venerdì 11 maggio 2012

Quanta strada nei miei sandali..


La signorina Begotti era zitella.
Di quelle ormai parecchio avanti con gli anni, con le spalle curve e l'aria rassegnata. Un viso piatto, solcato da innumerevoli rughe,    sciatta e trascurata, con un abbondante centimetro di crescita bianca alla radice dei capelli scuri  arricciati dalla permanente, una permanente riuscita male però, tanto che erano attorcigliati tipo fusilli lunghi... li teneva sciolti sulle spalle, nonostante non fossero così folti, anzi. Quei capelli sottolineavano ancora di più la sua immagine trascurata..
Si chiamava Elettra, Begotti Elettra.
E i suoi capelli rispecchiavano quel nome così strano per me. Non l'avevo mai sentito e nella mia mente di bambina pensavo che l'avessero chiamata in quel modo per qualche motivo legato all'elettricità.... probabilmente sua madre aveva voluto emulare Marconi. Ma questo l'ho capito molto dopo...
L'unico vezzo della signorina Begotti era quel rossetto di un rosso molto acceso  sulle labbra, sempre sbavato, che stonava tantissimo sul suo  viso così sciupato  e la faceva sembrare una maschera della Commedia dell'Arte.
La signorina Begotti faceva la segretaria. Al padrone di casa, di tutta la casa di ringhiera di Via Correggio al numero 6, dove mia madre era custode. Il Dottor Colombo....
Un uomo basso, quasi calvo, molto tarchiato, d'inverno sempre infagottato in un cappotto di cammello che lo arrotondava ancora di più, col cappello di feltro perennemente calcato sulla testa, a volte un po' spostato all'indietro. In primavera invece aveva un panama beige con la fascia nera, portato allo stesso modo, e una giacca blu di fresco di lana sui pantaloni grigi, in piena estate invece una camiciola a casacca portata fuori dai pantaloni, il panama beige era lo stesso, anche se cominciava a cambiare colore....
Voleva essere elegante, rimarcava in questo modo il suo diverso ceto. Era come se dicesse -Guardatemi, io sono il padrone -
Lui veniva a casa nostra tutti i fine mese. Passava a riscuotere l'affitto.
Si sedeva in portineria la mattina sul presto e a turno tutti gli affittuari scendevano a pagare, chi non poteva essere presente di solito lasciava una busta con i soldi a mia madre e lei, diligentemente, raccoglieva  le ricevute che a sera poi, al ritorno degli inquilini, consegnava..
La signorina Begotti gli faceva da assistente anche in queste occasioni.
Arrivavano insieme, a piedi, lui col suo cappello buttato all'indietro sulla calvizie incipiente, il cappotto appoggiato sulle spalle, mani dietro la schiena, camminando due passi avanti, e lei con la sua cartelletta di marocchino appoggiata al braccio che gli saltellava dietro cinguettando su improbabili tacchi di altrettanto improbabili scarpe alla bebé, stile anni '20..
Entravano senza chiedere permesso, lui si sedeva ad un capo del tavolo, ingombrando parecchio quel buco di guardiola, e lei gli stava a fianco, in piedi, spuntando dall'elenco quelli che venivano a pagare passandogli le ricevute, già pronte, da firmare. Lui firmava, prendeva i soldi e li infilava in una specie di borsello ante litteram, una specie di tascapane piatto di pelle nera scamosciata.
Capitava, soprattutto d'estate, che fossi presente anch'io, non c'era scuola, e allora me ne stavo defilata, mia madre temeva che disturbassi, perciò mi mettevo seduta dall'altro capo della piccola stanza, un libro aperto in grembo, zitta zitta, fingevo di leggere mentre invece osservavo di sottecchi tutto l'andirivieni.
Il dottor Colombo mi sembrava un grosso rospo, appoggiato su una delle nostre sedie di legno, troppo piccola per il suo fondoschiena strabordante, la testa incassata nelle spalle, lo sguardo torvo e le labbra sempre strette a fessura. Nessuna gentilezza o bonomia in lui... Un rospo in agguato, in attesa delle sue prede...
Poche parole fra lui e gli inquilini, asciutte e secche. Il tutto, per ognuno, durava pochi minuti, si cavavano il dente alla veloce, e poi via, ritornavano alle loro attività, alle loro incombenze. Raramente qualcuno avanzava qualche lamentela, che lui liquidava sempre con due parole “ci penseremo”. Ma non ci pensava mai..

La signorina Begotti allora raccoglieva tutte le loro carte, chiudeva la stilografica, ammucchiava in bell'ordine sul tavolo le ricevute di quelli che avevano lasciato i soldi e, sempre cinguettante, aiutava il dottor Colombo a infilarsi il cappotto o la giacchetta, restavano qualche minuto a impartire ordini e regole sulla gestione del condominio a mia madre, e se ne andavano senza salutare.
Non prima però di avermi raccomandato di portare la posta nelle ore giuste.
Sì perché, e non ne ho mai saputo il motivo, lui la sua posta la faceva arrivare presso la portineria di via Correggio e non direttamente a casa sua in via Guido d'Arezzo.

Così, la figlia della portiera, cioè io, a 8 anni doveva farsi più di 3 km al giorno, andata e ritorno, per recapitargli tutta la corrispondenza che arrivava da noi. La pretendeva quotidianamente e lo riteneva dovuto, mai neanche un grazie mi ha detto in tutti quegli anni.....
.... io pregavo in cuor mio che gli arrivasse almeno a giorni alterni, e invece nisba, tutti i giorni ce n'era sempre a pacchi indirizzata a lui e ai suoi figli medici... Così tutti i pomeriggi, dopo i compiti, che piovesse, nevicasse o che ci fossero 40° all'ombra, prendevo la strada che andava a casa sua....quanta strada nei miei sandali, quante suole consumate!

Odiavo quelle camminate obbligatorie.
Odiavo andare a casa sua perchè  per arrivarci dovevo passare vicino al Distretto Militare e non mi piaceva per nulla.
Odiavo suonare il campanello, incorniciato in stile Liberty, ed aspettare che aprissero, ogni volta ci voleva parecchio, vai a sapere perché.
Odiavo le buie scale di pietra serena che salivo fino al secondo piano.
Odiavo lo scricchiolio del parquet sotto le mie scarpe.
Odiavo aspettare nell'anticamera dello studio, con l'odore di cera per il legno che stagnava ovunque..
Odiavo la signorina Begotti e quel suo grembiule nero di raso lucido, con le mezze maniche, altrettanto nere, infilate sopra le maniche vere.
Odiavo la signorina Begotti, per quelle dieci lire di mancia che mi infilava in mano, che mi bruciavano, mi irritavano anche di più di quanto già non fossi..
Odiavo la signorina Begotti che con quel suo fare da vecchia prozia inacidita, si chinava a farmi una carezza.
Odiavo il suo odore, che inevitabilmente mi colpiva quando mi si avvicinava.

Era odore di cipolla.

La signorina Begotti puzzava sempre di cipolla..

 
Strani i percorsi della mente, strano come un odore mentre cucini, di colpo, inaspettatamente,  riporti a galla qualcosa che è profondamente sepolto dal tempo....

Per questo la signorina Begotti  si è materializzata nella mia cucina, perchè  affettavo i cipollotti per questa vecchia ricetta di Aimo Moroni..





 Spaghetti ai cipollotti

per 2/3 persone

20 cipollotti freschi
1 noce abbondante di burro
poco brodo vegetale
poco peperoncino
spaghetti q.b.
parmigiano grattugiato

basilico per decorare






Affettare sottilmente i cipollotti, utilizzando anche la parte verde più interna e morbida.
In una capace pentola  fondere il burro, unire i cipollotti affettati e lasciar insaporire bene, aggiungere poco brodo vegetale, regolare di sale e lasciar cuocere a fuoco basso fino a quando i cipollotti saranno completamente sfatti  e il risultato sarà una specie di crema. Aggiungere del peperoncino a piacere.
Cuocere gli spaghetti, scolarli e saltarli direttamente nella pentola dei cipollotti.
Impiattare, aggiungere una leggera spolverata di parmigiano e guarnire con del basilico.






Signorina Begotti, mi perdoni se a volte sono scappata via a tutta velocità bofonchiando una specie di saluto....
so che lei cercava di essere gentile....mi creda, non era maleducazione solo non volevo che vedesse, che capisse il mio disagio..
Sa, quelle dieci lire poi andavano quasi tutte in gelati, mi piaceva molto quello fatto a banana, e costava proprio dieci lire, lo vendeva il bar, quello all'angolo della casa....era facile entrarci e comprarlo.....tutte quelle dieci lire lei praticamente le ha date al Bar Mauro...















14 commenti:

  1. Noi abitavamo sulla riva del lago di Avigliana e andavamo al ristorante di Papà Italo quasi solo per mangiare la pasta alle cipolle che preparava suo figlio. la ricetta sembra proprio questa e anche io ho provato a ripeterla molte volte, ma quel sapore non l'ho mai più ritrovato

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    1. chissà perchè i sapori legati all'infanzia non li ritroviamo più....siamo cambiati noi, o è cambiato tutto intorno a noi? Forse tutte e due le cose...
      sta di fatto che restano irripetibili ma profondamente dentro di noi..

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    2. sono d'accordo, anch'io ogni tanto ho provato e provo tuttora a ripetere delle ricette cercando il sapore di un tempo o di un momento preciso, ma non ci riesco mai e devo accontentarmi di riviverli nella memoria... cercando di non dimenticarli... :*

      roberta

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  2. non so se mi ha stregato di più il racconto o la ricetta, credo entrambi.....buon weekend, un abbraccio...

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  3. Giuliana, Giuliana, nel suo angolo, sulla sua sediolina...ogni ricciolo storto per sempre ricordato.

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  4. Sembrano personaggi di un film quelli che ci hai descritto, così chiari nella tua memoria li hai resi odiosamente vivi anche per noi.

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  5. Racconto stupendo, soprattutto perché scritto in maniera davvero coinvolgente...
    La ricetta... anche se ho già pranzato mi ha fatto tornar la fame :)Ciao Giuliana, sono arrivata qui grazie Chiara( http://chiara-lavogliamatta.blogspot.it/ )e di sicuro non me ne andrò più :) Complimenti!

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  6. Giuliana che bello il tuo racconto. Mi ha fatto pioacere leggerlo!
    Un bacio

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  7. ciao Giuliana...il tuo racconto ha il sapore di un'epoca oramai lontana e mi ha ricordato quando io bambina andavo alla sera a piedi a prendere il latte dalla vicina di casa che aveva le mucche...non facevo 3 km, ma poche centinaia di metri ma per me, bimbetta ultratimida, era un'impresa titanica dovermi presentare alla stalla con la mia bottiglia vuota ed i soldini per pagare...altre epoche davvero...
    Bello il tuo modo di raccontarti e bello il tuo blog...arrivo da Chiara La voglia matta http://chiara-lavogliamatta.blogspot.com/ e volentieri mi aggiungo a chi ti segue anche se difficilmente troverò il tempo per lasciare dei commenti...è più facile che io passi da te con occhi silenziosi...Ciao, Mila

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  8. Mi sa che assieme alle albicocche sarà una delle ricette scelte per il Contest!

    Sei brava... e anche molto!!!

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  9. Secondo me voleva far pesare il suo essere padrone. Sarebbe stato più comodo mandare la posta a casa, se aveva un portiere anche lì.

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