mercoledì 30 novembre 2011

dentro a un piatto di riso


Giuli, ho voglia di un risotto....
così mia madre al telefono, me lo fai? Potevo dirle di no?
Così, pensando a cosa cucinare per il pranzo della domenica, apro il frigorifero....
toh! La salsiccia che giace da qualche giorno mi fa l'occhiolino da sotto una confezione di burro.........ok, ok, ti faccio fare una degna fine.... Vada per il risotto alla monzese...

Arriva la domenica, preparo il risotto, e andiamo a tavola.
Mio marito, appena infilata in bocca la prima forchettata di riso, mi dice: - ti ricordi di quello che ci faceva la zia Libera?
Come non ricordarlo! E' legato ai nostri inizi, posso dimenticarlo?? 
E' vero che sono passati quarant'anni e più, ma la memoria storica ce l'ho ancora, è quella breve che fa i capricci!

E allora ricordiamo davvero.....

Si chiamava Liberata ma la chiamavano Libera, non ho mai saputo il perché di questo nome così significativo, nel tempo e fra i suoi documenti non ho trovato nulla che dicesse da che parte era arrivato, se c'era un bisnonno o qualcun'altro di cui continuare il nome. Ricordo che glielo avevo anche chiesto, ma lei si era stretta nelle spalle e, scrollando la testa, mi aveva risposto che sua madre non glielo aveva mai spiegato.......strana la famiglia Corti!

Libera era la quinta dei sei fratelli Corti, nata sul finire del gennaio 1904, quando sua madre pensava di aver smesso di scodellare figli al ritmo di uno ogni due anni, e invece l’ultima davvero fu, cinque anni più avanti, la zia Letizia, di cui ho già parlato ampiamente.


 qui in una foto di gioventù, penso sul finire degli anni '20, a giudicare dalla pettinatura a onde, dalle scarpe alla bebé e dal vestito....


Quando l’ho conosciuta era già nella mezza età, vedova da poco. Suo marito era mancato, nell’Ottobre del 1966 e io avevo da poco incontrato quello che sarebbe poi diventato mio marito, stavamo insieme da pochi giorni, per cui non ho avuto proprio modo di conoscerlo...
Lei era una donna alta, rotonda ma non grassa, con dei capelli castano/biondo raccolti sulla sommità della testa a piccoli boccoli, tenuti insieme dalle forcine.. 
Io non me la ricordo riccia come nelle foto da giovane, ma sempre con quei suoi capelli tirati in su, e quei boccoli arrotolati fra le dita e fissati con le forcine sulla sommità della testa..
Da che ho memoria di lei, non ha mai cambiato pettinatura, non come me che ho sempre cambiato testa, ogni volta che mi prendeva lo schizzo di arricciare, tagliare, colorare......solo ora, che sono anch'io nella mezza età, ho più o meno la stessa pettinatura da qualche anno....

Stranamente la sua statura sovrastava quella di tutti i fratelli, non molto alti in verità. Nelle vecchie foto, o è seduta oppure, quando è in piedi, svetta su tutti.




lei è la prima a sinistra,  poi la zia Stella e poi mio suocero, una  amica storica delle sorelle, la Ines,  e quindi la zia Letizia





qui in gita con gli amici.. e lei è quella seduta a destra....

Non ho molte foto sue, quelle che ho sono quasi tutte formato tessera, fatte in varie epoche...
questa penso sia degli anni '20/30....non ne sono sicura, ma la pettinatura è quella di quegli anni...
questa penso sia degli anni '40

anno 1959, c'è scritto dietro stavolta...




e questa è come l'ho conosciuta io






Delle sorelle Corti era la più frivola, un po' leggera probabilmente, sempre pronta più a divertirsi che a lavorare, a pensare a comprarsi cappelli nuovi, scarpe, guanti di ogni tipo, borse e vestiti, spendacciona oltre ogni dire....le altre sorelle mugugnavano, e lo hanno fatto tutta la vita....
Lei però era l'unica delle sorelle Corti che volesse veramente bene a mia suocera, sua cognata, una volta che entrò a far parte della famiglia, l'unica che instaurò con lei un rapporto profondo, di amicizia e sorellanza affettuosa.....e di questo le sarò sempre grata.
Mia suocera era nata a Zara, quando ancora era italiana, ed era venuta a lavorare a Cernobbio, come cameriera per la famiglia Mandelli, una delle famiglie più benestanti di allora a Cernobbio.... ...qui aveva conosciuto mio suocero....ma la loro storia merita un capitolo a parte...
Si era sposata molto tardi la zia Libera, nel 1941, mentre si avvicinava alla quarantina, dopo aver, come si dice, corso parecchio la cavallina, d'altra parte con quel nome.......nomen omen...
Si era praticamente accontentata per potersi accasare e per sfuggire alla maldicenza e alle dinamiche di un piccolo paese qual’era Cernobbio fino agli anni della guerra...

Suo marito, lo zio Danilo, classe 1900,  originario del Monferrato, si era trasferito in città da  bambino, e  lo aveva conosciuto per caso. Le  era stato presentato da una amica comune che era venuta da Milano e che lui aveva accompagnato. Ed era arrivato proprio nel momento in cui si era quasi rassegnata a rimanere zitella..
Un uomo niente affatto bello, nemmeno carino a giudicare dalle foto, anzi, piuttosto basso e con un naso un po' camuso....Insieme non erano certo quel che si dice una bella coppia....

 questa è una delle poche foto sue, e fatta quando era già sulla cinquantina




Lui era appena tornato dalla Spagna, dove era andato volontario, per combattere dalla parte dei fascisti di Franco, poi sul finire della guerra era stato ferito leggermente e quindi, nel 1939 era rientrato.
Trovammo, una volta mancata la zia, mentre provvedevamo a disfare la sua casa, una lettera della sezione del Fascio della zona che intimava alla vecchia ditta dove era impiegato di reintegrarlo in organico e di pagargli tutti gli stipendi arretrati per il periodo di assenza, pena la chiusura forzata e il sequestro dell’attività e la minaccia dell’impiego di altri mezzi se non ottemperavano....
Ricordo perfettamente che c’era una data, l’anno XXII dell’era fascista, che sinceramente non so a che anno reale si riferisse, credo fosse il 1943/44, ma posso sbagliare...
Un documento che a tenerlo fra le mani mi ha fatto una certa impressione, è stato come tenere fra le mani un pezzo della nostra storia, terribilmente tragica, e scoprire poi che è stata anche vissuta e partecipata in quel modo da questo zio acquisito non è stato affatto piacevole.

Si conobbero dicevo, in una giornata di sole e nella cornice magica e romantica del lago di Como, almeno così raccontava zia Libera...
Non fu un amore travolgente, anzi, credo proprio che lei non fosse assolutamente innamorata. E’ che si rendeva conto che lui significava l’ultima opportunità di fare un buon matrimonio, di lasciare Cernobbio, un paese che, lago a parte, le stava stretto più che mai.
Si fidanzarono e il fidanzamento durò quasi due anni, poi si sposarono senza troppo clamore, e vennero a vivere a Milano, in una piccola casa di ringhiera a due piani in via Porro Lambertenghi,in fondo alla via Farini, dove lo zio aveva comprato due stanze.

Erano proprio due stanze. E neanche tanto grandi. Una era quella che fungeva da ingresso, soggiorno e cucina, mentre, all'interno, una porta la divideva dalla camera da letto che affacciava invece dall'altro lato della casa, sulla via Lambertenghi....il bagno, se così si può chiamare, era in fondo alla ringhiera, in comune con le altre due famiglie che vivevano su quel lato.
Consisteva in una turca e stop. Come ho già avuto modo di raccontare, ci si lavava nella tinozza, scaldando l'acqua sul fornello a gas...oppure si andava alle docce pubbliche, ce n'erano e ce ne sono molte tuttora sparse in tutta la città...

Ci ha vissuto praticamente quasi tutta la sua vita in quelle due stanze senza servizi......
zio Danilo era un tornitore specializzato, e per quel tempo era una qualifica che garantiva una paga abbastanza alta. Ma non tanto alta da permettere alla zia di fare solo la casalinga.
Così lei mise a frutto quello che aveva imparato quando da ragazzina aiutava la madre a lavorare le spolette di seta. Era occhiellaia, faceva asole in seta a giacche e pantaloni, lavorava per i sarti che a quel tempo erano molto numerosi perché gli abiti venivano fatti fare dalle sartorie, non esistevano ancora le confezioni in serie, vennero molto dopo.
Un mestiere parecchio ricercato il suo, non erano molti a saperlo fare bene, e lei invece era anche molto richiesta, aveva parecchio lavoro e un giro numeroso di sarti che le affidavano le loro creazioni da rifinire... c'era sempre un via vai frenetico su per quelle scale!
Occhiellaia.....a dirlo oggi credo che pochi sappiano cosa significhi....già quando l'ho conosciuta io il lavoro era molto calato, non c'era più tanto bisogno di occhielli fatti a mano, costavano troppo rispetto a quelli fatti a macchina, quelli fatti a mano erano più per l'alta sartoria che altro...
Ma lei continuò a cucire le asole delle giacche finché ci fu un sarto a chiederglielo...ricordo di averla vista curva su una giacca che era già molto avanti con gli anni, poi smise anche perché non ci vedeva più tanto bene...

Come sua sorella Letizia, anche a lei piaceva cucinare, e lo faceva davvero bene.

Lo zio Danilo, così racconta mio marito, era un tipo abbastanza strano e anche un po' burlone...
Pretendeva che lei apparecchiasse tutti i giorni la tavola come per le grandi occasioni..tovaglia di fiandra rigorosamente bianca, tre o quattro bicchieri, posate che servissero dall'antipasto al dessert, tovaglioli piegati con molta cura, l'acqua e il vino nelle bottiglie di cristallo, poi arrivava, perennemente in ritardo, si sedeva a tavola e il più delle volte non toccava cibo...
lei che magari aveva cucinato tutta la mattina, andava su tutte le furie e lo mandava a quel paese e lui, serafico:
- Libera, t'el set? (sai?)
- t'u cumprà el teren ( ti ho comprato il terreno)
- Oh che bel, ma n'doué?? - (ma dove) rispondeva lei
- a Musocc ( a Musocco, il cimitero più grande di Milano)...

al che lei faceva volare i piatte e non gli parlava fino al giorno dopo, quando la sceneggiata della tavola apparecchiata  in grande stile si ripeteva....


Quando finalmente, passati un po' di mesi, la conobbi,  invitò me e suo nipote a pranzo, era di sabato, lo ricordo come fosse oggi.
Ricordo quella casa, dove ordine era una parola priva di significato....piena di ninnoli, di soprammobili, di fotografie appese al muro e di quadri fatti con i coperchi delle scatole di cioccolatini.
Sì perchè un tempo sulle scatole di cioccolatini, fatte di un cartone molto rigido, un poco imbottito a volte, c'erano sempre delle stampe di fiori, o di panorami bellissimi..ci voleva niente a metterle in cornice!
Ricordo la ghiacciaia, e mi colpì parecchio il fatto che la usasse ancora, nonostante un frigorifero a tavolino facesse bella mostra di se lì a fianco....mi domandai dove trovasse il ghiaccio...i carbonai, non esistevano quasi più e i pochi rimasti si erano convertiti alle taniche di gasolio e alle stufe elettriche, niente più carbone d'inverno e ghiaccio d'estate.......non lo seppi mai...
Per me che avevo  17 anni, e vivevo in un presente in evoluzione continua, confrontarmi con la sua realtà e il suo modo di vivere un po' rivolto al passato è stato incredibile e
mi ha permesso di intravvedere un'epoca e un mondo completamente sconosciuto, difficile da immaginare.

Quando cominciò ad avere problemi di salute, soprattutto di artrite deformante  talmente devastante che a un certo punto arrivò ad impedirle di camminare, si trasferì a casa della sorella minore, la zia Letizia appunto.
Litigavano come cane e gatto, e ogni volta che andavamo a trovarle, sentivamo le litanie di una e dell'altra e cercavamo di calmarle........ma poi tutto si quietava e l'affetto fra loro prevaleva...
la zia Letizia la accudiva in tutto e per tutto, e lei un po' ne approfittava. Ma tutto questo ebbe poca durata, la zia Letizia si ammalò e nel giro di poco tempo morì, e la zia Libera restò sola.
Era molto benvoluta anche dai parenti dello zio, soprattutto da una sua nipote, Ester, ballerina della Scala, che ho conosciuto anch'io e che non ha mai smesso restarle vicino anche dopo, quando morì lo zio...



eccola qui in una foto del 1933
Fortunosamente si riuscì a trovarle un posto al Palazzolo,  storica casa di riposo di Milano, nel reparto dei non autosufficienti. Lei lo era parzialmente, era lucidissima, ma si muoveva solo con la sua sedia a rotelle.
Ricordo con profonda tristezza quel periodo. Per andare al reparto dove era lei, dovevo percorrere tutto il lunghissimo corridoio del primo piano dove erano ricoverate donne molto anziane che non ci stavano più con la testa, e ogni volta, fra le altre, passavo davanti a una stanza che aveva sempre l'uscio aperto e dove c'era fissa una nonnina su una sedia a dondolo che cullava una bambola. La cosa mi sconvolgeva....quando uscivo, dopo la visita alla zia, mi ci voleva almeno un'ora prima cdi tornare alla normalità....le mie figlie erano ancora piccole, a volte le portavo perché lei giustamente le voleva vedere, e mi stringevano le mani forte forte, mentre percorrevamo quei lunghissimi metri, come a dire che no, non mi avrebbero mai lasciato lì....
Lo ricordo anche come un periodo difficile quello...dover vuotare la sua casa, ma conservando comunque tutto il suo guardaroba e la sua biancheria, che serviva di ricambio in casa di riposo, e che io provvedevo a portarle tutte le settimane..dover conciliare il lavoro, la casa, la famiglia, le bimbe da seguire a scuola, le visite due volte la settimana che le facevo...è stato veramente faticoso........D'altra parte ci teneva tantissimo ai suoi vestiti, alle sue scarpe, alle sue borsette, e non poteva tenerle tutte nel piccolo guardaroba della sua camera alla casa di riposo, come non accontentarla? Era stata vanitosa in tutta la sua vita, e lo era ancor di più ora che stava in quel posto, le piaceva essere elegante, sempre. Era il suo modo di rimanere legata alla vita normale, quella di quando stava bene e poteva muoversi come voleva, un modo per non sentire la mancanza della sua casa e dei suoi oggetti, e di conservare la sua dignità anche dentro a un posto come quello, che anche se era molto pulito, organizzato, con animatori e volontari che tutti i giorni organizzavano cose, era pur sempre una casa di riposo, una specie di cronicario dove sapeva che sarebbero finiti i suoi giorni...
Rimase un paio d'anni al Palazzolo, ma sono stati comunque anni sereni. Era entrata a far parte di un gruppo di anziane che sotto la guida della responsabile del reparto avevano messo in piedi tutta una attività di beneficienza. Cucivano, ricamavano, facevano lavori a maglia, chi dipingeva su vetro, chi su tela, chi faceva lavoretti di ceramica, tutte cose che poi vendevano ai parenti o nelle feste che organizzavano aperte anche agli esterni, e quello che raccoglievano lo destinavano ogni anno ad un ente diverso....


Una giorno mi chiese di portarle della carta crespa rossa. Non le feci domande, andai in cartoleria e la comprai, chiedendomi a cosa le servisse.....lo scoprii appena gliela portai. Strappò un pezzetto dal rotolo, lo appallottolò, mi chiese lo specchio e cominciò a strofinare quella carta rossa sugli zigomi......rimasi di stucco, avevo appena capito cosa usavano le donne dell'altro secolo come fard....

Ora quel gesto è legato al suo ricordo, e me la vedo ogni tanto, con quelle guance appena appena rosse, che contrastano con la pelle diafana del viso. Quando mi torna questa immagine, non posso fare a meno di pensare a lei con tenerezza, e risento la sua voce che mi chiede se voglio ancora una cucchiaiata di risotto...uno dei suoi piatti preferiti....quando andavamo da lei sapevamo già qual'era il menu.....risotto alla monzese e arrosto di maiale al latte....

Ogni tanto mi capita di passare da Via Porro Lambertenghi e di guardare su, verso la finestra di quella che è stata la sua camera da letto.....chissà chi ci abita ora in quelle due stanze
chissà....



eccolo il suo risotto.....domenica nel piatto non c'era solo quello, c'era anche un pezzo della nostra vita...






 Risotto alla monzese

300 gr luganega (salsiccia dolce)
1 piccola cipolla
riso q.b. (io calcolo 2 pugni a testa più 2 per la pentola)
1 bicchiere di vino bianco
una noce di burro 
poco olio
parmigiano grattugiato
1 bustina di zafferano
brodo
sale
Scaldare il brodo. Spellare la salsiccia e ridurla a piccoli  bocconcini.
In un goccio d'olio far appassire la cipolla affettata finemente, unire la salsiccia  e lasciar cuocere mescolando ogni tanto finché la salsiccia si sarà colorita.
A questo punto versare il riso e lasciar tostare finchè è un poco translucido, mescolando sempre.
Sfumare con il vino bianco, poi procedere come per un normale risotto, mescolando e aggiungendo poco brodo alla volta, man mano che il riso lo assorbe.
A metà cottura aggiungere anche la bustina di zafferano. Un paio di minuti prima di spegnere, aggiungere una generosa noce di burro e un paio di cucchiai colmi di parmigiano grattugiato. Mescolare energicamente e spegnere il fuoco. Lasciar riposare qualche secondo e servire.

La zia Libera diceva sempre che il riso nasce nell'acqua e va annaffiato col vino...
per cui un buon bicchiere di rosso giovane, magari una Barbera dell'Oltrepo pavese, di quella che "buscia", ci sta benissimo,  sgrassa la bocca e ti fa digerire.....






1 commento:

  1. Buono questo risotto. Mio figlio, che per farlo mangiare ci va un'inventiva pazzesca, adora il risotto con la salsiccia. Proverò anche il tuo, così cambio un po'!
    Che belle queste foto in bianco e nero.
    Ciao e buona serata.

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