebbe venuto mio nonno a rassettarmi  il letto. Era il nostro appuntamento fisso, un piccolo rito fra noi due. Fingevo di dormire, lui si chinava sul letto e mi baciava sistemandomi le lenzuola. Al che io fingevo di svegliarmi e lo abbracciavo.
Odorava ancora di mosto. Un profumo che  ogni tanto  ritorna  quando penso a lui, alla sua vita tanto difficile e faticosa, al suo mancare relativamente giovane e al dolore che provo ogni volta al pensiero di che cosa avrebbe potuto essere se fosse vissuto più a lungo e non è stato.

Lui era Basilio, classe 1902, contadino friulano, mio nonno.