lunedì 9 gennaio 2012

La bottega di Rori


Sarà che più passano gli anni più ti guardi indietro, ripensando al tempo trascorso, alle persone che hai conosciuto, che hai incrociato per un periodo, o che hai solo sfiorato, oppure a quelle che hanno fatto parte della tua vita, o che ne sono uscite, alle persone che non ci sono più ma di cui hai ricordi vividi.
Una di queste era Rori.
Aveva una botteguccia, se così si può chiamare, dato che per vendere la sua mercanzia utilizzava una stanza della sua casa che si affacciava sul viale principale del paese. Aveva diviso a metà la porta d’ingresso, così tutti i giorni ne apriva la parte superiore ricavando una specie di banco con la parte sottostante e stava seduto lì, sporgendo col busto in modo da poter servire i rari clienti.
Sto parlando di Arzene, il mio paese natìo, ….un piccolissimo borgo di mille anime, compresi conigli e galline,  sprofondato nella campagna friulana, quella che d’estate è fatta di granoturco e vigne per chilometri, fin sotto alla montagna…
Era romano, o almeno credo dato che in casa si diceva così. Rori era ebreo ed era arrivato fino in quel remoto angolo ad est per sfuggire alle leggi razziali promulgate dal fascismo nel 1938.
Non ho mai saputo l'origine di quel nome,  davvero particolare, in paese lo chiamavano tutti così.
Vendeva dolciumi, caramelle e cose dolci in generale, e mi pare che in più facesse il sarto perché il suo commercio non era sufficiente a mantenere lui e la moglie.
Era un po’ basso di statura, un viso scavato e magro, dove spiccavano gli occhi grandi e sporgenti, il suo naso lungo serviva da appoggio per degli occhiali pince-nez che lo facevano sembrare un topo da biblioteca, mentre  le spalle curve lo invecchiavano anche più di quello che doveva essere. A  pensarci ora, era come spento,e credo di non averlo mai visto ridere....
Era un uomo buono, tutto il paese conosceva la sua storia, il motivo della sua venuta e, al contrario del solito, fu accolto e trattato sempre come uno del paese.. Dico del solito perché la diffidenza verso i foresti è fortemente radicata nella gente contadina, soprattutto in quei tempi così difficili. Un po’ lo proteggevano anche. In paese c’era, e c'è ancora,  la polveriera militare che fino alla fine del 1944 è stata in mano ai tedeschi, così come la caserma, oggi completamente abbandonata. 
Di quella parte della sua storia so poco o niente. Io l’ho conosciuto che avevo 6 o 7 anni. Eravamo già quasi a fine anni ’50, e tutte le estati le passavo dai nonni, lasciando i miei genitori a Milano, perchè la portineria non si poteva abbandonare mai, se non pagando di tasca propria qualche sostituto...
Mi piaceva Rori, era buon amico di mio nonno Basilio, il quale, pur non possedendo nulla , cercava di aiutarlo come poteva  regalandogli magari qualche bottiglia di vino, o un salame, o della verdura dell’orto, o delle uova ogni tanto, se le galline erano generose..
Tutte le sere intorno alle 18 il paese si animava come per incanto, di colpo, al rintocco delle campane, sembrava che tutti si fossero dati appuntamento e uscivano per strada, chi con le biciclette tornava dai campi, chi invece andava a fare una minima spesa nell'unica bottega venditutto del paese, .....qualche rarissimo trattore passava facendo un chiasso infernale, tantissimi carri trainati da buoi rientravano dalla fienagione.... i militari in libera uscita camminavano a frotte lungo tutti i 2 chilometri che li dividevano dal paese...
e io  passavo davanti alla sua mezza porta, diretta alla latteria sociale a comprare il latte col mio bravo pentolino, una specie di secchiello di alluminio, dal coperchio col tuppo come certe brioches.
E come me, molti altri bambini, più o meno grandi facevano altrettanto. Ci si metteva in fila alla latteria sociale e si aspettava il nostro turno perché il casaro ci versasse nel pentolino il latte appena munto,  portato dai contadini,  soci della latteria...
Nell’attesa ci  si può immaginare.... Si giocava, si rideva e si scherzava, qualcuno, soprattutto i maschi, si accapigliavano un po’….giusto per far passare quel quarto d’ora.
Poi si andava da Rori. 
Lui se ne stava appollaiato  a lato del  bancone-finestra, e dietro di lui si scorgevano grandi vasi di vetro pieni di delizie...
Chi comprava 5 lire di scarpette di liquirizia, chi la bottiglietta colorata col tappo a ciuccio, chi le monete di cioccolato. Io compravo la stringa. Una stringa di liquerizia tutti i giorni. Mi piacevano tantissimo e a dire il vero mi piacciono tuttora…
Lui il più delle volte non me la faceva pagare, credo per gratitudine verso mio nonno, ma questo l’ho capito molto dopo…
Lo facevamo ammattire, praticamente lo prendevamo d’assedio in una quindicina di ragazzini, tutti insieme allo stesso momento….un baccano infernale.Salendo quei due o tre scalini che portavano alla sua  porta, posavamo di lato  i secchielli colmi di latte e ci facevamo servire..riprendere poi il secchiello giusto era una impresa...erano tutti più o meno uguali!
Comunque nessuno gli ha mai sottratto niente, approfittando magari di un suo momento di distrazione. Come se fosse un tacito accordo fra tutti noi bambini. Non so se è perché eravamo più ligi alle regole e inquadrati  sin da piccoli a quel tempo, oppure se perché anche i bambini sapevano  tutto della sua situazione, magari per averlo sentito in casa...
Era amico di mio nonno dicevo, e una volta ricordo che fu invitato a cena. Cosa rara che lui accettasse, ma quella volta lo fece . Era quindi un vero avvenimento.
Mia nonna era abituata a cucinare quasi sempre le stesse cose, però quello che cucinava lo cucinava davvero bene.
Sapeva che a Rori piaceva molto, da buon romano, il pollo coi peperoni, allora preparò quello che lei chiamava il pollo alla cacciatora, e con l’immancabile polenta che, si sa, riempie le pance.. Preceduto da un semplice piatto che fungeva da antipasto/primo che in dialetto si chiama il mussut (l’asinello) a base di ricotta e polenta e che io non amo per nulla..
Me lo ricordo come fosse oggi quel giorno. Lei indaffarata in cucina, preoccupata che tutto le riuscisse bene, presa a discutere col nonno che andava e veniva dall'orto alla cucina per controllare la situazione, suscitando le sue ire  ..... Andò tutto bene naturalmente.
Rori e sua moglie se ne andarono da casa mia contenti e rilassati ad ora tarda a braccetto, lentamente, lungo il grande viale che attraversa tutto il paese.....E' l'ultima immagine che ho di loro in  quell'estate,  perché poi,  durante l’inverno, sua moglie si ammalò e morì, e  lui la seguì subito dopo..
E’ sepolto nel piccolo cimitero vicino al torrente che passa fuori dal paese. Ogni volta che ci vado passo a salutarlo. C’è sempre un fiore fresco  sulla sua tomba, segno che non è stato dimenticato, c’è ancora qualcuno che si ricorda di lui, come me.


Pollo alla cacciatora a modo mio

(senza peperoni)

1 grosso pollo a pezzi
1 cipolla bionda
1 carota
2 coste di sedano
2 spicchi d'aglio
5 o 6 pomodori, spellati e tritati (o una scatola di pelati)
un ciuffo di maggiorana
due o tre rametti di timo
1 bicchiere di vino bianco
olio, burro, sale e pepe macinato al momento.

Tritare grossolanamente le verdure.
Lavare accuratamente il pollo, asciugarlo con un canovaccio e metterlo ben disteso a rosolare in olio e burro in una casseruola, o in una ampia padella, appena è ben rosolato, regolare di sale e pepe, aggiungere lil trito di verdure e lasciare insaporire, quindi sfumare con il vino bianco e appena è evaporato unire i pomodori spellati e tritati grossolanamente, o i pelati.
A questo punto aggiungere la maggiorana e il timo, coprire con brodo caldo o acqua calda, abbassare il fuoco e continuare la cottura finché il sugo sarà ristretto ma non del tutto. Servire ben caldo con la polenta.





7 commenti:

  1. Più ti leggo più mi rendo conto di quanto diversa sia stata la nostra infanzia. In questi bellissimi affreschi si percepisce un universo popolato di un'umanità fin troppo adulta vista attraverso gli occhi e le sensazioni di una bambina, oggi tradotti da una profonda consapevolezza ma pregni di solitudine.
    Probabilmente è l'unico tratto che ci accomuna nel nostro vissuto infantile di sorelle "spaiate".
    Un po' mi spiace non aver vissuto quei momenti insieme a te.
    Un lavoro straordinariamente bello questo tuo raccontare vita e cucina insieme...

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  2. Mi domando perchè non scrivi un bel libro di storie vissute con annessa ricetta (cos' come fai con il tuo blog), sono sicura che avrebbe un successone.
    Quando inizio i tuoi racconti, non c'è nessuno che riesce a staccarmi prima di aver finito, neppure il telefono che squilla e squilla.
    Grazie Giuliana, ti rinovo gli auguri di buon anno e che sia veramente buono a 360°.
    Un abbraccione
    Mandi

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  3. Bel racconto Giuli...ed invitantissimo il pollo.
    Grazie!

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  4. Abbiamo molti ricordi in comune. Veramente tanti. Di alcuni mi ero dimenticata ma lo strano è che tu me li fai riemergere dal buio.
    e la ricetta?

    Di quelle "base" da segnare e rifare. Ne faceva uno simile mamma. e io l'ho imparato da lei. Mi aveva anche regalato una padella per farlo. Che, altrimenti, mi diceva..." non viene bene"...

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  5. la stringa! anche a me piaceva, quand'ero bambina

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